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Autore: HadleyTheImpossibleGirl    26/09/2016    4 recensioni
[STORIA INTERATTIVA COMPLETA]
La prima guerra magica è appena finita.
Come si sa, una guerra lascia dietro di sè morte e distruzione.
Ci vorrà tempo per rimettere insieme i pezzi.
Questa storia parla di come i vostri OC si riprenderanno dalla guerra e torneranno alle loro vite, anche se la guerra ti cambia dentro.
Sarà ambientata dal Novembre del 1981 all'Ottobre del 1982
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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“Mi dispiace che Susan non sia la tua insegnante” le stava dicendo Francis seduto sul divano.
“Già anche a me…adoro tua sorella ma devo ammettere che anche il nostro insegnante non è male” ammise Victoria allungando all’uomo una tazza di cioccolata calda, perfetta in quella piovosa sera di inizio ottobre.
Francis prese un sorso della bevanda e poi appoggiò la tazza sul tavolo. “Devo darti una notizia”
“Devo preoccuparmi?” chiese lei con il cuore che improvvisamente le batteva più veloce.
“No, no assolutamente” le sorrise prendendo una delle sue mani e portandosela alle labbra.
“Il mio prozio Hank è morto”
“Oh…mi dispiace”
Francis sorrise divertito. “No…” rispose quasi ridendo “Non dispiacerti…era un babbano francamente orribile. L’ho incontrato solo una volta, quando avevo 15 anni ma mi è bastata!”
“Non dovresti parlare così di una persona che non c’è più” lo rimproverò lei con dolcezza.
“D’accordo ma il punto è che lui aveva un sacco di soldi e una grande villa del settecento in campagna e sai, lui era uno di quelli all’antica secondo cui gli eredi sono solo maschi…quindi ha lasciato tutto a me.”
“Ha lasciato tutto a te?”
“Sì, la casa e i soldi. Ho già dato i soldi a Susan, era giusto che anche lei avesse qualcosa ma ho deciso di tenere la villa. Ci sono stato tanti anni fa e me ne ero innamorato. È antica, romantica e bellissima, con un giardino immenso.”
Victoria sorrise. Dove trovava un altro che ereditava un sacco di soldi e li dava alla sorella come se fossero spiccioli?
“Sembra incantevole”
“Domani ho appuntamento lì con un notaio…mi chiedevo se ti andava di venire con me…”
“Certo, perché no? Ti accompagno volentieri”
“Grazie” e si sporse per baciarla dolcemente.
Il pomeriggio successivo infatti si materializzarono appena fuori da un boschetto. Francis la prese per mano e la condusse lungo una stradina sterrata.
“Perché ci siamo materializzati così lontano?” chiese Victoria dopo una decina di minuti di camminata.
“Non ci sono maghi qui nei dintorni…non credo che i babbani vedrebbero di buon’occhio qualcuno che compare dal nulla. Siamo quasi arrivati.”
Francis le indicò un viale alberato che si intravedeva e che sembrava inoltrarsi nella campagna. Arrivati davanti all’ingresso del viale Francis aprì il cancello in ferro battuto che lo chiudeva.
Si incamminarono verso la villa che si vedeva in fondo al viale, a circa un chilometro di distanza tra loro.
Lui camminava tranquillo, rigirandosi il mazzo di chiavi intorno ad un dito mentre lei invece si guardava intorno. Erano completamente immersi nella campagna inglese, non sapeva bene dov’erano ma intorno a loro c’era solo quiete, le altre case sembravano essere distanti chilometri e chilometri.
“Pensavo di far cambiare questi cipressi con una qualche altra pianta…faggi, tigli, platani…qualcosa di diverso…insomma così sembra un cimitero!” commentò Francis.
Victoria scrutò con gli occhi chiari gli alberi che costeggiavano il percorso. “Sì, in effetti è un po’ inquietante.”
Mano a mano che si avvicinavano l’edificio si stagliava sempre più imponente davanti ai loro occhi.
“Wow…ma quanti soldi aveva il tuo prozio?”
“Non ne ho idea” Francis disse le parole molto distanziate tra loro, completamente perso in ciò che aveva davanti a sé.
I loro pensieri vennero interrotti dall’arrivo di un omino basso e tarchiato, che si chiuse alle spalle il grande portone della villa. Si avvicinò a loro con passi piccoli e veloci.
“Lei è il signor Collins?” chiese a Francis, il quale annuì.
“Bene. Gli ispettori sono venuti stamattina a controllare la villa. Il tetto è stato ristrutturato cinque anni fa, quindi non ci sono problemi, così come le tubature e l’impianto elettrico. E’ tutto abbastanza recente considerato che l’edificio ha circa trecento anni; il signor Hank ci teneva molto, per una questione di sicurezza…”
“Molto bene…”
“Solo il giardino deve essere sistemato, signore. La serra deve essere sistemata e il gazebo sul retro ha alcune assi pericolanti…”
“La ringrazio signor Pentus” disse Francis
“Si figuri. Le lascio le chiavi.” L’uomo porse il mazzo di chiavi che aveva in mano a Francis con un gran sorriso.
“Benvenuto a casa signor Collins”
Rimasti soli Francis tornò a rivolgersi alla ragazza al suo fianco. Insieme percorsero i tre gradini di pietra che li separavano dall’entrata.
Francis aprì il portone di legno massiccio della villa ed entrò per primo ma, mentre lui andò diretto verso la grande scala che conduceva ai piani superiori, lei rimase estasiata a fissare quel soffitto altissimo, con le grandi finestre antiche da cui filtrava la luce.
Sentì a malapena il suo fidanzato dire “Beh l’ambiente andrebbe un po’ svecchiato ma sarebbe bello abitare qui, non trovi?”
Quasi senza rendersene conto si ritrovò a rispondere con voce quasi eterea e appena udibile “Sì, suppongo di sì”

 

Da quando era successa quella cosa di Magnus William aveva iniziato un rapporto epistolare con Elaine. La ragazza gli aveva scritto la prima volta per ringraziarlo nuovamente di quello che aveva fatto per lei e la sua famiglia. Si erano continuati a scrivere, con lei che gli raccontava del suo trasferimento nella nuova casa ma le lettere della giovane si erano fatte sempre più rade e misere. Ciò l’aveva spinto ad avere la bislacca idea di andare a trovarla. Aveva deciso, ormai da tempo, che forse valeva la pena provare e vedere come sarebbero andate le cose tra loro.
Aveva preso un mazzo di fiori e si era presentato a quel piccolo cottage di campagna.
“Will…che sorpresa!” fece Elaine aprendo la porta, non avrebbe mai immaginato di trovarselo lì.
Il ragazzo sentì provenire dall’interno il pianto della piccola di casa, in effetti Elaine sembrava leggermente in difficoltà e lo pregò di entrare e scusarla mentre cercava di dondolare la piccola culla dove la bambina si lagnava.
“Basta….dormi…per favore” supplicò alla neonata. Elaine prese il biberon che aveva lasciato appoggiato sul tavolino da caffè e fece per riportarlo in cucina. Mentre William aspettava si avvicinò istintivamente alla bambina e la prese in braccio, cullandola appena.
La piccola Kayla sembrò calmarsi all’istante suscitando lo stupore della madre, quando varcò la soglia.
“Ma come hai fatto?” chiese Elaine con occhi sgranati “Finora non ha funzionato niente!”
“Suppongo che avesse bisogno solo di essere coccolata un po’” fece lui mentre guardava la bambina totalmente ammaliato.
“O forse è semplicemente esausta, come me”
“Preferisco la mia versione” sorrise lui cercando poi di rimettere la piccola, placidamente addormentata, nella sua culla.
Con movimenti lenti mise giù la neonata, messo un po’ a disagio dalla presenza di Elaine, che lo guardava da sopra la sua spalla. Per un attimo pensò che loro due, in piedi lì davanti alla culla, potevano sembrare una famiglia. Che cosa stupida…loro non erano certo una famiglia ma magari, un giorno…
I due si sedettero sul divano e finalmente lui poté consegnarle il mazzo di fiori che le aveva portato.
“Grazie…non dovevi disturbarti” disse lei arrossendo appena.
L’aria si riempì per un attimo di un silenzio carico di disagio. Will fremeva, voleva arrivare al punto ma non sapeva proprio come. Colse l’occasione quando la ragazza al suo fianco gli domandò “Allora, cosa ci fai qui?” e lui rispose “Questo” prima di avvicinare le labbra alle sue e baciarla.
Per un attimo Elaine, per quanto sorpresa, non sembrò troppo disturbata dalla cosa ma poi si ritrasse all’improvviso mormorando “Scusa…non posso.”
William rimase molto stupito dal comportamento della giovane “Come sarebbe a dire che non puoi?”
“Non posso…non posso frequentarti ora”
“Mi stai prendendo in giro?” chiese lui sperando di avere ragione ma sentiva già la rabbia crescere in lui. Al segno di diniego da parte di lei sbottò “Come, prima quando dico che il problema era che tu fossi sposata tu mi hai detto che non c’era nessun problema e che ti avevo spezzato il cuore! E ora che sono qui, pronto a mettermi in gioco per te, tu mi allontani così?”
“William…”
“William cosa?” fece alzandosi in piedi.
“Io…ho capito una cosa da quando Magnus è morto: sono finalmente libera, la mia vita è di nuovo…mia. E lo so che questo vorrebbe dire poter fare ciò che voglio…ma c’è qualcuno che ha bisogno di me e merita tutte le mie attenzioni, tutto il mio tempo e il mio spazio…cerca di capire”
William fissò lo sguardo su Kayla, che sembrava non aver sentito niente di tutto ciò che le accadeva intorno.
“Lo capisco…” sussurrò lui abbattuto “Io allora me ne vado”
“Kayla è così piccola…voglio dedicarmi solo ed esclusivamente a lei…scusa…”
Il ragazzo fece un mesto sorriso mentre impugnava la maniglia della porta.
“Dammi tempo” lo pregò lei “Magari fra un po’…”
“Ciao Ely” si limitò a dire lui mentre usciva da casa sua.

 

Mentre si trovava davanti a quella casa di una piccola cittadina babbana vicino a Rouen, Angela sentiva a stento il vento freddo che le sferzava la pelle. Era in piedi davanti a quel portone scuro da un tempo indefinito, la paura si era impossessata di lei e le impediva di suonare il campanello.
Aveva speso tutto il suo tempo libero alla ricerca di suo fratello, e ora era lì. L’aveva trovato. Un dubbio però si era istillato nella sua mente: e se quello che aveva visto non era suo fratello? Se era un qualunque uomo francese e tutti i film mentali che lei si era fatta erano, appunto, film mentali?
Aveva chiesto a tutti i medici in servizio, aveva sfruttato una sua amica dai tempi della scuola che lavorava all’Ufficio Passaporte per poter rintracciare Philip Douvres o meglio Jonathan Stuart e alla fine era giunta a quell’indirizzo.
Se non era suo fratello tanto valeva scoprirlo e togliersi dalla testa quella storia, convincersi che Jonathan era morto e chiudere quel capitolo una volta per tutte.
Perfetto, ora sentiva anche le lacrime che le pizzicavano gli occhi.  Alzò gli occhi al cielo nel tentativo di ricacciarle e si decise a suonare il campanello.
Non passò molto prima che la porta si aprì e Angela si trovò davanti una donna algida, con lunghi capelli castani legati in una treccia laterale e occhi scuri che sembravano trafiggere al singolo sguardo.
“Posso esserle utile?” chiese.
“Cerco Jonathan” le uscì detto senza pensarci ma prima che potesse correggersi, la donna davanti a lei le rivolse uno sguardo confuso.
“Qui non c’è nessun Jonathan, mi dispiace”
“Mi dispiace, mi dispiace, volevo dire Philip” si scusò frettolosamente Angy.
La donna alzò un sopracciglio, scettica poi girò leggermente il viso verso l’interno dell’abitazione. “Philip, c’è qualcuno per te!” urlò.
Angela tirò un minuscolo sospiro di sollievo. Non era poi così lontana dalla soluzione. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata quando vide una figura familiare sbucare da una stanza sul retro della casa, mentre si toglieva un paio di guanti da giardinaggio.
Quel fisico, quei capelli scuri quasi neri, quegli occhi azzurri così simili ai suoi. Non aveva dubbi. Aveva la sua risposta: quello era Jonathan.
Fece per chiamarlo ma le mancò il fiato quando quella donna chiese “Philip conosci questa ragazza?” e lui rispose “No, non conosco questa ragazza.”
L’uomo si girò e si diresse di nuovo verso la cucina.
“No, aspetta!” si ritrovò ad esclamare Angy.
“Senta signorina, evidentemente ha sbagliato persona…”
“Johnny sono Angy! Sono tua sorella!” gridò la mora facendo un passo per entrare dentro casa, voleva raggiungerlo, scuoterlo per un braccio ma invece si ritrovò la bruna che urlava indispettita.
“Non so chi sia lei o cosa voglia ma mio marito non ha nessuna sorella! E ora se ne vada!”
“Lei non capisce, io devo parlargli!”
“Se ne vada prima che chiami la polizia!”
In un attimo Angela si ritrovò sbattuta fuori, in lacrime. Non c’erano altre passaporte per il Regno Unito quel giorno, era costretta ad aspettare il giorno successivo.
Passò il pomeriggio e la sera stesa sul letto di una camera d’albergo, ferma a fissare il soffitto, incapace di rendersi conto di cosa era successo. Era arrivata così vicina a suo fratello…e lui l’aveva guardata come se si fosse trattato di un’estranea.
Mandò un gufo a William, non specificando cosa era successo ma tranquillizzandolo sul fatto che sarebbe tornata il giorno dopo, poi ordinò il servizio in camera.
Non si stupì quando sentì bussare alla porta. Quando aprì e vide Johnatan davanti a lei per poco non ebbe un infarto.
Rimase pietrificata, con gli occhi sgranati quando quelle due braccia la avvolsero nello stesso identico modo che ricordava.
“Credevo che non ti avrei mai più rivista” disse lui con voce rotta mentre affondava il viso in quei capelli scuri.
Angela non riuscì a rispondere. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dall’odore familiare del fratello.
Quando si furono calmati, sciolsero l’abbraccio e Jonathan si chiuse la porta della stanza alle spalle, asciugandosi gli occhi umidi e arrossati.
“Tu…” provò a dire Angela ma le parole le morirono in gola. Avrebbe voluto dirgli talmente tante cose che il suo cervello non riusciva a processarle.
“Mi dispiace per oggi, per gli ultimi cinque anni, per tutto” disse lui appoggiando entrambe le mani sulle spalle della ragazza.
“Perché?”
In fondo era quella l’unica cosa che le interessava sapere. Perché era sparito? Perché se ne era andato senza lasciare alcuna traccia? Aveva passato settimane a piangere pensando che lo avessero rapito, torturato o ucciso. E invece…
“È una lunga storia, Angy”
“Ho tempo” rispose lei incrociando le braccia e sedendosi sul bordo del letto.
Jonathan si sedette su una sedia lì vicino, si passò una mano tra i capelli. Era evidentemente in difficoltà, come se non sapesse da dove cominciare.
“Per un periodo ho avuto una relazione con una ragazza…” poi un sorriso quasi sarcastico si dipinse sul suo volto “Un giorno viene da me e mi dice che suo marito, un Mangiamorte, ci ha scoperto o meglio ha scoperto che sua moglie lo tradiva. Io non avevo idea che fosse sposata. Se quell’uomo avesse scoperto chi era l’amante di sua moglie…ci avrebbe massacrati…tutti quanti”
“Johnny…” lo chiamò.
“Dovevo andarmene, Angy. Non potevo rischiare che vi succedesse qualcosa, cerca di capire” la pregò.
“Avresti potuto dirmi qualcosa…avremo trovato un modo…”
“No…no. Non potevo coinvolgere altra gente, era troppo pericoloso.”
Angela si stava sforzando di capire; la parte razionale del suo cervello le diceva che quello che aveva fatto suo fratello era pienamente giustificato ma il suo cuore non voleva accettare il fatto che lui se ne fosse andato senza neanche dire addio, anche se l’aveva fatto per proteggere se stesso e la sua famiglia.
“Quindi sei venuto qui…hai cambiato nome…”
“Vivo come un babbano ora… non volevo attirare l’attenzione. Nessuno sa che sono un mago, nemmeno mia moglie, Angelique”
“Non mi è sembrata tanto angelica” ridacchiò Angy.
“Beh, nonostante il nome è simile, lei non è certo come te, sorellina. È buona ma è piuttosto gelosa.”
L’uomo sorrise ricordando le scenate di gelosia che faceva sua moglie poi continuò “Mi dici come mi hai trovato?”
“Ti ho visto al San Mungo e…ho ripreso a cercarti.”
“Lavori al San Mungo ora?”
I due passarono ore, tutta la notte, a chiacchierare e a riaggionarsi come facevano una volta fino a quando, mentre fuori albeggiava, Jonathan si alzò dicendo che doveva tornare a casa.
“Non dire niente a mamma e papà di tutto questo, specialmente alla mamma”
“Ma…non hai idea di quanto abbia sofferto! Lei vorrebbe vederti se sapesse che sei vivo e che stai bene!”
Jonathan sospirò prendendo le mani della sorella tra le proprie. “So della caduta di Lord Voldemort, so che la maggior parte dei Mangiamorte sono ad Azkaban ma è ancora tutto troppo pericoloso. Già il fatto che tu sappia tutto mi preoccupa, non voglio che anche nostra madre sia in pericolo.”
La ragazza gli si gettò addosso per abbracciarlo. “Non voglio perderti adesso che ti ho ritrovato” disse.
“Non mi perderai, te lo prometto”
Jonathan si specchiò negli occhi di Angela, identici ai suoi e vi vide dentro tutta la preoccupazione che affliggeva in quel momento la sua adorabile sorellina.
“Ti fidi ancora di me?” le chiese.
“Sempre”

 

Finalmente anche Ottobre sembrava essere arrivato al capolinea, era infatti l’ultimo giorno del mese. Era mattina presto e Freya osservava Sebastian accanto a lei che dormiva e russava piano. Non sapeva come ma sembrava tutto così facile, così assurdamente normale. Non aveva più avuto incubi o attacchi di panico e si stava godendo una relazione normale, di quelle che la gente dà per scontate ma che per lei era un traguardo incredibile.
Il ragazzo si girò verso di lei ed aprì lentamente gli occhi.
“Buongiorno” lo salutò lei con un sorriso allegro.
“Giorno” mugugnò Sebastian in risposta poi si sporse verso di lei per catturare quelle labbra sottili tra le proprie.
Il ragazzo la attirò a sé e continuò a baciarla con sempre più insistenza.
“Smettila…” ridacchiò Freya senza però interrompere quei baci “Devi andare a lavoro…non ti permetterò di usarmi come scusa!”
“Bacchettona” rispose lui senza smettere di sorridere. A malavoglia si alzò dal letto e si diresse verso il bagno.
“Guarda che io non ti mantengo se ti licenziano” lo prese in giro a voce alta per farsi sentire.
Freya si tirò su a sedere, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e il resto del corpo coperto dal lenzuolo rosa, solo dal lenzuolo.
“Stasera io, May e Naomi andiamo a fare dolcetto o scherzetto. Vieni con noi?”
Il ragazzo si affacciò e rimase appoggiato allo stipite della porta con Freya che rimirava quello splendido adone in boxer.
“Non siete un po’ grandicelle per fare dolcetto o scherzetto?”
“Non si è mai troppo grandi per i dolcetti, Sebastian Lennox. E poi lo facciamo per Naomi, per farla uscire e svagare un po’”
“E allora io cosa c’entro scusa?”
“Beh, mi sembrava brutto non invitarti” rise lei.
Sebastian si avvicinò al letto cercando di sembrare minaccioso, cosa che non gli riusciva perfettamente perché non riusciva a trasformare quel sorriso sardonico in qualcosa di più tenebroso.
“Ah, e così si trattava di un invito di convenienza…speravi che dicessi di no, ammettilo” la provocò arrivandole sempre più vicino.
“No”
“Ammettilo”
“No” rise lei mentre la bocca di Sebastian era arrivata ormai a pochissimi centimetri dalla sua.
La ragazza si aspettava di essere baciata ma ciò non avvenne. Sebastian le disse, con una voce strascicata e suadente: “Ti salvi solo perché devo passare da casa a cambiarmi prima di andarmi a lavoro.”
Freya passò il suo giorno libero in giro per la città, sia nella zona babbana che in quella magica, alla ricerca di un qualche costume per lei e per May, che era al lavoro.
Maysilee uscì dall’ospedale magico alle sette di sera, quando ormai fuori era quasi buio pesto. Le giornate erano diventate sempre più brevi, ormai se iniziava il turno la mattina presto fino a sera, usciva e rientrava in casa col buio.
Era stata una giornata piuttosto pesante a lavoro. Quando c’era una qualsiasi festa la gente sembrava rincitrullirsi di botto e quell’ignorante del nuovo Capo Reparto sembrava rendeva le cose ancora più difficili.
Provò uno straordinario sollievo quando, tornata nell’appartamento, vide che Freya aveva preso la cena pronta per entrambe.
“Ho trovato i costumi” annunciò Freya.
L’amica sollevò gli occhi azzurri con espressione interrogativa, come per invitarla a continuare.
“Aspetta qui” le intimò l’altra prima di correre in camera.
May aspettò continuando a mangiare la sua cena, qualche minuto più tardi vide Freya spuntare in salotto con una veste da strega più annesso cappello e la sua bacchetta.
“Tadà” fece allargando le braccia.
All’amica sfuggì una risatina. “Streghe che si travestono da streghe?”
“Che c’è? Andremo in un quartiere babbano, non ci scoprirà nessuno anche se volessimo far uscire qualche scintilla dalla bacchetta”
Un’ora più tardi le ragazze si trovavano davanti casa dei genitori di May. Andò loro ad aprire Nathan, il padre di May.
“Ciao papà…”
“Ragazze…cosa ci fate vestite così?”
“Siamo venute a prendere Naomi per andare a fare dolcetto o scherzetto” rispose la figlia come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Tua sorella non verrà fuori.”
Gli occhi di May si spalancarono per la sorpresa. Notando ciò l’uomo si sbrigò a dare delle spiegazioni.
“E’ pericoloso per delle ragazze come voi andare in giro di notte. E Naomi è incinta, è meglio che stia in casa, riposata e al sicuro.”
May si oppose fermamente a quel padre che, per quanto volesse loro bene, aveva sempre fatto fatica ad accettare che le figlie fossero delle streghe e che fossero mature abbastanza da prendere le loro decisioni. Non riuscì ad ottenere una risposta dall’uomo però quando lei e Freya si allontanarono gettò uno sguardo alla finestra della camera di Naomi dove c’era la stessa ragazza che le faceva cenno con la mano di aspettare.
Poco dopo May la vide sparire e ricomparire da un vicolo dove evidentemente si era smaterializzata. Sorrise pensando a quanto era cambiata la sua dolce e carina sorellina.
“Grazie per avermi aspettata” disse una volta raggiunte le due bionde.
“Non potevo non farlo…è il primo anno che porto mio nipote a fare dolcetto o scherzetto e preparati, perché lo farò tutti gli anni” sorrise lei, trionfante.

 

Edward e Johanna chiusero la porta di casa del ragazzo dopo aver consegnato una manciata di caramelle a due adorabili bambini che si erano travestiti da Auror in miniatura.
La ragazza aveva deciso di chiudere il locale quella sera, affermando che c’erano già abbastanza matti nelle serate normali, figurarsi ad Halloween, e si era unita al fidanzato nel distribuire dolcetti ai bambini del vicinato.
La caduta di Voldemort voleva dire anche quello, che dopo anni in cui erano rimasti chiusi in casa, ora piccoli maghi e streghe potevano andare in giro e godersi la festa.
“Credo che ormai siano finiti, comincia ad essere tardi…” disse Edward.
“Già…la bambina vestita da basilisco comunque era la migliore”
“Sì, decisamente” concordò lui “Andiamo a letto?”
Johanna annuì e dopo aver chiuso casa i due andarono al piano di sopra e si infilarono accoccolati sotto le coperte.
Era bello, per Edward, avere Jo lì con lui. La casa sembrava molto silenziosa e vuota da quando Elaine se ne era andata quindi il fatto che la ragazza ogni tanto rimasse a dormire lì diventava ancora più piacevole.
Anche per Johanna era bello essere lì, tranquilla e avvolta in quelle braccia grandi, specialmente in giorni come quello, in cui non aveva il pensiero di dover aprire il Crazy Head il giorno dopo.
Si era quasi assopita con la testa appoggiata al petto di lui quando lo sentì dire “Jo, io ti amo”
“Anch’io” rispose automaticamente ma con una punta di sospetto nella voce.
“Sono contento che ti fermi qui stanotte….e che ti sia fermata qui martedì…e so che è presto…ma non mi basta più…ti andrebbe di fermarti qui per sempre?”

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!
Siamo infine giunti all’ultimo capitolo di questo viaggio che è stato, almeno per me, meraviglioso.
L’epilogo, con annesso salto nel futuro (perchè a me piace così), è già scritto e lo pubblicherò domani mattina con annessi ringraziamenti e saluti lacrimevoli.
Baci
H.

  
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