“Mi dispiace che Susan
non
sia la tua insegnante” le stava dicendo Francis seduto sul
divano.
“Già anche a me…adoro tua
sorella ma devo ammettere che anche il nostro insegnante non
è male” ammise
Victoria allungando all’uomo una tazza di cioccolata calda,
perfetta in quella
piovosa sera di inizio ottobre.
Francis prese un sorso
della bevanda e poi appoggiò la tazza sul tavolo.
“Devo darti una notizia”
“Devo preoccuparmi?” chiese
lei con il cuore che improvvisamente le batteva più veloce.
“No, no assolutamente” le
sorrise prendendo una delle sue mani e portandosela alle labbra.
“Il mio prozio Hank è
morto”
“Oh…mi dispiace”
Francis sorrise divertito.
“No…” rispose quasi ridendo
“Non dispiacerti…era un babbano francamente
orribile. L’ho incontrato solo una volta, quando avevo 15
anni ma mi è
bastata!”
“Non dovresti parlare così
di una persona che non c’è
più” lo rimproverò lei con dolcezza.
“D’accordo ma il punto è
che lui aveva un sacco di soldi e una grande villa del settecento in
campagna e
sai, lui era uno di quelli all’antica secondo cui gli eredi
sono solo
maschi…quindi ha lasciato tutto a me.”
“Ha lasciato tutto a te?”
“Sì, la casa e i soldi. Ho
già dato i soldi a Susan, era giusto che anche lei avesse
qualcosa ma ho deciso
di tenere la villa. Ci sono stato tanti anni fa e me ne ero innamorato.
È
antica, romantica e bellissima, con un giardino immenso.”
Victoria sorrise. Dove
trovava un altro che ereditava un sacco di soldi e li dava alla sorella
come se
fossero spiccioli?
“Sembra incantevole”
“Domani ho appuntamento lì
con un notaio…mi chiedevo se ti andava di venire con
me…”
“Certo, perché no? Ti
accompagno volentieri”
“Grazie” e si sporse per
baciarla dolcemente.
Il pomeriggio successivo
infatti si materializzarono appena fuori da un boschetto. Francis la
prese per
mano e la condusse lungo una stradina sterrata.
“Perché ci siamo
materializzati così lontano?” chiese Victoria dopo
una decina di minuti di
camminata.
“Non ci sono maghi qui nei
dintorni…non credo che i babbani vedrebbero di
buon’occhio qualcuno che compare
dal nulla. Siamo quasi arrivati.”
Francis le indicò un viale
alberato che si intravedeva e che sembrava inoltrarsi nella campagna.
Arrivati
davanti all’ingresso del viale Francis aprì il
cancello in ferro battuto che lo
chiudeva.
Si incamminarono verso la
villa che si vedeva in fondo al viale, a circa un chilometro di
distanza tra
loro.
Lui camminava tranquillo,
rigirandosi il mazzo di chiavi intorno ad un dito mentre lei invece si
guardava
intorno. Erano completamente immersi nella campagna inglese, non sapeva
bene
dov’erano ma intorno a loro c’era solo quiete, le
altre case sembravano essere
distanti chilometri e chilometri.
“Pensavo di far cambiare
questi cipressi con una qualche altra pianta…faggi, tigli,
platani…qualcosa di
diverso…insomma così sembra un
cimitero!” commentò Francis.
Victoria scrutò con gli
occhi chiari gli alberi che costeggiavano il percorso.
“Sì, in effetti è un po’
inquietante.”
Mano a mano che si
avvicinavano l’edificio si stagliava sempre più
imponente davanti ai loro
occhi.
“Wow…ma quanti soldi aveva
il tuo prozio?”
“Non ne ho idea” Francis
disse le parole molto distanziate tra loro, completamente perso in
ciò che
aveva davanti a sé.
I loro pensieri vennero
interrotti dall’arrivo di un omino basso e tarchiato, che si
chiuse alle spalle
il grande portone della villa. Si avvicinò a loro con passi
piccoli e veloci.
“Lei è il signor Collins?”
chiese a Francis, il quale annuì.
“Bene. Gli ispettori sono
venuti stamattina a controllare la villa. Il tetto è stato
ristrutturato cinque
anni fa, quindi non ci sono problemi, così come le tubature
e l’impianto
elettrico. E’ tutto abbastanza recente considerato che
l’edificio ha circa
trecento anni; il signor Hank ci teneva molto, per una questione di
sicurezza…”
“Molto bene…”
“Solo il giardino deve
essere sistemato, signore. La serra deve essere sistemata e il gazebo
sul retro
ha alcune assi pericolanti…”
“La ringrazio signor
Pentus” disse Francis
“Si figuri. Le lascio le
chiavi.” L’uomo porse il mazzo di chiavi che aveva
in mano a Francis con un
gran sorriso.
“Benvenuto a casa signor
Collins”
Rimasti soli Francis tornò
a rivolgersi alla ragazza al suo fianco. Insieme percorsero i tre
gradini di
pietra che li separavano dall’entrata.
Francis aprì il portone di
legno massiccio della villa ed entrò per primo ma, mentre
lui andò diretto
verso la grande scala che conduceva ai piani superiori, lei rimase
estasiata a
fissare quel soffitto altissimo, con le grandi finestre antiche da cui
filtrava
la luce.
Sentì a malapena il suo
fidanzato dire “Beh l’ambiente andrebbe un
po’ svecchiato ma sarebbe bello
abitare qui, non trovi?”
Quasi senza rendersene
conto si ritrovò a rispondere con voce quasi eterea e appena
udibile “Sì,
suppongo di sì”
Da quando era successa
quella cosa di Magnus William aveva iniziato un rapporto epistolare con
Elaine.
La ragazza gli aveva scritto la prima volta per ringraziarlo nuovamente
di
quello che aveva fatto per lei e la sua famiglia. Si erano continuati a
scrivere, con lei che gli raccontava del suo trasferimento nella nuova
casa ma
le lettere della giovane si erano fatte sempre più rade e
misere. Ciò l’aveva
spinto ad avere la bislacca idea di andare a trovarla. Aveva deciso,
ormai da
tempo, che forse valeva la pena provare e vedere come sarebbero andate
le cose
tra loro.
Aveva preso un mazzo di
fiori e si era presentato a quel piccolo cottage di campagna.
“Will…che sorpresa!” fece
Elaine aprendo la porta, non avrebbe mai immaginato di trovarselo
lì.
Il ragazzo sentì provenire
dall’interno il pianto della piccola di casa, in effetti
Elaine sembrava
leggermente in difficoltà e lo pregò di entrare e
scusarla mentre cercava di
dondolare la piccola culla dove la bambina si lagnava.
“Basta….dormi…per favore”
supplicò alla neonata. Elaine prese il biberon che aveva
lasciato appoggiato
sul tavolino da caffè e fece per riportarlo in cucina.
Mentre William aspettava
si avvicinò istintivamente alla bambina e la prese in
braccio, cullandola
appena.
La piccola Kayla sembrò
calmarsi all’istante suscitando lo stupore della madre,
quando varcò la soglia.
“Ma come hai fatto?” chiese
Elaine con occhi sgranati “Finora non ha funzionato
niente!”
“Suppongo che avesse
bisogno solo di essere coccolata un po’” fece lui
mentre guardava la bambina
totalmente ammaliato.
“O forse è semplicemente
esausta, come me”
“Preferisco la mia versione”
sorrise lui cercando poi di rimettere la piccola, placidamente
addormentata,
nella sua culla.
Con movimenti lenti mise
giù la neonata, messo un po’ a disagio dalla
presenza di Elaine, che lo
guardava da sopra la sua spalla. Per un attimo pensò che
loro due, in piedi lì
davanti alla culla, potevano sembrare una famiglia. Che cosa
stupida…loro non
erano certo una famiglia ma magari, un giorno…
I due si sedettero sul
divano e finalmente lui poté consegnarle il mazzo di fiori
che le aveva
portato.
“Grazie…non dovevi
disturbarti” disse lei arrossendo appena.
L’aria si riempì per un
attimo di un silenzio carico di disagio. Will fremeva, voleva arrivare
al punto
ma non sapeva proprio come. Colse l’occasione quando la
ragazza al suo fianco
gli domandò “Allora, cosa ci fai qui?” e
lui rispose “Questo” prima di
avvicinare le labbra alle sue e baciarla.
Per un attimo Elaine, per
quanto sorpresa, non sembrò troppo disturbata dalla cosa ma
poi si ritrasse all’improvviso
mormorando “Scusa…non posso.”
William rimase molto
stupito dal comportamento della giovane “Come sarebbe a dire
che non puoi?”
“Non posso…non posso
frequentarti ora”
“Mi stai prendendo in giro?”
chiese lui sperando di avere ragione ma sentiva già la
rabbia crescere in lui.
Al segno di diniego da parte di lei sbottò “Come,
prima quando dico che il
problema era che tu fossi sposata tu mi hai detto che non
c’era nessun problema
e che ti avevo spezzato il cuore! E ora che sono qui, pronto a mettermi
in
gioco per te, tu mi allontani così?”
“William…”
“William cosa?” fece
alzandosi in piedi.
“Io…ho capito una cosa da
quando Magnus è morto: sono finalmente libera, la mia vita
è di nuovo…mia. E lo
so che questo vorrebbe dire poter fare ciò che
voglio…ma c’è qualcuno che ha
bisogno di me e merita tutte le mie attenzioni, tutto il mio tempo e il
mio
spazio…cerca di capire”
William fissò lo sguardo su
Kayla, che sembrava non aver sentito niente di tutto ciò che
le accadeva
intorno.
“Lo capisco…” sussurrò lui
abbattuto “Io allora me ne vado”
“Kayla è così piccola…voglio
dedicarmi solo ed esclusivamente a
lei…scusa…”
Il ragazzo fece un mesto
sorriso mentre impugnava la maniglia della porta.
“Dammi tempo” lo pregò lei
“Magari
fra un po’…”
“Ciao Ely” si limitò a dire
lui mentre usciva da casa sua.
Mentre si trovava davanti a
quella casa di una piccola cittadina babbana vicino a Rouen, Angela
sentiva a
stento il vento freddo che le sferzava la pelle. Era in piedi davanti a
quel
portone scuro da un tempo indefinito, la paura si era impossessata di
lei e le
impediva di suonare il campanello.
Aveva speso tutto il suo
tempo libero alla ricerca di suo fratello, e ora era lì.
L’aveva trovato. Un
dubbio però si era istillato nella sua mente: e se quello
che aveva visto non
era suo fratello? Se era un qualunque uomo francese e tutti i film
mentali che
lei si era fatta erano, appunto, film mentali?
Aveva chiesto a tutti i
medici in servizio, aveva sfruttato una sua amica dai tempi della
scuola che
lavorava all’Ufficio Passaporte per poter rintracciare Philip
Douvres o meglio Jonathan
Stuart e alla fine era giunta a quell’indirizzo.
Se non era suo fratello
tanto valeva scoprirlo e togliersi dalla testa quella storia,
convincersi che
Jonathan era morto e chiudere quel capitolo una volta per tutte.
Perfetto, ora sentiva anche
le lacrime che le pizzicavano gli occhi.
Alzò gli occhi al cielo nel tentativo di
ricacciarle e si decise a
suonare il campanello.
Non passò molto prima che
la porta si aprì e Angela si trovò davanti una
donna algida, con lunghi capelli
castani legati in una treccia laterale e occhi scuri che sembravano
trafiggere
al singolo sguardo.
“Posso esserle utile?”
chiese.
“Cerco Jonathan” le uscì
detto senza pensarci ma prima che potesse correggersi, la donna davanti
a lei
le rivolse uno sguardo confuso.
“Qui non c’è nessun
Jonathan, mi dispiace”
“Mi dispiace, mi dispiace,
volevo dire Philip” si scusò frettolosamente Angy.
La donna alzò un
sopracciglio, scettica poi girò leggermente il viso verso
l’interno
dell’abitazione. “Philip, c’è
qualcuno per te!” urlò.
Angela tirò un minuscolo
sospiro di sollievo. Non era poi così lontana dalla
soluzione. Il cuore iniziò
a batterle all’impazzata quando vide una figura familiare
sbucare da una stanza
sul retro della casa, mentre si toglieva un paio di guanti da
giardinaggio.
Quel fisico, quei capelli
scuri quasi neri, quegli occhi azzurri così simili ai suoi.
Non aveva dubbi.
Aveva la sua risposta: quello era Jonathan.
Fece per chiamarlo ma le
mancò il fiato quando quella donna chiese “Philip
conosci questa ragazza?” e
lui rispose “No, non conosco questa ragazza.”
L’uomo si girò e si diresse
di nuovo verso la cucina.
“No, aspetta!” si ritrovò
ad esclamare Angy.
“Senta signorina,
evidentemente ha sbagliato persona…”
“Johnny sono Angy! Sono tua
sorella!” gridò la mora facendo un passo per
entrare dentro casa, voleva
raggiungerlo, scuoterlo per un braccio ma invece si ritrovò
la bruna che urlava
indispettita.
“Non so chi sia lei o cosa
voglia ma mio marito non ha nessuna sorella! E ora se ne
vada!”
“Lei non capisce, io devo
parlargli!”
“Se ne vada prima che
chiami la polizia!”
In un attimo Angela si
ritrovò sbattuta fuori, in lacrime. Non c’erano
altre passaporte per il Regno
Unito quel giorno, era costretta ad aspettare il giorno successivo.
Passò il pomeriggio e la
sera stesa sul letto di una camera d’albergo, ferma a fissare
il soffitto,
incapace di rendersi conto di cosa era successo. Era arrivata
così vicina a suo
fratello…e lui l’aveva guardata come se si fosse
trattato di un’estranea.
Mandò un gufo a
William, non specificando cosa era successo ma tranquillizzandolo sul
fatto che
sarebbe tornata il giorno dopo, poi ordinò il servizio in
camera.
Non si stupì quando sentì
bussare alla porta. Quando aprì e vide Johnatan davanti a
lei per poco non ebbe
un infarto.
Rimase pietrificata, con
gli occhi sgranati quando quelle due braccia la avvolsero nello stesso
identico
modo che ricordava.
“Credevo che non ti avrei
mai più rivista” disse lui con voce rotta mentre
affondava il viso in quei
capelli scuri.
Angela non riuscì a
rispondere. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dall’odore
familiare del fratello.
Quando si furono calmati,
sciolsero l’abbraccio e Jonathan si chiuse la porta della
stanza alle spalle,
asciugandosi gli occhi umidi e arrossati.
“Tu…” provò a dire Angela
ma le parole le morirono in gola. Avrebbe voluto dirgli talmente tante
cose che
il suo cervello non riusciva a processarle.
“Mi dispiace per oggi, per
gli ultimi cinque anni, per tutto” disse lui appoggiando
entrambe le mani sulle
spalle della ragazza.
“Perché?”
In fondo era quella l’unica
cosa che le interessava sapere. Perché era sparito?
Perché se ne era andato
senza lasciare alcuna traccia? Aveva passato settimane a piangere
pensando che
lo avessero rapito, torturato o ucciso. E invece…
“È una lunga storia, Angy”
“Ho tempo” rispose lei
incrociando le braccia e sedendosi sul bordo del letto.
Jonathan si sedette su una
sedia lì vicino, si passò una mano tra i capelli.
Era evidentemente in
difficoltà, come se non sapesse da dove cominciare.
“Per un periodo ho avuto
una relazione con una ragazza…” poi un sorriso
quasi sarcastico si dipinse sul
suo volto “Un giorno viene da me e mi dice che suo marito, un
Mangiamorte, ci
ha scoperto o meglio ha scoperto che sua moglie lo tradiva. Io non
avevo idea
che fosse sposata. Se quell’uomo avesse scoperto chi era
l’amante di sua moglie…ci
avrebbe massacrati…tutti quanti”
“Johnny…” lo chiamò.
“Dovevo andarmene, Angy.
Non potevo rischiare che vi succedesse qualcosa, cerca di
capire” la pregò.
“Avresti potuto dirmi
qualcosa…avremo trovato un modo…”
“No…no. Non potevo
coinvolgere altra gente, era troppo pericoloso.”
Angela si stava sforzando
di capire; la parte razionale del suo cervello le diceva che quello che
aveva
fatto suo fratello era pienamente giustificato ma il suo cuore non
voleva
accettare il fatto che lui se ne fosse andato senza neanche dire addio,
anche
se l’aveva fatto per proteggere se stesso e la sua famiglia.
“Quindi sei venuto qui…hai
cambiato nome…”
“Vivo come un babbano ora…
non volevo attirare l’attenzione. Nessuno sa che sono un
mago, nemmeno mia
moglie, Angelique”
“Non mi è sembrata tanto
angelica” ridacchiò Angy.
“Beh, nonostante il nome è
simile, lei non è certo come te, sorellina. È
buona ma è piuttosto gelosa.”
L’uomo sorrise ricordando
le scenate di gelosia che faceva sua moglie poi continuò
“Mi dici come mi hai
trovato?”
“Ti ho visto al San Mungo e…ho
ripreso a cercarti.”
“Lavori al San Mungo ora?”
I due passarono ore, tutta
la notte, a chiacchierare e a riaggionarsi come facevano una volta fino
a
quando, mentre fuori albeggiava, Jonathan si alzò dicendo
che doveva tornare a
casa.
“Non dire niente a mamma e
papà di tutto questo, specialmente alla mamma”
“Ma…non hai idea di quanto
abbia sofferto! Lei vorrebbe vederti se sapesse che sei vivo e che stai
bene!”
Jonathan sospirò prendendo le
mani della sorella tra le proprie. “So della caduta di Lord
Voldemort, so che
la maggior parte dei Mangiamorte sono ad Azkaban ma è ancora
tutto troppo
pericoloso. Già il fatto che tu sappia tutto mi preoccupa,
non voglio che anche
nostra madre sia in pericolo.”
La ragazza gli si gettò
addosso per abbracciarlo. “Non voglio perderti adesso che ti
ho ritrovato”
disse.
“Non mi perderai, te lo
prometto”
Jonathan si specchiò negli
occhi di Angela, identici ai suoi e vi vide dentro tutta la
preoccupazione che
affliggeva in quel momento la sua adorabile sorellina.
“Ti fidi ancora di me?” le
chiese.
“Sempre”
Finalmente anche Ottobre
sembrava essere arrivato al capolinea, era infatti l’ultimo
giorno del mese.
Era mattina presto e Freya osservava Sebastian accanto a lei che
dormiva e
russava piano. Non sapeva come ma sembrava tutto così
facile, così assurdamente
normale. Non aveva più avuto incubi o attacchi di panico e
si stava godendo una
relazione normale, di quelle che la gente dà per scontate ma
che per lei era un
traguardo incredibile.
Il ragazzo si girò verso di
lei ed aprì lentamente gli occhi.
“Buongiorno” lo salutò lei
con un sorriso allegro.
“Giorno” mugugnò Sebastian
in risposta poi si sporse verso di lei per catturare quelle labbra
sottili tra
le proprie.
Il ragazzo la attirò a sé e
continuò a baciarla con sempre più insistenza.
“Smettila…” ridacchiò Freya
senza però interrompere quei baci “Devi andare a
lavoro…non ti permetterò di
usarmi come scusa!”
“Bacchettona” rispose lui
senza smettere di sorridere. A malavoglia si alzò dal letto
e si diresse verso
il bagno.
“Guarda che io non ti
mantengo se ti licenziano” lo prese in giro a voce alta per
farsi sentire.
Freya si tirò su a sedere,
con la schiena appoggiata alla testiera del letto e il resto del corpo
coperto
dal lenzuolo rosa, solo dal lenzuolo.
“Stasera io, May e Naomi
andiamo a fare dolcetto o scherzetto. Vieni con noi?”
Il ragazzo si affacciò e
rimase appoggiato allo stipite della porta con Freya che rimirava
quello
splendido adone in boxer.
“Non siete un po’
grandicelle per fare dolcetto o scherzetto?”
“Non si è mai troppo grandi
per i dolcetti, Sebastian Lennox. E poi lo facciamo per Naomi, per
farla uscire
e svagare un po’”
“E allora io cosa c’entro
scusa?”
“Beh, mi sembrava brutto
non invitarti” rise lei.
Sebastian si avvicinò al
letto cercando di sembrare minaccioso, cosa che non gli riusciva
perfettamente perché
non riusciva a trasformare quel sorriso sardonico in qualcosa di
più tenebroso.
“Ah, e così si trattava di
un invito di convenienza…speravi che dicessi di no,
ammettilo” la provocò arrivandole
sempre più vicino.
“No”
“Ammettilo”
“No” rise lei mentre la
bocca di Sebastian era arrivata ormai a pochissimi centimetri dalla sua.
La ragazza si aspettava di
essere baciata ma ciò non avvenne. Sebastian le disse, con
una voce strascicata
e suadente: “Ti salvi solo perché devo passare da
casa a cambiarmi prima di
andarmi a lavoro.”
Freya passò il suo giorno
libero in giro per la città, sia nella zona babbana che in
quella magica, alla
ricerca di un qualche costume per lei e per May, che era al lavoro.
Maysilee uscì dall’ospedale
magico alle sette di sera, quando ormai fuori era quasi buio pesto. Le
giornate
erano diventate sempre più brevi, ormai se iniziava il turno
la mattina presto
fino a sera, usciva e rientrava in casa col buio.
Era stata una giornata
piuttosto pesante a lavoro. Quando c’era una qualsiasi festa
la gente sembrava
rincitrullirsi di botto e quell’ignorante del nuovo Capo
Reparto sembrava
rendeva le cose ancora più difficili.
Provò uno straordinario
sollievo quando, tornata nell’appartamento, vide che Freya
aveva preso la cena
pronta per entrambe.
“Ho trovato i costumi”
annunciò Freya.
L’amica sollevò gli occhi
azzurri con espressione interrogativa, come per invitarla a continuare.
“Aspetta qui” le intimò
l’altra
prima di correre in camera.
May aspettò continuando a
mangiare la sua cena, qualche minuto più tardi vide Freya
spuntare in salotto
con una veste da strega più annesso cappello e la sua
bacchetta.
“Tadà” fece allargando le
braccia.
All’amica sfuggì una risatina.
“Streghe che si travestono da streghe?”
“Che c’è? Andremo in un
quartiere babbano, non ci scoprirà nessuno anche se
volessimo far uscire
qualche scintilla dalla bacchetta”
Un’ora più tardi le ragazze
si trovavano davanti casa dei genitori di May. Andò loro ad
aprire Nathan, il
padre di May.
“Ciao papà…”
“Ragazze…cosa ci fate
vestite così?”
“Siamo venute a prendere
Naomi per andare a fare dolcetto o scherzetto” rispose la
figlia come se fosse
la cosa più ovvia del mondo.
“Tua sorella non verrà
fuori.”
Gli occhi di May si
spalancarono per la sorpresa. Notando ciò l’uomo
si sbrigò a dare delle
spiegazioni.
“E’ pericoloso per delle
ragazze come voi andare in giro di notte. E Naomi è incinta,
è meglio che stia
in casa, riposata e al sicuro.”
May si oppose fermamente a
quel padre che, per quanto volesse loro bene, aveva sempre fatto fatica
ad
accettare che le figlie fossero delle streghe e che fossero mature
abbastanza
da prendere le loro decisioni. Non riuscì ad ottenere una
risposta dall’uomo
però quando lei e Freya si allontanarono gettò
uno sguardo alla finestra della
camera di Naomi dove c’era la stessa ragazza che le faceva
cenno con la mano di
aspettare.
Poco dopo May la vide
sparire e ricomparire da un vicolo dove evidentemente si era
smaterializzata.
Sorrise pensando a quanto era cambiata la sua dolce e carina sorellina.
“Grazie per avermi
aspettata” disse una volta raggiunte le due bionde.
“Non potevo non farlo…è il
primo anno che porto mio nipote a fare dolcetto o scherzetto e
preparati, perché
lo farò tutti gli anni” sorrise lei, trionfante.
Edward e Johanna chiusero
la porta di casa del ragazzo dopo aver consegnato una manciata di
caramelle a
due adorabili bambini che si erano travestiti da Auror in miniatura.
La ragazza aveva deciso di
chiudere il locale quella sera, affermando che c’erano
già abbastanza matti
nelle serate normali, figurarsi ad Halloween, e si era unita al
fidanzato nel
distribuire dolcetti ai bambini del vicinato.
La caduta di Voldemort
voleva dire anche quello, che dopo anni in cui erano rimasti chiusi in
casa,
ora piccoli maghi e streghe potevano andare in giro e godersi la festa.
“Credo che ormai siano
finiti, comincia ad essere tardi…” disse Edward.
“Già…la bambina vestita da
basilisco comunque era la migliore”
“Sì, decisamente” concordò
lui “Andiamo a letto?”
Johanna annuì e dopo aver
chiuso casa i due andarono al piano di sopra e si infilarono
accoccolati sotto
le coperte.
Era bello, per Edward,
avere Jo lì con lui. La casa sembrava molto silenziosa e
vuota da quando Elaine
se ne era andata quindi il fatto che la ragazza ogni tanto rimasse a
dormire lì
diventava ancora più piacevole.
Anche per Johanna era bello
essere lì, tranquilla e avvolta in quelle braccia grandi,
specialmente in giorni
come quello, in cui non aveva il pensiero di dover aprire il Crazy Head
il
giorno dopo.
Si era quasi assopita con
la testa appoggiata al petto di lui quando lo sentì dire
“Jo, io ti amo”
“Anch’io” rispose
automaticamente ma con una punta di sospetto nella voce.
“Sono contento che ti fermi
qui stanotte….e che ti sia fermata qui
martedì…e so che è
presto…ma non mi
basta più…ti andrebbe di fermarti qui per
sempre?”
Buon pomeriggio!
Siamo infine giunti
all’ultimo
capitolo di questo viaggio che è stato, almeno per me,
meraviglioso.
L’epilogo, con
annesso salto nel futuro (perchè a me piace
così), è già scritto e
lo pubblicherò domani mattina con annessi ringraziamenti e
saluti lacrimevoli.
Baci
H.