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Autore: Mephi    26/09/2016    4 recensioni
«Oh, andiamo...» disse alzando gli occhi, decidendo di essere troppo stanco per parlare con quell'orso. Perchè sì, ci parlava. Non sapeva cosa fosse, esattamente, era certo fosse un illusione della sua mente che si divertiva a torturarlo, dando a quell'orso la voce... della sua coscienza? Era complicato. Sapeva solo che odiava quell'orsetto.
«È reciproco.» era disturbante. L'immagine di quel pupazzo che doveva essere innocente, bhe, di innocente aveva ben poco. Due sclere nere sostituivano il bianco che di solito si trovava lì, e al posto degli occhioni gialli, due puntini bianchi lo fissavano, e seguivano i suoi movimenti. La sua conscienza se la sarebbe aspettata meno inquietante. Avrebbe preferito un simpatico Girllo Parlante come quello di Pinocchio che... Quel peluche inquietante.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeremy Fitzgerald, Mike Schmidt, Purple Guy/Vincent, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Rimediare (Esiste un gatto con il nome di una Volpe)

 

 

 

 “Caro Diario, benvenuto in famiglia! Io sono Fritz, il tuo proprietario, e no, non sei un diario dei segreti ma un diario di... Uh. Bordo? Anche se non siamo su una nave. In realtà siamo a casa, è sera, e Jeremy stà guardando un film mangiando dei pop corn. Io sono sul divano con lui ma preferisco scriverti che prestare attenzione al noiosissimo film di Jeremy - sì, lo ha scelto lui, è un fanatico della fantascienza lo sapevi? Su di me hanno un effetto soporifero quei film lì quindi lo ignoro volentieri - ad ogni modo, dopo la visita a Freddy abbiamo passato una bella giornata a passeggiare per la città. Ovviamente ho costretto io Jeremy. Diario, non sai quanto quel ragazzo è paranoico! È andato tutto bene. Nessuno l'ha visto, o-”


«Io non sono paranoico.» 

“Oh Dio, Diario! Jeremy legge nel pensiero. Ha appena detto quello che ho scritto senza leggerlo!”

«Forse perchè dici ad alta voce quello che scrivi?» gli chiese divertito Jeremy, guardando l'amico ranicchiato contro il bracciolo del divano, con il diario appoggiano sulle gambe e la penna ancora attaccata al foglio.

«No che non l'ho fatto.» rispose il rosso guardando stranito Jeremy, che si limitò a un sospiro, conoscendo ormai a memoria i modi strani del coinquilino e tornando a prestare attenzione al suo film. Tuttavia, continuava a sentire su di sè gli occhi grigi dell'amico, e lo metteva a disagio, ma provò a non dargli peso.

«Jer.» lo richiamò allora Fritz, chiudendo il diario - rosa con le fragoline disegnate sopra - riponendolo piano sul divano, tra lui e Fitzgerald, subito seguita dalla penna. Il ragazzo continuò a guardare la televisione degnendo dell'amico di un "mh" che stava a significare "sì, ti ascolto, più o meno, dimmi pure". Peccato Fritz volesse completamente la sua attenzione e rubò in fretta il telecomando dal tavolino di vetro davanti a loro, spegnendo quell'aggeggio infernale. Uno sbuffo seccato provenne da Jeremy.

«È così importante?» e guardò l'amico, finalmente, nel chiederlo. E dalla sua espressione seria capì che, si, era importante. Perchè Fritz Smith non era mai serio, a volte ci provava ma finiva sempre nel ridere. E quando succedeva era qualcosa di grave, così decise di voltarsi completamente verso di lui, gambe incociate, schiena contro il braccio del divano.

«Pensavo agli animatronics.» disse, secco, dopo un'attimo di silenzio tra loro. Jeremy ricordò all'istante il suo cedimento quando Freddy quella mattina gli aveva raccontato di cosa era successo a quei robot, sinceramente ancora non capiva cosa la gente ci trovasse in loro, erano un mucchio di ferraglia che parlava, giusto? Come ci si può affezionare a qualcosa che non vive davvero? Il Jeremy sedicenne non avrebbe avuto paura di prendersi gioco di Fritz, un tempo, ma ora era diverso. Ora, anche se non capiva quell'affetto, non lo criticava, si limitava al silenzio rispettoso. Aveva imparato tardi che a volte tacere era la cosa più intelligente da fare. Quindi si limitò a annuire, per incitare l'amico a proseguire.

«E penso dovremmo fare qualcosa. Insomma la colpa è...» Fritz si fermò, si morse la lingua e guardò Jeremy, sentendosi in colpa. Stava per dire nostra ma entrambi sapevano che lo Smith non c'entrava niente, e il colpa tua avrebbe ferito Jeremy, che lo guardò per un'attimo a occhi sgranati, sorpreso. 

«Jer, non volevo dire-»

«Oh, non permetterti di trattarmi come una ragazzina sensibile!» disse il castano alzandosi dal divano come se bruciasse, arretrando. Poi allargò teatralmente le braccia.

«Avanti! Che aspetti? Dillo! Sono 6 anni che te lo tieni dentro.» eppure a volte quel sedicenne non aveva timore a mostrarsi. Fritz scosse la testa in segno di diniego.

«Non volevo offenderti, è che io ero uno di quei fan accaniti del Feazbear. E sì, Jer, è colpa tua, ma non morivo dalla voglia di dirtelo. Sai perchè? Perchè penso tu possa ancora rimediare.» dopo quelle parole Jeremy parve calmarsi, tornare in sè. Si morse una guancia odiandosi per l'immaturità appena dimostrata, che a volte prendeva il sopravvento. 

«Scusami.»

«Di nulla, sono qui a posta per farti ragionare! Ad ogni modo questa è l'idea: ci infiltriamo nel Feazbear una notte, e andiamo a vedere se ci sono ancora gli animatronics antichi! Poi li mettiamo a posto e ce ne andiamo, nessuno saprà mai che siamo stat-»

«Non se ne parla!» esclamò Fitzgerald guardando il compagno come se fosse appena impazzito. Fritz mise su un broncio offeso.

«E perchè no? Tu, in uno dei tuoi tanti lavori part-time non hai fatto anche il meccanico?»

«Non è quello il problema! Infiltrarci di notte in quel posto... C'è mio padre a farci la guardia, ci sono i Toy attivi e... Perchè ci tieni così tanto?» chiese, poggiando le mani sui fianchi, realmente confuso. Insomma, la faccenda con i vecchi animatronics era chiusa da tempo, a nessuno importava più, erano stati sostituiti. Frits sorrise, con sguardo colpevole.

«Ero amico di Bonnie.»

«Il coniglio viola?»

«Il coniglio viola.» confermò il rosso, ricevendo in risposta uno sguardo basito. Aveva detto amico? Non si può essere amici di un robot! Fritz anticipò le domande che Jer avrebbe certamente voluto porgli e si limitò a spiegare.

«Io... Adoro i miei genitori, eh. Sono sempre stati buoni, comprensivi, affettuosi. Però sempre molto impegnati, almeno nei miei primi anni di età. In breve... Al tempo, non so se esiste ancora, c'era un progetto tipo "baby sitter" al Feazbear, lasciavi lì tuo figlio insieme ai bambini e agli animatronics e ci si divertiva, si faceva amicizia e io... Divenni molto amico di Bonnie. Miglior amico.» aggiunse con orgoglio, ricordando le giornate passate con quell'animatronics. Gli aveva anche insegnato a strimpellare qualcosa alla chitarra. E ora era rottamato. I suoi occhi grigi si riempirono di lacrime, ma il sorriso persisteva sul suo volto, creando un contrasto strano, distogliendo lo sguardo.

«Hai ragione, scusa. Non dovevo proporti una cosa del genere. È stupido. ... Vado a dormire. 'Notte.» e in silenzio e frettolosamente si alzò e si rintanò nella loro camera, chiudendosi la porta alle spalle. Jeremy rimase per un lungo attimo a fissare quella porta. Poi scosse la testa, avvicinandosi al divano e lasciandosi cadere sopra. Ne aveva fatti di danni. Poteva davvero ancora rimediare a tutto quanto? Con suo padre, Kentin, Fritz, Mike... Forse. Ma non da solo. Fu quasi automaticamente che si mise a frugare nelle proprie tasche alla ricerca del telefono, quando lo trovò compose in fretta il numero di Freddy. Squillò per secondi, senza risposta. Cadde la linea. Ci riprovò. Ancora nessuna risposta. 

 

«Rispondi, avanti...!» sussurrò tra sè provando un'ultima volta.

«Oh mio Dio, dormi Jer.»

«Freddy ti devo parlare.»

«Evidentemente tu non sai che ore sono. Domani ho lezione, 'notte.» Jeremy stava per parlare ancora ma la chiamata venne chiusa dal moro. Fitzgerald si ritrovò a prendere un grosso respiro e a richiamare la sua calma, tentando una quarta volta. 

«Ti do dieci minuti quindi spiegati in fretta.»

«Voglio rimediare.»

«Questo l'avevo un filo intuito dal tuo ritorno, Jer.»

«Non vuoi aiutarmi? Hai detto che ancora ti senti in colpa.» per un'attimo ci fu un profondo silenzio, tanto che Jeremy pensò che l'amico avesse riattaccato nuovamente, quando...

«Qualche idea?»

«... Potremmo andare al Feazbear. Di notte, magari. E-»

«Un'idea che non sia stupida. Secondo te la guardia notturna la mettono lì per fare arredamento?»

«Lo so anch'io che è molto rischioso, ma abbiamo altre idee? Non mi pare.»

«Non potresti semplicemente andare a casa di tuo padre domani, e chiedere scusa a lui e tuo fratello?» chiese Freddy, aspettando una risposta. Jeremy era uno di quelle persone che si complicava la vita da solo, ignorando volutamente il modo più semplice! Insomma, non era tornato apposta per quello? Che gli importava delle sorti di una stupida pizzeria? Jeremy riflettè brevemente, immaginandosi la scena. Un brividò gli salì lungo la spina dorsale al solo pensiero di fare una cosa simile. Ancora una volta Freddy intuì la sua reazione, come se l'avesse vista con i suoi occhi, e riprese con tono molto meno canzonatorio.

«Vuoi nasconderti per sempre da loro? Sei anni non ti sono bastati?»

«Senti... Lo farò, è chiaro. Ma voglio andare per gradi. E poi stò già facendo questo rischio di incontrare mio padre, no?» e Freddy ringraziò il fatto che Jeremy non avesse la sua stessa capacità di capire le reazioni e i sentimenti altrui - quel cuore di pietra! - perchè ghignò come non faceva da... Bhe, sei anni almeno.

«Allora agiamo domani sera?»

«Domani?»

«Dio, Jer, vuoi fare le cose con calma? Liberati del tuo amico rosso e vieni a casa mia, verso mezzanotte entriamo in azione.» era un tipo troppo combattivo a volte, Freddy. Non gli diede tempo nemmeno di rispondere che chiuse il telefono in faccia all'amico, per non dargli tempo di avere ripensamenti. Poi il giovane universitario posò il telefono sul comodino e si rintanò meglio sotto le coperte, certo che ora anche Jeremy avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.

Rimediare. Uh, suonava proprio bene come parola.

 

 

 

 

Un nuovo giorno cominciava, e la città cominciava a svegliarsi lentamente, Fritz trovava una colazione preparata da Jeremy - qualcuno ascoltava le sue preghiere lassù - mentre il castano gli chiedeva scusa per la sera prima. Freddy dormiva ancora profondamente sotto le sue coperte, ringraziando il fatto che la sua lezione di psicologia per la quale aveva studiato non avrebbe avuto inizio prima di mezzogiorno. Gli Animatronics, al Fazbear salutavano la guardia notturna che faceva a cambio con il Phone Guy, scambiandosi qualche battuta. Erano sempre divertenti, quei due. E mentre tutto questo accadeva un bambino, nella sua camera, osservava dal suo letto un gatto che sedeva sul cornicione della sua finestra pulendosi elegantemente la zampa. Non osava muoversi, conosceva bene ormai quell'improvvisato compagno di stanza, e sapeva che appena faceva un movimento attirava gli occhi di lui, che si metteva subito sull'attenti. Da giorni, Kentin provava a farci amicizia ma l'unica volta che non era scappato da lui appena l'aveva visto alzarsi l'aveva graffiato, sparendo poco dopo. Gli aveva dato anche un nome: Jeremy. Trovava gli somigliasse.

si scostò le coperte, doveva prepararsi per la scuola, e subito il gatto dal pelo marrone chiaro, un po' mal ridotto per la vita di strada, seppur regale nel suo portamento, fissò i suoi occhi su di lui, come a sfidarlo a fare un'altro passo. Kentin sorrise e decise di non importunarlo per questa volta, andando verso il bagno e assentantodosi dalla stanza. Nel mentre il gatto rimase ancora un po' ad aspettare e notando la via libera scese dal cornicione, atterrando con eleganza sul pavimento e zampettando verso il letto di Kentin, salendoci sopra e cercando un buchetto tra le coperte. Cominciò a annusare le coperte, il cuscino, quando il bambino tornò subito rizzò il pelo, saltando sul posto, ingobbendosi e tirando fuori gli artigli.

«Ho capito, ho capito, non ti do fastidio.» disse Kentin quando si accorse che il gatto che ogni mattina trovava sul cornicione per la prima volta si era intrufolato in casa. Ormai aveva 13 anni, non era più un bambino terrorizzato da tutto come un tempo. Sorrise al gatto e il suo sguardo scivolò sul pupazzo di Fredbear sul comodino. Il gatto intanto si sistemava tra le coperte, abbassando la guardia. Il piccolo scosse la testa e si avvicinò al suo armadio, aprendolo. Non doveva pensare troppo a Jeremy - suo fratello, non certo il gatto - suo padre glielo diceva sempre. Non aveva ancora ben capito se suo padre fosse arrabbiato, deluso o preoccupato per Jeremy. Forse tutti e tre insieme. E lui? Lui cosa ne pensava di Jeremy? Se lo chiese mentre si liberava del suo pigiama e indossava dei jeans con una felpa verde. Già, suo fratello. Mancava da 6 lunghi anni, non sapeva dove era andato, sapeva solo che aveva provato a ucciderlo e poi l'aveva salvato. E poi aveva chiesto scusa. Ad essere onesti non provava niente nei suoi confronti: non rabbia o odio ma nemmeno voglia di rivederlo, o amore fraterno. Era indifferente e si sentiva un tantino in colpa per quello. Però era riuscito a crearsi un'equilibrio. Andava a scuola, aveva dei buoni amici, suo padre stava bene e a prendere il posto di Jeremy quando Vincent non c'era...

Qualcuno bussò alla porta.

«Ehy, Kentin, sei pronto?» chiese una voce, poco dopo la maniglia si abbassò e la porta si aprì mostrando un ragazzo dai corti capelli castano scuro e gli occhi blu, alto, con uno zaino sulle spalle, e il solito sorriso cortese sulle labbra.

Mike Schmidt era diventato proprio un bel ragazzo, con i lineamenti meno da ragazzino e più da uomo, d'altronde aveva 22 anni, ora. 

«Solo le scarpe, Mike!» e il piccolo gli si avvicinò e Mike credette volesse abbracciarlo ma...

«Batti il pugno!» ora i giovani si salutavano così. Battè il pugno al ragazzino che si lanciò verso le scale, alla ricerca delle scarpe, urlando un frettoloso "buongiorno comunque!" che fece ridacchiare il castano, ancora sulla soglia della porta. Studiò distrattamente la camera - ovviamente disordinata - del ragazzino. Quella camera l'aveva spaventato per molto tempo, diceva che aveva anche degli incubi inerenti ad essa e invece a guardarlo ora, così sereno, tranquillo... Era come liberarsi di un peso. I vestiti ammucchiati su una sedia, ancora da piegare, qualche videogioco sul pavimento, libri aperti e non sulla scrivania da poco aggiunta alla camera, il letto ancora sfatto su cui... Un gatto? Ma era il famoso gatto-Jeremy quello che, prepotentemente, si era nascosto tra le coperte? Sorrise.

«Fai il bravo.» il gatto mosse appena le orecchie, segno che l'aveva sentito. Poi il suo sguardo scivolò piano sul comodino accanto al letto dove giaceva il pupazzo di Feazbear, con accanto il biglietto che Jeremy aveva lasciato a Kentin, appoggiato alla zampa dorata. Il fratello minore ci teneva particolarmente, tanto che anche se si vergognava a tenere dei pupazzi in camera su quello non aveva voluto sentire ragioni: doveva restare lì. Il sorriso sparì. 

«Ehy Mike, sono pronto, dai che altrimenti faccio tardi!» e lo Schmidt si riscosse prima che i suoi pensieri volassero su un certo soggetto. Scosse la testa e scese di sotto.

«Eccomi qui.» e insieme uscirono di casa, dirigendosi verso scuola. 

Era così confortevole la normalità...

Il Gatto con il nome da Volpe, intanto, si faceva le unghie su un peluche dorato.

 

   
 
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