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Autore: EuphemiaMorrigan    26/09/2016    2 recensioni
Affermati studiosi, uomini di scienza, dicono che l'energia dell'amore sia la stessa che smuove l'odio. Tale è l'intensità.
E così, da un sentimento nobile, profondo, germoglia il seme dell'ossessione, il pericolo, poiché tutto ciò che credevi fosse priorità assoluta, viene messo in secondo piano, in un attimo, da quel che io ho plasmato, regalato a voi... Illudendovi con la migliore delle mie bugie, quando riferii, alla prima creatura terrena, che l'amore sarebbe stato un'onda di salvezza, ma, in verità, vi confesso, è solo uno tsunami di rimpianti.
[Terza storia della saga Pandemonium, diretto seguito degli accadimenti avvenuti in Chimere. IzunaxOc. MadaSaku. SasuNaru, ed accenni ObiRin e ShiIta]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Itachi, Izuna Uchiha, Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno | Coppie: Naruto/Sasuke, Obito/Rin
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pandæmonium.'
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Eros.
Capitolo uno: Demetra.

Disclaimer: I personaggi citati sono di esclusiva proprietà di Masashi Kishimoto.
Con il seguente testo l'autrice non intende offendere alcun credo religioso.

Angolo autrice: BuonSalve.
Finalmente dopo Einherjar e Chimere il tanto agognato (Da nessuno) Sequel, dove succederanno robe e la trama, finalmente, andrà avanti nella direzione giusta *Cuorizino.
Come sempre ringrazio la disegnatrice sottopagata e rinchiusa in cantina, Kyuukai, che ogni volta mi fa aspettare i mesi per partorire la copertina, ma a cui voglio bene lo stesso e fa sempre un lavorone per renderla al meglio ^^
E ringrazio voi che leggerete e lascerete, se volete, un parere.
Oh... I personaggi originali li tratto poco, soprattutto non protagonisti in questa maniera, ma quando ho scritto Chimere non mi piaceva nessuno del manga per il suo ruolo, per cui... Originale sia.
Nel glossario ci sono termini nuovi, e sta alla fine come sempre.
Buona continuazione <3

Fin da quando riesco a ricordare,
Abbandonati a me.
tutto quello che ho dentro voleva solo adattarsi.
Parlami.
Non sono mai stato bravo a fingere.
Danziamo a labbra unite
Qualsiasi cosa abbia provato ad essere,
tra fuoco e pace.
Semplicemente non si adattava a dov'ero.

Fiamma, logorava le mie carni.
Veleno, intossicava la mia anima.
Acqua, disperdeva le mie lacrime.
Antidoto, mi riportava alla vita.
Mentre io continuavo ad essere nulla e nessuno.
Anche meno di ciò ch'ero stato.
E malgrado lei si vestisse di morte, io l'avrei sempre voluta.
Perché marceremo nuovamente oltre le lingue di fuoco di questo Inferno, a riconquistar le nostre mai dimenticate terre perdute.
Allora tutto smetterà di far male e distruggerci.
Sin quando non accadrà, però, avrei continuato a baciar quelle labbra screpolate.
Trascinandola giù. Sempre più giù.
Fin quando non avrebbe udito altro che l'eco dei nostri respiri annegare assieme.
Nella fitta oscurità.
Sii mia maledizione. Sii mia cura. Sii mia.

Cadde improvvisamente.
Lasciandosi andare contro il terreno ghiaioso senza tentare di opporre alcuna resistenza, privo di forze ed arreso all'ineluttabile destino.
La mano destra si mosse in uno spasmo involontario, andando ad artigliarsi con eccessiva veemenza sui candidi sassolini ed affondò le unghie in questi, scavando tra la sabbia in cerca di un appiglio, mentre il corpo possente si contorceva colpito da fitte lancinanti.
Aumentavano d'intensità ogni secondo, sempre di più.
Bruciandolo, torturandolo, lacerando la sua pelle e strappandogli ancora una volta il fiato dai polmoni.
Da tempo immemore non provava quelle terribili sensazioni, ingenuamente aveva creduto che il martirio fosse finito, lo avesse abbandonato. Invece così non era stato.
Le palpebre abbassate tremarono e lui cercò nuovamente di sollevarle con sforzo, per osservare con occhi velati dalla sofferenza il cielo avana di quel luogo isolato; quella stessa nebbia che tanta pace gli aveva donato in quei quattro anni, alla fine lo aveva tradito.
Punito per quel dolce peccato di cui s'era volentieri macchiato.
Per questo non era spaventato dal pallido volto della vicina morte.
L'aspettava fiducioso.
Perché solo a se stesso poteva dare la colpa, a lui e al suo masochismo...
Malgrado, davvero, non se ne fosse reso conto.
Non aveva compreso di essersi perdutamente innamorato di quella Delicia, almeno fin quando non le era svenuta tra le braccia, distrutta dalla gravidanza, da quella creatura che stava assorbendo ogni soffio di vita dal corpo debilitato per divenire più forte e crescere.
Tremò di rabbia e rancore alla vista di quel viso, dapprima colorito d'un bellissimo rosa perlato, divenire cereo di malattia. Le labbra rosse ed invitanti spaccarsi e stringersi per non liberare acute urla di dolore, ed abbondanti lacrime rigarle le guance scavate, sfuggire alle lunghe ciglia scure e riempirle le iridi cremisi, che al solo guardarle lo irretivano nel loro incantesimo da cui mai avrebbe voluto fuggire.
Fu la prima volta che avvertì, dentro di sé, i cristalli azzurri risvegliarsi e spingere dall'interno per mostrarsi ancora sulla sua pelle, bramando nuova linfa e la completa conquista di quel corpo già in precedenza martoriato.
Per poterne ricoprire ogni parte. Dentro e fuori.
La certezza di quella nuova perdita lo rese folle, così tanto che per un attimo la mente gli sussurrò maligna di strappare a mani nude quel mostro dal ventre rigonfio della femmina, di salvarla da quell'ingiusta condanna e renderla sua... Per proteggerla da ogni male.
E lo avrebbe fatto realmente se non fosse stato troppo tardi.
Se non avesse avuto la sicurezza che, compiendo quel gesto malsano, l'avrebbe uccisa ottenendo soltanto di insozzarsi le mani con il sangue del motivo della sua insanità.
Per questo aveva preso la decisione di allontanarsi da lei, scacciandola con furia, ferendola con la sua freddezza come mai s'era sognato di fare, provando invano ad odiarla, quando in verità il sentimento deleterio che sentiva s'intensificò ancor di più durante quella breve separazione.
Allora s'era inginocchiato sul suolo arido, urlando contro il cielo, chiedendo una pietà che nessuno gli avrebbe mai concesso.
Perché ancora? Perché di nuovo lui?
L'ennesimo lutto era giunto, l'ennesimo pianto.
Quello che finalmente lo avrebbe ucciso.
Poiché se a fatica un demone poteva sopportare la perdita della sua Domina, mai sarebbe riuscito a resistere ad una seconda disgrazia. Nemmeno volendo.
E non voleva vivere in un mondo privato della bellezza e del sorriso di lei.
Così forte e fiera ch'era riuscita a riportare alla luce lui, che ciecamente aveva creduto di meritare unicamente il buio della disperazione. Ma senza lei nulla aveva più senso.
Sarebbero morti assieme, ed assieme sarebbero restati per sempre.
Questo lo consolava.
Per un attimo s'immaginò i pensieri degli altri demoni al ritrovare il suo corpo cristallizzato ed irriconoscibile, l'idiota che pur sapendo le conseguenze s'era legato irrimediabilmente ad una femmina incinta. Non fosse stato lui il soggetto si sarebbe perfino lasciato andare ad una rumorosa risata.
Cosa avrebbero detto i suoi fratelli e le sorelle? Probabilmente anche loro lo avrebbero additato come uno stolto, un pazzo, un malato.
Forse, però, Madara sarebbe riuscito a capirlo, dopo averlo maledetto e rimpianto.
Decisamente troppo simili...
Sorrise di questo, ma d'un tratto tossì eccessivamente forte, colpendo il terreno con la nuca e voltando a fatica il viso per sputare un grumo di sangue; avvertì i polmoni strizzarsi con il disperato tentativo di immettere aria pulita e il cuore martellare celere, infrangendo il silenzio di quel luogo.
Se solo fosse stato abbastanza forte da rialzarsi l'avrebbe raggiunta un'ultima volta, una sola; per baciarla e sentire quell'esile corpicino contro il proprio, spegnendosi infine tra le sue braccia come desiderava.
Ma ormai non c'era più tempo.
Si diede dello stupido per non averle confessato prima il suo amore, facendola soffrire inutilmente per una colpa che non aveva, mentre abbassava le palpebre divenute troppo pesanti e pregava di poter rivedere il suo viso prima della fine.
Pensava davvero di aver smesso di provare alcun tipo di sofferenza, fin quando il rumore di rapidi passi non lo ridestò dal suo flusso di coscienza e le parole confuse ed indecifrabili di una voce sgradevole non lo irritarono.
Lasciatemi in pace, voglio solo dormire e dimenticare ogni cosa...
“Presto, Kabuto! Aiutami a trasportarlo nella sua stanza” Parlò trafelato Orochimaru, sollevando con non poco sforzo il corpo imponente dell'Impeto, se lo avvicinò e lo sostenne al meglio che poté mentre il suo assistente gli avvolgeva la schiena dall'altro lato, attento a non sfiorare i cristalli affilati.
“Come può essere accaduto?” Chiese sconvolto dalla scena a cui aveva appena assistito; non credeva che un demone potesse mai compiere la follia di prendere come compagna una femmina destinata a sicura morte.
L'alchimista soffiò con sforzo, avanzando nel giardino con il corpo svenuto di Izuna ancora premuto al fianco e rispose perentorio “Troppe cose impossibili stanno capitando in questi ultimi anni”.
Quello non era il momento adatto per affrontare un discorso del genere, dato ch'erano estremamente impegnati con il delicato compito di assistere le femmine durante il parto e quel contrattempo non faceva altro che distrarli inutilmente. Avrebbe tanto voluto prendere a schiaffi quell'Impeto che, ancora incosciente, tremava contro di lui e veniva attraversato da potenti spasmi.
Era proprio della stessa pasta dei suoi fratelli, disgraziatamente.
Almeno, però, Fugaku aveva avuto la decenza di non mostrarsi e sopportare in silenzio quel suo primo ed unico lutto, in più non era stato così stolto da legarsi nuovamente ad un'altra demonessa. Invece Madara aveva scatenato un polverone senza precedenti per riuscire a salvare la sua Domina; lui... Lui nonostante fosse conscio delle conseguenze s'era lasciato coinvolgere, nemmeno fosse stato un giovane demone senza esperienza.
Dopo qualche minuto di cammino e maledizioni a mezza bocca riuscirono finalmente ad arrivare nella stanza del Primo, e lo adagiarono con riguardo sopra il grande letto, tra le rosse lenzuola di seta. Ringraziando la buona sorte per non aver fatto loro incontrare nessuna delle Delicae durante quel tragitto di strada, non era il caso di impensierirle ancora di più.
“Occupatiti di lui” Orochimaru istruì velocemente il collega su come comportarsi per curare le ferite di Izuna ed in seguito lasciò quel luogo, troppo impensierito da altri problemi per poter rimanere là.
Con un sospiro sedette sul marmo grigio della grande fontana al centro del giardino spoglio, puntellò il gomito sul ginocchio e posò il pugno chiuso sotto al mento, osservando le alte vetrate di quella residenza poco lontana e riuscendo a distinguere solo la sua figura astratta e pensierosa riflessa su queste.
C'erano così tante domande a cui non trovava risposta.
Quello che era accaduto quell'infausto giorno poteva considerarsi una nuova mutazione nell'organismo femminile? Che alla fine avessero davvero smesso di poter avere figli? Condannando quindi tutti all'estinzione...
No. Non era così.
Un caso isolato. Solo un caso isolato e null'altro.
Poteva affrontarlo, arginare eventuali complicazioni e non far capitare più una disgrazia del genere.
Si sentiva inutile. Inadeguato come medico, non era ancora riuscito a risolvere il terribile problema delle morti e già se ne presentava un altro, ben peggiore del precedente.
Se solo avesse avuto maggiori dati da confrontare tra loro...
Un'anomalia come quella successa, forse, avrebbe potuto aiutarlo, ma come?
“Magister Orochimaru! -Kabuto lo ridestò dai suoi pensieri, avvicinandosi a lui e riferendo- Il Primo sembra essersi stabilizzato, ho arrestato l'emorragia interna, ma credo sia meglio rimanere qui ancora per un poco, più che altro per le Delicae” Concluse sfiancato, anche lui preoccupato per l'eventualità che la situazione potesse precipitare e complicarsi maggiormente.
L'altro si rialzò puntando gli occhi di quell'anomalo colore giallo e dalla pupilla nera allungata, simile a quella di un rettile, verso il suo assistente e concordò “Vai ad avvisare Sasuke e Naruto che noi non torneremo in città finché tutte le femmine non avranno portato a termine il loro compito, e ringraziali per averci accompagnato fin qui”.
“Vado immediatamente! Dirò loro di avvisare anche i nostri allievi e famigliari” Dichiarò rapido, incamminandosi poi all'esterno della residenza per raggiungere le due guardie reali.
L'alchimista annuì piano a se stesso.
Convinto che ce l'avrebbero fatta, non importava quanti ostacoli o contrattempi si sarebbero posti dinanzi alla strada per raggiungere la verità; prima o poi la sua scienza avrebbe trionfato e quelle ignobili perdite smesso per sempre di straziare l'intera popolazione.
Quello era il suo unico compito.

Kabuto contrasse la mascella per la fatica, tentando di spostare di qualche centimetro l'enorme cancello in ferro e raggiungere i due demoni che, come etichetta imponeva, erano rimasti all'esterno della residenza; appostati chissà dove tra la fine sabbia e le dune dello sconfinato deserto vulcanico.
Assottigliò le palpebre per riuscire a scorgerli oltre la fitta nebbia e sobbalzò di sorpresa quando questi apparvero dinanzi a lui, muovendosi quasi come un sol corpo. Ed in seguito si riprese, per ringraziare con un cenno del capo il silenzioso Impeto dai capelli corvini che, con estrema facilità, lo aveva aiutato ad aprire la cancellata.
“Qualche problema?” Domandò Naruto con un cipiglio sul viso, mancavano ancora tre ore al loro concordato ritorno in città.
“Delle complicazioni. Per questo motivo io e Orochimaru abbiamo deciso di rimanere per i restanti mesi mancanti alla nascita di ogni nuovo figlio” Riferì professionale.
I due si scoccarono una rapida occhiata, in seguito Sasuke si rivolse nuovamente al curatore “D'accordo. Fra tre settimane, quando il vulcano verrà interamente coperto dalle ombre, torneremo qui a controllare che tutto proceda per il meglio. Per qualsiasi problema attendete il nostro ritorno, incamminarsi nel deserto da soli è troppo rischioso”.
“Come stanno le Delicae?” S'informò invece Naruto, consapevole che la Madre avrebbe voluto delle delucidazioni sull'accaduto.
Kabuto dapprima annuì, sorridendo internamente a quegli ordini chiari e concisi; aveva proprio la stoffa del capo. Successivamente rispose alla domanda dell'altro Patricio con tono amareggiato “Abbiamo avuto un parto prematuro e il neonato non ce l'ha fatta. Le altre per ora sembrano star bene, ma è ancora presto per esserne certi”.
“E la femmina?” Intervenne l'arciere, ma alla faccia scura del medico comprese, ancor prima che potesse parlare, la sua risposta.
“Difficilmente supererà la notte”.
Naruto trattenne uno sbuffo angosciato, chinò impercettibilmente il capo in segno di saluto e disse “Riferiremo alla Dea, buona fortuna per tutto”.
L'altro sollevò una mano in segno di saluto quando li vide nuovamente scomparire tra la nebbia, spostò una ciocca di capelli grigi che gli coprivano la visuale e rimase per qualche minuto ad osservare la sconfinata distesa che si stagliava dinanzi a lui.
Avevano davvero bisogno di fortuna quella volta.

Molte ore dopo Izuna riuscì a risvegliarsi da quel profondo sonno agitato, sentiva il corpo pesante ed il sudore incollarsi alla sua pelle assieme alle lenzuola di seta; si passò una mano sul viso, cercando di riprendersi dal dolore acuto che provava alle tempie, troppo confuso non ricordava per quale motivo fosse lì e cos'era accaduto per sconvolgerlo a quel modo.
Strizzò con forza le palpebre, tentando di mettere a fuoco il bianco soffitto, ed un mezzo sospiro uscì dalle labbra sottili, pochi secondi dopo le catturò tra i denti, ferendosi, quando la coscienza si liberò del tutto dalle catene della stanchezza e ricordò ogni cosa.
Rimembrò quel tormento...
Scattò in piedi, scostando le coltri asfissiati e ringhiò in preda alla follia, distruggendo con un potente pugno il muro che dava sull'ampio corridoio, causando un rumore assordante che gli ferì i timpani. Strinse tra le dita le ciocche corvine, mentre le spalle incurvate vennero percorse da nuovi tremiti ed il desiderio di uccidersi divenne insostenibile, infuriando in lui.
Con quale coraggio non aveva ancora smesso di respirare?
“Domina...” Soffiò quella parola tra i ruggiti, maledicendosi rabbioso e scardinando quasi la porta della stanza per uscire, malgrado le gambe lo sostenessero a malapena.
Percorse il corridoio deserto, agognando di trovare un posto isolato per attendere fiducioso la morte a causa dell'anatema che portava sul corpo e, se non fosse accaduto, si sarebbe strappato le vene con i canini affilati fino a quando anche la più piccola goccia di sangue non avrebbe finalmente insozzato il terreno.
L'aura oscura che lo avvolgeva spaventò le malaugurate femmine che incrociavano il cammino di quella bestia sofferente; quelle poche che avevano osato preoccuparsi per lui ed avvicinarsi venivano scacciate in malo modo, come mai prima di allora, e rivolte parole così indelicate da sorprenderle.
Mai aveva mostrato il suo lato peggiore a quelle poverine, ma non poteva trattenersi.
Non dopo che secoli prima aveva accettato quella terribile esistenza già una volta, credendo fosse l'ultima, mentre invece il fato gli rideva alle spalle impedendogli di lasciarsi morire come avrebbe voluto.
Assieme a lei.
Si portò una mano alla gola riarsa, e l'insano pensiero di affondare le unghie nella carotide gli attraversò la mente, quando l'udire di un pianto disperato, proveniente da una vicina stanza, lo riportò alla realtà.
Si paralizzò al bisbiglio sommesso di Orochimaru “Mi dispiace molto”.
“Non è vero! Non può essere vero!” Continuava a ripetere istericamente la femmina, disperata, singhiozzando senza sosta con il cuore in pezzi.
L'Impeto sgranò le iridi scure quando riconobbe, in quella voce straziata, la sua Demetra. E le ginocchia cedettero improvvisamente, alla consapevolezza che fosse ancora viva e pochi passi lo separavano da lei.
Si sorresse allo stipite di quella stessa porta e, prima che l'alchimista potesse parlare ancora, s'addentrò a fatica al suo interno. Solo allora ritrovò il respiro.
Una nuova ondata di sofferenza lo colpì, diversa dalla precedente, notando come lei si fosse raggomitolata su se stessa, premendo le mani sul viso mentre le spalle venivano percorse da violenti singulti.
Si avvicinò lentamente, incredulo, come se si ritrovasse dinanzi ad un fantasma.
“Sei viva...” Mormorò, dimenticandosi perfino della presenza dell'altro demone. Puntellò una gamba sul materasso e allungò le braccia per stringerla, per provare a se stesso che quella figura non era solamente un malsano scherzo della sua mente in rovina.
La femmina s'irrigidì al suono di quella voce e a quel corpo premuto contro di sé, urlando preda del panico, cercando di liberarsi mentre la colpa la stava consumando senza pietà “No! L'ho ucciso, non toccarmi. L'ho ucciso!”.
Il suo bellissimo bambino. Il bambino del suo Primo.
Quando aveva cullato tra le braccia il corpicino ancora caldo, ma privo di vita, di quella creaturina innocente il cuore le s'era contratto con brutalità, arrecandole un supplizio inimmaginabile alla scoperta di non esser stata in grado di proteggerlo, di metterlo al mondo, e mantenere la promessa fatta ad Izuna.
Quella di dargli un figlio forte e coraggioso come lui, rendendolo felice.
Lo aveva deluso, così come aveva fatto con se stessa; era conscia di meritare nient'altro che il suo disprezzo, ma non voleva vedere quegli occhi guardarla con odio e giudicarla.
Una Delicia indegna d'esser chiamata tale, una femmina inutile.
Lei, che tanto li amava e mille volte sarebbe morta per loro, non era infine riuscita in quell'impresa a cui si preparava da più di un secolo.
Era perfetto suo figlio, tra le lacrime salate aveva contato le piccole dita contratte in eterno, carezzato i capelli neri e le corna bianche come quelle del padre, baciato il suo nasino e le palpebre chiuse mentre inzuppava il visino pallido con il suo pianto disperato.
Perché non era vivo? Perché lei invece lo era?
Quale male aveva compiuto per meritare quella terribile ed eterna condanna?
S'agitò ancora, rinchiusa in quella presa ferrea, soffiando e affondando i canini nella sensibile carne del collo del maschio “Lasciami, non merito nulla!”.
Izuna non rispose e non la liberò, poco gli importava che lei lo stesse graffiando e ferendo, distruggendo la sua pelle e aggrappandosi a lui fino a far male. Se fosse stato necessario glielo avrebbe permesso per sempre, promettendosi di divenire il suo tutto, l'essenziale che l'avrebbe riportata alla vita, concedendo a lei ogni parte rimasta dello spirito e del corpo senza chiedere nulla in cambio. Solo poter sentire il suo profumo per il resto dell'eternità.
Orochimaru li osservò per qualche secondo con un cipiglio sul viso, socchiudendo gli occhi alle parole discriminanti che Demetra rivolgeva a se stessa; con lentezza si alzò dalla sedia ed in completo silenzio abbandonò quella stanza, decidendo di lasciarli soli.
Ci sarebbe stato tempo, in futuro, per parlare con il maschio.

Il demone rimase abbracciato a lei per ore, forse giorni, tenere il conto del tempo trascorso non gli appariva fondamentale.
Immobile, come una statua di vetro, le permetteva di incrinare la superficie e ferirlo in ogni modo potesse servirle per sfogare tutta la sofferenza che dimorava al suo interno; avvertiva l'esile corpicino della femmina tremare senza sosta.
Si dava del mostro alla consapevolezza che, di quella creatura ormai seppellita chissà dove dai due medici, poco gli importava; il solo fatto che lei fosse miracolosamente sopravvissuta gli invadeva ogni pensiero. Poter bearsi nuovamente di quel calore, di quella voce, di quel profumo dolciastro che solo Demetra possedeva.
“Perdonami” Gli uscì dalle labbra ad una nuova ondata di dolore che proveniva da lei.
Quella piccola e sussurrata parola infranse il silenzio calato tra loro, interrotto unicamente dal pianto della Delicia, il respiro le si fermò e affondò i polpastrelli contro il torace di Izuna, cercando un appiglio per non sprofondare ancora di più.
“Per cosa? Io... Io dovrei...” Non riuscì a concludere la frase, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo umido di sangue e lacrime, mordendolo di nuovo per impedirsi di gridare disperata.
Il maschio strizzò le palpebre a quell'ennesima fitta acuta, ma non si ritrasse, bensì tornò a massaggiarle le spalle minute e mormorò con dispiacere quella verità “Perché non riesco a provare lo stesso tuo patimento”.
E lei lo morse ancora, furiosa, prendendolo a pugni sul petto con tutta la poca forza che possedeva, scalciando ed urlando ogni insulto che la sua mente le suggeriva, ma non lo lasciò andare. Rimase aggrappata a lui, l'unico scoglio che le impediva di andare alla deriva.
Dopo minuti che parvero anni, sfiancata, smise di dimenarsi e lui la vide sprofondare in un sonno costellato da incubi fin troppo reali.
Allentò un pochino la presa dalla sua schiena, sollevandola con cura e incamminandosi lentamente verso una nuova stanza, dove la puzza stagnante del sangue non avrebbe invaso le sue narici, adagiandola poco dopo tra lenzuola pulite ed osservando il viso sofferente con tristezza. Con un umido fazzoletto di stoffa pulì le labbra ed il mento sporchi di liquido rosso e poi se lo legò al collo per bloccare l'emorragia dovuta alla profonda ferita.
Si disse che mai più avrebbe lasciato sola quella splendida creatura mentre si stendeva accanto a lei, facendo attenzione a non svegliarla e coprendola dolcemente fino alle spalle. Le circondò un fianco con un braccio e posò il viso sul morbido petto, beandosi del potente suono di quel cuore brutalmente ferito, ma che ancora stava combattendo.
“Perché sei così buono con me?” Domandò Demetra con voce piccola e tremante, ridestandosi da quel breve sonno agitato e fissando il viso del maschio.
Lui deglutì rumorosamente sotto la potenza di quegli occhi che, nonostante tutto, ancora riuscivano a destabilizzarlo; quella forza, celata dalla sofferenza e dal pianto, non l'avrebbe mai abbandonata. Era lo sguardo di un soldato, come il suo.
Insinuò le dita tra i ricci neri come carbone e lasciò sulla pelle di seta della guance arrossate una carezza carica d'affetto.
Come rispondere? Mai quella guerriera avrebbe accettato una bugia.
Solo la verità meritava da lui.
E allora con malinconia dichiarò “Perché ti amo”.
Il volto della demonessa si contrasse, colpita dall'ennesima pugnalata al petto “No... Non lo merito. No” Balbettò incoerente, troppo debole per scacciarlo, riconoscendo che in realtà mai più avrebbe voluto allontanarsi da lui. La sola cosa che le rimaneva.
Nauseata quasi dal briciolo di felicità che avvertiva dentro di sé, lei che felice non poteva più essere dopo quella perdita ingiusta.
“In verità meriti molto di più di un maschio già morto una volta” Confessò Izuna, socchiudendo le palpebre alla consapevolezza d'esser lui quello indegno di averla accanto; le riaprì quando le dita, percorse da tremiti, di lei sfiorarono le sue labbra con riguardo, tracciandone il contorno.
“Io sono morta oggi” Soffiò sottile, chiudendo tra il palmo la guancia diafana e lasciando che nuove lacrime rigassero il suo viso.
L'Impeto nascose la piccola mano con la propria, tenendola premuta contro la pelle che, a quel contatto, fremeva d'un sentimento antico e dimenticato con i secoli. Si sollevò dolcemente dal corpo fragile, poggiando la fronte sulla sua e mostrandosi, per la prima volta, privo d'ogni difesa agli occhi cremisi “Allora... Sii mia, Banshee”.
Demetra sentì la gola bruciarle a causa del pianto incessante e lo spirito lacerarsi ancora, sempre di più, con una violenza che credeva di non poter sopportare oltre; osservò la figura offuscata del demone e, con la mano libera, strinse nel pugno uno degli immensi cristalli che deturpavano le sue carni senza pietà, quasi volesse sradicarlo da lui.
Lo schiaffeggiò in viso con rabbia, affondando successivamente le unghie nere a squarciargli una spalla, infine s'arrese a quell'amore che la uccideva e, allo stesso tempo, l'avrebbe trascinata fuori dall'oscurità.
“Sono sempre stata tua”.

Glossario, link in(utili) e bla bla bla vario:
Le inutili chiacchiere sono tornare, fuggiteH!
Comunque... Mmh... Come ho già detto su, una compagna per Izuna (Per questo Izuna) nel manga non esiste. E, nonostante io non sia fan dei personaggi originali nelle fanfiction su opere già esistenti, i pochi di questa storia sono... Giusti.
Demetra è una maestrina rompicoglioni, chi ha letto Chimere lo sa (E chi non l'ha letta e vuole seguire questa storia deve leggerla, perché è un seguito diretto), che s'è ritrovata distrutta da un dolore che non pensava potesse mai colpirla.
La lingua dei demoni è un misto di Irlandese/Celtico e Latino/Italiano.
I termini sono stati scelti semplicemente a seconda di cosa s'avvicinava di più al concetto che si voleva esprimere.
Domino/Domina: Marito/Padrone. Moglie/Padrona
Elati: Divinità.
Patrici: Nobili.
Impeti: Guerrieri/Soldati.
Delicae: Delizie/Vergini.
Augur: Veggenti.
Livor: Ribelli.
Minor/Maior Deartháir: Fratello minore/Fratello maggiore. Senza minor/maior, ovviamente, significa solo fratello.
Athair: Padre.
Minor/Maior Deirfiúr: Sorella minore/Sorella maggiore. *Idem come sopra*
Máthair: Madre/Mamma.
Milis: Dolce/Delicata. Suffisso onorifico usato soprattutto nei confronti delle Domine di alti ufficiali dell'esercito.
Magister: Maestro/Maestra.
Dúr: Idiota/Stupido.
Limbo: Dimensione ultraterrena dove vengono rinchiusi i Livor.
Generale: Il più alto rango all'interno della società, e dell'esercito, dopo la Dea e gli altri Elati
Tenenti: Idem come sopra, secondi al Generale.
Musa: Femmina d'ispirazione per il proprio Domino.
Banshee: https://it.wikipedia.org/wiki/Banshee
È una creatura leggendaria Irlandese, che può apparire sia come una donna che canta, sia come piangente ed avvolta da un velo; ha occhi perennemente arrossati dal pianto.
Lei non si mostra mai agli esseri umani, solo a chi è prossimo alla morte.
Il termine Banshee significa ''donna delle fate''.
Essendo demoni ci si riferisce al loro sesso con i termini femmina e maschio, perché uomo e donna sono, appunto, troppo da esseri umani.
Eros: https://it.wikipedia.org/wiki/Al_di_l%C3%A0_del_principio_di_piacere
https://it.wikipedia.org/wiki/Eros
Sì, è il Dio Greco dell'amore, ma non è stato scelto solo per questo motivo.
Eros, in psicoanalisi, simbolizza la 'Pulsione di vita', cioè qualcosa che tende alla crescita; un istinto che regola le azioni dell'uomo.
Il concetto di dualità tra Eros e Thanatos è che l'anima di ognuno di noi è retta dall'equilibrio che queste due forze raggiungono, se una delle due prendesse il sopravvento questo equilibrio si frantumerebbe.
Spero di essermi spiegata decentemente ^^
Eh, sì, adesso sapete anche come si intitolerà il prossimo sequel LOL
Demetra: https://it.wikipedia.org/wiki/Demetra
È la Dea dell'agricoltura e della fertilità della terra, artefice del ciclo delle Stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio.
Ecco perché l'ho chiamata così la Demetra della storia.
Le frasi iniziali in corsivo provengono dalla canzone Monster degli Imagine Dragons (Che userò praticamente per quasi tutti i capitoli): https://www.youtube.com/watch?v=hhSA9H9Iaqw
Alla prossima <3 

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