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Autore: Leonhard    28/09/2016    3 recensioni
"Wilde, hai una zampa rotta". "Dimmi qualcosa che non so, Savage". La volpe era in ginocchio nella polvere, con le zampe rivolte verso il cielo; impressa negli occhi ancora la sagoma di Alopex e l'espressione sul muso di Judy. Terrore. "Per esempio da che parte stai: quanto ti paga Bellwether per ammazzarci tutti?".
il tanto atteso (spero) seguito di THE WILDE CASE
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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7. Disinfettante


Il tonfo della stampella contro il pavimento coprì grossolanamente il commento di Nick, decisamente poco incline ad un cartone Disney, e Judy drizzò le orecchie senza trovare la lucidità mentale di rimproverare il collega. Le forze l’abbandonarono per qualche istante per poi tornare come un’ondata incandescente che le arruffò leggermente il pelo.

“Jack!” esclamò alla radio. “Bellwether è scappata!”.

-Cosa?- commentò la voce della lepre dall’altra parte, distorta dai circuiti della trasmittente. La sua voce non era pacata e quella nota stridula di ansia fece digrignare i denti alla volpe.

“Le telecamere, Jack! Trovala!” esclamò la coniglietta. Attimo di silenzio, poi Jack parlò nuovamente.

-Ok, tutti calmi- disse, tornando freddo. –Il laboratorio è attivo e sorvegliato dalle guardie: non può entrare senza attirare l’attenzione e lei ha il divieto di accedervi. Dovunque sia, la troverò. Comunque, complimenti Wilde: la tua sorveglianza è stata qualcosa di ineccepibile-.

“Disse quello seduto davanti alle telecamere” commentò lui raccogliendo la stampella. “Dimmi un po’ tu dove si trova visto che dovevi essere gli occhi del laboratorio”.

-Era una tua responsabilità, Wilde- osservò la lepre dalla radio.

“E allora perché hai preso posto la dentro?” chiese lui, ghignando alla telecamera nell’angolo in alto. “Dì la verità, stavi spiando nei bagni eh?”.

-Non ci sono le telecamere nei bagni- replicò lui asciutto.

“Bene, allora direi che possiamo andarli a controllare per primi” osservò lui, zoppicando fuori dalla stanza e chiudendo la conversazione. Judy spense la radio e lo inseguì.

“Nick senti…” cominciò. “Riguardo a prima…”.

“Non mi sembra il momento, Carotina” interruppe lui. “Avvisa Alopex e cercala anche tu: separati copriremo più luoghi in meno tempo. E poi, siete più veloci di me in questo momento”.

Aveva ragione: la coniglietta si ripeté questo pensiero nella testa mentre lo guardava arrancare verso i bagni e gli spogliatoi con la velocità massima consentitagli dalla zampa ferita. Deglutì; prendere la direzione opposta a quella che gli aveva visto imboccare fu stranamente difficile, ma scosse la testa ed afferrò il pomello della porta della mensa.

(Più tardi) pensò. (Quando avremo acciuffato Bellwether e questa storia sarà finita: non c’è nulla che non possa risolvere, nulla di cui non possa parlarmi). Proprio lei parlava…


Quella città, Zootropolis…era una città di ingrati e di cuccioli da compagnia. Diavolo, che fine avevano fatto le socievoli zebre, i furtivi e timorosi scoiattoli, i lenti e pigri ippopotami? Erano tutti in giacca e cravatta o con un grembiule da fruttivendolo o con un ridicolo cappello di giornale piegato a berretto che impilavano mattoni su mattoni.

Dei tempi della scuola si ricordava un libro della biblioteca civica di Zootropolis: parlava della natura e degli animali primitivi, quelli in cui il richiamo della natura dettava legge e le sole cose che garantivano la sopravvivenza erano la caccia al cibo e l’istinto. Niente classi sociali, niente capi e schiavi, impiegati e operai, ricchi e poveri: solo prede e predatori ed il più veloce, il più forte sopravviveva.

Wilde le aveva detto che lei non era in cima alla catena alimentare: aveva ragione, certamente, ma a lei non interessava. Tutto quanto quello che voleva era dar vita al suo sogno meglio nascosto nel suo piccolo cassetto.

Il ruggito del leone: diamine se voleva sentirlo.

Non il ruggito che il sindaco Lionheart le rivolgeva quando inciampava e dava il giro alla pila eccessivamente alta di documenti che portava tra le piccole zampe oppure quello di quando gli aveva rovesciato il caffè sui pantaloni di flanella blu mentre lui ancora stringeva tra le zampe lo scontrino. No, quello che voleva era il re degli animali, non il sindaco di Zootropolis. Rivolse un sorrisetto affabile ai due lupi di guardia al laboratorio e mostrò il badge attaccato al collare accanto alla campanella. Uno dei due si abbassò sul secchio ed annusò.

“Detersivo nuovo?” ringhiò, squadrandola con occhi piccoli.

“Era nel magazzino” replicò lei pescando il flacone da sotto il carrello. “Non ho trovato l’altro: c’è scritto che ha un forte potere disinfettante, quindi…”.

“Va bene, va bene” sbottò il lupo spostandosi accanto alla pecora. “Ma fai in fretta: questo odore mi sta facendo venire la nausea…”. Dawn venne scortata all’interno del laboratorio e lanciò un’occhiata alla telecamera in alto, che si volse lenta verso di lei.

Ingoiò a fatica un ghigno compromettente e cominciò a lavare a terra con l’espressione più serena e pacifica del suo repertorio. Si mise perfino a fischiettare un motivetto che aveva sentito qualche tempo fa, uno spezzone di una canzone dei Liga-Bue. Massì, che Savage guardasse: avrebbe visto solo una pecorella che lavava il pavimento, com’era suo dovere, e per quando l’avrebbero raggiunta il suo

scaccomatto

piano sarebbe andato in porto in modo talmente fluido da farle dubitare dell’effettivo successo. Continuò a passare lo straccio sul pavimento, mentre il lupo alle sue spalle sbuffava e starnutiva dal naso infastidito dall’odore pungente del disinfettante.

“Ma che stai usando?” sbottò improvvisamente. Si volse verso di lui.

“Hai visto il flacone no?” osservò. “È un disinfettante molto potente”.

“Lo sento…” tossì lui. La telecamera non le toglieva l’obiettivo di dosso: indovinò Savage che comunicava agli altri tre paladini la sua posizione. Prese uno strofinaccio e passò le superfici, fino ad arrivare al serbatoio con il vaccino. Sentiva ancora il lupo dietro di sé e decise che quella era la sua occasione.

Si volse di scatto e premette lo straccio imbevuto del disinfettante contro il suo muso. L’animale si ritrasse, ma ormai il suo naso era pregno dell’odore pungente e gli occhi gli cominciarono all’istante a lacrimare. Pochi istanti e l’allarme scattò: le luci si spensero, mentre una sirena rossa diffuse l’allarme per tutto lo stabilimento. Si sporse sul serbatoio e strizzò il canovaccio al suo interno.

Appena un bicchiere di detersivo si mischiò con l’azzurro del vaccino e la superficie del liquido venne increspata dalle piccole onde che si riversarono lente contro le pareti del serbatoio. Immediatamente dopo, le porte si spalancarono e lei si volse.

Jack Savage le stava puntando contro una pistola, mentre L’agente Hopps la immobilizzava a terra con un salto da manuale. La caduta rovesciò il secchio e sparse l’odoroso contenuto per tutto il laboratorio, saturando l’aria. Alopex barcollò, ma ebbe la prontezza di coprirsi il muso con un fazzoletto prima di affacciarsi sul serbatoio.

“Alopex?” borbottò Jack, palesemente provato dall’odore nel laboratorio.

“Difficile dirlo” replicò lei. “Non sembra modificato, ma non posso esserne sicura”.

“Che hai fatto qui dentro?” ringhiò la lepre. In quella, Nick zoppicò all’interno della stanza, bloccandosi immediatamente e portandosi la mano libera al naso.

“Chi ha le ascelle acide qui dentro?” sbottò.

“Io? Non ho fatto nulla” replicò la pecora, apparentemente indifferente alla puzza. “Quel lupo mi stava importunando e così l’ho schiaffeggiato con lo strofinaccio”.

“Lo porto fuori” disse immediatamente Nick, chinandosi verso l’animale. “Forza amico: non sai quanto ti capisco…”.

“A titolo preventivo, dobbiamo impedire il lancio del vaccino nell’aria” decise Jack, ammanettando nuovamente Bellwether. “Te ne torni in galera e ci rimani finché non diventerai buona nemmeno per i maglioni”.

“Jack, non possiamo bloccarlo” disse Alopex, voltandosi. “La diffusione è automatizzata e sono stati esclusi gli interventi esterni”.

“Pirata il sistema” replicò lui immediatamente, come se fosse la cosa più ovvia. La volpe si morse il labbro inferiore.

“La fai facile tu…” borbottò. “Posso tentare, ma ho troppo poco tempo”.

“Allora non perderne altro!” sbraitò la lepre, dardeggiando fuoco con lo sguardo. Alopex si diresse verso l’uscita ma si bloccò: rimase immobile per qualche secondo, poi afferrò una provetta di vaccino dal bancone e scomparve oltre le soglia. Judy poté chiaramente sentirla tirare un sospiro poco fuori dalla stanza.

“Dannati disinfettanti…” borbottò, prima che i suoi passi affrettati svanissero nel corridoio. Tra i presenti nel laboratorio cadde il silenzio: nell’aria continuarono a squillare le sirene dell’allarme, mentre lo scalpiccio degli scienziati diretti alle uscite di sicurezza rimbalzava debolmente nell’eco dei corridoi ormai deserti.

“Che facciamo Jack?” mormorò infine Judy. La lepre sussultò, come se fosse inconsapevole della sua presenza. Le lanciò un’occhiata allarmata e scosse la testa.

“Incrociamo le dita” disse semplicemente. “E preghiamo che Alopex riesca a violare il sistema in tempo per fermare il conto alla rovescia”. La coniglietta si volse verso il macchinario contro il muro. Sullo schermo del computer ruotava una piccola icona, che si assottigliava attorno ad un numero lampeggiante che calava in modo inesorabile. Senza una particolare ragione, chiamò Nick.

“Sono qui, Carotina” rispose la volpe. “Tutto bene, il lupo sta dicendo qualcosa a proposito di Fast&Furrius: non so bene cosa possa c’entrare, ma…”.

“Vieni qui…” chiamò: una richiesta che assomigliava sospettosamente ad una supplica.

“Te lo scordi” fu la risposta. “Al mio naso ci tengo”. Seguirono attimi di nervoso silenzio, in cui tutti attendevano che la radio entrasse in funzione e trasmettesse la voce di Alopex che diceva che era andato tutto bene, che era riuscita a violare il sistema e che il vaccino non sarebbe stato vaporizzato nell’aria. La sirena continuava a compiere il suo lavoro ed avvertiva del pericolo un laboratorio ormai vuoto; il suono riecheggiava per i corridoi, s’insinuava nelle stanze e saturava l’aria delle camere di coltura. Il conto alla rovescia non accennava a sparire, avvicinandosi sempre più allo zero.

Quindici secondi.

“Deve esserci qualcosa che possiamo fare…” borbottò la coniglietta. Si volse verso Jack in cerca di una conferma, ma trovò solo la pistola puntata su di lei e, dietro, l’espressione glaciale della lepre che la paralizzava sul posto.

“Noi non faremo nulla, Judy” disse piano. “È tutto nelle mani di Alopex”.

Dieci secondi.

“Cosa…” mormorò lei.

“Non hai fiducia in lei?” chiese ancora. “Hai fiducia in Wilde e non in Alopex?”. Nominò Nick lentamente, con una nota più grave: sapeva di dover scegliere accuratamente le parole ed era più che sicuro che lei avrebbe colto il messaggio velato. Per non lasciar spazio a dubbi, spostò lentamente l’arma verso la porta d’ingresso, da cui faceva capolino la punta della stampella di Nick. Mosse le labbra.

Prendi iniziative e Wilde morirà.

Cinque secondi.


-Niente da fare Jack- frusciò la voce di Alopex dalla trasmittente dei due. –Troppo poco tempo- Dove Judy trovò la forza di voltarsi verso lo schermo non le seppe mai nemmeno lei. Sotto il suono incessante della sirena i motori del cannoni muggirono, caricando il vaccino, o qualunque cosa fosse, nei cannoni.

Zero.
   
 
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