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Autore: voiceOFsoul    30/09/2016    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita. Facile dirlo se il tuo lavoro è fare il filosofo e non devi combattere contro il ritorno in ufficio del Lunedì mattina! Che poi, lo giuro, io sono sempre stata una di quelle che il Lunedì cercava di difenderlo, di dargli fiducia, di concedergli l’opportunità per smentire tutte le cattive dicerie sul suo conto. Niente da fare. Per quanto possa amare il mio lavoro, la persone con cui lo faccio e il luogo in cui lo svolgo, il Lunedì mattina rimane uno dei mali incurabili del mondo.
Entro in ufficio e trovo tutte le stanze deserte. Solo la stanza di Virginia sembra essere abitata. Lascio la giacca sulla mia scrivania nel Lambda e, prima che lei possa uscire a rimproverarmi per l’assenza di Venerdì pomeriggio, mi dirigo spedita verso la Stanza dello Spirito e del Tempo. Mi preparo un caffè e sprofondo in uno dei puff blu. La combo di tepore e morbidezza rischia di farmi riaddormentare, nonostante non abbia fatto altro che dormire per tutta la Domenica. Fortunatamente arrivano poco dopo alcuni dei miei colleghi, tutti rigorosamente in silenzio, tranne Max che non riesce a moderare il suo entusiasmo nemmeno il Lunedì mattina.
«Ehi, buongiorno ragazzi.» dico sollevandomi in piedi.
«Ciao fringuella!» Max saluta con un sorriso a panoramica dentaria piena.
«Fri-cosa?»
«Lascialo perdere.» interviene Mark «ho provato a convincerlo che di mattina le anfetamine non fanno parte di una colazione equilibrata, ma non mi da retta.»
«Siete solo invidiosi. Voi vedete in questo giorno solo l’oscuro tramonto del vostro fine settimana di libertà, mentre io lo vedo come l’alba di una radiosa settimana piena di possibilità.» Max gesticola come un senatore al Foro.
«Sei decisamente più irritante del solito. Ti ho sopportato per l’intero tragitto in auto discutere delle tue idee malate, per me è arrivato il momento di ignorarti.» Mark afferra il suo caffè ed esce dalla stanza.
«Mi trovi irritante anche tu?» Max si volta verso di me.
«Vuoi la versione educata o quella diretta?» bevo il caffè che si è ormai freddato.
«Quante parolacce contiene quella diretta?»
Prima che possa rispondere, Rebecca e Michela entrano nella stanza parlottando tra loro di uno dei progetti che dovremmo consegnare entro la settimana ed in cui sono coinvolta anche io.
«Oh, vedi! Non sono l’unico che prende il Lunedì mattina in maniera propositiva. Queste due sono già al lavoro. Brave fringuelle! Così si fa!»
«Oddio Max! Ti prego, dimmi che non ti sei fissato di nuovo col chiamarci fringuelle.» Michela va al frigo a prendere un succo di frutta e viene vicino a me. «L’ultima volta è andato avanti per due mesi. Ti assicuro che è stato veramente snervante.».
«Quasi quanto lo è il suo entusiasmo di Lunedì mattina. Abbassa i decibel, ok?» lo riprovera bonariamente Rebecca. «E, dato che sei così propositivo, tra un’ora Michela deve iniziare a lavorare sulla landing per l’evento del prossimo mese. A che punto sei coi testi?»
«Saranno pronti quando il mio genio creativo mi darà la scintilla.»
«Puoi dire al tuo genio creativo che se tra un’ora non sono pronti, può andare a cercare un’altra lampada da cui essere strofinato fuori. Ok?»
«Ci credo che odi il Lunedì mattina a dover lavorare con questa qui.» dice, rivolto a me.
«Il tempo a tua disposizione si è magicamente ridotto a mezz’ora. Muovi il culo, genio della lampada.» gli lancia la carpetta con gli schizzi di Michela.
«Sì, capo.» Max fa il saluto militare sbattendo i tacchi e lascia la stanza scimmiottando una marcia.
«Finalmente un po’ di silenzio!» Michela inizia a ridere.
«Purtroppo non durerà molto. Mentre siamo qui tutte e tre, direi di approfittarne per fare il check della situazione sulla consegna di Giovedì.»
E così, anche per questo Lunedì si inizia a lavorare sul serio.

L’aeroporto della nostra città è considerato di grandezza medio-piccola eppure oggi era affollato come mai l’avevo visto, pieno di uomini in giacca e cravatta e donne in tailleur e tacchi che andavano a prendere il loro volo d’affari. Molti di loro sembravano avere la mia stessa età, qualcuno addirittura sembrava più giovane. Questo mi ha un po’ turbato. Sull’aereo in cui abbiamo viaggiato, eravamo probabilmente gli unici a non partire per andare a lavoro, ma per cercarlo. Anche questo non è stato quello che si definisce il massimo del conforto. Fortunatamente per la mia ansia, il volo è andato liscio come l’olio.
Non appena atterrati, ho acceso il cellulare ed è subito arrivato un messaggio su WhatsApp. Mia madre mi ha mandato la foto di Rose che sorride, tiene tra le mani un foglio scritto con la chiara calligrafia elegante di mia madre: “Sono fiera di te, papà. Ti amo. PS: Anche nonna ti ama.”.
L’ho osservata convinto che non possa esistere niente di più bello del suo sorriso, finché il corridoio dell’aereo non si è svuotato per poter scendere.
Giacomo, seduto ancora accanto a me, mi toglie il cellulare dalle mani. Guarda la foto e rivolge lo schermo di nuovo verso di me indicandola.
«Questo è il motivo per cui siamo qui.» dice con un tono impegnato che non sembra neanche appartenergli.
Annuisco. Riprendo il cellulare e scendiamo dall’aereo.
Entrati nell’immenso e caotico aeroporto romano, tutto sembra farsi più reale. Adesso si fa sul serio.

Mi piace lavorare con Michela. Tra i quattro componenti del reparto grafico è quella con cui riesco ad avere più sintonia. La trovo precisa, competente, ben organizzata, veloce e disposta a trovare un compromesso tra ciò che è ciò che è giusto fare e quello che i clienti vogliono. Vi stupireste di quante volte le due cose non coincidano, ma anzi siano l’una l’opposto dell’altra! Eppure lei riesce sempre a cavarsela, a tirare fuori un bel risultato pur accontentando richieste assurde. Essendo estremamente onesta e  gentile, è anche una bella persona il ché in un mondo spesso caratterizzato da squali non è affatto male.  Per concludere il quadro, è l’unica donna del suo reparto e un po’ di solidarietà femminile in campo lavorativo ci vuole sempre.
«Che ne pensi?» mi chiede, mostrandomi il suo bozzetto.
«Credo che sia perfetto. Adesso mancano solo i testi di Max, giusto?» guardo l’orologio, come sempre Max è in puntuale ritardo: la sua genialità ha i tempi lunghi.
«Puoi chiederglieli tu mentre io dò un paio di ritocchi? Rebecca al momento è da Virginia, ma se si accorge che per l’ennesima volta ha sforato i tempi che gli ha dato probabilmente assisteremo a un nuovo incontro di Godzilla contro King Kong.»
«Rebecca è Godzilla, vero? Altrimenti le staresti dando della scimmia. Non so se ne sarebbe davvero contenta.»
«Rebecca è King Kong. Alla fine King Kong vince.» mi fa l’occhiolino e si volta di nuovo verso il suo schermo continuando a sorridere.
Raggiungo la scrivania di Max che, con aria vittoriosa, mi consegna i testi senza lasciare che glieli chieda. Questo è l’aspetto del suo carattere che faccio un po’ fatica a digerire. Stiamo aspettando la consegna dei testi da un’ora e lui li ha pronti sulla scrivania ma è troppo vile per scollare il culo e portarceli. Evito di sottolinearlo, in fondo sono sempre l’ultima arrivata. Afferro i fogli e torno da Michela.
Arrivo alla sua scrivania contemporaneamente a Rebecca che, senza dire una parola, prende i fogli ed esamina il lavoro di Max. Li poggia accanto a Michela e gli fa segno di proseguire con l’integrazione.
«Ogni tanto spero che faccia un buco nell’acqua, solo per potergli ficcare i suoi fogli pieni di boria giù per l’esofago.» esclama poi.
Non posso fare a meno di ridacchiare.
«Dai, Reb. Sai come è fatto. Ha bisogno del suo spazio e del suo metodo, altrimenti tira fuori solo robaccia.»
Rebecca fa un respiro profondo, poi mi guarda spalancando gli occhi e gonfiando le guance come una ranocchia per qualche attimo. Lo fa quando deve scaricare lo stress.
«Caffè?» mi chiede infine.
«Direi più una camomilla.»
«Qualsiasi cosa. Andiamo.» ci avviamo verso la Stanza dello Spirito e del Tempo, mentre Michela resta alla sua scrivania intenta a portare a termine il suo task. «C’è bisogno di pace dopo aver parlato con quel brontosauro. Nel frattempo ti aggiorno sulla riunione di Venerdì. Devi scusarmi se non ti ho chiamato, ma ho avuto un week-end movimentato.»
«Nel senso buono o nel senso cattivo?»
«Nel senso che l’ho passato per metà a lavorare, per qualcosa che ti spiegherò dopo, e l’altra metà a litigare con tu-sai-chi.»
Si riferisce senza dubbio a Nico. «Avete fatto pace alla fine?»
«Purtroppo sì.» sospira di nuovo mentre prende dal frigo due lattine di tè freddo. «Pesca, giusto?» tira la lattina senza aspettare una risposta e apre subito dopo la sua, ne beve un sorso e va a sedersi su uno dei divani bianchi. «Parliamo di cose serie, che è meglio.»
Aspetta che mi sieda accanto a lei prima di iniziare di nuovo a parlare.

Mancano tre ore all’appuntamento con De Blasi e noi siamo appena arrivati nell’unico appartamento che abbiamo trovato disponibile senza dover vendere tutti i nostri reni. Grazie all’aiuto di Steve, resteremo qui qualche giorno. Siamo stati tutti scaramanticamente d’accordo nel prenderci una settimana di soggiorno a Roma nell’eventualità che De Blasi ci chiedesse di rivederci dopo il primo incontro. Abbiamo convinto Bree e Steve a raggiungerci per il fine settimana, sperando che la piccola K non decida di voler nascere in volo.
L’appartamento è spazioso, vuoto oserei dire, e avrebbe chiaramente bisogno di una restaurazione. Quattro camere, una cucina e due bagni con un totale di circa dieci pezzi di mobilio escludendo i quattro letti matrimoniali, gli elettrodomestici e i sanitari: un armadio a due ante in ogni stanza, un tavolo abbastanza grande in cucina, una tv a tubo catodico che sembra avere almeno la mia età, un divano, una libreria con qualche classico impolverato, i fuochi e un piccolo piano cottura.
«Ragazzi, credo che siamo appena entrati in un film dell’orrore.» dice Giorgio mentre trascina la sua valigia per casa.
Emma si avvicina alla cucina e passa le dita sopra i fornelli e sul piano di lavoro. «Almeno sembra pulita.» dice mostrandoci le dita senza neanche un accenno di polvere.
«Anche i serial killer possono essere germofobici, sai?»
«Non fare lo stupido.»
Emma si avventura da sola tra le stanze per scegliere quella da occupare, mentre noi da bravi gentiluomini restiamo in cucina a osservarci intorno spaesati. Speriamo che questo non sia un segno del destino su come andrà l’appuntamento di oggi.
«Trovata!» urla Emma dalla terza stanza. «E mi prendo anche il bagno con la doccia.»
Io e Giacomo prendiamo la seconda stanza del corridoio, quella attigua ad Emma, mentre Alfredo e Giorgio divideranno la stanza che si affaccia direttamente sulla cucina ed è accanto al bagno con la vasca che, poco democraticamente, ha deciso Emma di far usare a noi maschietti. La stanza in fondo viene lasciata libera per quando arriveranno Steve e Bree.
Non appena terminiamo di suddividerci nelle stanza, tolgo le scarpe e mi lancio sul letto. Il materasso è, al di fuori di ogni sospetto, molto comodo. Direi che la casa guadagna un paio di punti anche per il cuscino morbido al punto giusto e al profumo che sprigionano le lenzuola pulite. Come dico sempre io, non si deve mai giudicare un libro dalla copertina, ma va bene giudicare un letto dal profumo delle lenzuola. Sto quasi per assopirmi, quando il cellulare vibra. Mia madre.
«Ciao, mà. Come sta Rose?»
«Sta bene. Anche io sto bene se ti interessa.» fa la finta offesa.
«Fammela sentire, dai.»
Mamma mette il cellulare accanto all’orecchio di Rose, la sento invitarla a salutare e mandarmi un bacio. Poi i suoni inconfondibili della risata della mia bambina e lo schiocco dei suoi baci al vento. Il cuore mi si allarga al punto che sembra esplodermi nel petto.
«L’hai sentita?» mi chiede.
«Certo che l’ho sentita.»
«Siete arrivati? Com’è l’appartamento?»
«Sì, siamo qui. Il viaggio è stato ok, la casa un po’ squallida ma è pulita e il letto è comodo.» uno sbadiglio automatico sfugge al mio controllo.
«Credo che tu debba dormire un po’, prima dell’incontro fatidico.»
«Credo che tu abbia ragione.» sono già in dormiveglia. Non ricordo neanche di averla salutata e aver chiuso la chiamata che sono già alle porte della fase REM.

«E così arriviamo al punto principale, quello per cui ho lavorato anche nel weekend.» Rebecca improvvisamente cambia espressione, illuminandosi. «Ricordi la riunione con Giulio, in cui annunciava gli eventi a cui avremmo dovuto partecipare? Bene, stiamo iniziando! E Giulio ha delegato a me l’organizzazione!» La sto davvero vedendo applaudire con un sorriso da joker stampato in faccia? Rebecca è improvvisamente retrocessa all’età di dodici anni. «Non era mai successo, è  la prima volta che mi affida un incarico di queste enormi proporzioni come unica responsabile. Non hai idea di quanto mi faccia felice.»
Sorrido cercando di assecondarla. I tempi in cui ero felice di avere una palla al piede di quelle proporzioni per me sono belli che andati! Ma riflettendoci, la capisco. Essendo arrivata a quel tipo di incarichi in età ancor più giovane della sua, devo riconoscere che le mie reazioni erano ancor più infantili.
«Posso fare qualcosa per aiutarti?» le chiedo.
«Certo! Sei ancora una mia risorsa, anzi sei la mia risorsa principale. So quanto lavoro hai fatto con la SoftWaiting. Qualsiasi evento o colloquio organizzato da te aveva il 75% di possibilità di essere un successo e ripagarsi da solo. Ed è una percentuale enorme! Perciò tu sei il mio asso nella manica.»
Mi imbarazza sentir parlare di me in questo modo.
«Sono sicura che tu la supererai.» dico, per distogliere l’argomento da me.
«Adesso arriva la parte più divertente che è anche quella in cui spero non mi darai un calcio nelle chiappe.»
«Perché dovrei?»
«Perché Giulio vuole che organizziamo l’evento di apertura direttamente sul luogo.»
«Cioè? Non capisco ancora qual è la parte in cui dovrei prenderti a calci.»
«Quella parte è quando ti dico che dobbiamo partire domani.»
«Domani?» dico sconvolta. Mai avuto un preavviso così stretto.
«Per questo spero che mi perdonerai di non averti chiamato. Potevi organizzarti meglio sapendolo tre giorni fa. Abbiamo il volo domattina alle 7:40 del mattino. Dobbiamo trovarci all’aeroporto alle 5:30.»
«Volo per dove?»
«Roma, mi pare ovvio.»
   
 
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