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Autore: Gagiord    05/10/2016    3 recensioni
I ricordi caratterizzano l'uomo e lo rendono tale. Tuttavia, alcuni sono celati nei meandri del nostro inconscio, e ci è difficoltoso rimembrarli. Ma siamo certi che vogliamo portarli tutti a galla? Shiho Miyano, sicuramente, no.
Tratto dal primo capitolo:
"«E… e se l’esito fosse positivo?» azzarda. Teme la risposta, ma non riesce a pensare di vivere con l’ansia, con la morsa che le attanaglia anima e corpo. Lo guarda negli occhi, sperando che anche lui li fissi nei suoi e li alzi da te, soggetto di quella discussione e delle pene dei tuoi genitori.
Anche Atsushi fa scivolare il suo sguardo in quello del collega, aspettando la replica con trepidanza.
L’uomo vestito di nero incatena i suoi occhi marroni, che brillano di una luce perversa, in quelli verdi e limpidi di Elena. «La porteremo all’estero, tra qualche anno.»
"
[Gin x Sherry]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Altro Personaggio, Elena Miyano, Gin
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Guarda l’orologio appeso alla parete: sono le 19:00 in punto. Volge lo sguardo a te, che sei sul suo grembo, mentre ti fa saltellare sulle sue gambe. Ti stai divertendo: adori già tua sorella, la vedi come te, come una bambina con cui poter sempre giocare.
Tuttavia, lei è preoccupata: Atsushi e Elena le hanno detto di aspettare in quella sala fredda e buia, sicuramente pullulante di topi e scarafaggi, fino alle 18:30, l’orario in cui sarebbero tornati per giungere in un luogo che non vedeva da tempo.

Un acido particolarmente pericoloso, quello: acido perclorico, 80% di concentrazione. Altamente corrosivo, tendente ad esplodere, soprattutto se posto in mani inappropriate, ma estremamente utile per la realizzazione di quel farmaco. Il Blood Eagle; un antico metodo di tortura, nonché di morte, vichingo, che consisteva nel separare brutalmente le costole della vittima dalla spina dorsale, spezzandole in modo tale da farle sembrare un paio di ali insanguinate. Ecco, quel medicinale deve agire esattamente così: consumare le ossa, lentamente, riservando al perseguitato un orribile supplizio.

Sospira, rassegnata: le hanno promesso di andare a mangiare francese, un’arte culinaria che amano molto tutti e tre, per festeggiare il ritorno di te, della piccola Shiho, di ormai dieci mesi.

 
Quanto tempo avevi pianto nelle braccia di quegli uomini malvagi, Ai.
 
Già, quasi dieci mesi di inesorabili esami, mentre tu eri costretta ogni giorno su una poltrona – troppo grande per una neonata –, legata a decine di cavi, mentre ti studiavano. Dieci mesi lontani dal gioco, da tua madre, da tuo padre, tua sorella… Da ciò che, normalmente, si fa chiamare famiglia.
È andato tutto come temuto dai tuoi genitori: sei risultata troppo intelligente perché l’Organizzazione non ti volesse come suo segugio. Ma ancora Akemi non sa, e forse è meglio così.
Nella stanza in cui permanete, sole, perviene all’improvviso un odore sgradevole: puzza di bruciato, oltre ad una mefite a voi estranea.

Scosta delle scartoffie presenti sul suo tavolo di lavoro: se quell’acido le raggiungesse in qualche modo, non solo esse verrebbero intaccate, ma potrebbe anche causare un’esplosione per via del composto organico qual è la carta.
Elena ed Atsushi, invece, sono lì, fermi da ore davanti a quello schermo luminoso, colmo di numeri e codici pressoché indecifrabili. Qualche volta, i loro sguardi vertono sulle telecamere, oggetti che a loro paiono degli occhi attenti, sempre pronti a scrutare ogni minimo movimento. Altre volte, però, esaminano l’ambiente circostante: decine e decine di computer in una camera oscura, rischiarata solo dalla luce fastidiosa che i monitor emanano; dinanzi ad essi, volti anonimi che lavorano per un fine comune, abbandonando ogni scelta ed idea propria. Si sentono solo due rumori: un membro che sta adoperando, per l’appunto, l’acido perclorico, provando a disidratarlo con l’acido solforico, volendone ottenere l’anidride perclorica. Una procedura fin troppo rischiosa, che può provocare esplosioni al minimo contatto con una sostanza organica.
L’altro, invece, è solo il ticchettio dei tasti premuti da dita veloci e strenue.


Storci il piccolo naso, avendo un olfatto troppo sensibile per un tanfo così nauseabondo. Anche tua sorella arriccia il viso in una bizzarra smorfia, e ti fa scendere dalle sue cosce.
La guardi, confusa, inclinando leggermente la testa.
Si accovaccia davanti a te, facendo un sorriso quasi forzato. «Shiho?» appella, sussurrando dolcemente. «Andiamo da mamma e papà, okay?» Prende una delle tue piccole e morbide mani, e si raddrizza, rivolgendoti uno sguardo compassionevole.

 
Da quanto non senti il suo piacevole tocco, eh, Ai?
 
Continui a fissarla dal basso verso l’alto, mentre lei muove il primo passo verso la porta, trascinandoti con sé. Hai imparato a camminare proprio un paio di settimane fa, ma i tuoi genitori non hanno potuto assistere a quello che è solito risultare uno degli splendori della prima infanzia. Chissà se riusciranno mai a sentirti proferire la tua prima parola?

Le sue dita scorrono lente sull’ampolla di vetro, i suoi occhi studiano il liquido incolore contenuto all’interno. L’altra mano, viceversa, raggiunge una boccetta, su cui è scritto chiaramente: “Sulphuric acid”. L’afferra e la solleva adagio. Tergiversa leggermente, poi, però, versa la materia trasparente nell’altra ampolla. Del fumo comincia a crearsi, mentre dei rumori simili a scoppiettii inducono alcuni membri a voltarsi nella sua direzione.

Solo un’esplosione.
Venite scaraventate contro la parete opposta all’ingresso, subendo un volo di circa dieci metri. Tua sorella riesce a stento a racchiuderti violentemente tra le sue braccia, spostandoti da terra al suo ventre. È quasi difficile credervi, poiché tutto ciò accade in poco più di un secondo. Fortunatamente, però, la deflagrazione non vi ha colpito direttamente; sembra essere solo una conseguenza di ciò che è accaduto in un’altra stanza, verosimilmente una vicina.
Ora vi ritrovate schiacciate contro il muro freddo, grigio. Tua sorella è svenuta, molto probabilmente per il trauma, dacché la ferita sul braccio provocata da una piccola scheggia di un materiale a te sconosciuto è solo superficiale.

 
Ora, però, saresti a conoscenza della pericolosità di quel minuscolo frammento, no, Ai?
 
Passano pressoché due secondi, poi il buio totale per tutti i componenti presenti in quel locale. Si sente per appena un attimo un urlo, che viene prontamente smorzato dalla detonazione. E, presumibilmente, Whiskey se lo sarebbe detto da solo: “Mi avevano avvertito”. Gli avevano persino proposto una camera totalmente sgombra, anche sterilizzata, ma no, “tutti dovevano essere a conoscenza della sua infallibile tecnica e del suo successo”. Che poi, la tecnica riguarda quest’operazione ben poco: qualsivoglia suo collega sapeva che sarebbe stata tutta questione di fortuna. E lui, ormai è certo, non l’ha avuta.
Di tutte le persone, aggeggi meccanici e chimici, adesso, rimane solo un’indistinta poltiglia bollente e parzialmente ardente.


La polvere sollevata è depositata sui vostri vestiti e i vostri corpi, sporcando quelli che sono lineamenti tersi ed innocenti di due bambine.
Tu, purtroppo ancora sveglia, scoppi a piangere. Un pianto che strazierebbe ogni cuore che lo possa ascoltare, anche il più gelido… Ma vi sono ancora orecchie capaci di farlo, Shiho? No, molto probabilmente no. Perciò resti qui, seduta sul pavimento nero e immondo, con il busto minuto pressato contro il muro che ti raffredda il corpo già fin troppo stordito.

Persiste silenzio umano, ma anonimo. Si possono sentire solo i crepitii di sostanze alterate, resti di ciò che, prima, colorava debolmente quella stanza quasi squallida. Anche l’oscurità perdura, se non fosse per le insignificanti e tristi scintille di fuoco ed elementi elettronici distrutti. Poco e nulla rimane, invece, dei tanti corpi delle persone che in quel momento sostavano e lavoravano qua; ossa, solo ossa, oltre a qualche pezzo di corpo contorto, in particolare arti. Uno spettacolo orribile, atroce, da qualunque veduta.

Solo dopo un paio di minuti di lacrime e urla ti rendi conto di essere completamente sola, in un buio parziale che affliggerebbe ogni anima.
Però, tu, Shiho, con l’ineludibile curiosità di un bambino, cominci a gattonare, a tastare qualsiasi cosa ti capiti sotto le mani. Vaghi alla cieca, mentre le tue mani e ginocchia nude vengono graffiate da cocci aguzzi di vetro o metallo roventi. Le tue guance oramai eccessivamente arrossate continuano quindi ad essere solcate da stille inesorabili e crudeli, ma dalle tue labbra rosee non esce più alcun suono.

 
No, Ai, non dovrebbe essere questo il pianto di un bambino.

La porta di acciaio è demolita, ridotta in mille pezzi. E da lì, dall’ingresso ormai libero da cui filtra un’esigua – se non nulla – quantità di luce, degli arti possono essere distinti. Arti superiori, per la precisione, di piccola dimensione.
Varchi la soglia della dipartita della lugubre stanza in cui vi avevano intrappolate, trovandoti davanti un immenso corridoio perpendicolare alla tua posizione; sembrerebbe quasi impossibile scorgere l’inizio e la fine.
Continui il tuo viaggio senza esitare sul lato da percorrere: viri subito a sinistra, senza nemmeno osservare la possibilità di una continuazione opposta dell’andito.

Si addentra, perciò, una figura minuta: una bambina, apparentemente nemmeno di un anno. Dei boccoli ramati le cadono graziosamente sulle spalle, i suoi occhi cerulei – arrossati, probabilmente da un pianto – vagano attentamente per l’intero ambiente, soffermandosi brevemente su alcune faville. Il suo corpo si ferma d’improvviso, come se una forza superiore glielo avesse appena ordinato. Cade a sedere goffamente, alza le mani e le scruta come se fossero elementi incredibilmente intriganti: sono, invece, ricoperte di sangue, ustioni, tagliate da frammenti di metallo e vetro.

In aria aleggia un odore pungente: stantio, oltre che di riarso.
I tuoi occhi non vagano, si fissano solo su un punto: un’irrisoria quantità di luce. Gattoni, dunque, verso essa – distante poco più di dieci metri –, non sapendo in realtà cosa provoca quella luminosità.
Raggiungi finalmente l’ingresso, senza uno scopo ben preciso; dopotutto, non hai nemmeno un anno, e solo quello a cui sei accostumata può infonderti sicurezza: in quei dieci mesi avevi avuto l’opportunità di vedere decisamente poche cose, ma fili, schermi e luci erano alcune di quelle. E sei così abituata a restarne quasi accecata, che l’unica fonte di ciò che attribuisci al concetto di casa è solo quella minuscola dose di luminosità che ormai si trova a solo un metro da te.

Dopo averle esaminate per circa un minuto, con sguardo attento ed eccezionalmente incuriosito, le ricolloca a terra, come se non avesse visto nulla. Può anche esser plausibile il fatto che non sia scoppiata nuovamente a piangere: non ha ancora assaporato la paura. Quando veniamo feriti, sia psicologicamente che fisicamente, non sentiamo dolore; è solo la paura di esserne consapevoli che simula e crea quel qualcosa che noi chiamiamo sofferenza. Nulla che abbia a che fare con un individuo così fragile e ignaro come lei.
Muove qualche piccolo passo carponi, guardandosi intorno: c’è poco da vedere, in realtà, poiché è tutto un insieme di polvere, detriti e pezzi elettronici parzialmente interi, oltre a componenti di organismi umani sparse. Un panorama cui nessuno dovrebbe assistere, ma che lei sta vivendo in prima persona, parte di quest’orribile quadro.


Rimani bloccata sulla soglia della porta per parecchi secondi, osservando le tue mani rovinate da bruciature; schegge di vita che cominciano troppo presto ad incastrarsi nel tuo corpo. Poi seguiti ancora una volta ad avanzare gradualmente, scrutando interessata ciò che ti circonda: il nulla, che logora e divora le viscere senza pietà, più di quanto il tutto possa fare. Tu, però, ne sei immune; incosciente del pericolo che stai attraversando, dell’orrore che stai vivendo.
Ti trascini avanti ancora un po’, lentamente, come se stessi gustando appieno quell’esperienza.

Si ferma davanti a un rottame evidentemente residuo da un computer, con accanto un raccapricciante cranio intaccato e le ossa di una mano totalmente scarna. In seguito, sorprendentemente, si siede, aiutandosi con le manine sciupate.

Oh, se solo i tuoi genitori fossero qua…
… Ai.
Non avrebbero mai permesso di lasciarti portare via, di separarsi da te. Non si perdoneranno mai per starti facendo affrontare una situazione così disastrosa da sola, per essere impotenti di fronte a tua sorella svenuta. E, se solo potessero, i loro cuori si squarcerebbero una seconda volta: una vista così tremenda non la sopporterebbero mai.

È strano a dirsi, ma quel punto è il medesimo in cui Elena sostava, accanto ad Atsushi. Chissà, però, se quei resti sono i loro? Presumibilmente, nessuno lo vorrebbe mai sapere.
Inaspettatamente, Shiho ricomincia a piangere silenziosamente e tormentosamente, e, rinserrando energicamente le palpebre, cela quei meravigliosi occhi azzurri, velati di una solitudine inconscia.


È ripreso, quel pianto che è destinato ad essere imprigionato tra quelle mura, mai conosciuto né compreso. Perdura per minuti interminabili, le lacrime che soppesano più dell’intera Terra.
Successivamente, all’improvviso, schiudi gli occhi, piano piano. Ti rimetti di nuovo carponi, quasi volessi intraprendere un altro passo, un altro cammino. Invece no: resti immobile, mentre il tuo sguardo vira sul capo corroso a pochi centimetri da te.
Le tue labbra si schiudono, come a voler avviare un nuovo, insopportabile corso di gocce salate – stavolta, tuttavia, con i tipici suoni emessi da un bambino. Invece no: mugoli qualcosa d’incomprensibile. Poi ci riprovi.
Inclini lievemente la testa. «Mam… ma?»

Due sillabe, due emissioni di fiato. Per pronunciare la parola “mamma”, le labbra piangono due volte.



Rieccomi! Be', ve l'avevo detto che non sapevo quando avrei aggiornato, ed effettivamente sono mooolto in ritardo. Pardon!
Allora, per me è meglio non commentare questo capitolo, se no scoppio a piangere... Non immaginate quanto sia stata difficile scriverlo, perché mi ha davvero angosciato. ;__;
Coomunque, vi dico paio di cose: state attenti ai titoli dei capitoli (e della storia stessa), perché è possibile che riusciate a comprendere il significato di questo "esperimento" solo da essi. E poi, per quanto riguarda la lunghezza, penso che sarà questa quella standard, frase più, frase meno. Ah, e segnalatemi qualunque errore, eh! xD

Ora, ringrazio tantissimo SiMoNe GrAnGeR per aver recensito e aver inserito la storia tra le seguite, Shinichi e Ran amore e Laix per aver lasciato delle recensioni e __Arya__ per averla aggiunta alle seguite. Grazie, grazie davvero! ;w;
Bien, ora vi lascio! Alla prossima. ;D

Baci
Shizuha
  
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