Salve
a tutti!
Inauguro così
questa piccola raccolta che conterrà le storie scritte per
il "Piramidy
Contest" , indetto da ShiIta sul Forum di EFP.
Le fanfictions saranno due o tre ( ma suppongo due, dato che sono certa
di non passare le "semifinali" ! xD ), e saranno incentrate su pairings
scelti per noi... dal fato!
Per quanto riguarda la prima one-shot, direi che è andata
molto meglio di quel che speravo. ^.^
Bene, adesso vi lascio alla lettura, e vi do appuntamento al prossimo
aggiornamento... sperando che non sia l'ultimo!
Pairing principale: Rock Lee/Gaara
Altri personaggi/pairing: Sakura Haruno, Maito Gai
Genere: introspettivo, sentimentale, drammatico
Rating: giallo
Avvertimenti: one shot, shonen ai, alternative universe ( AU )
<- questa è la fan art alla quale mi dovevo ispirare per la storia. ^.^
Come in un Film ~
Rock
Lee amava andare al cinema; sedersi sulle comode poltroncine della
grande sala, sorseggiando un'aranciata, lo rilassava. Soprattutto,
gli piaceva andarci nei giorni
in cui non
c'era nessuno; anche se si ritrovava da solo, non gli importava.
Sebbene fosse un tipo che amava stare in compagnia, a volte sentiva
il bisogno di estraniarsi da tutto il resto.
Inoltre,
in quel luogo aveva incontrato lui.
L'avevano
colpito i suoi capelli
color cremisi e gli occhi d'acquamarina, costantemente cerchiati da
un filo di matita nera, che creava uno splendido contrasto con le
sfumature delle sue iridi. Aveva la pelle bianca ed un tatuaggio
sulla fronte, e non sorrideva mai. Silenzioso, solitario.
Praticamente il suo opposto.
Una
sera gli aveva perfino chiesto cosa significasse il segno indelebile
che sfoggiava, ed era rimasto sorpreso dalla sua risposta. Egli aveva
pronunciato quella parola quasi sussurrando, come se avesse paura di
farsi sentire dagli altri inesistenti spettatori:
“ Amore...
”.
Non
conosceva neppure il suo nome, ma nonostante ciò gli
sembrava
di conoscerlo da anni. Quanti film aveva visto, assieme a lui! In
silenzio, come fantasmi, li seguivano attentamente, senza accorgersi
che ogni volta visionavano la stessa pellicola. Giorno dopo giorno la
medesima trama, maledettamente scontata. Eppure l'amavano, con
perseveranza e determinazione, così tanto che non
permettevano
a nessuno di violarla, d'intralciarli.
Uno
s'avvicinava abbandonando in
un angolo la vergogna, l'altro invece si scostava lasciandolo a bocca
asciutta, forse per paura, o chissà per quale arcano motivo.
Le braccia di Lee tentavano invano d'abbracciare quel corpo esile,
che pareva talmente fragile al punto di potersi rompere da un momento
all'altro; l'affascinante sconosciuto, pero', evitava quell'intimo
contatto, nonostante lo bramasse. Perché?
“
Avrai
un nome... dunque, come ti chiami? ” gli domandò
un giorno,
facendosi finalmente coraggio. E dire che è la prima cosa
che
si chiede ad una persona quando la si incontra per la prima volta;
è
naturale, è umano, ma lui non l'aveva fatto. Questo
perché
il ragazzo senza nome l'aveva letteralmente rapito con un solo
sguardo, lasciando ch'egli dimenticasse tutto il resto.
La
sua risposta fu il nulla.
Il nulla
che faceva parte di lui,
il nulla che fino ad allora l'aveva tristemente accompagnato. Quel
nulla che faticava pero' a riconoscere, da quando quello spigliato
interlocutore aveva fatto irruzione nella sua vita.
“
Uffa...
mi domando perché sei così scostante!
Qual'è il
tuo problema? Guardati attorno: il mondo è così
vivace... le luci, la gente, il cinema... ”
“
Il
mio mondo... è in bianco e nero. ”
L'unica
nota di colore era
rappresentata da quel ragazzo dalle folte – forse troppo
–
sopracciglia e dalla sua improbabile tutina verde. Quando l'aveva
visto per la prima volta, in effetti, si era domandato come potesse
andare in giro conciato a quel modo. Ma in fondo, chi era lui per
giudicare? Non era altro che un povero orfano evitato da tutti. Un
pazzo, come in molti lo consideravano.
“
Il
cinema, pero', ti piace... ”
“
Mi
tranquillizza. ”
Quali
problemi poteva mai avere
una creatura tanto bella? Avrebbe voluto stringerlo forte a
sé,
guardarlo intensamente negli occhi e baciare le labbra rosee.
Non
capiva perché provava
certi sentimenti, tuttavia non ne era spaventato.
Ci
provò per l'ennesima volta, collezionando nuovamente un
rifiuto; e più i giorni passavano, più quel no
diventava doloroso.
Dopo
avergli risposto
negativamente egli scomparve sempre nel nulla, nell'aria non rimase
neanche il suo inebriante profumo. Com'era possibile?
Attorno
a lui regnavano di nuovo
il buio e la solitudine, tanto che non poté far altro che
accoccolarsi su quella poltroncina e chiudere gli occhi, sperando in
un'alba migliore. Solamente vicino a quel ragazzo, Lee si sentiva
realmente bene; e ad incorniciare la sua figura v'era come un'aura
luminosa, simile a quelle che si vedono nelle immagini sacre, a
sottolineare la purezza degli dei.
Se solo
avesse potuto baciarlo,
almeno una volta... allora, sarebbe anche potuto morire.
“
Lee!
Quante volte ti ho detto che non ti devi allontanare dalla tua
camera? ” urlò una voce di donna, che ben
conosceva, “ Sei
ancora convalescente, possibile che tu non capisca neanche questo?
”
Una
ragazza dai capelli rosa gli
si avvicinò, accompagnata da un adulto, che tanto gli
somigliava. Era perfino vestito come lui.
“
Oh,
mi domando perché ti ostini a comportarti così!
Devi
riposare! ” esclamò, e il ragazzo sorrise
toccandosi la
fronte.
La
fasciatura era spessa, e
copriva la brutta ferita che si era procurato non ricordava bene
come. Anche una gamba gli faceva male, ed aveva altri piccoli lividi
e graffi sulle braccia.
Guardò
le due persone che
erano accorse da lui, ma non riuscì a riconoscerle; eppure
sostenevano di essere suoi amici. Non si ricordava di loro,
né
di quanto gli fosse accaduto in passato. Dov'erano finiti, i suoi
ricordi?
{
Forse giacevano sull'asfalto,
a contatto con la nuda terra.
E
forse, colui che l'aveva
investito si era pentito almeno un poco, del suo gesto sconsiderato.
Forse.
}
Si
ricordava unicamente di lui.
Desiderava
solo la sua compagnia,
se poteva stare al suo fianco non aveva bisogno di nient'altro;
nemmeno della sua memoria.
In quel
reparto dell'ospedale
v'erano un sacco di pazienti affetti da amnesie, permanenti o
passeggere.
Era un luogo piuttosto triste e silenzioso, fatto di
lunghi e anonimi corridoi, e stanze dalle pareti perfettamente
bianche. Di letti dannatamente scomodi, e di dottori troppo
frettolosi.
Per
questo a volte scappava,
sfuggiva alla monotonia eludendo la – scarsa –
sorveglianza,
recandosi alla sala cinematografica che si trovava proprio accanto
alla struttura ospedaliera. Poco importava se non possedeva un
portafogli; per entrare lì, non servivano soldi. E, molto
probabilmente, le bevande abbandonate dietro il bancone erano scadute
da un pezzo; il loro sapore, pero', era certamente migliore di quello
amaro delle giornate che trascorreva steso sul lettino a pensare a
niente. Era freddo, quel cinema, ma la cosa non lo infastidiva
più
di tanto; attorno a lui un leggero brusio, di anime in pena che forse
esistevano, o forse no.
Ed ogni
volta, come se si fossero
dati appuntamento, arrivava lui.
{
Forse era solo un'illusione.
Come
tutti gli altri.
O
forse no. }
Visionavano
assieme il film che
oramai ben conoscevano, in cui gli attori, divenuti schifosamente
prevedibili, tentavano d'allontanarli. Era dunque sbagliato
desiderare un rapporto umano?
Quante
volte aveva sognato
d'abbracciarlo e posare le labbra sulle sue?
Decine, centinaia.
Quante volte gli si era
avvicinato
audacemente, fino a sfiorare la sua candida pelle?
Non lo ricordava
più.
Alla fine lui scompariva
sempre....
...senza lasciare alcuna traccia.
Ma
sarebbe stato sempre così?
No, non
voleva neanche pensarlo.
Necessitava di lui. Del suo calore, dei suoi occhi, delle sue mani.
Quella
notte non riuscì a dormire, ma non domandò
all'infermiera di portargli un tranquillante; semplicemente
perché
non voleva lasciarsi
abbracciare da Morfeo.
Aveva
qualcosa di più
importante da fare.
Fortunatamente,
la porta della sua
stanza si trovava vicino all'uscita d'emergenza, e l'allarme che
avrebbe dovuto suonare all'apertura di essa era guasto da
chissà
quanto ormai. Ma loro non se n'erano accorti, tanto erano presi dal
lavoro che li sommergeva. Infatti, pensavano che Lee riuscisse a
fuggire dalle uscite principali, aiutato da qualcuno che prestava
servizio nell'ospedale. Il ragazzo si meravigliava di quanto le
persone fossero diffidenti fra di loro; fidarsi di qualcuno era
così
difficile?
Si
alzò dal letto senza far
rumore e sgattaiolò fuori dalla piccola camera all'interno
della quale stava da solo, avvicinandosi alla porta. La aprì
pian piano, ed essa cigolò appena, senza attirare
l'attenzione
di nessuno; evidentemente gli altri pazienti dormivano, e in quel
momento in corridoio non v'era anima viva a controllare la
situazione.
Uscì
più velocemente
che poteva, e una volta in strada l'aria gelida lo investì,
facendolo rabbrividire; ma non si fermò, entrò
nel
vecchio cinema ormai chiuso da tempo, certo più che mai che
lo
avrebbe trovato lì. Lo sentiva.
E
infatti, il ragazzo dai capelli
rossi era seduto compostamente nella solita poltrona, una delle poche
ancora in buono stato.
“
Adesso
vieni perfino di notte? ” gli chiese, parlando per primo.
Inusuale.
“
Sapevo
che ti avrei trovato qui. ”
“
E
come lo sapevi? ”
“
Non
lo so... avevo questa sensazione. ” confessò,
sedendosi
accanto a lui.
“
Anche
stasera, è tutto in bianco e nero. Sono felice che tu sia
venuto. ” commentò il giovane, indicando il grande
schermo,
buio ed impolverato.
“
Già.
Ed io sono contento d'averti incontrato. ” disse Lee
sorridendo, “
Dimmi, tu perché vieni sempre qui? ”
“
Potrei
domandarti la stessa cosa. ”
Il moro
rimase per qualche secondo
in silenzio, fissando il profilo angelico dell'attraente compagno di
“avventure”. Quale era la risposta giusta?
“
Perché
ci sei tu, e questo mi basta. ” asserì poi,
facendosi
coraggio. Se c'era una cosa di cui poteva vantarsi, era che diceva
sempre ciò che realmente pensava, senza troppi giri di
parole.
La sincerità e la schiettezza erano le sue doti migliori.
Oltre alla voglia di vivere, ovviamente. Quella voglia che, pero',
dal giorno in cui aveva avuto quel terribile incidente, avvertiva
solo quando si trovava vicino alla sua affascinante fuga dalla
realtà.
E
l'altro quasi rise, a quelle
parole. Era felice, in verità, ma aveva paura di esternarlo.
Aveva paura perché nessuno riusciva a comprendere i suoi
sentimenti.
{ Chi lo chiamava mostro, non poteva essere in grado di capirlo. }
Lee,
pero', sembrava essere
diverso dagli altri.
“
Senti...
adesso vuoi dirmi come ti chiami? ” insistette curioso.
“
Gaara.
Mi chiamo Gaara. ” rispose, finalmente. Quel nome fu come
musica
per le orecchie del moro, infine c'era riuscito!
Adesso
mancava solo un passo, solo
uno...
Gli si
avvicinò, e con mani
tremanti lo abbracciò, piano; quando il suo volto fu a pochi
centimetri da quello dell'altro, gli parve quasi che il cuore si
stesse fermando. Un'emozione unica s'impadronì di lui, fu
come
una tempesta. Posò le labbra sulle sue, delicatamente.
Entrambi chiusero gli occhi, e Gaara rimase immobile.
Assaporò
quella sensazione per lunghi secondi, chiedendo che il tempo si
fermasse.
Purtroppo
non andò così,
ma comunque fu meraviglioso guardarsi negli occhi dopo quel bacio
innocente, caldo, dolce.
“
Non
so perché l'ho fatto ma... lo desideravo da tanto!
” esclamò
Lee, sorridendo imbarazzato.
“
Grazie...
”
“
Adesso
non scomparirai più, vero? ”
Una
supplica. O forse un ordine.
Di qualsiasi cosa si trattasse, purtroppo, il rosso non poteva
esaudire la sua richiesta.
Sorrise
tristemente,
scompigliandoli i capelli corvini, conferendogli un'aria ancor
più
buffa.
“
E'
meglio se non ci vediamo più. ”
sussurrò al suo
orecchio, “ Grazie... ” ripeté poi.
Lee
l'aveva aiutato a capire che
anche lui era in grado d'amare. Che anche lui era un essere umano,
come tutti gli altri.
Scomparve
come al solito, sfuggì a quell'amore che sapeva di non
meritare. Perché quel giorno, alla guida di quell'auto
impazzita, v'era un giovane dai capelli rossi con un caratteristico
tatuaggio sulla fronte. Esso significava “amore”;
amore per se
stesso, per la sua ribellione, per il coraggio che ostentava. Nessun
testimone aveva avuto il fegato di raccontare quel che aveva visto.
Il mostro era rimasto
in libertà. Colui che fin da piccolo era stato snobbato per
il
suo carattere che poco si prestava ai rapporti d'amicizia, e che si
era pian piano trasformato in qualcosa
che non avrebbe mai voluto essere.
Per
questo l'aveva cercato.
Perché
voleva scusarsi, ma
alla fine non era stato capace di dirgli nulla. Lui era così
innocente, e non ricordava niente.
Pensò
che forse tutto ciò
era positivo.
{
Forse, così, Lee
sarebbe stato l'unico a non odiarlo.
E
lui non poteva chiedere di
meglio. }
Egoismo?
Probabile.
Ma anche
infinito, incondizionato
amore.
Lo
lasciò solo, in balia
dei sentimenti e della confusione che regnava nella sua fragile
mente. Lacrime rigarono le guance, i singhiozzi scossero il giovane
corpo; per qualche strana ragione, pero', sentiva che Gaara un giorno
sarebbe tornato.
Non
poteva finire così.
Non dopo
quel bacio.
“
Di
nuovo? Ma insomma, sei veramente duro di comprendonio! ”
strillò
Sakura, la giovanissima infermiera che era andato a cercarlo, dopo
che si era accorta della sua assenza.
“
Scusa.
” disse soltanto, e la ragazza strabuzzò gli
occhi, stupita.
Era la prima volta che chiedeva perdono.
Non
proferì più
parola, finché non fu riaccompagnato in camera.
“
Quando...
cioè, è possibile che io recuperi la memoria?
”
domandò alla ragazza, mentre si sedeva sul suo lettino.
“
Solo
il tempo potrà dircelo. L'importante è non
perdere mai
la speranza. ” sorrise lei, uscendo poi dalla piccola camera.
Solo il
tempo...
Si stese
sul letto, fissando il
soffitto.
{
Giaccio su questo letto
perdendo ogni cosa,
vedo
la mia vita passarmi
davanti.
Era
troppo?
O
non era abbastanza?
Svegliami,
sto vivendo un
incubo. }
“
Tornerà...
tornerà... ”
{
Non morirò, ti
aspetterò qui.
Mi
sento vivo quando tu sei
accanto a me.
Non
morirò, ti aspetterò
qui.
Nella
mia ultima ora. * }
“ Lo sento, lui tornerà. ” mormorò al nulla attorno a lui, prima di cadere in un profondo sonno senza sogni.
Fuori
dalla finestra, nel bel
mezzo del grande cortile, un ragazzo dai capelli rossi se ne stava
seduto a rimirare il cielo stellato.
Finalmente
riusciva ad apprezzarne
di nuovo le sfumature, a guardarle con altri occhi.
Forse,
nel cuore di Lee era
racchiuso quell'amore che tanto aveva cercato negli altri, ma che
nessuno gli aveva mai donato.
Doveva
purificarsi, espiare per
quanto possibile le proprie colpe. E solo allora sarebbe potuto
tornare dall'angelo che lo aveva salvato, e che lo stava aspettando.
E se nel
frattempo la sua memoria
fosse tornata, gli avrebbe detto tutto. Senza essere sinceri non si
possono ottenere la fiducia e l'affetto di qualcuno, finalmente
l'aveva imparato. Grazie a lui.
La vita è come un film. Talvolta risulta sbiadita, altre volte invece addirittura in bianco e nero, come le immagini trasmesse da una vecchia tv, di quelle che non vanno più di moda. Molte persone non riescono a cogliere la sua reale bellezza, quei colori vivaci che brillano quando si ha accanto qualcuno che ci capisce e che ci accetta per come siamo. Altre persone non li hanno mai conosciuti, ma la speranza è sempre l'ultima a morire.
Rock
Lee si rigirò nel letto più volte, quella notte;
allungava le braccia in cerca di lui,
ma neanche immaginava quanto Gaara in realtà fosse vicino.
Aveva
paura, ma era sempre stato
un tipo ottimista, questo gli aveva insegnato il suo tutore, Maito
Gai.
Perciò
sapeva bene che
l'Amore sarebbe tornato a bussare alla sua porta...
...come in un film.
Fine ~
Note:
* le due strofe tra le parentesi graffe appartengono alla splendida canzone dei Three Days Grace, “Time of dying”.
Altre
note esplicative: la storia
è
abbastanza emblematica, me ne rendo perfettamente conto, per cui ci
tenevo a spiegare alcune cose.
E'
chiaro che Gaara e Lee non
vedono alcun film, quando si recano al cinema abbandonato: mi
è
piaciuto utilizzare questa metafora per indicare la vita dei due
ragazzi, e come essi la vedono. Il moro, oltre all'amnesia, presenta
un ovvia confusione mentale, che lo spinge a comportarsi come se
andasse veramente al cinema a visionare una pellicola, ma dentro di
se sa bene che questo non è possibile, in quanto la sala
è
chiusa ormai da tempo.
Quanto
alle “anime in pena” di
cui parlo ad un certo punto, possono essere considerate una
proiezione mentale del ragazzo, oppure un suo vago ricordo di quando
si recava lì e il posto era pieno di vita. In pena
perché
il posto è vuoto e indubbiamente ispira malinconia.
Quanto
i generi che ho messo nello schema, l'ho fatto per sottolineare
la ( penso ) evidente
drammaticità
degli avvenimenti narrati.
Per
quanto riguarda la fan art,
diciamo che l'ho utilizzata. La fic non ruota attorno ad essa, ma il
bacio c'è, ed ho cercato di descriverlo mantenendo la
purezza
e l'innocenza di quella tenerissima immagine.
Mi
auguro che questo delirio vi
piaccia almeno un po'... commentino?
*.*