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Autore: Echocide    10/10/2016    7 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes]
Sono trascorsi alcuni mesi da quando la minaccia di Coeur Noir è stata sventata e il gruppo di Portatori di Miraculous è alle prese con la vita di tutti i giorni: le relazioni sentimentali, il nuovo mondo universitario in cui sono sballottati...
Ma Parigi non è mai tranquilla e una nuova minaccia giunge dal passato, assieme a una persona che sembrava persa per sempre.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 2
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.673 (Fidipù)
Note: Bene, devo ammettere che è strano postare questo capitolo dopo le rivelazioni fatte al Comicon di New York ma...beh, era una cosa che avevo messo in conto quando misi il primo capitolo di Miraculous Heroes, anche se è veramente strano correggere e scrivere le avventure di questo gruppo di portatori adesso. Ma va bene, sono una persona che porta a termine le cose che inizia, quindi non pensate che non lascerò tutto a metà.
Or bene, prima di lasciarvi alla lettura, voglio regalarvi una piccola chicchetta: in questo capitolo, viene citata la leggenda del filo rosso. Per chi non sapesse di cosa si tratta, è una leggenda di origine cinese molto diffusa in Giappone, secondo la quale ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate, prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi.
Dovete sapere che, andando a documentarmi sulla leggenda, ho scoperto che il nome del protagonista è Wei.
E...beh, dato che l'avevo ricercata, proprio perché il nostro cinese preferito la citava, sono rimasta sorpresa nello scoprire che l'uomo della leggenda aveva il suo stesso nome.
Detto questo, come al solito, voglio ringraziare tutti coloro che leggono, commentano e/o inseriscono questa storia in una delle loro liste.
Grazie tantissimo!



Si svegliò di soprassalto, il respiro ansante e completamente sudato, mentre lo sguardo verde si muoveva spasmodico per la stanza: dov’era? Dov’era lei? Inspirò profondamente, cercando in questo modo di calmarsi, avvertendo poi una lieve pressione sul suo braccio sinistro; si voltò, osservando Marinette mettersi a sedere nel letto e fissarlo preoccupato: «Sto bene.»
«Tu non stai bene.» dichiarò la ragazza, guardandolo seria: «Pensi davvero che non mi sia accorta che dormi agitato? Sai, dormo al tuo fianco quasi tutte le notti…» si fermò, facendo scivolare la mano fino a quella del giovane e stringendogli le dita: «Adrien…»
«Sto bene.» sentenziò il ragazzo, sorridendole e ricambiando la stretta di lei: «Davvero. Sono solo un po’ stanco? Nervoso? Per i nuovi corsi e tutto quello che c’è intorno. Davvero, non ho niente.»
Marinette lo fissò seria e Adrien poggiò il capo contro la sua spalla, mentre le braccia l’avvolgevano e la stringevano con forza; la ragazza inspirò profondamente, ricambiando quell’abbraccio: qualcosa non andava in Adrien, se n’era accorta da giorni ormai e lui sembra più che deciso a non dirle niente, forse per non addossarle quel peso.
Voltò la testa, osservando i due kwami che li fissavano in silenzio: Plagg trattenne lo sguardo su di lei, scuotendo poi la testa e acciambellandosi nuovamente, con il visetto appoggiato fra le zampine come se fosse un gattino; Tikki sorrise, osservando il compagno e la guardò, annuendo con la testa, sistemandosi poi accanto al kwami nero.
In un modo tutto loro, i due esserini le avevano detto di non preoccuparsi.
Lentamente, convinse Adrien a stendersi nel letto e, sempre stretto fra le braccia, attese che lui si addormentasse: «Vorrei tanto poterti aiutare.» mormorò contro il capo biondo, baciandogli una tempia e ascoltando il respiro lento e regolare di lui; quasi come se l’avesse sentita, Adrien accentuò la stretta, sistemandosi meglio nel suo abbraccio: «Io sono con te, Adrien.»



Flaffy sbadigliò, alzandosi dal suo giaciglio e sorridendo: poco dopo aver conosciuto Rafael, era venuto a conoscenza del meraviglioso mondo del Signore degli Anelli, appassionandosi alla storia del giovane hobbit che aveva lasciato la Contea per andare incontro al suo destino; fin da quando era umano era sempre stato appassionato da quel genere di storie e così aveva pregato il suo Portatore di reperirgli i film e anche i libri di quel meraviglioso mondo.
Rafael, sbuffante, aveva esaudito la sua richiesta, aggiungendoci anche un set di costruzioni con i mattoncini: insieme l’avevano costruita e Flaffy adesso poteva vantare di dormire nel Pinnacolo di Orthanc, la Torre nera di Isengard; essendo composta da solo una metà, il suo umano l’aveva messa contro il muro della scrivania, con qualche centimetro di distanza in modo che lui potesse uscire ed entrare nel suo giaciglio.
Sorridendo, il kwami del Pavone volò fuori dalla torre, planando vicino all’Ent messo di guardia davanti la porta della sua dimora: «Buongiorno, Barbarbero!» lo salutò allegramente, sapendo benissimo che erano solo mattoncini messi a regola d’arte per dare le sembianze del personaggio della saga: «E buongiorno anche a te, re degli uomini!»
Rafael s’infilò la maglia, sorridendo al kwami: «Buongiorno, Frodo.» ricambiò il saluto il ragazzo, avvicinandosi alla scrivania e controllando che nello zaino ci fosse tutto: «Oggi devo assolutamente passare di libreria…» borbottò fra sé, chiudendo la zip e issandosi la sacca sulla spalla.
«Devi prendere dei libri?» domandò Flaffy, fluttuando attorno al giovane e seguendolo fuori dalla stanza, fino in cucina: «Perché nel caso…»
«Ti prendo Il Silmarillion, sì.» sospirò il ragazzo, posando lo zaino sul divano e osservando il kwami volare fino al tavolo: «Che poi…» continuò, andando in cucina e mettendo il bricco dell’acqua sul fuoco: «Devi ancora finire Il ritorno del re e Lo Hobbit. Senza contare che l’altra settimana hai voluto…»
«Le avventure di Tom Bombadil!» esclamò allegro Flaffy, osservandolo mentre tirava fuori la cioccolata dalla dispensa: «E che non riesco a leggere più di tante pagine per volta.»
«Flaffy…»
«E poi li posso solo leggere a casa, perché tu non li vuoi portare dietro e non ci siamo mai a casa!»
«Hai presente come sono grandi?»
«Sì…» mugugnò Flaffy, addentando la cioccolata e imbronciandosi, iniziando a mangiare in silenzio con il musetto rivolto verso il basso.
Rafael sospirò, tornando a prepararsi la colazione e portando poi tutto sul tavolo: iniziò a imburrare il pane, guardando il kwami e un nuovo sospiro gli uscì dalle labbra: «Magari posso scaricare un’app sul cellulare, una di quelle che funzionano da reader; compriamo gli ebook e così possiamo portarli a giro…»
«Lo faresti davvero?» esclamò il kwami, fissandolo con gli occhi luminosi e un’espressione di pura gioia in faccia: «Davvero? Davvero?»
«Di certo mi costerà meno dei cofanetti dei film in edizione limitata e della Torre in cui dormi.»
Flaffy sorrise, volando verso Rafael e strusciandosi contro la sua guancia: «Ah. Dato che siamo in vena di acquisti…»
«Cosa vuoi ora?»
«Ho visto che esiste il set di mattoncini anche del Fosso di Helm.»
«Cosa te ne fai del Fosso di Helm?» domandò Rafael, versando lo zucchero nel suo the: «Non è neanche coperto…»
«Lo metto a protezione della mia torre.»
«Hai già il Cosoalbero che protegge la tua torre.»
«E’ un Ent e il suo nome è Barbarbero!» lo corresse Flaffy, fissandolo serio: «Andiamo! Ci sono anche gli Uruk-hai nel set!»
«Ce li hai già gli Uruk-hai e hai anche Saruman, Gandalf e Vermicoso.»
«Vermilinguo, stupido Nazgul.»
«Ah. Ora sono un Nazgul?»
«Sì, sei uno dei nove re degli uomini che si è fatto abbindolare dall’anello di Sauron.»
«Finisci la tua cioccolata, piccolo hobbit, vorrei evitare di arrivare in ritardo.»
«Un Nazgul non è mai in ritardo, arriva esattamente quando deve arrivare.»
«Dillo al mio professore.»


Adrien sbadigliò, uscendo dall’auto grigia e prendendo il cellulare che aveva iniziato a squillare pochi secondi prima: «Mio padre?» mormorò, accettando la chiamata: «Allô?»
«Come sta andando lì?»
«Ciao, papà. Anch’io sono felice di sentirti: le lezioni vanno bene, i professori sono rimasti incantanti dalla mia purffezione e dal mio meaowrisma e…»
«Cosa è il mio meaowrisma?» domandò Gabriel e Adrien fu quasi certo di aver sentito una nota divertita nella voce del genitore: «Posso capire il gioco di parole con purrfezione ma…»
«Meaowrisma è miao più carisma. Meaowrisma. L’hai capita?»
«E’ pessima.»
Plagg si affacciò dalla tasca del giubbotto, fissandolo con gli occhi verdi: «Chiedigli del Parmigiano. E del Gorgonzola. E del…»
«Plagg mi sta chiedendo se puoi portargli un po’ di formaggi italiani.»
«Vedrò quel che posso fare.»
«Mh. Purrfetto! Quando pensi di tornare? Sai, com’è, per organizzarmi e non farti trovare un party orgiastico in casa…»
«Stasera.»
«Ok, depenno l’orgia per stasera.» dichiarò Adrien, ridacchiando: «Com’è andata in Italia?»
«Molto bene.»
«Ottimo. Speravo di avere qualche informazione in più...sai com’è, appunti per il mio futuro da manager dell’Agreste ma va bene così.»
«Quando sarò a casa ti passerò tutta la documentazione.»
«Purffetto.»
«A Parigi tutto bene?»
«Sì, tutto ok.»


Sarah infilò i libri nella borsa, sorridendo alla vista di Mikko che, diligentemente, stava attenta che nessuna pagina si sgualcisce o piegasse: «Madamoiselle…Jonas?» la richiamò la voce del professor Fabre: la ragazza si voltò e osservò l’insegnante, in piedi accanto alla fila ove lei aveva trovato posto, che l’attendeva ignorando gli sguardi degli studenti che gli passavano accanto: «Ho pensato alla sua curiosità circa i sette animali sacri e volevo di darle questo.» dichiarò l’uomo, tirando fuori dalla borsa di pelle un fascicolo di carte: «Sono alcuni articoli miei e di alcuni colleghi: riguardano solo miti e leggende, in qualcuno vengono paragonate le varie mitologie, facendo leva su questo punto in comune. Ho inserito anche un articolo di una mia collega cinese, che parla di Nanchino e del rapporto che le ho citato l’altro giorno.»
Sarah scivolò fuori dalla fila e prese il malloppo di carte, sfogliando incuriosita: «Ecco, io…»
«Non si preoccupi a ridarmeli, sono solo fotocopie e stampe. Ho trovato molto appassionante il suo interesse per questo argomento che ho pensato, come insegnante, di coltivarlo.»
«Grazie.» mormorò Sarah, portando nuovamente lo sguardo sui fogli e sorridendo: «Io non so davvero come ringraziarla.»
«Beh, se vuole madamoiselle Jonas potrebbe farmi compagnia mentre mi prendo un buon caffè.» dichiarò l’uomo, facendole l’occhiolino: «Ah. Forse però è strano, un professore e una studentessa in un café che…»
«Se vuole posso chiamare il mio ragazzo, così non sembrerà una cosa equivoca.» mormorò Sarah, sorridendo imbarazzata: «Vorrei chiederle altro riguardo ai sette.»
«Ottimo. Faccia pure.»
Sarah afferrò velocemente il cellulare, digitando un messaggio a Rafael; attese pochi secondi per la risposta e sorrise alla vista delle poche parole scritte dal ragazzo: «E’ già qua.»
«Cosa studia il suo ragazzo?»
«Economia. E’ al primo anno come me.»
«Oh. Dev’essere un collega di mio figlio, allora. Anche lui studia economia ed è al primo anno. Magari posso chiedergli se lo conosce…» spiegò il professor Fabre, mentre attraversavano la facoltà: «In verità, dovrei anche andare a salutarlo: da quando sono tornato non mi sono fatto vivo ma…beh, ormai è grande e pensavo che lo disturbasse avere il padre per casa, quindi ho preso una stanzetta in affitto a Ivry-sur-Seine.»
Sarah annuì, mordendosi il labbro inferiore: «Come si chiama suo figlio?» domandò, uscendo dalla facoltà e stringendo gli occhi per la luce del sole: visto che il professor Fabre era in vena di narrarle un po’ di cose della sua vita privata, perché non togliersi il dubbio che la stava assillando da quando aveva visto l’insegnante la prima volta.
«Si chiama…»
«Papà?»
«Oh. Rafael!»
Sarah si voltò, osservando il proprio ragazzo fissare a bocca aperta e con espressione sorpresa quello che, effettivamente, era il suo genitore: «Cosa…come…perché…» Rafael inspirò, scuotendo la testa mentre con le mani si portava indietro i capelli scuri: «Ho paura a farti una qualsiasi domanda.» sbuffò, voltandosi verso Sarah: «Era il professore di cui mi avevi parlato?»
«Sì.»
«Oh. Vi conoscete?»
«E’ la mia ragazza, papà.» dichiarò Rafael, fissando il padre e scuotendo il capo mentre Sarah arrossiva leggermente e abbozzava un sorriso: «Se ti fossi fatto vivo, lo sapresti. Ma qui qualcuno è tornato a Parigi senza farmi sapere niente.»
«Oh.» mormorò Emilé Fabre, facendo passare lo sguardo da Sarah al figlio e annuendo con la testa: «Ottima scelta. Mi piace, figliolo.»
«Sì, certo.»
«Beh. Andiamo a prendere quel caffè? Penso che abbiamo parecchie cose di cui parlare.» decretò Emilé, battendo le mani e sorridendo ai due ragazzi: «Rafael, tu niente caffè…»
«Lo so.» dichiarò il ragazzo, scuotendo il capo: «Per caso è tornata anche la mamma? No, sai com’è…»
«Tua madre è ancora a New York, tutta presa dal fare quelle cose da scienziati pazzi.»
«Almeno lei è dove deve stare. Ma non potevi avvisarvi?»
«Andiamo a prendere questo caffè e ti spiegherò tutto, figliolo.»


Lila sbuffò, annotando qualcosa sul blocco note e facendo scorrere la pagina con la rotella del mouse: «Come sta andando?» domandò Vooxi, alzando la testa da uno dei suoi libri e osservando la ragazza: «Mh. Dalla tua espressione si direbbe male.»
«Ho rinunciato a capire le formule che ci sono scritte. In compenso ho trovato un rapporto su alcuni esperimenti fatti da Maus e questi sono più o meno capibili.»
Vooxi le si avvicinò, posandosi sulla spalla e poggiandole una zampetta sulla  guancia: «Non stressarti, Lila. E non preoccuparti di fallire: i tuoi amici non te ne faranno una colpa.»
«Amici…» mormorò la ragazza, posando la penna e prendendo il piccolo kwami fra le dita: «Qualche anno fa non pensavo nemmeno che avrei avuto degli amici.»
«Ma adesso li hai e loro credono in te. E anche Wayzz. Wei poi ti adora e ti venera.» dichiarò Vooxi, sorridendole mentre Lila gli massaggiava il pancino: «E, anche se litighiamo sempre, io sono orgoglioso di avere la Portatrice più tosta di tutte.»
Lila sorrise, chinandosi e poggiando le labbra sulla testolina arancione: «Grazie, Vooxi.»
«Questo e altro per la mia babbana preferita! E ora: studia ma senza diventare matta. Abbiamo già lo scienziato folle, meglio non metterci anche la supereroina, non credi?»
«Ok!»


Wei si accomodò al tavolo nel salotto di Fu, guardandosi attorno: «Alex non c’è?» domandò, mentre l’anziano poggiava il vassoio con due tazze e una teiera.
«E’ ancora a lezione.» bofonchiò il maestro, versando il the e passandogli una tazza: «Questo posto è meravigliosamente silenzioso e calmo quando lui non c’è.» dichiarò ma Wei notò la nota che le parole avevano: anche se brontolava, sembrava che a Fu facesse piacere la presenza dell’americano in casa: «Dimmi di te, ragazzo. Com’è vivere con una donna?»
«Alcune volte stancante, altre meravigliose; altre ancora sembra di essere su una giostra, soprattutto in un certo periodo del mese: se dico anche solo una A con un tono sbagliato, Lila è capace di sbranarmi.»
Fu ridacchiò, versandosi il the e poggiando la teiera: «Sono stupito, comunque. Non pensavo che saresti andato a vivere con lei.»
«Maestro, lei crede nella leggenda del filo rosso?»
«Ragazzo mio, sono una leggenda vivente.»
«Posso prenderlo come un sì, allora?»
«E’ un sì, Wei.»
«Vede, la prima volta che ho incontrato Lila…» Wei si fermò, scuotendo il capo: «No, quella è stata la seconda: la prima volta che l’ho incontrata, ci siamo scontrati quando io scendevo dalla metrò e lei saliva; questa ragazza bellissima ed elegante, di quelle che si vedono solo sulle riviste, si volta verso di me e mi nota…»
«Difficile non farlo con quella stazza, Wei.»
«E mi chiama splendore. Poi la incontro di nuovo ed è Volpina e il primo istinto è stato quello di parare l’attacco diretto a lei; così come ogni volta in cui la incontravo, in cui ero con lei: c’era qualcosa dentro di me che…»
«Lila è colei che ha l’altro capo del tuo filo rosso.» sentenziò Fu, sorridendo: «Sono felice. E’ così raro trovare quella persona, l’unica e sola destinata.»
«Eppure, nel nostro gruppo, ci siamo trovati tutti.» mormorò Wei, bevendo un sorso di the: «Marinette e Adrien sono anime gemelle, come ha detto lei: quindi entrambi hanno lo stesso filo rosso; Sarah e Rafael…non posso non pensare che anche loro condividano un filo, basta vedere com’è iniziata fra loro…»
«Siete ragazzi fortunati, Wei. Ed io sono veramente felice di ciò perché anche se combattete e avete grandi responsabilità, avete trovato la felicità.»
«Grazie, maestro.»
«Sono io che dovrei ringraziarvi perché è solo merito vostro se ho ritrovato la fiducia che avevo perso.»


Sophie si guardò intorno, ascoltando le voci che le arrivavano alle orecchie: inglese, italiano, tedesco, francese.
Oh, il suo amato francese.
Quanto tempo era che non lo sentiva?
Certo, Willhelmina le aveva sempre parlato in francese ma non aveva la stessa musicalità che solo chi era madrelingua possedeva: «Dobbiamo andare a ritirare i bagagli.» dichiarò la sua compagna di viaggio, raggiungendola e sorridendo: «Come stai?»
«Benissimo.» mormorò sognante Sophie, inspirando e rilasciando andare l’aria: «Sono a casa. Cosa può esserci di più bello?»
«Sai, vero, che non possiamo andare subito da Gabriel?» le ricordò Willhelmina, fissandola seria e incamminandosi verso la zona ove era posizionato il nastro trasportatore: «Voglio prima mettermi in contatto con Alex e…»
«E sapere se Maus è già qua, se ha attaccato, se è sicuro.» elencò Sophie, sorridendole: «Me lo hai ricordato almeno cinquanta volte durante il volo.»
«Volevo solo assicurarmene.»


Gabriel osservò l’orologio, marciando spedito fra la folla dell’aeroporto e mettendo poi mano al cellulare: «Sono io. Sono arrivato. La mia auto?» domandò senza tanti preamboli, mentre dall’altro capo Nathalie gli rispondeva automaticamente: «Perfetto.»
«Sono a casa. Cosa può esserci di più bello?»
Gabriel si fermò al suono di quella voce: nonostante fossero anni che non la sentiva, l’aveva riconosciuta subito.
Conosceva quel tono lieve, quel modo di pronunciare la esse…
Si voltò, guardandosi attorno ma notando solo facce sconosciute.
Possibile che avesse immaginato la sua voce?
Possibile che, a distanza di tanti anni, ancora non riusciva a fare i conti con il fatto che lei non sarebbe più tornata?
Inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi e riprendendo a camminare: era solo uno stupido, lo sapeva bene. Lei non poteva essere lì e lui aveva solo immaginato di sentire quella voce che tanto gli mancava.

   
 
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