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Autore: ClaireOwen    10/10/2016    4 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Yeee! Ce l'ho fatta!
Temevo davvero di non riuscire a pubblicare per tempo ma sono super entusiasta di esserci riuscita e di non aver sforato troppo.
Il settimo capitolo l'ho scritto un po' a sprazzi se così possiamo dire, mentre quelli di prima erano usciti quasi tutti d'un fiato, ho faticato un po' di più per portare a termine questo qui ma credo di esserne soddisfatta (?)
Ad ogni modo non voglio dirvi proprio nulla perché credo sia un momento piuttosto importante per il risvolto dei fatti soprattutto per quanto riguarda Clarke; lascio giudicare voi, come sempre e se mi volete dire che ne pensate, dare qualche dritta, comunicare qualsiasi cosa, ne sarò davvero felice!
Ora vi mollo che mi catapulto a vedere la 7x02 di Shameless (spero che qualcuno di voi possa capire l'urgenza ahahah).
Continuo a ringraziarvi per avermi seguito fin qui, non avrei mai potuto immaginare,
un bacio grande,
Chiara.


VII
 
“Vedo che non sei solo”
Fece Raven, guardando il lato opposto della strada.
“Dai Rav, lascia perdere.”
“Guarda che ci ho pensato su ed ho capito che prendermela con lei non ha molto senso, dopotutto la poveretta non sapeva nulla… Lo stronzo in tutta questa faccenda è solo uno ed ha un nome e un cognome che non voglio nemmeno pronunciare.”
Bellamy la guardò stranito, nell’arco di un pomeriggio entrambe le ragazze erano arrivate a dire più o meno la stessa cosa.
Eppure solo un paio di settimane prima sembrava che fossero sul punto di fare una strage.
“In ogni caso tieni.”
La moretta gli porse le chiavi della macchina e continuò “E’ come nuova.”
“Quanto ti devo?”
“Vaffanculo Bell.” Poi riprese “Certo che vedere quella macchina ridotta così mi fa piangere il cuore…”
Di nuovo rivolse lo sguardo all’altro capo della strada. Poi senza che Bellamy avesse il tempo di rendersene conto Raven prese a camminare spedita in quella direzione.
 
-
 
Le aveva chiesto scusa. Aveva capito eppure lei non gli aveva detto nulla. Non pensava che sarebbe stato capace di tornare sui suoi passi. Continuava a non comprendere per quale assurdo motivo avesse sentito il bisogno di allontanarla come non riusciva a farsi una ragione del perché lei era scoppiata all’improvviso, per giorni era riuscita a passare sopra al suo comportamento probabilmente perché era ancora scossa da quello che le aveva rivelato, forse perché tutta quella sofferenza Blake in qualche modo doveva pur sfogarla. Ma poi mentre se ne stavano lì da soli quando Clarke aveva avvertito che la tensione stava crescendo sempre di più non ce l’aveva fatta. Era umana dopo tutto. Non era più riuscita a giustificarlo. Era diventata cieca.
 
Sentì qualcuno bussare sul finestrino e si girò di scatto nella direzione da cui proveniva il rumore.
Raven se ne stava al di là del vetro.
Non era scesa per evitare altri incontri indesiderati e adesso proprio lei se ne stava lì.
E aveva un sorriso furbo stampato sulle labbra carnose.
Le fece segno di scendere e la bionda obbedì.
“Ciao”
Optò per fare un primo passo, non sicura di quello a cui sarebbe andata incontro.
“Ciao!” Le rispose l’altra continuando subito, senza darle modo di aggiungere altro “Senti Clarke, diciamocelo, io e te siamo partite con il piede sbagliato… ma vedere la tua macchina in questo stato mi fa davvero male dentro.”
La bionda si sorprese a ridacchiare.
“Quindi pensavo che ne diresti se, in segno di pace, te la riparassi? A occhio mi sembra che sia solo un problema di carrozzeria quindi non sarà un grande lavoro per me. Te la rimetterò a nuovo.”
Clarke la fissò esterrefatta, non sapeva esattamente cosa dire
“Grazie Raven ma sei sicura? Voglio dire non è un peso per te?”
“E’ il mio lavoro cara, niente di più e niente di meno.”
“Vuoi che ti lasci un acconto?”
“Spero tu stia scherzando… Che segno di pace sarebbe se te lo facessi pagare?”
“Davvero, non devi…”
“Smettila di fare i complimenti.  Tanto puoi tornare a casa con Bell no?”
E spostò lo sguardo al ragazzo che le aveva raggiunte e le guardava meravigliato.
Clarke annuì cercando di evitare d’incrociare gli occhi del maggiore dei Blake.
Lui invece decise di buttarla sulla scherzo
“In realtà pensavo di lasciarla a piedi.”
Rav si mise a ridere ma Clarke era ancora troppo sconvolta per trovare una risposta adeguata o anche solo per reagire repentinamente in qualsiasi modo.
“Se mi lasci un tuo recapito, ti faccio sapere quando è pronta!”
“Certo.”
Prese il cellulare della mora e digitò il suo numero. L’altra le fece l’occhiolino e le stampò un bacio rumoroso sulla guancia poi fece un cenno a Bell e se ne tornò indietro soddisfatta.
 
Così i due coinquilini rimasero lì per un tempo che non riuscirono a determinare, Clarke era ancora sconcertata dalla rapidità con cui lei e Raven sembravano aver risolto un dilemma forse meno grave di quanto le era sembrato, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo eppure continuava a sentirsi scossa per quello che poco prima era accaduto con Bellamy.
Lui l’aveva capita,  senza bisogno che lei dicesse nulla, in poco tempo quel ragazzo dai capelli corvini e all’apparenza scorbutico aveva compreso perfettamente il motivo che aveva scatenato la sua inaspettata e violenta reazione.
Poi le aveva chiesto di perdonarlo e le era apparso più sincero che mai.
Cosa doveva fare?
Continuava a torturarsi, nessuno era mai stato in grado di capirla fino in fondo, aveva una notevole capacità di chiudersi in se stessa e di alzare delle barriere difensive, quando decideva che qualcosa doveva restare dentro lei era così, non Monty, non Jasper, tantomeno sua madre erano mai riusciti a decifrare e scuoterla interiormente in quel modo soprattutto se non era nelle sue intenzioni, nessuno a quanto pare era stato in grado di poterla scrutare e comprendere eccetto Bellamy Blake.
Senza dire niente e nello stesso identico momento  entrambi si erano mossi verso la macchina di Bell, gli sguardi bassi e la condensa che usciva dalle loro bocche socchiuse ad ogni respiro.
Durate il viaggio Bellamy aveva acceso lo stereo per contrastare alla meglio il silenzio ed ora la voce calda di un qualche cantautore americano riempiva l’ambiente angusto.
All’improvviso Clarke abbassò il volume di scatto, cercando un contatto visivo che il ragazzo tardò leggermente a ricambiare.
“Se quello che vuoi è il perdono va bene, lo avrai... Sei perdonato ok?”
Un sorriso si allargò sulle labbra di Bellamy, spontaneo e allo stesso tempo insicuro. Lei abbassò lo sguardo pensando alle parole appena dette. Il maggiore dei Blake era davvero l’unico in grado di capirla in quel modo ed era tutto quello che lei, in cuor suo, aveva sempre desiderato, aveva passato la sua vita a dare e fornirsi spiegazioni, era satura, per una volta era lei ad avere bisogno di comprensione.
Sapeva che non avrebbe avuto una risposta dal ragazzo e le andava bene così. Bastò che Bell, fermo ad un semaforo rosso, cercasse e stringesse la mano di lei nella sua, fu quello il suo modo di ringraziarla e Clarke colse tutta la sincerità e la gratitudine di quel gesto, non c’era bisogno di sprecare altre parole.
 
Quando finalmente rientrarono in casa trovarono O’ sulla soglia della porta con uno sguardo preoccupato ed allo stesso tempo divertito.
“Si può sapere dove eravate finiti?”
“Scusa O’, ho dimenticato di avvertirti, eravamo da Raven.”
“Potreste anche usare i cellulari, vi ho chiamato mille volte.”
“Almeno adesso sai cosa si prova.”
La ammonì il fratello. La ragazza per tutta risposta gli corse incontro buttandosi  tra le sue braccia e Bell la strinse delicatamente a sé, era tutto quello che aveva, la sua famiglia, e finalmente era arrivato il momento di lasciarsi alle spalle l’astio ed il rancore ormai sbiaditi dai giorni che si erano susseguiti.
Quando la ragazza si liberò dall’abbraccio lanciò un’occhiata alla bionda
“Menomale che noi due avremmo dovuto fare la pizza oggi eh!”
“Giuro che è colpa di tuo fratello… dovresti prendertela con lui sai, mi ha costretto ad accompagnarlo da Rav.”
“Non ho ancora capito se non vi sopportate o siete amici per la pelle.”
Disse lei palleggiando lo sguardo tra i due.
“E’ complicato”
Si affrettò a ribattere Bellamy tagliando corto, continuò poi cambiando discorso
“Vogliamo entrare? Muoio di fame e mi avete fatto venire voglia di pizza, magari potremmo ordinarla.”
Octavia però sbarrò la porta d’ingresso con il suo corpo minuto, poi tossì sonoramente mentre Clarke e Bell se ne stavano lì davanti impalati senza capire cosa la ragazza stesse cercando di fare.
Bastarono una manciata di secondi e da dietro la porta spuntarono fuori due figure sconosciute agli occhi di Bellamy che si girò automaticamente per guardare Clarke, cercando un qualche segnale ma tutto ciò che vide furono i suoi occhi lucidi stavolta, poteva scommetterci, erano velati di gioia, e le sue labbra che si aprivano in un sorriso che non le aveva mai visto indossare. I due ragazzi appena sopraggiunti superarono O’ velocemente e le corsero incontro mentre la bionda faceva lo stesso, i tre si strinsero in un abbraccio molto simile a quello che poco prima aveva coinvolto i fratelli Blake ma più carico di mancanze ed incomprensioni che adesso sembravano svanire in una sorta di nuvola di fumo al vento.
 
La tavola era imbandita a festa, Jasper e Monty avevano aiutato Octavia con la pizza, dopo tutto era un rituale che solitamente rispettavano circa una volta al mese con Clarke ed era forse per quel motivo che la bionda aveva proposto alla minore dei Blake di cimentarsi in quell’impresa per aggrapparsi a una piacevole vecchia tradizione.
“Credo che tu sia decisamente più brava di Clarke, hai una dote!”
Disse Jasper ancora a bocca piena, O’ gli rivolse un sorriso raggiante che probabilmente fece rimbalzare il cuore del ragazzo, Clarke glielo leggeva in volto, conosceva troppo bene quei due e non poté fare a meno di sghignazzare. Si sentiva leggera dopo tanto tempo e felice, al sicuro in un calore familiare che per tanto tempo le era mancato.
Bellamy era più taciturno del solito, non che fosse un gran chiacchierone ma per quella sera la ragazza decise di darci un taglio, tutto ciò che voleva era solamente godersi la compagnia dei suoi più cari amici.
“Dovete spiegarmi un po’ di cose”
Li minacciò brandendo il coltello con cui aveva fatto a spicchi la sua pizza.
“Vediamo… da dove partire?”
iniziò Jasper
“Forse dal fatto che esiste internet e trovare i contatti della tua coinquilina è stato un gioco da ragazzi?”
L’altro concluse la frase.
“Ma non vi siete fatti sentire per quasi tre settimane!”
“Faceva parte dell’effetto sorpresa”
Commentò Jas.
“Avevo paura che l’avreste presa male.”
“Scusa, ti trasferisci a Boston perché hai ottenuto un tirocinio della Harvard per quello che hai sempre voluto fare e avremmo dovuto prenderla male?”
La ragazza li guardò intenerita, le sue paranoie l’avevano portata a dubitare dei grandi cuori che quei due avevano e si diede della stupida.
“Ma come vi è venuto in mente di venire fino a qui?”
“Bhè… Diciamo che oltre il piacere, siamo stati mandati in missione da tua madre.”
Disse Monty.
“Cioè?”
“Non preoccuparti, stasera si festeggia, poi domani ci penseremo.”
“A proposito.” Bellamy l’interruppe, guadagnandosi in fretta l’attenzione di tutti “Io stasera sono di turno, se volete raggiungermi al locale, sono sicuro che Joseph vi offrirà un giro volentieri.”
Lo disse guardando Clarke più di tutti, poi con uno scatto repentino si alzò da tavola facendo un cenno e si andò a preparare.
“Io veramente avrei un appuntamento.”
Spiegò invece Octavia quando si assicurò che il fratello fosse abbastanza distante da non poter sentire, Jasper fece una smorfia, Clarke le mise una mano sulla spalla
“Non preoccuparti O’, divertiti e se vuoi fare un salto, sai dove trovarci!”
I due amici annuirono visibilmente e così anche la minore dei Blake si alzò e si recò in camera.
Finalmente erano rimasti soli, la giovane Griffin aspettava questo momento da troppo tempo, aveva bisogno con tutta se stessa di rivederli e di sentirsi come se nulla potesse esserle d’intralcio nella vita, cosa che solitamente accadeva solo in loro presenza
“Avresti potuto evitare quella roba della lettera melodrammatica, non era molto in stile Griffin.”
Clarke sbuffò, aveva ragione.
“Non so che cosa mi sia preso.”
“Semplice, non riuscivi a farti una ragione di come avresti fatto a vivere senza di noi!”
Rispose Jas.
I tre scoppiarono in una risata sincera.
“Ma dove siete sistemati?”
“Abbiamo preso una camera in un bed & breakfast non troppo lontano.”
Lei annuì poi si affrettò a dire
“Di mattina ho il turno in ospedale ma se volete quando stacco possiamo andarci a prendere un caffè e a fare una passeggiata come ai vecchi tempi, ho un mucchio di cose da raccontarvi.”
“Affare fatto” disse Jasper guardando prima Clarke e poi Monty “Ma adesso si esce giusto?”
e aggiunse “Sei sicuro che a quel tipo vada bene se andiamo nel locale dove lavora? Potremmo cambiare, voglio dire non mi sembrava troppo entusiasta.”
“Tranquillo, Bell è fatto così, è un po’… burbero ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine.”
 
-
 
Quei due ragazzi piombati in casa sua dal nulla erano davvero buffi, non avrebbe mai detto che la principessa potesse avere degli amici così, sembravano decisamente diversi da lei, più spensierati senza ombra di dubbio, persino troppo per i suoi gusti ma comunque  si era reso conto solo guardandoli per poche ore insieme a Clarke quanto la loro fosse un’amicizia leale e sincera.
Li aveva visti entrare e per sciogliere un po’ d’imbarazzo aveva cercato di fare il simpatico chiedendogli i documenti fuori al locale, si era sforzato un bel po’ ma l’espressione rilassata e grata sul viso di Clarke era stata la sua ricompensa, ne era valsa decisamente la pena.
Ogni giorno che passava il freddo era sempre più secco e pungente ma a lui piaceva, lo faceva sentire estremamente vivo, sveglio. Nell’ultima settimana non aveva avuto tempo di pensare a Gina e alla loro rottura, certo erano risaliti a galla pensieri ben più angusti eppure per la prima volta li aveva affrontati e non da solo.
Era mezzanotte passata, l’affluenza ormai ridotta al minimo considerando che era un giorno infrasettimanale e così Bellamy decise che forse avrebbe potuto prendersi una pausa e raggiungere gli altri dentro. Si fermò ancora un poco a contemplare il paesaggio notturno quando una voce che ormai aveva imparato bene a riconoscere lo distolse dai suoi pensieri
“Hei.”
La ragazza lo raggiunse velocemente, stringendosi in un maglioncino troppo leggero al suo fianco.
“Che ci fai qui?”
“Avevo bisogno di un po’ d’aria.”
“Ah giusto dimentico che non reggi l’alcol.”
Lei fece una smorfia divertita, stava imparando ad incassare i colpi ironici del ragazzo.
“In realtà ti volevo chiedere scusa se Jas e Monty sono piombati in casa senza preavviso, non sapevo nulla nemmeno io.”
“Tranquilla, a quanto pare l’unica a saperne qualcosa era Octavia. E comunque non c’è problema”
“Hanno detto che andranno via tra un paio di giorni…”
La sua voce s’incrinò leggermente e Bellamy le volse uno sguardo più attento per capire cosa le stesse passando per la testa.
“E’ normale che ti senta così.”
Lo aveva fatto di nuovo, era riuscito a capire solo con un’occhiata cosa affliggeva la ragazza, aveva paura che i due se ne tornassero a casa ecco cosa, aveva il terrore di perdere nuovamente il contatto con quel poco che le restava della sua vecchia vita che evidentemente non riusciva a lasciarsi totalmente alle spalle.
Poi il maggiore dei Blake, si levò il giaccone e lo poggiò delicatamente sulle spalle di Clarke, tentando un sorriso. Lei abbassò lo sguardo leggermente, le gote probabilmente ripresero un colore più roseo ma il buio notturno aiutò la ragazza a nascondere quel delicato e spontaneo imbarazzo per un gesto che celava una dolcezza di fronte alla quale non riusciva a rimanere impassibile.
“Non dovevi”
Balbettò.
Bellamy sbuffò “Ricambio il favore, dopo tutto mi stai facendo compagnia quando potresti startene dentro con i tuoi amici.”
“Voglio farlo, non mi sento obbligata.”
“Non stavo dicendo questo.”
Lei annuì.
“Non ti annoi?”
“Mi piace.” Si scostò una ribelle ciocca di capelli  dal viso “Mi piace l’aria notturna di qui, è serena, meno caotica e frenetica e per quello che mi pagano va bene.”
“Ho paura di perderli non appena torneranno a New York.”
Clarke sospirò e continuò “Non capisco più dove la mia vita mi stia portando, non so più a dove appartengo, non sono nemmeno sicura di aver fatto la scelta giusta.”
“Non è quello che hai sempre voluto fare?”
“Si ma… è arrivato in un momento particolare e spesso temo di averlo fatto più per scappare che per altro.”
“Se è andata così, un motivo ci sarà. So che Boston sembra meno accogliente di New York ma è capace di riservare delle piacevoli sorprese, e poi non li perderai, quei due stravedono per te, si vede lontano un miglio.”
“Forse è così, non so nemmeno perché te lo sto dicendo.”
“Fa niente, posso sopportare qualche paranoia dopo quello che hai fatto tu l’altro giorno.”
Lo disse guardandosi la punta delle scarpe, non era per niente facile ringraziare qualcuno per Bell, dopotutto non ne aveva mai avuto bisogno, se l’era cavata sempre da solo.
Clarke si voltò per osservare la sua figura, era una persona fuori dal comune Bellamy Blake, sensibile ma rude come nessuno, comprensivo e allo stesso tempo maledettamente istintivo, sembrava molto più umano di tante persone con cui aveva avuto a che fare nella sua vita.
La ragazza fece qualche passo avanti nella sua direzione, sino a colmare totalmente la distanza che li separava e lo abbracciò perché in quel momento sentì che era tutto ciò che voleva, le braccia di Clarke cinsero il busto snello e slanciato ed il suo corpo si legò a quello di lui con una naturalezza bestiale.
 
Il profumo di gelsomino che aveva imparato a riconoscere come l’odore di Clarke lo investì quando la ragazza lo avvolse in un abbraccio del tutto inaspettato che per un momento non riuscì a ricambiare preso alla sprovvista.
Sperò che il suo battito cardiaco accelerato non fosse udibile ma non poté fare a meno di stringere Clarke a sé e sperare in cuor suo che quel momento non fosse vittima del tempo fuggevole.
 
Quando finalmente percepì la stretta di Bellamy, la bionda si sentì per un momento al sicuro, da cosa non sapeva dirlo, ma bastò per far sì che tutte le sue paure, i suoi dubbi e le angosce sparissero, almeno per quella sera, almeno per quel momento che avrebbe voluto fermare lì per sempre.
 
-
 
La mattinata passò più lentamente del solito, le piaceva starsene al Boston Children Hospital, il suo interesse cresceva ogni giorno di più e cercava di catturare con gli occhi qualsiasi gesto, qualsiasi azione che il personale medico compiva, non velava perdersi nulla.
Quel giorno però la distrazione regnava incontrastata nella sua mente, non prestò attenzione a ciò che i medici le spiegarono, né ai continui tentativi di Wells di portare avanti in modo esasperante qualsiasi tipo di conversazione.
Pensò per tutto il tempo a quello che l’avrebbe aspettata nel primo pomeriggio, era l’unica cosa che voleva fare starsene rintanata in un bar in compagnia di Jasper e Monty, sentire le loro storie, i loro commenti, avrebbe voluto chiedergli così tante cose.
Ma se chiudeva gli occhi riusciva a vedere dipinta nella sua mente anche la scena della notte scorsa, sentiva ancora il calore della pelle viva di Bellamy addosso ed un sooriso ebete le si stampava automaticamente in volto.
Si forzò più volte nell'arco della giornata per evitare che la sua mente ripercorresse quei momenti.
Odiava sentirsi coinvolta e quindi vulnerabile.

“Ci vediamo presto al grande evento!”
Le fece il suo compagno di tirocinio a fine turno quando la ragazza gli spiegò che doveva scappare perché aveva un impegno. Clarke non capì a cosa stava facendo riferimento ma decise di non farsi domande, non le importava adesso, voleva solo raggiungere il prima possibile i suoi migliori amici.
 
I due inseparabili ragazzi la aspettavano alla fermata dell’autobus che guarda caso si trovava di fronte ad uno Starbucks. Le erano mancati incredibilmente ed averli qui adesso, poterci parlare, poterci scherzare le sembrava quasi una visione onirica.
La sera prima per quanto fosse stata contentissima della sorpresa e del tempo trascorso insieme, la presenza, seppur saltuaria, dei fratelli Blake aveva impedito al trio di trovare l’atmosfera giusta per ricreare quell’intimità che da sempre aveva caratterizzato la loro amicizia.
Clarke li conosceva da sempre, aveva ancora ricordi sbiaditi legati alla prima infanzia, l’asilo e le elementari, i giochi, i segreti, le corse, si ritrovavano insieme il pomeriggio nei soggiorni delle loro case mentre le madri si stupivano di come potessero essere legati. Poi l’adolescenza, le prime cotte, i film al cinema, i concerti, il liceo, il ballo di fine anno al quale andarono tutti insieme dando da chiacchierare a tutto l’istituto.
La ragazza si era ritrovata a volte preoccupata altre affascinata dal rapporto che c’era tra O’ e Bell proprio perché lo capiva bene, Jas e Monty erano esattamente come due fratelli per lei.
Scendendo dall’autobus per poco non inciampò nei suoi stessi piedi, la fretta di raggiungerli prevaleva sul buonsenso che solitamente la contraddistingueva e per anni le aveva fatto ottenere l’etichetta della ragazza responsabile e con la testa sulle spalle.
I due risero a crepapelle di fronte alla scena, pronti poi a coinvolgerla in un caloroso abbraccio di gruppo.
Il tavolino che presero si trovava in un angolo del locale, vicino alla vetrina appannata per la differenza di temperatura tra dentro e fuori, Clarke osservava le figure sfocate che occupavano in modo disordinato la strada mentre si gustava il racconto dell’estate in campeggio dei due amici: Jasper era responsabile di donare gli aneddoti l’enfasi giusta mentre Monty interveniva per condire il tutto con precisi dettagli. Sarebbe stata capace di ascoltarli per ore.
“Adesso tocca a te però”
Le fece Monty quando ormai avevano esaurito il repertorio.
“Non saprei da dove iniziare a dire il vero! Cosa volete sapere?”
“C’è possibilità che Octavia si lasci con il suo ragazzo o qualunque cosa sia? Sarei disposto a trasferirmi seduta stante qui per una ragazza del genere.”
Fece Jasper con un tono fin troppo serio.
Monty e Clarke risero di gusto invece così il terzo non poté evitare di sbuffare sonoramente alzando gli occhi al cielo.
“Non lo so, è strano, ci sono dei momenti in cui sto davvero bene, altri in cui invece non riesco a capire se quello che sto facendo ha davvero senso. E poi mi mancate eppure siete l’unico appiglio a quello che mi sono lasciata alle spalle, del resto non sento minimamente il bisogno, anzi…”
I due le sorrisero silenziosamente, probabilmente si aspettavano che aggiungesse dell’altro.
“E’ stato buffo, in poco tempo ho conosciuto un po’ di persone e alcune di loro continuano comunque a riportarmi echi di quello che ho abbandonato a New York.”
Così cominciò a raccontare di Raven, di come aveva reagito, dello sfogo con Bellamy e di come si era pentita subito dopo di non essersi saputa controllare, non spiegò il motivo, decise di tenersi per sé quello che sapeva sul ragazzo, considerò il discorso troppo intimo e sensibile persino per loro… Poi raccontò dello strambo incontro con i Jaha e di come la incuriosiva ma allo stesso tempo di come aveva riportato a galla pensieri che riguardavano il padre, Thelonious aveva detto che con Abby e Jake erano amici stretti e questo l’aveva proiettata indietro nel tempo a quando il suo papà era ancora in vita, provocandole un dolore che forse solo grazie a quella chiacchierata stava imparando a riconoscere.
Il malessere degli ultimi giorni, in particolare lo scontro con Bellamy non riguardavano solo lui, era come se tutta la frustrazione, la rabbia e la malinconia che l’avevano placcata per tutto quel tempo fossero riemerse insieme.
“A proposito…” Monty la interruppe incerto.
“Sai, dobbiamo darti una cosa.”
Fece eco Jas’ tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza di frappucino.
Clarke li guardò incuriosita e un po’ preoccupata, mentre il moro dai lineamenti asiatici che le stava seduto di fronte cercava in una tasca interna del giaccone qualcosa.
Infine le parò di fronte agli occhi una busta sigillata, la carta giallina emanava un nauseante odore di vaniglia, sul fronte una calligrafia a lei familiare aveva tracciato in modo deciso e con una penna colorata il suo nome, era il tratto di sua madre.
La afferrò incerta, fissandola per un attimo, aveva paura ad immaginare cosa fosse, forse perché un’idea le strisciava nella mente e non voleva che essa venisse confermata.
Dovette però necessariamente girare la busta per scoprire il nome - temeva in realtà fossero due - del mittente.
Dall’altro lato i due amici la guardavano inquieti, dubbiosi su quale potesse essere la sua reazione.
Sul retro della busta due nomi imperavano Abigail & Marcus.
Clarke deglutì e le mani ormai sudate, nelle quali continuava a rigirarsi quella lettera che si avvicinava sempre di più ad un invito, le tremavano.
La aprì, la strappò in realtà con molto poco riguardo.
Ne uscirono fuori quattro biglietti del treno, due di andata verso New York ed altrettanti di ritorno per Boston.
Poi l’invito per il matrimonio di sua madre.
Mancava una settimana, esatta.
Un senso di nausea la avvolse mentre si lasciava andare impotente sulla sedia.
   
 
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