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Autore: hapworth    10/10/2016    1 recensioni
Una volta scavalcata la grata di metallo, si guardò intorno: non c'era davvero nessuno e l'odore era quello d'erba. Abitando nella zona più interna delle Mura, non aveva idea di come potesse essere stare in mezzo al verde, dato che lui era sempre vissuto nel tran-tran cittadino, fatto di pietre e strade, così quando trovava un po' di verde non poteva fare a meno di goderselo. Non gli capitava spesso però, d'altronde non era permesso attraversare liberamente le altre zone fuori dal proprio distretto, non senza un permesso e lui, quel permesso, non lo aveva.
#01. Childhood ~ Scritta per l'Erwin Smith week
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
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In realtà non ero sicura di riuscire a farcela a scrivere per questa week, non so nemmeno se riuscirò a fare tutti e sei i prompt... Ma voglio provarci, in barba agli impegni! Dunque ecco la prima, un piccolo spaccato in cui vediamo un Erwin pulzello. 
Come sempre il personaggio non mi appartiene e solite cose, anche se io lo avrei sicuramente trattato meglio. <,<
Vi auguro una buona lettura!

By
athenachan


Prompt 10/10/2016: "Childhood"

Gli ultimi saranno i primi

La musica si sentiva fin oltre le Mura, addobbate a festa per il Giorno delle Mura, una festività dapprima poco diffusa, ma che con il tempo si era fatta più interessante agli occhi degli abitanti dei vari distretti. In verità sarebbe stato un giorno sacro per la Religione delle Mura, tuttavia alla fine anche la popolazione non credente aveva finito per celebrarlo più come una Giornata dell'Umanità. La festeggiavano in tutti i distretti, sebbene con tipi di festeggiamenti differenti: la maggior parte preferiva aprire bancarelle o suonare musica che avrebbe permesso agli abitanti di svagarsi e ballare.
Era una festività che aveva perso il suo reale significato, ma non la gente che lo festeggiava.
Erwin fin da quando era un bambino troppo piccolo per ricordare, era sempre stato in mezzo a quel chiasso; suo padre lo aveva da sempre esortato a continuare, anche quando era stato troppo grande per rimanere con i bambini di cinque anni ed era diventato uno di dieci: i bambini di dieci anni al Giorno delle Mura non partecipavano, o meglio non avevano voglia di stare a fare balletti stupidi in cerchio tenendosi per mano – in realtà lui ci sarebbe pure rimasto, ma uno dei suoi compagni di scuola gli aveva detto che era da mocciosi e quindi, per evitare possibili prese in giro, aveva finito per dire a suo padre che preferiva non andare in mezzo ai bambini, preferiva fare come gli adulti e girare per conto suo tra le bancarelle.
Erwin era un bambino dall'aspetto piuttosto comune, se non fosse stato per il suo essere un po' troppo mingherlino e con un viso eccessivamente morbido, che aveva preso dalla madre. Aveva la carnagione rosea, ma i suoi occhi azzurri e i capelli biondi non la facevano risaltare abbastanza, date le sue spalle piccole e le sue braccia scarne. Aveva una buona educazione e un portamento da tipico bambino nato in una famiglia benestante malgrado i tempi che correvano – il fatto che potesse permettersi il lusso della scuola, quando quasi la totalità dei bambini sparsi per le Mura non avevano neppure mai visto un banco era, di certo, dovuto al suo essere figlio di due insegnanti.
Sua madre era morta quando era ancora troppo piccolo e suo padre, benché abbastanza severo, non gli faceva mancare nulla, benché non potesse immaginare che suo figlio fosse vittima di qualche maltrattamento da parte dei ragazzi più grandi proprio per la sua condizione – e anche perché era ancora troppo gracile d'aspetto e non faceva molta paura, né timore.
Grossomodo non si sarebbe mai lamentato della propria vita fino a quel momento, i suoi dieci anni li aveva vissuti pienamente ed era felice, felice ogni giorno che si guardava intorno scoprendo qualcosa di nuovo; era ancora troppo piccolo per pensare al futuro, ma ogni volta che intravedeva da lontano l'alto muro che li circondava, qualcosa nel suo petto si agitava. Il suo cuore cominciava a battere forte e il suo sguardo si faceva determinato: un giorno, quando sarebbe stato grande, avrebbe visto quello che stava oltre quell'alta barriera che lo teneva imprigionato lì. Un giorno avrebbe, di certo, spiccato il volo.
«Oh, guarda chi c'è, il figlio di Smith. Ciao signorina!» Erwin si voltò, rimpiangendo, in parte, di non aver detto a suo padre che rimaneva a casa; sapeva che Mark e il suo gruppetto di teppistelli avrebbero finito per andare a infastidirlo: quale occasione più ghiotta, del resto, se non una festa in cui benestanti e persone comuni giravano in completa libertà? Si guardò intorno, cercando una possibile via di fuga: erano tutti bambini di dodici anni ed erano alti il triplo di lui, che non si era ancora slanciato in altezza – confidava di farlo in futuro, dato che suo padre era molto alto – e lui non aveva alcuna speranza di vittoria in un corpo a corpo. Ragionò rapidamente, guardando sia a destra che a sinistra, prima di imboccare la via stretta sulla sinistra: portava in una delle zone più degradate del centro storico, ma andava bene comunque in quel momento, qualsiasi punto strategico, considerato che si diradava in diversi viottoli in cui avrebbe potuto facilmente defilarsi e quindi salvarsi da chissà quale rappresaglia.
Corse a perdifiato, sentendo le gambe molli mentre girava per l'ennesima volta, imboccando una via stretta sulla destra – era bravo a orientarsi, tornare indietro non sarebbe stato difficile, conosceva bene quei posti. Una volta sicuro che nessuno lo stesse più seguendo si appoggiò a una grata di metallo, che dava sul fiume artificiale che usavano gli abitanti per commerciare da una parte all'altra delle tre cinte murarie; c'era un po' di vegetazione in quel punto, contrariamente alla parte che si vedeva nelle zone limitrofe. Sollevò lo sguardo, notando che il cancelletto non era munito di spuntoni e che, se fosse stato abbastanza agile, sarebbe riuscito a oltrepassarlo con facilità; si sarebbe fatto una passeggiata lì in mezzo, d'altronde non c'era nessuno in giro, erano tutti in centro a festeggiare.
Una volta scavalcata la grata di metallo, si guardò intorno: non c'era davvero nessuno e l'odore era quello d'erba. Abitando nella zona più interna delle Mura, non aveva idea di come potesse essere stare in mezzo al verde, dato che lui era sempre vissuto nel tran-tran cittadino, fatto di pietre e strade, così quando trovava un po' di verde non poteva fare a meno di goderselo. Non gli capitava spesso però, d'altronde non era permesso attraversare liberamente le altre zone fuori dal proprio distretto, non senza un permesso e lui, quel permesso, non lo aveva.
Vagò per una quindicina di minuti, ben sapendo che tanto fino alla sera il padre non lo avrebbe cercato, dato che era impegnato nella ricerca di testi poco comuni in bancarelle ben nascoste tra quelle di tutta la festa, quindi non aveva un orario ben definito, non finché il sole era ancora alto nel cielo. Era una bella giornata e tirava un vento sottile, l'erba intorno al canale artificiale si muoveva ondeggiando con esso e gli portava una sensazione di pace, mentre camminava tranquillo: quell'idiota di Mark non sarebbe riuscito a seguirlo fino a lì, era particolarmente stupido, troppo lento nel pensare. Probabilmente avrebbe continuato il mestiere di famiglia e sarebbe rimasto nel loro distretto a fare il fabbro, così come la maggior parte dei suoi coetanei – e anche dei bambini più piccoli.ù
Vivendo in una delle zone più tranquille – del resto non erano in periferia, sebbene fossero piuttosto vicini alla seconda cinta muraria – Erwin non aveva mai sentito la costante minaccia per la propria vita. O per meglio dire, non avrebbe dovuto. Una parte di lui, però, si diceva che era ingiusto vivere con tranquillità, non poteva continuare il mestiere di suo padre, non poteva ignorare il bisogno che le altre persone avevano. Sapeva che Loro sarebbero tornati, sapeva che quella pace apparente non poteva durare; poco importava se da qualche decina di anni nessuno aveva più visto un Gigante cercare di entrare... Lui non credeva nello stare immobili ad attendere. Era ancora un bambino, ma aveva ben in mente quello che doveva fare per se stesso e per tutti gli altri.
Ricordava bene i loro volti stravolti di tristezza e dolore, ricordava il sentimento con cui erano stati accolti in città, mentre rientravano verso le zone più interne per fare rapporto. Non ricordava di aver visto cadaveri, ma solo ricordi, lacrime e sangue. Era un ricordo che gli era rimasto dentro, ma che non lo aveva spaventato: sarebbero morti comunque, avrebbero sofferto comunque, sarebbero stati odiati in ogni caso da qualcuno. Che differenza faceva, se lo si poteva fare per una buona causa, per qualcosa in cui si credeva?
Li aveva visti solo una volta, ma quella volta era bastata: mantelli verdi e due ali sulla schiena, le Ali della Libertà. Le ali che gli avrebbero permesso di volare oltre le Mura e non rimanere fermo, immobile, statico in una situazione che avrebbe di certo significato morte in ogni caso.

Quando rientrò in città, si sorprese di trovare ancora così tanta gente in giro, malgrado il Sole stesse tramontando. C'erano ancora un sacco di bambini e un sacco di adulti alle prese con le chiacchiere e le spese. Sentì un uomo inveire nella sua direzione, ma non capì fino a quando qualcuno non gli diede una spallata abbastanza forte da farlo quasi cadere.
Erwin si volse a quel punto e vide un altro bambino, con tra le braccia ossute del pane e delle mele; le stringeva forte e il suo sguardo grigio intenso sembrava stralunato. «Andiamo! Cosa stai facendo, ci prenderà!» Un altro bambino e una bambina, alti più o meno quanto quello, lo superarono con altrettante provviste tra le braccia e il bambino dai capelli neri lunghi e sporchi distolse lo sguardo, riprendendo la corsa. Erwin li guardò andare via, correndo a perdifiato; stavano lottando per la propria sopravvivenza. Lottavano per la propria vita a piedi nudi, perché nessuno sapeva che loro esistevano.
Sorrise, perché se c'era tanta gente intorno a lui, se c'era tanta disperazione, tanta ostinazione per sopravvivere, forse avrebbero avuto una speranza.
Forse, tra gli ultimi, qualcuno avrebbe lottato per i primi.

Fine
   
 
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