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Autore: Rie_chan    09/05/2009    4 recensioni
Lo odiavo.
Era una certezza che avevo avuto dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo.
Quel suo sorriso ingenuo, perennemente spalmato su quella faccetta d'angelo non era cosa che potesse incantarmi. Tantomeno costringermi a rivedere le mie posizioni.
Lo odiavo ed ero certa che niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare opinione.

[Minato/Kushina] [Kushina centric]
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Yondaime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perfect Lie
PERFECT LIE



Lo odiavo.
Era una certezza che avevo avuto dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo.
Quel suo sorriso ingenuo, perennemente spalmato su quella faccetta d'angelo non era cosa che potesse incantarmi. Tantomeno costringermi a rivedere le mie posizioni.
Lo odiavo ed ero certa che niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare opinione.
Ammetto di non essere mai stata un tipo accondiscendente nè di essere mai stata propensa al dialogo o alla trattativa, ostinata ed impulsiva fino al midollo, ma nonostante fossi abbastanza facile all'ira, non mi era mai capitato di provare rancore per chicchessia che fosse durato più di due giorni.
Eppure lui era la mia eccezione.
L'unico essere la cui sola vista riusciva a suscitare in me un fastidio tanto profondo quanto inevitabile.
Una reazione spontanea che, chiunque si fosse fermato ad analizzare attentamente il mio carattere e le mie convinzioni, avrebbe ritenuto inequivocabilmente scontata.
Mi ero sempre distinta dalla massa, disprezzando fatti e persone che gli altri sembravano idolatrare e notando invece particolari che la restante parte del mondo semplicemente ignorava.
Non che lo facessi apposta, per il solo gusto di esser il bastian contrario della situazione o perchè amassi masochisticamente complicarmi l'esistenza, ma non potevo farne a meno.
Come se una forza estranea alla mia volontà mi spingesse ad agire in maniera diametralmente opposta a qualsiasi canone imposto, frantumando tutte le aspettative di coloro che avrebbero voluto vedermi nelle vesti di una graziosa bambolina ubbidiente e devota e non del maschiaccio che ero sempre stata.
Quindi era palese che non avrei potuto assumere nessun altro comportamento e non avrei potuto provare nessun altro sentimento all'infuori di quello che gli avevo sfacciatamente sbandierato al nostro primo incontro.
Lui, l'emblema della perfezione, dell'eleganza, del buon gusto, di tutti gli insegnamenti che mio padre si ostinava disperatamente ad inculcarmi, senza ottenere il minimo risultato, di tutti i desideri che sembravo aver distrutto comportandomi da inguaribile ribelle, si era materializzato di fronte a me in un caldo giorno d'estate.
Ed io, che con la perfezione non avevo mai avuto un bel rapporto, compresi dal primo momento che non sarei mai riuscita a farmelo piacere.






"Lo odiavo e odiavo anche di più quel suo sorriso, così insistente da sembrare finto."






Avevo appena compiuto dodici anni, ma non ero una delle solite ragazzine viziate e petulanti che si divertivano ad impiastricciarsi con unguenti e trucchi e ad immaginarsi sognanti la venuta del principe azzurro.
Non mi erano mai piaciute particolarmente le favole e ritenevo un vero e proprio mistero il fatto che qualcuno potesse condividere l'ideale di vita professato dalle protagoniste di quei racconti.  Il pensiero di un tizio perfetto, dalle abilità sorprendenti e dalla forza impareggiabile che mi avrebbe protetta da qualsiasi pericolo e mi avrebbe amata sopra ogni cosa a me dava solo sui nervi.
Piuttosto che aspettare passivamente il suo arrivo, sarei andata a cercarlo io stessa. Ed una volta trovato, gli avrei fatto ingoiare quella sua insopportabile perfezione a suon di pugni.
Io non avevo, nè avrei mai avuto bisogno della balia. Sarei stata in grado di proteggermi benissimo da sola, disdegnando con fermezza il suo patetico servilismo e mostrandogli chiaramente che del suo inutile amore non avrei saputo cosa farmene.
Non avevo stupidi sogni da deboli donnette e preferivo dedicarmi all'azione e all'avventura più che alla perdita della mia indipendenza.
Avevo affrontato qualunque genere di prova mi avessero sottoposto, sgominando con determinazione e coraggio tutti gli ostacoli che avevo trovato sul mio cammino.
Conosciuta come la kunoichi più promettente dell'intero villaggio, non mi ero mai tirata indietro di fronte ad una sfida, uscendone sempre vittoriosa, indipendentemente dalla sua natura.
Mi ero impegnata duramente per raggiungere quel traguardo, conquistando la stima dei coetanei, il rispetto degli adulti ed il risentimento dei più invidiosi.
Ero invincibile o, almeno, credevo di esserlo. E mi crogiolavo nella dolcezza di quel sogno, convinta di stare vivendo la realtà.
Però quel giorno qualcuno era venuto a sbattermela crudelmente in faccia, cancellando senza remore tutte le mie illusioni.
Un piccolo ninja prodigio di un qualche paese straniero con cui mio padre era intenzionato a stringere una sorta di alleanza, mi si era presentato davanti ed io non avevo saputo trattenermi dal confrontarmi con lui.
Ero partita subito all'attacco, sicura che quel moccioso pelle e ossa dal viso delicato non avrebbe potuto nulla contro la mia forza, ma d'un tratto, senza sapere come, mi ero ritrovata a terra, con gli occhi fissi sul cielo beffardamente azzurro di quella luminosa giornata di sole. Scoprire poi che quello stesso azzurro mi aveva appena teso una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi, non era stato per nulla piacevole.

"Stai bene?"

Avevo solo chiuso le palpebre un paio di volte, ancora incapace di realizzare l'accaduto.
Io, Kushina Uzumaki, degna figlia del Vortice, ero stata appena sconfitta per la prima volta nella mia vita e con una facilità tale che ancora non riuscivo a capacitarmene.
E, come se non bastasse, l'artefice della mia vergogna mi stava fissando con un'espressione indecifrabile, mascherando la pietà tipica dei vincitori con una strana gentilezza spruzzata di divertimento. Perciò, raccattando i cocci di quel po' di orgoglio che mi rimaneva, avevo bruscamente evitato quel contatto, rialzandomi il più velocemente possibile e scoccandogli l'occhiata più minacciosa che avessi potuto.

"Non credere di avermi battuta, la nostra sfida è appena cominciata!"

Così avevamo continuato a batterci, o meglio, io cercavo di stenderlo con i miei colpi migliori e lui continuava a schivarli senza la minima difficoltà, vanificando ignobilmente tutti i miei tentativi. E alla fine, quando stremata, mi ero piegata sulle ginocchia, appoggiandovi le mani per riprendere fiato, lui mi si era nuovamente avvicinato e, con un gesto fulmineo, aveva posato le sue labbra su una delle mie guance.
Un gesto imperdonabile, per cui molti non avrebbero più rivisto l'alba del giorno dopo.

"Non osare mai più riprovarci o il mio sarà l'ultimo viso che vedrai prima di morire."

L'avevo afferrato per il collo della felpa, di un colore fin troppo principesco per non essere irritante, e avevo portato la sua faccia da schiaffi di fronte alla mia per convincerlo che non stavo affatto scherzando. Ma sebbene all'inizio si fosse mostrato sorpreso, per non dire spaventato, preso alla sprovvista dal mio scatto animalesco, dopo un po' i suoi occhi sgranati avevano lasciato il posto ad un'espressione compiaciuta e la sua bocca serrata si era allungata a formare un sorriso stupidamente ingiustificato.

"Beh...non sarebbe poi una morte così infelice...Kushina-chan!"

Non ero arrossita.
L'idea non mi aveva nemmeno sfiorata, ma mi ci era voluto del tempo per accettare il fatto che il mio prigioniero, contrariamente a qualsivoglia aspettativa, se ne stesse a sghignazzare allegramente invece di tremare come una foglia. Tempo che fu più che sufficiente per permettergli di divincolarsi dalla mia presa e di allontanarsi rapido per proteggersi dalla pericolosa esplosione della mia furia.

"Tu...non chiamarmi in modo così confidenziale, da adesso in poi io e te siamo rivali...hai capito? Namikaze no baka!"

Glielo avevo urlato talmente tanto forte che dovevano avermi sentito in ogni angolo del paese del Fuoco.
Con una rabbia tale da spaventare persino il più temerario degli individui ed un'intensità così soffocante da stupirmene io stessa.
Ma lui non aveva risposto nulla. Si era limitato a sorridermi mentre la sua risata si perdeva nel vento.
Fu proprio allora che capii che non mi sarebbe mai andato a genio.






"Lo odiavo e odiavo anche di più quel suo sorriso, così perfetto da darmi la nausea."






Da quel preciso istante non avevo fatto altro che allenarmi al solo scopo di sconfiggerlo.
Era diventato la mia ambizione, la mia ossessione, il mio chiodo fisso.
Ma per quanto potessi migliorare, lui era sempre lì a mostrarmi la sua superiorità, accettando tutte le assurde competizioni che gli sottoponevo ed affrontandole in maniera impeccabile, costantemente vincitore.
A dispetto degli innumerevoli fallimenti, però, io non demordevo ed imperterrita perseguivo il mio obiettivo, certa che prima o poi l'avrei raggiunto.
Volevo riconquistare il mio primato, riappropriarmi del mio orgoglio perduto, ma cosa ancora più importante, volevo che sul suo volto si dipingesse un'espressione diversa dalla solita aria imperturbabile e composta.
Volevo vederlo contorcersi per la vergogna, incapace di accettare la sconfitta, mostrare tutta la sua rabbia e la sua frustrazione.
Volevo che urlasse, strepitasse, piangesse perfino, non tanto per un crudele proposito di vendetta, quanto piuttosto per accertarmi che fosse capace di provare emozioni. Di palesare i suoi sentimenti piuttosto che nasconderli.
Perchè nonostante l'avessi visto sorridere tante volte, non avevo notato alcuna allegria nel suo sguardo.
Ed il fatto che nessuno sembrasse accorgersene, ignorando bellamente tutta l'artificiosità di quel gesto meccanico in risposta alle lodi e agli apprezzamenti che puntualmente gli rivolgevano, non soltanto mi risultava inspiegabile, ma anche piuttosto stupido.
Lasciarsi raggirare così facilmente da un paio di moine ben studiate non era affatto nel mio stile e, sebbene quel suo irritante teatrino fosse riuscito a convincere ogni essere capace di respirare che avesse avuto a che fare con lui anche solo per cinque minuti, io quella sua recita non me la sarei mai bevuta.
Quel ragazzo all'apparenza così perfetto, in realtà celava più difetti di quanti avesse voluto far credere.
Era una convinzione che avevo maturato da un po' di tempo e di cui ero assolutamente certa, nonostante non avessi trovato molte prove a sostegno di quella tesi che, a detta di molti nel mio e nel suo villaggio, appariva decisamente sconclusionata.
Però, testarda com'ero, non sarei mai stata disposta a confutare un'ipotesi che io stessa avevo elaborato, per di più basandomi esclusivamente su semplici dicerie.
Quel moccioso spensierato che aveva osato baciarmi in quella mattina assolata, era ancora da qualche parte dentro di lui e sembrava ricomparire sempre, ogni maledettissima volta avevo la disgrazia di trovarmelo di fronte.
Si divertiva a punzecchiarmi, ad indispettirmi aggiungendo imperterrito quell'odiosissimo "chan" dopo il mio nome, nonostante l'avessi minacciato di morte o con punizioni anche peggiori, caricandolo di una cadenza tutta particolare, insopportabilmente derisoria, che mi sarebbe stato possibile riconoscere tra mille.
Non eravamo grandi amici, tantomeno eravamo mai riusciti ad intavolare una conversazione pacifica anche solo per salvare le apparenze, perciò ero praticamente sicura che tutta quella dimostrazione di familiarità gli servisse unicamente per prendersi gioco di me che, al contrario, mi ostinavo cocciutamente ad usare il suo cognome o, a scelta, una sequela di epiteti non proprio aggraziati.
Perciò era evidente che quella personalità controllata ed irreprensibile, confrontata con gli atteggiamenti irriverenti e canzonatori di cui ero unica testimone, non potesse essere altro che una ridicola messinscena per raggirare i poveri deficienti che avevano la sfortuna di assistervi o, cosa molto più probabile, un piano ben congeniato per farmi impazzire.
Ma se pensava di poterla fare franca, si sbagliava di grosso.
Perchè io l'avrei smascherato. In un modo o nell'altro.






"Lo odiavo e odiavo anche di più quel suo sorriso, così inspiegabilmente provocatorio da risultarmi insostenibile."






Neanche sedici anni ed ero già Jonin.
Certo la guerra ed il bisogno impellente di soldati mi avevano facilitata, ma tutto sommato rimaneva un gran bel traguardo. Specie considerando tutta la fatica e tutti i sacrifici che avevo dovuto sopportare per raggiungerlo. E la necessità di allontanarmi dal mio amato paese per addestrarmi in una terra completamente sconosciuta, abitata da persone che, non sempre, vedevano di buon occhio gli stranieri, rientrava indubbiamente nella categoria.
Perciò quel pomeriggio fresco, con il vento a solleticarmi i capelli infuocati, pura espressione del mio animo secondo il parere di quanti mi conoscevano, me ne stavo inebetita a fissare i cartelloni fuori dall'accademia di Konoha, su cui facevano bella mostra di sè i risultati degli esami appena conclusi.
Come se, vittima di una specie di incantesimo ipnotico, costretta all'immobilità ed incapace di riappropriarmi di me stessa, non potessi fare altro che leggere ininterrottamente quella singola frase che, da sola, era stata in grado di dare una svolta decisamente positiva ad una delle tante giornate mediocri che ero stata costretta a trascorrere lontana dal mio villaggio.
Non che quel soggiorno forzato fosse stato così disastroso.
A dispetto della diffidenza iniziale, avevo avuto la possibilità di apprendere tantissime tecniche interessanti e di fare la conoscenza di persone altrettanto piacevoli, di cui avrei certamente sentito la mancanza, ma era ovvio che niente avrebbe potuto reggere il confronto con l'insperata opportunità di fare finalmente ritorno a casa.
Così, impreparata a fronteggiare una felicità di tale portata, non riuscivo a fare nient'altro che continuare ad osservare quei fogli con gli occhi spalancati fino all'inverosimile, respirando solo per semplice necessità, incurante degli schiamazzi e delle grida di giubilo o disperazione degli altri ninja che mi circondavano.

"Mi dispiace tanto Tadashi!"

A parlare era stata Natsumi, una delle tante voci del coro che, forse grazie alla mia buona stella, era riuscita ad elevarsi al di sopra delle altre e ricatturare la mia attenzione, salvandomi dal ridicolo stato catatonico in cui ero piombata e regalando qualche altro momento di vita ai rimasugli della mia reputazione.
Ragazza dai corti capelli neri, abile kunoichi nonchè mia migliore amica, cercava di consolare il ragazzo poco distante da lei.
Intento ammirabile, senza alcun dubbio, ma anche parecchio inutile.
Un tipo solare e spensierato come Tadashi non avrebbe mai potuto deprimersi per una cosa del genere. Conoscendolo, a meno che la faccenda non riguardasse la possibilità di saltare il pranzo, l'avrebbe sempre risolta scrollando le spalle e ridendoci su.
Quindi il suo menefreghismo non mi aveva stupito più di tanto, almeno non quanto l'assoluta inadeguatezza degli incoraggiamenti di colui che, al contrario, avrebbe dovuto riceverli.
Si perchè l'espressione affranta che svettava sul viso chiaro dai lineamenti gentili e l'atteggiamento disinvolto e pacato dell'altro dalla carnagione abbronzata davano ad intendere non solo che Natsumi stesse miseramente fallendo nel suo proposito, ma che addirittura fosse lei ad essere stata appena bocciata. Eventualità altamente improbabile, dato che lei l'esame non l'aveva neanche sostenuto.
Eppure dopo un po', contrariamente a tutte le leggi del buon senso e della coerenza, totalmente dimentichi del motivo che li avesse portati davanti alle sopraccitate iscrizioni, quei due trotterellavano verso uno dei tanti ristoranti di Konoha alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfare il vorace appetito di Tadashi e di un pretesto che consentisse a Natsumi di passare un po' di tempo in sua compagnia.
Io d'altro canto avevo accantonato la possibilità di seguirli, rifiutando fermamente l'opportunità di aggregarmi alla loro esigua combriccola e, benchè avessero tentato più volte di convincermi a partecipare a quei festeggiamenti improvvisati, avevo preferito rimanere da sola a rimuginare sul mio affezionato cartellone. Non perchè fossi un'asociale o disdegnassi particolarmente gli eventi mondani, tutt'altro, ma l'idea di essere attorniata da sorrisi smaglianti e sguardi languidi, talmente zuccherosi da far venire il voltastomaco anche a gente distante chilometri, non mi pareva certo la maniera ideale di trascorrere il resto della giornata.
E sorprendentemente c'era ancora chi si chiedeva perchè alla mia età mi ostinassi a snobbare ogni genere di faccenda amorosa...

"Promossa anche tu...i miei complimenti, Kushina-chan!"

Uno sviluppo imprevisto che mi aveva repentinamente indotto a pentirmi della mia precedente scelta.
D'un tratto la prospettiva di farmi venire uno shock glicemico o persino l'essere sbranata da un branco di lupi non mi parevano più così terribili, almeno non se comparate a quella di incontrare il mio acerrimo rivale e di scambiarci anche solo due parole in croce.
Nonostante la maggior parte delle volte fossi io a rivolgergli la parola e a cercare lo scontro, proponendogli ogni genere di sfida, in quel momento desideravo soltanto rendermi invisibile e rintanarmi in un angolo tranquillo a godermi in solitudine la mia gioia, preservandola dall'inopportuna contaminazione dei suoi interventi sarcastici.
Però, evidentemente, qualcuno lassù doveva avere un qualche conto in sospeso con la sottoscritta, perchè non solo non ero riuscita a realizzare il mio progetto, cercando invano di allontanarmi fingendo di non averlo affatto sentito, ma, senza neanche sapere come e perchè, mi ero ritrovata a stringergli la mano in cima al monte degli Hokage.
Solo poi avevo compreso che il genio, accortosi della presenza di un manipolo di adolescenti disturbate, aveva pensato bene di nascondersi, evitando le patetiche scenate di gente che nella pubertà doveva essersi giocata il cervello in cambio di un sovradosaggio di estrogeni.
Una bella trovata davvero, soprattutto se si aveva a cuore la pace cittadina.
Peccato che, inconsciamente o meno, avesse finito col coinvolgere anche me.

"Di un po'...vuoi così tanto che io ti uccida Namikaze?"

Con uno strattone deciso, avevo spostato la mia mano da quella sgradevole posizione per riportarla verso lidi più innocui, indirizzandogli un'occhiata in tralice che definire inquietante sarebbe stato decisamente poco, in attesa di un argomento abbastanza valido da impedirmi di mettere in pratica il mio avvertimento.

"Non è esattamente tra le mie priorità. Ma, potendo scegliere, credo che morire tra le tue braccia sarebbe un compromesso accettabile."

Normale amministrazione.
Ormai ero così abituata a quei suoi commenti svenevoli, formulati, ci avrei scommesso, col solo intento di darmi noia, da lasciarmeli facilmente scivolare addosso. E infatti stavo già per rispondergli a tono, sancendo irrimediabilmente l'inizio di uno dei nostri movimentati botta e risposta e la fine del mio pomeriggio solitario all'insegna della serenità, quando una brusca folata di vento aveva sconvolto tutti i miei piani e, quasi come se fosse stato lui stesso a guidarla, aveva permesso che una ciocca dei miei capelli gli finisse tra le mani.
Fin qui niente di ingestibile.
L'avrei recuperata prima che potesse vigliaccamente tirarmela, lasciandolo poi sanguinante a pentirsi dei suoi peccati. Ma il fatto che potesse invece portarsela all'altezza del viso per poggiarvi impunemente le labbra, quello non l'avrei mai previsto.
Però non ero arrossita.
Non ci sarebbe stato uno e dico uno straccio di motivo per cui avessi dovuto farlo e quell'intenso colorito bordeaux che aveva improvvisamente scelto di colorarmi la faccia, rendendola quasi indistinguibile dalla chioma incriminata, doveva essere di certo una conseguenza della prolungata esposizione al sole cocente di quella giornata o magari, alla inutile maratona in cui mio malgrado quell'esagitato dal cervello di un'oca mi aveva trascinata per sfuggire alla furia di quelle sgallettate in calore che si professavano sue devote ammiratrici.
Poco importava che la mia carnagione fosse troppo poco delicata per risentire degli effetti dei raggi di un tramonto autunnale o che l'addestramento ninja prevedesse l'assoluta incapacità di avere il fiatone dopo una corsetta di pochi minuti.

"Baka!"

Gli avevo urlato fuori di me, dopo un attimo di ragionevole smarrimento.
E dopo avergli sferrato uno dei miei migliori sinistri, avevo intrapreso la via del ritorno.
Eppure quando mi ero voltata nuovamente nella sua direzione, per accertarmi della buona riuscita del massacro, invece di una vittima agonizzante, avevo scorto solo una sagoma seduta scompostamente sul terreno, con un sorriso talmente luminoso da far impallidire lo spettacolo del sole morente.
A quel punto capii davvero quanto la sua idiozia non avesse limiti.






"Lo odiavo e odiavo anche di più quel suo sorriso, così bello da togliere il fiato."






Poi avevo finalmente rivisto la mia amata Uzu.
Ma era stata una visita piuttosto breve, dato che quasi pochi giorni dopo il mio rimpatrio, ero già in marcia verso la prossima missione. Missione che, guarda caso, richiedeva la collaborazione dei ninja di Konoha.
Una strana coincidenza che si era ripetuta spesso e volentieri e per cui avevo trovato una sola spiegazione plausibile.
Nella mia vita precedente dovevo aver fatto qualcosa di veramente orribile per guadagnarmi un kharma così negativo.
Così, in parte rassegnata, costantemente sull'orlo di una crisi isterica, avevo dovuto accettare il mio destino avverso e prodigarmi con tutte le mie forze affinchè uno dei miei kunai non si conficasse accidentalmente al centro della sua fronte bacata durante una delle nostre amabili conversazioni.
Un impegno piuttosto gravoso, considerando che non era mai passato un solo giorno che non avessi avuto la sventura di scontrarmi con il suo brutto muso.
Era diventata una specie di sadica routine.
Ci incrociavamo, lui mi istigava, io mi inalberavo e finiva sempre con lui per terra tramortito dall'espressione cruenta della mia simpatia e con me che mi allontanavo, dedicandogli apprezzamenti irripetibili.
Una scenetta quotidiana a cui ci eravamo progressivamente abituati.
Perciò era perfettamente normale la sensazione di disagio e di irrequietezza che provavo nelle rare volte in cui non potevamo simularla.
Lui era il mio rivale, quindi era lampante che il mio desiderio di vederlo dipendesse esclusivamente dalla mia volontà di dargli battaglia o, in alternativa, da quella di usarlo come personale antistress per sfogare un po' di frustrazione. Ed il fatto che lui mi assecondasse, cercando a sua volta la mia vicinanza, doveva essere un'ulteriore segno della validità della nostra interminabile competizione.
Perchè con quell'infaticabile ironia a contraddistinguere i tratti ormai adulti, sembrava se la spassasse un mondo a disintegrare la mia già stentata pazienza.






"Lo odiavo e odiavo anche di più quel suo sorriso, così indispensabile da sentirne la mancanza."






"Namikaze no baka"

Credo fosse diventata la mia frase ricorrente da un paio di giorni a quella parte.
La mormoravo in continuazione, con tonalità più o meno infuriate, mentre lo osservavo giacere incosciente in quel letto d'ospedale. Complice l'improvviso acquazzone che disturbava la quiete di quelle stanze e stabiliva l'effettiva impossibilità di beneficiare di un rassicurante cielo stellato, il mio umore peggiorava a vista d'occhio ed ogni contatto delle goccie sul vetro sottile delle finestre non faceva che esacerbare la situazione. Ma quello che mi mandava più in bestia era il pensiero che, in qualche modo, fossi stata proprio io ad averlo ridotto così.
Certo, se a lui saltava in mente la brillante idea di comportarsi da scudo umano, prendendosi in pieno un colpo indirizzato a qualcun'altro, non era affatto colpa mia. Però magari se avessi prestato più attenzione, sarei riuscita per tempo ad accorgermi di quell'attacco a sorpresa e allora lo stupido non avrebbe avuto alcuna occasione per ostentare il suo inappropriato spirito cavalleresco.
Purtroppo però le cose erano andate diversamente e ora non potevo che starmene impotente ad aspettare che si risvegliasse, elaborando mille e uno modi per rispedirlo in coma nel tentativo di ammazzare il tempo.
Non solo non gli ero per nulla riconoscente di avermi salvata, ma non gli avrei neanche mai perdonato la sfrontatezza di quel gesto con cui aveva apertamente dimostrato quanto poco tenesse in considerazione le mie abilità di ninja. Mi aveva trattata come una di quelle stucchevoli damigelle in pericolo dalla lacrima facile e dalla perversa attitudine a cacciarsi nelle circostanze più contorte per il solo gusto di farsi soccorrere dall'eroe di turno e gridare adoranti il suo nome, senza motivazione apparente.
Uno smacco considerevole per la mia autostima, che ero intenzionata a fargli pagare a caro prezzo.

"Kushina...chan? Stai bene?"

Avevo alzato di scatto la testa, abbassatasi senza controllo per le ore di sonno arretrate, specchiandomi finalmente nelle iridi azzurre, spossate e un po' sorprese.

"Tu stavi per morire e chiedi a me se sto bene? Devi smetterla di comportarti da figo, Namikaze no baka!"

L'idea che le mie urla avrebbero fatto accorrere i tre quarti del personale medico e non e spaventato a morte la restante parte dei pazienti in grado di sentirle, non mi aveva minimamente preoccupata. Erano settimane che non dava segni di vita. Non c'era un solo osso del suo corpo ad essere rimasto intero, ne alcun lembo di pelle col suo colorito naturale e, adesso che aveva riaperto gli occhi, persisteva nella sua ridicola imitazione dell'uomo d'acciaio.

"Ok lo terrò presente...credo che sarebbe parecchio seccante farmi uccidere da qualcuno che non sia tu."

Non so tutt'ora cosa mi avesse trattenuto dal rispedirlo nel mondo dei sogni e dal farcelo rimanere per un bel pezzo.
Probabilmente era stata la mia spiccata integrità morale ad impedire che mi accanissi su un avversario debole e privo di difese oppure il mio istinto di autoconservazione aveva dato il meglio di sè per scongiurare l'insorgenza di polemiche con un essere dalle capacità logico-cognitive prossime allo zero, nell'eventualità che la scemenza potesse risultare contagiosa.
Fatto sta che il mio corpo aveva iniziato a muoversi senza alcun controllo della mia parte razionale e adesso sembrava che piovesse anche al coperto.

"Baka! Baka! Baka...Namikaze no baka!"

Era tutto quello che riuscivo a sussurrare tra un singhiozzo e l'altro, preda di una collera che non avrei saputo sfogare in nessun altra maniera.
Perchè io piangevo per rabbia, ovviamente. Non certamente per il sollievo di veder ricomparire, sbiadito dalla mia visuale offuscata, quell'imperdonabile sorriso odioso ad accompagnare i movimenti incerti del braccio dolorante, e ancora un po' intorpidito, che cercava di asciugarmi le lacrime.
E se soltanto fossi stata in piena forma, ero sicura che quel contatto proibito avrebbe trovato una più giusta ricompensa.
Tuttavia la mano che avrebbe potuto colpirlo, che avrebbe dovuto colpirlo, gli si era avvicinata con gentilezza, quasi tremante, e si era poggiata veloce a stringere la stoffa della vestaglia all'altezza del petto, quasi per accertarsi della regolarità dei battiti del suo cuore. Battiti che si ritrovarono ad accelerare abbondantemente quando le mie labbra avevano delicatamente sfiorato le sue.

"Così impari, baka!"

E mentre guardavo il suo viso imporporarsi sempre più intensamente, sul mio si faceva strada un sorriso soddisfatto, al pensiero che le parti, almeno per stavolta, si fossero invertite.
Fu in quel preciso istante che capii il mio errore.





"Si, lo odiavo e non sapevo di mentire a me stessa"




Fine  






Salve gente! Si, so già quello che vorreste dirmi e ne avreste tutto il diritto dato che sono mesi che non aggiorno Fh e adesso me ne esco con questa stupidaggine, ma vedeteci il lato positivo...finalmente ho ripreso a scrivere visto che in questi mesi la tastiera non l'ho vista neanche di striscio! Di questo ringraziate (o a scelta prendetevela...si, lo so sono un asso a scaricare le colpe sugli altri :P) con izayoi007 che mi ha spronata a riprendere le mie "attività" e senza il cui preziosissimo aiuto questa shot non avrebbe mai visto la luce (ti ringrazio ancora per il betaggio) ed il mio esaurimento mai visto la fine.
Mi auguro che questa Kushina vi sia piaciuta visto che è il modo in cui io me la immagino (non so su quali basi...ma la vedo così) e che mi abbiate riconosciuta tra le adolescenti (mica tanto -__-'') disturbate che inseguivano Minato *__*. Il resto lo lascio dire a voi, sperando che non siate troppo severi XD. A presto

        Rie_chan                



  
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