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Autore: arsea    11/10/2016    4 recensioni
Lo vide sbiancare ancora di più se possibile, cereo: "Cosa vuoi fare?" domandò spaventato "Non è la prima volta, Charles. È sempre così: ci incontriamo, ci amiamo e io rovino tutto. Mi dispiace… mio Dio… mi dispiace" "Cosa stai dicendo?" gli prese la destra, così debole, oh, così morbida, e la incatenò alla sua "Fidati di me" disse "Ti troverò" lo baciò mentre teneva la sua mano, lo immobilizzò con quel bacio e prima che potesse fermarlo affondò il pugnale dritto nel suo cuore
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Emma Frost, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole arrossava il cielo del tardo pomeriggio, lambendo l’orizzonte coi suoi raggi pigri mentre lui raccoglieva il cesto di vimini con le offerte e usciva dalla casa di pietra.
La donna camminava a pochi passi di distanza, un vestito pulito seppur semplice di stoffa azzurra che le fasciava il corpo minuto e la treccia di capelli bruni coperta in parte da un pudico velo fermato sulla sommità del capo da una spilla di bronzo.
Gli sorrise quando vide il suo sguardo, tese una mano che lui prese automaticamente, cercando di farlo come doveva.
Sposarla era stata una necessità più che una volontà, uno dei suoi compiti quale lo era stato il lavorare i campi o il cacciare, e come tale lo aveva assolto.
Raggiunsero la collina dove altri si erano già raccolti, riconobbe i visi del villaggio ma anche molti sconosciuti, stranieri che come sempre si riunivano in quell’occasione speciale.
La donna prese il paniere che lui teneva e lo posò a terra, aiutandolo a togliersi la camicia per rivelare il corpo temprato e sfilando con un sorriso timido il pugnale che teneva al fianco per avvolgerlo in un panno e poi nasconderlo nel proprio grembiule, poi si avvicinò ancora e lo baciò sulle labbra << Torna da me >> si raccomandò, lui assentì una volta sola, poi avanzò insieme agli altri uomini verso la sommità della collina.
La Caccia segnava la fine dell’anno, colui che trovava e uccideva il cervo sacro avrebbe benedetto la sua famiglia e il suo villaggio per quello a venire, e Erik sapeva bene che in quanto figlio del capoclan spettava a lui vincere contro gli stranieri, come era avvenuto le ultime due volte.
Si era fatto un nome per questo, una reputazione da mantenere, eppure la cosa che lo muoveva in realtà era ben un’altra...
Raggiunse lo spiazzo della cerimonia, alte pietre degli antichi svettavano come porte dell’ignoto sul prato bagnato dalla nebbia dell’imbrunire, e a combattere contro l’oscurità alti e ampi fuochi erano stati accesi tutt’intorno, spandendo nell’aria l’odore famigliare della legna bruciata e quello più alieno dell’incenso e delle erbe rituali.
Il suo sguardo fu focalizzato da un gruppo di tredici ombre proprio al centro, tuniche grigie fermate da cinture nere, uguali sia per maschi che per femmine, e con il cuore in gola vide lui.
Era alla destra dell’Alto Sacerdote, il capo rispettosamente chino e i capelli fermati da una corona di fili d’erba intrecciata, così da lasciare scoperta la pelle bianchissima del volto.
Non vedeva gli occhi a quella distanza, la volontà di avvicinarsi era così forte che avanzò di un audace passo, costringendosi poi a tornare al suo posto mentre i druidi raccoglievano le conche d’argento e si dirigevano verso i giovani come lui in attesa.
Nessuno parlò in quel silenzio, solo un tamburo scandiva il passare del tempo, oppure era solo Erik che non ascoltava il Sacerdote parlare e il tamburo era il suo cuore.
Prese il fango blu dal primo e si tinse la faccia e il petto in lunghe e larghe strisce, prese il sangue dal secondo e disegnò le rune sacre sulla sua fronte e sul suo cuore, ma quando arrivò l’acqua e lui gli porse il calice d’argento perché ne bevesse le loro mani si sfiorarono e per poco il liquido non si rovesciò a terra.
Gli occhi di fiordaliso lo guardarono spalancati di qualcosa molto simile al terrore, le sue labbra sanguigne tremavano palesando ancora di più la sua giovane età, e la sua voce uscì fievole come un refolo di vento in primavera quando parlò:  << Perdonami >> soffiò, porgendo di nuovo la sua offerta.
Erik bevve da lui, sotto quello sguardo incredulo e ingenuo riscaldò le sue mani fredde tra le proprie, e nel tempo di quell’unico sorso parve che avessero consumato un bacio << Grazie, Charles >> sussurrò in rimando, vedendolo scappar via verso il successivo.
 
Era la prima volta in assoluto che non sognava la loro morte.
Era assurdo a pensarci bene, visto che avveniva proprio dopo il loro primo litigio, ma forse era il modo che il suo cervello aveva per tranquillizzarlo dopo una delle giornate peggiori della sua vita.
Non aveva propriamente dormito.
Ricordava il giorno prima dopo che aveva lasciato Westchester, come una sorta di miscuglio indefinito di senso di colpa, rabbia repressa e rimorso straziante.
Una parte di lui voleva solo tornare strisciando da Charles e supplicarlo di dimenticare quello che aveva detto, ma la più grande era semplicemente furiosa, per la sua arrendevolezza e sottomissione, per quel suo temere qualcosa che avrebbe dovuto invece temere lui.
Non riusciva a sopportare che il suo orgoglio riuscisse a convivere con... con tutto quello.
Lo aveva odiato quando lo aveva visto prendere l’ennesima pillola di veleno. Era stato insopportabile.
Eppure non riusciva a dimenticare nemmeno la sua supplica, l’impotenza e la vergogna che aveva visto nei suoi occhi e che lo avevano fatto desistere dal continuare.
Le sue parole erano state crudeli, sapeva esattamente dove colpire del resto, ma non riuscì a volergliene per questo, non sapendo per certo che si era infuriato con lui solo e soltanto perché poteva.
Quel che gli biasimava era il suo assoluto non agire.
Perché permetteva a Cain di torturarlo? Perché restava in quella casa? Cosa lo tratteneva?
La verità pura e semplice era che Charles aveva ragione: non lo conosceva, tre settimane non gli davano alcun diritto.
Ma non lo aveva forse saputo anche prima di parlare? Ma come non parlare dopo quel che aveva visto?!
Si sollevò in piedi ripensando ancora una volta al sogno che lo aveva svegliato quella mattina, non aveva pensato a molto altro per tutto il giorno, finendo persino a rimpiangere il suo ufficio visto che non aveva niente a tenerlo occupato.
Cominciò a cucinare solo per noia, o esasperazione, finendo così per preparare per sé un buon risotto alla zucca, anche se la cosa più piacevole fu proprio avere la mente rivolta ad altro per quaranta misericordiosi minuti.
Mangiò davanti alla televisione, saltando da un canale all’altro stracolmo di repliche di film natalizi e pubblicità di uomini e donne sorridenti, bevve la birra importata che Emma gli aveva fatto trovare sulla porta come regalo e la fece seguire da del buon gin per passare la serata senza ulteriori pensieri, e stava giusto decidendo quanto fosse patetico bere ancora lì da solo quando qualcuno suonò il campanello.
Decise di non aprire.
Chiunque fosse poteva importunare qualcun altro per quella notte.
Ma chi poteva essere la sera di Natale?
Di nuovo un trillo, poi il qualcuno bussò, ripetutamente, infine una voce: << Erik, so che sei dentro >> Charles?
Si ritrovò in piedi prima ancora di deciderlo e dopo un istante era alla porta.
Quando i loro sguardi si incrociarono gli parve di avere davanti il ragazzo del sogno, quel poco più che fanciullo spaventato e sperduto, il suo cuore si strinse in una morsa atroce, tanto che il suo fiato si spezzò a metà di un respiro << Posso entrare? >> chiese, voce roca e fioca, fu quella a tradire per prima il fatto che avesse pianto, solo dopo quella Erik notò le guance irritate e gli occhi arrossati, e provò un doloroso senso di protezione nei suoi confronti.
Avrebbe voluto avvicinarsi e abbracciarlo, immaginò di cingere quelle spalle sottili e nasconderlo al resto del mondo, invece indietreggiò di un passo con un mormorio d’assenso, incapace di parlare semplicemente perché niente di quel che voleva dire poteva essere detto.
Fu Charles a fare tutto.
Lui divorò la distanza che li separava in due brevi falcate, lui lo afferrò per il bavero e si inerpicò su di lui per raggiungere le sue labbra e infine premerle sulle proprie.
Erik non riuscì a far altro che assecondarlo, l’esigenza del telepate era così veemente che lo fece indietreggiare fino alla parete mentre la lingua febbricitante chiedeva il permesso di entrare, e nell’incontrarla con la propria Erik sentì il sapore amaro dell’alcol e del tabacco, quel gusto che già nella sua memoria significava Charles, perciò ebbe bisogno di ogni molecola del suo autocontrollo per prendere quelle mani e allontanarlo da sé.
Solo qualche centimetro, solo per poterlo guardare, solo il sufficiente a far scontrare i loro petti ansimanti ad ogni respiro << Solo un attimo >> si costrinse a dire mentre Charles si tendeva di nuovo verso di lui.
Le iridi turchesi erano vitree, colme di desiderio ma non abbastanza da soppiantare il dolore delle lacrime << Sei ubriaco, Charles? >> << No >> lottò con la sua stretta, lo lasciò andare e lo vide liberarsi della giacca scura con gesti spazientiti << Sicuro? >> la gola di Erik era stretta e secca, lui stesso era incredulo di riuscire ancora a formulare pensieri coerenti.
Charles si avvicinò ancora, insinuò una gamba tra quelle di lui e si premette contro la sua coscia, allungandosi fino al suo orecchio << Sicuro >> affermò con fiato bollente.
Erik si aggrappò alla parete, chiuse gli occhi e richiamò alla mente i propri giuramenti anche se il calore di Charles sulle sue labbra minacciava di farlo capitolare << Vuoi amore o sesso da me? >> chiese, la voce a metà tra una supplica e un ringhio.
Non era sicuro di poter offrire il secondo senza il primo, ma se Charles glielo avesse chiesto lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa se Charles glielo avesse chiesto.
In risposta il telepate lo baciò ancora, ed Erik era solo carne per Dio, e niente e nessuno può resistere a qualcosa di simile.
Sentì le dita fredde insinuarsi sotto la maglietta mentre lui lo stringeva a sé, troppo incredulo per quella situazione per capacitarsi di averlo davvero tra le braccia, si lasciò spogliare senza osare fare altrettanto, perché quello era Charles, era l’uomo della sua vita, di tutte le sue vite, e sotto la gioia e il desiderio e il sesso era anche mortalmente terrorizzato di mandare tutto al diavolo << Mi vuoi così tanto... >> lo sentì mormorare, un altro bacio, tanti piccoli baci mentre Erik scivolava a terra e Charles con lui, il primo seduto e l’altro cavalcioni sulle sue gambe sollevate, così che i loro centri pulsanti fossero a brevissima distanza per quanto ancora completamente coperti dai pantaloni << Nessuno mi ama come te >> con mani tremanti raggiunse il suo colletto slacciato e continuò a guardarlo per tutto il tempo mentre apriva un bottone dopo l’altro della camicia inamidata, titubante, quasi si aspettasse che lo allontanasse da un momento all’altro.
Charles sorrideva e aveva gli occhi lucidi.
Charles aveva il petto ampio e la vita stretta, la pelle bianca come il latte e la pancia piatta e liscia pur senza un solo muscolo in evidenza << Sei bellissimo >> lo disse perché non poteva non farlo.
In quella posizione il più giovane era più alto di qualche centimetro, una postazione privilegiata per entrambi a dire il vero, perciò si tese verso di lui come un assetato fa all’acqua per accogliere di nuovo la sua bocca sulla propria, e le sue dita trai capelli, e quel profumo di sapone e tabacco che poteva fargli dimenticare il suo stesso nome.
Scese a baciare il collo teso, assaggiò quella pelle finora solo sognata, lo adagiò sul tappeto sotto di loro e l’altro lo lasciò fare come una palla di creta nelle mani di un artista.
Lo liberò della cintura e per la prima volta gli occhi tradirono paura oltre che... cos’era che brillava negli occhi di Charles?
Lo carezzò e vezzeggiò fino a vedere le palpebre abbassarsi languide, ogni resistenza abbandonò il corpo dell’uomo che aveva rubato il suo cuore, per questo quando lo spogliò del tutto non ci fu alcuna pudica censura, niente e nessuno nascose al suo sguardo quel che aveva davanti.
Il suo fiato si mozzò ancora, il suo cuore batteva così veloce da dolere contro la cassa toracica, e fu lui a sentirsi gli occhi lucidi adesso, era così felice, così meravigliosamente felice che comprendeva senza alcuna incertezza quel che aveva spinto gli altri se stesso ad andare incontro alla morte.
Cosa importava la sofferenza?
Cosa erano mai ventisette anni di tormento se alla fine poteva aver quello come ricompensa?
Non bastava una vita sola, non sarebbero bastate nemmeno cento vite, e ognuna d’esse valeva la pena d’esser vissuta se era accanto a quel capolavoro << Non guardarmi così >> lo rimproverò, malizioso comunque, lascivo, l’uomo sicuro di sé che poteva essere sempre e che invece lasciava risalire solo qualche volta.
Si sollevò a sedere con gesti languidi, torpidi di lussuria, e sciolse il laccio del suo pantalone da tuta, insinuandovi la mano senza distogliere lo sguardo da lui nemmeno per un istante.
Erik esalò, il sorriso che di nuovo piegò le labbra carminio non riuscì a nascondere del tutto due gocce salate che scesero sul suo volto, e fu così bello quel dolore incomprensibile, fu così squisitamente straziante quella vista che Erik avrebbe potuto farne un’ossessione.
Amava quelle lacrime sul volto di Charles, era un pensiero orribile ma non riuscì a reprimerlo, proprio come non riuscì a fare nulla contro quelle dita spudorate che lo solleticavano.
Il telepate si avvicinò ancora, tornò a sovrastarlo e Erik lo assecondò accogliendo quelle natiche nude sulle proprie cosce troppo vestite, cinse i suoi fianchi sottili con le mani mentre si faceva più preciso, più esigente, e serrò le palpebre per non cedere a quel piacere troppo presto << C-Charles >> esalò a mezza voce, non sapeva nemmeno lui perché, un richiamo, una preghiera, che fu esaudita con solerzia dalle labbra truccate di salato << Amo il modo in cui lo dici >> sussurrò mentre lo baciava, mentre lo stringeva, mentre lo piegava << Amo il fatto che mi ami >> raggiunse il suo intimo e lo toccò di rimando, pizzicò le sue corde con delicatezza per vederlo inarcarsi in una curva perfetta nel buio della stanza.
Sapeva dove toccare.
Conosceva la sporgenza appuntita delle clavicole, le sue mani ricordavano esattamente quanto e come avvolgerlo, dove accarezzare e dove premere, quasi che stesse imparando a suonare di nuovo uno strumento già maneggiato in passato.
Non fu facile.
Il corpo di Charles era freddo in tutti i termini in cui poteva esserlo: la pelle sensibile si arrossava con facilità, ogni bacio e ogni tocco poteva essere sufficiente a strappare un ansito logoro, ma non riusciva comunque ad ottenere il risultato che voleva, i piccoli denti affondavano spesso nelle labbra per trattenersi, un fremito fermava le sue mani e il suo corpo si irrigidiva quando Erik diveniva troppo preciso << Puoi lasciarti andare >> gli disse, raccogliendogli le mani quando fu al limite per allontanarle da sé, e le baciò, percorse con la lingua le dita e poi il polso, strappandogli un brivido e uno sguardo di occhi spalancati e increduli.
Lo sollevò con una flessione, perdendosi nel suo cielo azzurro, si lasciò annegare e soffocare, non importava finché era Charles, voleva annullarsi in quell’essere, cedere la sua anima perché quella di lui la sporcasse e risanasse, giacché era l’unica cosa che potesse renderlo davvero di nuovo integro.
Non era come se l’era immaginato. Peggio. Meglio.
Continuò a stringerlo a sé finché non lo adagiò sul letto, la moquette era troppo ruvida per quella pelle sottile, anche se forse era solo lui a pensarlo, e si prese solo un istante per spogliarsi del tutto prima di raggiungerlo di nuovo e affondare il volto in quel corpo magnifico << Va tutto bene, Charles >> disse contro il suo sterno, baciò quel lieve incavo e ripassò con la lingua un’aureola mentre sentiva la sua durezza scontrarsi con la propria << Erik >> fu un suono strozzato, finalmente scomposto, finalmente stonato, si aggrappò a lui come fosse sul punto di cadere << Sono qui >> disse, raccolse una di quelle mani e lasciò che le sue unghie affondassero nelle sue nocche mentre la stringeva, con l’altra invece fece premere il proprio turgore con quello dell’altro, estorcendo in entrambi un respiro lacero dopo l’altro << Sarò sempre qui >> continuò, e lo baciò, lo baciò ancora, era impossibile trattenersi dal farlo, finché il piacere non fu troppo, semplicemente troppo, e tutto quello su cui riuscì a concentrarsi fu il suono dei loro corpi che si stringevano spasmodicamente l’uno all’altro, il suono dei loro cuori assordanti, dei nomi ripetuti come una litania disperata, il minuscolo e assordante rumore delle gocce di sudore che disegnavano ogni muscolo e ogni arto.
Charles fu il primo a venire, un ringhio lacerò la sua bocca e lo soffocò nel cuscino stretto ferocemente ai lati del viso, mentre invece fu proprio quell’ultimo spettacolo a far perdere Erik.
Con uno sforzo non ricadde a peso morto su di lui, riuscì a convincere le sue braccia tese e tremolanti a sostenere il suo peso, riuscì a non perdersi il modo in cui il telepate si abbandonò sul lenzuolo tremante e sfatto, il petto che sussultava ad ogni respiro spezzato e le labbra rosse e gonfie per le cure che aveva riservato loro.
Lo guardava tremare come una foglia del piacere residuo, così bello che avrebbe potuto piangere di una simile visione, e fu senza tempo, senza luogo, un momento che poteva appartenere ad adesso e a sempre, ed era così importante proprio per questo << Mi dispiace >> fu la prima cosa che lo sentì dire, seguita poi da un singhiozzo, un altro, e continuò a tenere le palpebre serrate, come se non riuscisse a guardarlo << A me no >> lo contraddisse Erik, abbassandosi su di lui ancora una volta, languido e pigro come un gatto per leccare quella pelle lucida di loro << Erik! >> finalmente lo guardò, incredulo ed esterrefatto, ma ad Erik non importava, con un gesto volutamente lungo lappò l’addome bagnato d’entrambi e ingoiò senza distogliere lo sguardo da quello di lui, inchiodandolo e lasciandosi inchiodare.
Scese ancora, carezzò le cosce seriche e le scostò con delicatezza per aprirle davanti a sé << Non... non c’è bisogno che tu... >> balbettò l’inglese sollevandosi sui gomiti, spaventato o sconcertato, non sapeva bene quale delle due, ma seppe invece quale fu l’espressione che assunse quando lo prese tra le labbra << Oh Dio Santissimo >> ansimò, ricadendo sul materasso con un lungo gemito << Non posso! Non... Gesù...! >> << Divieni incredibilmente religioso tutto d’un tratto >> lo canzonò Erik ridacchiando, fermando però la sua risposta con un altro tocco di lingua.
Charles si irrigidì ancora, sapeva che lo avrebbe fatto del resto, mentre in contrasto tutto il suo corpo si fece di malleabile gelatina << Niente di impegnativo per stasera. Non sei pronto. Solo qualche giochetto appagante >> << Quello che vuoi. Dio! Non... fermarti... >> Erik obbedì, rise in un brontolio cupo contro il suo turgore, vedendolo tendersi come corda in risposta.
Fu solo allora che percepì per la prima volta la sua voce.
Un gemito, più intenso, più vero, sussurrato direttamente alla sua mente.
Sobbalzò suo malgrado, di sorpresa per un istante, ma sapeva che l’altro avrebbe notato qualsiasi reazione e per questo si affrettò a continuare il suo lavoro certosino.
Charles non parlava perché era la sua mente a farlo.
Rosso, giallo e bianco esplodevano dietro le palpebre di Erik ogni volta che lo sfiorava, colori brillanti e puri come non ve ne sono in natura, lampi che possedevano la consistenza della carne e dei baci << Cazzo >> lo sentì dire d’un tratto, doveva essersi accorto del proprio controllo perduto perché cercò di allontanarsi, di divincolarsi da quella delirante stretta, ma era impossibile giacché prima di tutto doveva vincere se stesso << No... no... no! >> era impossibile perché voleva cedere, lo voleva disperatamente, mentre tutto ciò che Erik voleva era che si fidasse di lui, che capisse che non lo temeva, non lo avrebbe mai temuto, che con lui poteva perdere ogni freno e inibizione.
Anche se ne era terrorizzato.
Ci fu un momento esatto, un istante di attesa esasperata e supplica inascoltata, poi Charles si arrese, non poteva fare altro del resto, e si morse ferocemente un braccio per soffocare il grido che seguì.
Smise di lottare con se stesso, smise di restare immobile, smise di accontentarsi.
Afferrò Erik per i capelli e lo strappò da sé, spingendolo poi sul letto con lo sguardo famelico e vitreo di una belva mentre gli cingeva il capo con i palmi aperti, scatenando sul suo corpo le sensazioni di decine di mani diverse, decine di tocchi e decine di bocche, la sensazione soverchiante di venir raggiunto contemporaneamente in ogni sua parte sensibile.
Non urlò semplicemente perché non possedeva più nemmeno un refolo d’aria nei polmoni.
Meraviglioso e terribile insieme, sentirsi inerme contro quella forza inarrestabile aveva dell’intrigante, ancora di più se poteva specchiarsi senza impedimenti in quelle pozze d’acqua chiara.
Era comunque troppo per entrambi, sensazioni troppo nuove e troppo forti per non travolgerli, e infatti il piacere ben presto schiacciò tutti e due, facendoli venire per un bacio come fossero due ragazzini.
E questa volta né Erik né Charles riuscì a vincere la stanchezza e il torpore, nemmeno il sufficiente a coprirsi con un lenzuolo.
 *
La prima cosa che pensò appena sveglio fu che non era sul suo letto.
Il materasso era troppo duro, il cuscino troppo alto, le coperte troppo sottili.
Eppure non sentiva freddo, il che era strano per uno come lui, ancor di più visto che il termostato dell’appartamento si fermava la mattina presto giacché Raven era fissata con il rispetto dell’ambiente.
Solo allora arrivò la domanda più ovvia e allo stesso tempo più evitata.
Non aveva freddo perché non era solo sul letto, ecco perché.
C’era un’abbondante dose di muscoli e calore a pochissima distanza da lui, no Cristo, pochissima era un eufemismo a dire il vero visto che Charles era letteralmente spalmato sulla suddetta mole.
Nuda.
Cazzo.
Cazzo.
Si tirò su di scatto mentre la notte prima si abbatteva su di lui come un muro fisico, nello stesso momento in cui tutte le sue percezioni, il suo potere non avendo un altro nome per definirlo, spazzava l’intero appartamento e lo faceva boccheggiare.
Erik aprì gli occhi non appena le sue mani mentali lo travolsero, trasalì ma non lo ostacolò, limitandosi a fissarlo preoccupato << Le... le mie pillole >> ansimò Charles, anche se sapeva benissimo di non averle con sé.
Erano a Westchester, nel suo cassetto, lontane mille miglia per quel che potevano essergli utili adesso << Va tutto bene. Tranquillo >> lo vide alzarsi in piedi, quasi due metri di nudi muscoli scolpiti in marmo brunito, ma quando cercò di toccarlo Charles lo evitò, rannicchiandosi su se stesso e tappandosi le orecchie con le mani.
Sentiva le proprie protezioni scricchiolare ogni istante di più, sobbalzò quando la voce della vicina gli trapanò il cranio, e forse Erik se ne accorse perché si chinò su di lui e lo abbracciò, coprendolo con quel corpo troppo grande come volesse creare un muro fisico per qualcosa che di fisico non aveva nulla << Ho bisogno di... devo... >> << Calmati solo un momento. Charles. Mi senti, Charles? >> lo prese per le spalle e lo fece sollevare di nuovo così che potesse guardarlo in volto.
Non si rendeva conto che così assottigliava soltanto il velo che li divideva?
Non aveva paura per l’amor del Cielo?!
Perché Charles ne aveva, eccome, abbastanza per entrambi forse, ma gli occhi grigi invece non ne trasmettevano nemmeno un briciolo << Chiamerò Raven e le dirò di portarti gli inibitori. Nel frattempo... cerca solo di resistere >> si allungò per prendere il cellulare dal comò, ma prima che potesse completare il gesto Charles era dentro di lui, non perché lo aveva deciso ma perché non poteva essere altrimenti, e lo vide rabbrividire prima di voltarsi di nuovo nella sua direzione.
Charles vide se stesso attraverso i suoi occhi, vide la propria paura, il volto cereo, due macchie tanto azzurre da parere dotate di luce propria che trasmettevano senza filtri il puro e semplice terrore che provava << Charles >> fu solo il suo nome, nient’altro, eppure era così carico di... di tutto, che Charles sentì il suo cuore scoppiarne.
Si portò una mano al petto, ansimò, e si piegò in due sopraffatto da quel che Erik provava << Mi dispiace! Oh mio Dio... mi dispiace! >> esclamò quello, lo raggiunse ancora ma non seppe più se toccarlo, Charles sentiva il suo panico come un gusto acre sulla punta della lingua, e d’improvviso aveva l’impressione di non riuscire più a respirare.
Spinse via Erik da sé, si sollevò in piedi e barcollò fino alla porta, ricadendo però contro il muro del corridoio quando lo strillo acuto di qualcuno che non avrebbe dovuto sentire gli risalì lungo la spina dorsale.
Era nudo.
Se ne accorse solo adesso, solo nel sentire la moquette graffiargli le gambe, nudo e vulnerabile come un maledettissimo bambino, incapace anche solo di mettersi in piedi da solo mentre voci sempre più numerose e discordanti rimbalzavano nella sua testa.
Si rannicchiò su se stesso, chinandosi sulle proprie gambe pallide e tremando come una foglia, uno spettacolo a dir poco patetico lo sapeva, eppure era troppo spaventato per fare qualsiasi altra cosa, nemmeno pensare.
Perché era lì innanzitutto? Perché non aveva portato le pillole con sé? Perché era nudo per Dio?!
Conosceva la risposta a tutte queste domande, naturalmente, tuttavia restava dietro un solido muro di cemento che lui stesso aveva costruito, un muro tra se stesso e l’orribile realtà.
Un tiepido peso ricadde sulle sue spalle, una coperta probabilmente, ma a malapena ne fu cosciente << Charles >> << Sta zitto... sta zitto...  >> singhiozzò il telepate << Ho chiamato Raven. Sarà qui tra poco. C’è qualcosa che posso fare per te? >> << Whiskey >> Erik assentì in un mormorio, sentì i suoi passi allontanarsi concitati e poi tornare dopo poco.
Charles si sollevò solo il sufficiente per prendere la bottiglia, ignorò il bicchiere e cominciò a berne lunghi sorsi come se da essa dipendesse la sua stessa vita, ad occhi chiusi, ogni grammo della sua forza concentrato nell’allontanare da sé il resto del mondo.
Non era whiskey ma gin, se ne accorse dopo che si staccò per riprendere fiato, più per l’etichetta che per la sua lingua completamente anestetizzata dall’alcol, e rilasciò un piccolo sospiro di sollievo quando all’intontimento seguì un meraviglioso abbassamento di volume.
Bevve ancora, automatico, si chiese vagamente se fosse sufficiente a fargli del male, ma Erik gli tolse la bottiglia prima che potesse rispondersi << Basta >> accanto a lui c’era un cambio di vestiti accuratamente ripiegato, Charles focalizzò lo sguardo su quello per non pensare al motivo per cui fosse necessario, ma quando si allungò per prenderlo le mani dell’altro lo fermarono ancora << Che succede? Ho bisogno di saperlo >> era preoccupato, non lo aveva mai visto così preoccupato, con una ruga profonda che gli attraversava la fronte << Sto bene >> << Non rifilarmi le tue stronzate >> ribatté Erik trai denti, strattonandolo poi per obbligarlo a guardarlo.
Per un momento si guardarono e basta, Charles assaporò i suoi pensieri, i suoi sta male, oh Dio cosa gli è successo, cosa ho fatto questa volta, assaggiò ciascuna di quelle sensazioni come un gourmet, senza distogliere gli occhi un secondo da quello sguardo composto di minuscole scaglie grigie, azzurre e verdi << Mi fai male >> lo lasciò di scatto, anche se senza smettere di guardarlo << Ti prego Charles. Io... io non capisco >> << Non è necessario che tu lo faccia >> avevano fatto sesso.
Oh sì, proprio così.
Erik ci provava a non pensarci, provava a non ripensare alla sera prima, ma era un ricordo così luminoso dentro di lui, così forte, che Charles non trovò molto altro a governare la sua testa.
Ovviamente Charles lo ricordava. Adesso sì.
Ogni cosa.
Anche il motivo che lo aveva spinto a venire da quell’uomo e approfittarsi impunemente del suo calore e del suo sentimento, trattandolo alla stregua di un fuoco caldo a cui ci si accosta quando si ha freddo e che poi si calpesta una volta che ha terminato il suo scopo.
Erik era una persona, lo amava, e Charles invece lo aveva trattato come una cosa.
Questa volta desiderò il gin per ben altri motivi...
Si tese di nuovo verso il cambio, non trovò impedimenti adesso, e si infilò la maglietta troppo grande con un’imprecazione morsicata << Sei stato tu a venire da me >> disse Erik.
Perché lui era come un treno, non si fermava mai, non capiva e non voleva capire, bruciava e basta senza rendersi conto di che irresistibile richiamo fosse per chi non si sentiva altro che una falena abbacinata << Lo so >> azzannò Charles, cercando di infilarsi anche i pantaloni della tuta senza esporre più di ciò che già aveva esposto in abbondanza.
Era stato gentile.
Erik lo aveva trattato con la massima cura << Mi dispiace, va bene? Ero solo... solo... >> stai morendo, Sharon.
Scosse il capo con veemenza, afferrò di nuovo il collo della bottiglia sul pavimento e bevve ancora, ingoiando con il liquore anche quella voce molesta.
Non doveva pensarci, non adesso << Charles >> << Smetti di dire il mio nome! >> gridò il telepate a quel punto, esasperato da...da... tutto!
Da quel sentimento cristallino e soffocante che non poteva ricambiare, dalle voci di sottofondo che continuavano imperterrite, dal proprio cuore che gridava per la sua attenzione!
Non riusciva a respirare << Come devo chiamarti? >> non era arrabbiato, anzi, c’era un lieve sorriso su quella bocca avara, e ancora una volta in quell’uomo che pareva composto di ferro e ghiaccio Charles vide solo amore e premura, il migliore amico che aveva tradito nonostante gli avesse dato il proprio cuore da custodire << Mi dispiace, Erik >> si ritrovò a dire, incapace di sopportare oltre quella fiducia incontrastata e incontrastabile, incapace di sostenere il peso dell’aver infangato qualcosa di così puro e vero << Di cosa? >> Charles si sollevò sulle ginocchia e lo accostò sapendo bene che l’altro non lo avrebbe fuggito.
Lo sapeva quando gli posò le mani sulle tempie perché anche la sera prima era successo lo stesso, quel magnifico uomo di cui non era all’altezza non aveva temuto né lui né il suo potere nemmeno per un millesimo di secondo << Per questo >> e con il respiro successivo Charles cancellò se stesso da quell’ordinata mente di acciaio, prese il proprio nome e lo relegò nell’angolo più oscuro e nascosto della sua memoria, raccolse quel sentimento accecante e lo rinchiuse in una teca di cristallo, scavò una fossa profonda in quella coscienza e ve lo seppellì così che mai più dovesse tormentarlo.
Piangeva quando si allontanò da lui, lo sguardo di Erik era vitreo e sperso, come di chi sogna ad occhi aperti << Adesso vai a dormire >> sussurrò cercando di parlare chiaramente attraverso i singhiozzi << Dormi e non sognare. Dimenticami. Al tuo risveglio continuerai la tua vita come se io non ne avessi mai fatto parte >> Erik si sollevò in piedi meccanicamente, non lo degnò di uno sguardo, andò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle.
Charles la fissò per un lungo momento, continuando a piangere con le ginocchia strette al petto finché un paio di occhi azzurri non entrarono nella sua visuale << Mi dispiace >> gli uscì quando le mani fredde di Raven gli presero il volto << Va bene, tranquillo. Andiamo a casa >> << Lui è stato così onesto con me! Ma io... io... non merito di essere amato così. Sapevo che avrei ceduto. Non sono così buono >> ed era vero, vero tanto da far male.
Lasciò che lei lo rimettesse in piedi, ingoiò due pillole quando gliele porse e si trascinò fino alla porta mentre sua sorella raccoglieva i vestiti del suo patetico fratello << Non lo merito >> ripeté a nessuno mentre usciva << Non merito niente >> singhiozzò ancora.
 
NA: Okay, siamo arrivati al giro di boa. Da qui la storia prenderà forma e comincerà la parte più "succulenta". Spero che continuerà a piacervi, spero di essere riuscita a trasmettere con le mie parole tutto quel che ho provato mentre scrivevo, e spero anche che mi fornirete le vostre impressioni <3
Un grazie ancora a tutti coloro che leggono, un grazie ancora più grande a coloro che spendono il loro tempo per recensire, un grazie immenso anche solo per aver dato un'occhiata!
   
 
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