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Autore: rossella0806    12/10/2016    2 recensioni
E' vero che la vita toglie sempre qualcosa per poi restituire con gli interessi?
E' quello che pensa Lara, una ragazza di ventitré anni, che studia Lingue a Milano ed è nata due volte.
Quattro anni prima, infatti, era stata rinvenuta esanime nella camera del convitto in cui si era trasferita dopo la fine delle superiori; l'incidente misterioso che l'ha vista coinvolta non è mai stato chiarito, costringendola a rimanere in coma per tre mesi.
Quando si sveglia, un giorno di fine aprile, non ricorda nulla, sa solo che deve riprendere in mano la sua vita e, per farlo, dovrà impiegare tutta la forza e la caparbietà che nemmeno lei sapeva di possedere.
La riabilitazione nel reparto di Neurochirurgia durerà un altro mese, ma alla fine ne uscirà vittoriosa e più determinata che mai, anche grazie all'aiuto del dottor Cavani, l'uomo a cui deve la sua stessa vita, e di cui si innamorerà perdutamente.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga ed in salita.
Riuscirà Lara ad affrontarla?
P.S. Il titolo della storia è un omaggio al film (tratto dall'omonimo libro) di Boris Pasternak "Il dottor Zivago", un autentico capolavoro che vi consiglio di vedere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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I can fake a smile
I can force a laugh
I can dance and play the part
If that’s what you ask
[…]
But I’m only human
and I bleed when I fall dawn
I’m only human

(Christina Perri, “Human”, 2014)




Era ormai la metà di maggio.
Dal mio risveglio nel mondo dei vivi, avrei presto festeggiato un mese, esattamente di lì a quattro giorni.
Avevo ripreso peso - non tutti gli otto chili che avevo perduto, ma per quello c'era tempo- il tono muscolare era notevolmente migliorato, e di conseguenza anche il mio umore poteva considerarsi sollevato.
Finalmente, dopo settimane in cui non riuscivo a vedere nemmeno un singolo progresso, adesso ero soddisfatta dei grandi passi in avanti che avevo fatto e che ancora stavo facendo.
Riuscivo infatti ad andare in autonomia non solo in bagno, ma persino in corridoio, muovendomi più veloce della quasi totalità dei pazienti.
Da una settimana, avevo definitivamente abbandonato la sedia a rotelle per muovermi esclusivamente sulle mie gambe, conquista che mi aveva regalato un nuovo senso di libertà.
Al mattino, ad esempio, dopo la visita medica, mi piaceva scorrazzare da una parte all'altra del reparto, andando a curiosare in un angolino vicino al soggiorno, in prossimità di uno degli ascensori, dove erano state collocate delle piante molto belle, di cui nessuno aveva mai saputo dirmi il nome, ma che rappresentavano il vanto delle infermiere, pronte ad annaffiarle con cura quasi genitoriale.
Quando ero stanca di tutta quella situazione, e non avevo voglia di tornare subito in camera, mi sedevo su una delle sedie del salottino dedicato a noi fortunati ospiti, e guardavo la strada che si snodava sotto di me.
Era una via interna, a traffico limitato, quindi non caotica come il resto della città.
A parte le due fila di parcheggio per gli autorizzati, potevo scorgere quello che scoprii, una volta dimessa, essere il giardino di una scuola media paritaria.
Rimasi un po’ stupita da quella rivelazione perché, per tutto il tempo che ero stata confinata lì, non ero riuscita a vedere nemmeno un ragazzino entrare con gli zaini rigonfi sulle spalle o sgusciare fuori con l'aria esausta ed allegra, ma solo suore in abito grigio, che passeggiavano beatamente all'ombra degli abeti e dei cespugli di rododendro.
Proseguendo a narrare le mie rocambolesche avventure, posso raccontarvi di quelle due o tre volte in cui ottenni l'autorizzazione per recarmi al bar interno dell'ospedale, ovviamente accompagnata da una guardia del corpo, ovvero da Simona, una delle fisioterapiste che mi seguiva nella riabilitazione.
Quando raggiungemmo l'ingresso, le porte automatiche sbarrate per permettere l'entrata e l'uscita di qualche rifornitore, un istinto irresistibile mi spinse a scappare, dimenticandomi che ero ancora in convalescenza, e che con un tubo che mi usciva dalla testa avrei potuto fare ben poca strada.
“Che cosa guardi? Non penserai mica di scappare, eh?! Guarda che la responsabilità è tutta sulle mie spalle! Poi chi li sente il primario e il bel dottor Cavani?!” scherzò Simona, non sapendo quanta verità ci fosse nelle sue parole.
La rassicurai con un sorriso forzato e, facendo spallucce, ripresi a sorseggiare il cappuccino macchiato di cacao che avevo ordinato.
A parte quelle due o tre volte eccitantissime in cui avevo potuto fare merenda al bar, la mia reclusione non era poi così brillante ed emozionante come cercavo di farla apparire.
La vicina di letto isterica era stata dimessa una decina di giorni prima, e al suo posto era arrivata un'altra signora ancora più anziana, i capelli corti di un biondo sbiadito e gli occhi di un colore indefinito.
Aveva una voce flebile e molto dolce, tutto il contrario rispetto al tono nevrotico della mia ex compagna di disavventure; tuttavia, quando ci si metteva, anche lei era logorroica da far paura, riuscendo a stordire chiunque si trovasse nel raggio di cinquanta metri dal suo cospetto.
In più, portava la dentiera, e di notte, se doveva alzarsi per andare alla toilette -come definiva elegantemente quel bugigattolo bianco e azzurro con la luce tremolante che rappresentava il nostro bagno- cominciava a mormorare parole indefinite senza sosta, fino a quando io non accendevo la luce e lei poteva finalmente trovare la strada che la conduceva ad espletare i propri bisogni corporali.
Insomma, a parte queste due caratteristiche negative che la contraddistinguevano, mi trovavo molto bene a dividere la camera con lei, forse perché mi permetteva di detenere il primato assoluto di possesso del telecomando per la TV.
Ritornando a quel mattino di metà maggio, dopo che avevo fatto colazione e mi ero data una sistemata, stavo aspettando che passassero i medici per farmi sapere qualcosa sul mio destino.
Mi ricordavo con estrema chiarezza le parole del dottor Cavani pronunciate quasi un mese addietro, il quale aveva promesso che sarei potuta tornare a casa quando fossi stata sufficientemente autonoma da non aver bisogno di nessuno che mi aiutasse nell'eseguire le più semplici azioni quotidiane.
Erano quasi le dieci, il reparto era in gran fermento, quando finalmente entrò il mio eroe -di cui ero ormai convinta di essere invaghita, tanto che a volte lo sognavo persino la notte-, seguito da uno stuolo di colleghi, specializzandi, infermieri e caposala.
Mancava solo il primario (in ferie chissà dove) e poi la squadra sarebbe stata al completo.
“Permesso … Buongiorno, signore!”
Dedicò qualche momento alla mia vicina, che si era riappisolata seduta sulla sedia, poi l'angelo salvatore si rivolse alla sottoscritta.
“Lara, come andiamo questa mattina?”
“Bene …”
Quanta inventiva, dovevo davvero farmi i complimenti per quel termine così innovativo che avevo tirato fuori dalla mia boccuccia!
Sorrise soddisfatto, quindi attaccò a spiegare il mio caso a un nuovo medico che non avevo mai visto, grasso e con i capelli bianchi.
Omise, ovviamente, spiegazioni su ciò che mi aveva portato lì, perché la mia amnesia lacunare era ancora ben presente.
“Allora, ho una buona notizia da darti!”
Ritornò a concentrarsi su di me, il tono di voce allegro e squillante, mentre quel suo profumo misterioso aleggiava prepotente nella stanza.
“Domani mattina avremmo pensato di portarti in sala per rimuovere la derivazione, sempre che tu sia d'accordo. Sarà un piccolo intervento in anestesia locale, TAC guidata, che non durerà molto. Di solito viene fatto al letto del paziente, ma avendola sostituita già due volte per problemi tecnici quando eri ancora in coma farmacologico, preferiamo evitare inutili complicanze.
Questo ci permetterà di accelerare il tempo per le tue dimissioni, così, se tutto andrà bene come mi auguro avverrà, giovedì pomeriggio potrai andare a casa! Cosa ne pensi, è un’idea accettabile?”
Boccheggiai per qualche istante, non sapendo quali parole pronunciare.
Con lui, tutto appariva semplice e naturale, scevro delle negatività che nell'ultimo periodo avevo conosciuto.
“Sì, certo, va bene”
“Perfetto! Allora ci vediamo più tardi, di là in sala medica, per discutere le modalità dell'intervento e farti firmare il consenso! Signore, arrivederci”
Salutò me e la mia vicina come se ci trovassimo ad un ritrovo tra amici di lunga data.
Lo guardai uscire dalla camera, seguito dalla laica processione, intontita dalla bella notizia che mi aveva dato: sembrava davvero che fosse riuscito a mantenere la parola data …
“È proprio un bel ragazzo! Alto, con quella barba così curata e quegli occhi buoni. E poi, così giovane ha già tutta questa responsabilità sulle spalle! Si vede che è in gamba, vero Lara?” mormorò la vecchietta, scuotendomi dalle mie riflessioni.
Annuii convinta, ma anche un po’ delusa: con le mie dimissioni, sarebbe tutto finito? Lo avrei rivisto? Si sarebbe dimenticato di me? E io, mi sarei scordata di lui?
Come potevo, in quel momento, pensare delle frasi sconclusionate come quelle?! Avevo rischiato la vita, la mia esistenza era stata interrotta bruscamente senza saperne il motivo, ed io mi preoccupavo del fatto se avrei mai più incontrato quell'uomo?!
Dovevo essere impazzita, non c'era altra spiegazione.
All'improvviso, mi vennero in mente le parole che mi aveva sussurrato durante uno dei miei innumerevoli pomeriggi di sconforto, una decina di giorni dopo che ero stata trasferita in reparto.
Era entrato in camera dopo il pranzo che non avevo consumato, a causa del mio ennesimo svenimento dovuto alla pressione bassa e ai tentativi di fisioterapiste ed infermieri di mettermi sulla sedia a rotelle.
Salutò con la sua solita aria gioviale, chiedendomi subito dopo che cosa fosse accaduto.
Ero infatti girata su un fianco, dandogli le spalle, e piangevo disperata.
Lui non disse altro, semplicemente si sedette sulla sporgenza di marmo che c'era alla base dell'ampia vetrata che dava sul giardino interno, e rimase in attesa, le mani intrecciate.
Dovevo aver appena fatto cadere un tovagliolo di carta (pulito spero), perché lo raccolse e me lo porse, in modo da soffiarmi il naso che stava per scoppiare.
Lo ringraziai mestamente, continuando a non guardarlo negli occhi, vergognandomi invece come una delinquente colta in flagrante a compiere un delitto.
Stavo facendo la figura della maleducata, della lagnona, della bambina viziata, ma ero talmente delusa ed amareggiata che non m'importava nulla di tutto il resto.
Poi, dopo che gli sembrò mi fossi calmata a sufficienza, mi spiegò dolcemente:
“Non ci sarà mai più un'altra Lara come te, con la tua storia, le tue debolezze, la tua forza. Anche se per noi sarà un grande dispiacere lasciarti andare e non vedere più il tuo sorriso, è giusto che tu ti riprenda al meglio e presto. Non ti scoraggiare, Lara"
Attese una manciata di secondi, forse aspettando una replica da parte mia, quindi sospirò e continuò nel suo monologo.

"Sai, anch'io, con quello che ti è successo, mi comporterei esattamente allo stesso modo. Anzi, quando noi medici ci facciamo male, ti assicuro che siamo di gran lunga peggio! Pensa che una volta, per un taglietto, mi sono lamentato per due giorni!”
Ecco, se c'è stato un momento, uno dei tanti, in cui finalmente capii che mi stavo innamorando di lui, questo appena riportato fu uno di quelli.
Nessuno mi aveva mai detto parole tanto pure, parole tanto sincere.
Ancora una volta mi domandai che cosa lo spingesse a comportarsi in modo tanto affettuoso nei miei confronti.
Era semplice cortesia? Era la sua indole a suggerirgli naturalmente di fare così? Oppure, in fondo al suo cuore, anche lui provava qualcosa di speciale per me?
Scacciai dalla mente quei piacevoli e dolorosi ricordi, arrendendomi ad aspettare che arrivasse Marzia, pronta a vessarmi per la seduta mattutina di riabilitazione.


Tornai dalla sala medica che erano le undici e mezza.
Ormai, non avevo più bisogno della dottoressa Mazza, la logopedista, e in realtà neppure di Simona o di Marzia, perché, come detto anche prima, ero ormai autonoma in tutto e per tutto, ma vi era una sorta di contratto non verbale che obbligava noi pazienti a svolgere fisioterapia fino al giorno stesso della dimissione.
Entrai in camera e vidi Marzia che mi attendeva in piedi: se non ricordo male, stava parlando con la mia vicina di disavventure di qualche ricetta di dolci.
Appena mi vide, mi rimproverò con un sorriso più serio del normale, chiedendomi dove fossi stata.
L'appuntamento per le nostre sedute, infatti, era stato fissato per le undici, mentre Simona sarebbe arrivata a torturarmi alle quattro del pomeriggio.
La guardai interdetta, blaterando che il ritardo non era stato colpa mia, che il dottor Cavani mi aveva chiamata e trattenuta di là per …
“Ma sto scherzando, Lara! So benissimo dov'eri, me lo hanno detto le infermiere! Quella dell'intervento di domani è una notizia fantastica, perché vuol dire che prestissimo andrai a casa!”
Mi abbracciò con gioia, ed io ricambiai sollevata il suo gesto.
Marzia era davvero simpatica, oltre ad essere molto brava, e non mi andava di deluderla, soprattutto dopo gli importanti traguardi che mi aveva aiutata a raggiungere.
Aveva qualche anno più di me, i capelli ricci e scuri, gli occhi azzurri, tutto l'opposto di Simona, chioma tinta, occhiali, non molto alta e vagamente robusta, con tre gravidanze alle spalle.
“Vieni, sdraiati sul letto che ti mobilizzo un po’ …”
Obbedii al suo invito, sistemandomi dietro la schiena il pigiama color panna, decorato con dei ricami in pizzo.
“Oggi sei proprio elegante, sai? Ah, vedo che ti sei anche truccata!”
“Ma se è lo stesso straccio che mi avrai visto indossare almeno altre cinque volte da quando sono qui! E anche il trucco è sempre lo stesso! Lo sai anche tu che ogni mattina mi piace mettere un po’ di mascara e di lucidalabbra!”
“Rossetto, vorrai dire. Cos'è, hai trovato qualcuno?!”
Continuò a flettermi la gamba e, facendo l’occhiolino, mi disse di stare rilassata, che ero una contrattura unica.
Non so se arrossii, sicuramente poco ci mancò.
“Allora? Non vuoi confidarti con la tua fisioterapista preferita?!”
La fissai scuotendo la testa, per poi rivolgere lo sguardo fuori dalla finestra.
“Allora è vero!” gracchiò entusiasta, stringendo con troppa forza il mio polpaccio.
La vecchietta, intenta a leggere una rivista, sussultò, ed io mi vergognai per tutta quell'attenzione priva di senso che mi stava subissando.
“Che cosa dovrebbe essere vero?” si animò la vicina, pronta ad origliare qualche pettegolezzo.
“Oh niente, signora, non si preoccupi!” tagliò corto lei, con fare cospiratorio.
Marzia si rivolse nuovamente alla sottoscritta, assunse un'espressione di donna vissuta e, socchiudendo gli occhi, si abbassò per dirmi ciò che mai mi sarei aspettata di sentire.
“Voci di corridoio dicono che ti sei invaghita del dottor Cavani! Anzi, per essere più precisi, si dice che tu sia una sorta di raccomandata, perché lui viene a trovarti anche nelle ore meno impensabili, come fuori il giro visite, per intenderci. Senza contare che, spesso e volentieri, ti accompagna anche giù in Radiologia! Io non credo a queste malignità, Lara, ma che a te un pochino piace, beh, a quello posso crederci eccome! A chi non piace? Anche io ci farei un pensierino, se solo mi guardasse!”
Scrivere che avrei voluto sprofondare nel magma terrestre, non credo renderebbe l'idea: ma chi, come e quando era venuto a sapere della mia impossibile cotta per lui?!
Non lo avevo mai confessato ad anima viva, a nessuno!
Cominciai a pensare di essere diventata una sonnambula, quasi mi convinsi di aver cominciato a parlare durante la notte, o che magari qualche componente del personale godesse del potere straordinario di leggere nella mente … in che altra maniera si sarebbe potuta spiegare una fuga di notizie tanto riservata?
“Si vede così tanto?” mi rassegnai a domandarle.
“Ogni volta che lo intravedi, almeno quando ci sono io, diventi rossa come un pomodoro maturo! E il trucco lo usi solo quando c'è lui in giro! È una bella cosa, peccato che sia già impegnato”
Non c'era bisogno che me lo dicesse Marzia: sempre voci di corridoio, infatti, mormoravano che il bel dottor Cavani fosse stato mollato dalla moglie un paio di anni prima, e che dallo scorso inverno aveva cominciato a consolarsi con una collega della Cardiologia.
Cuore spezzato presto riparato, mi ritrovai a pensare con una punta di amarezza.
“E poi lui, a pensarci bene, è un po’ troppo grande per te … “
In quel momento, giuro che avrei voluto urlare e piangere: perché nessuno si faceva mai i fatti propri? Io non mi impicciavo delle faccende altrui, non andavo a ficcare il naso nell'intimità degli altri, non stravolgevo i sentimenti di persone che a malapena conoscevo, per cui pretendevo che anche queste fantomatiche voci facessero lo stesso!
Avevo solo bisogno di dimenticarlo, di lasciare alle spalle tutta quella brutta storia che avevo vissuto.
Ma ce l'avrei fatta? Mi auguravo proprio di sì.




NOTA DELL'AUTRICE

Buongiorno a tutti, miei carissimi lettori!
Ne approfitto per ringraziarvi tutti, compresi i due recensori e coloro che hanno inserito la storia in una delle liste!
E' un racconto un pò particolare, per cui mi farebbe tanto piacere se voleste dedicare qualche istante per lasciarmi un vostro parere (positivo o critico che sia)!
Bene, allora a presto e buona giornata!
   
 
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