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Autore: Pandroso    13/10/2016    4 recensioni
QUARTA ONE SHOT PUBBLICATA (Guest star di turno: CROCODILE)
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal I:
Con gli occhi, Rosinante osservava la follia di suo fratello. Col corpo ne avvertiva la perversione farsi largo attraverso le mani… e la lingua, che gli stava impastando il collo leccandolo quasi fosse stato commestibile.
«Tu sei buono, fratellino, sei buono come la mamma »
La voce di Doflamingo sembrò vibrare sulle note del tritono del Diavolo.
Dal IV:
«[...] Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?»
«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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Importante: come segnalato nelle note, la storia tratta contenuti forti e violenti; il genere è angst, drammatico, introspettivo. Ed è sconsigliata la lettura ai minori di 14 anni. Grazie per la Vostra attenzione. Illustrazione a fine pagina, dopo le note.

 

 

Mein Herz Brennt
3. Lasciarti andare… mai.

 

 

“Everybody knows,

Everybody knows,

That you cradle the sun,

Living in remorse

Sky is over 

Dont you want to hold me baby

Disappointed… going crazy!

Even though we can’t afford

The sky is over

I don’t want to see you go

The sky is over”

 

 

Un altro conato gli incurvò la schiena, lasciandolo senza respiro.
Lui gli tenne la testa, opponendo la propria mano alla sua fronte.
Un grumo di bile nera galleggiava disgustoso, non aveva più nulla da espellere se non le interiora…
Law s’era aggravato. Le piaghe bianche, aumentate, ne facevano inesorabile testimonianza.
Era questo il piano?
Si chiese il tenente colonnello Rosinante.
Vagabondare in cerca di una cura per quel bambino ed incontrare solo codardi fantocci in camice di medico?
Non uno aveva voluto visitarlo, non uno aveva avuto il coraggio di sfiorarlo.
Law sentì le lacrime bruciargli gli occhi, le vide cadere nel buco maleodorante davanti al quale stava inginocchiato; la gola corrosa non gli permetteva nemmeno di deglutire, e i violenti spasmi gli comprimevano il petto, sfinendolo.
 
“Avviseremo la Marina e vi faremo catturare entrambi! Lei per averlo portato qui, come atto terroristico, e il bambino per fare sì che il Governo se ne disfi definitivamente!” 
 
“Porti via questo mostro, ci infetterà tutti!”
 
“Il morbo da piombo ambrato è un pericolo per l’intera umanità, chi ne è contagiato va assolutamente soppresso!”
 
Così avevano sentenziato i “dottori”.
Rosinante s’era trovato costretto a ricorrere al suo potere per far tacere le bocche di quegli stolti; e poco c’era mancato che finisse a stozzarne più di uno con lo stetoscopio che i finti medici portavano appeso al collo. Esseri come loro erano il vero male per l’umanità.
Ma gli occhi spauriti di Law; che prima guardavano i dottori condannarlo e dopo, colmi di rassegnazione, si voltavano verso il marine comunicandogli “lo vedi che avevo ragione io, per me non c’è speranza”; questi erano stati lo schiaffo peggiore alla giustizia che Rosinante aveva sempre difeso e per la quale continuava a battersi.
Perché i giusti esistevano, lui ne era la prova vivente, era stato salvato. A parte Dofy, tutti potevano essere salvati. Anche Law.
Ciononostante, la gente soffriva e i bambini venivano abbandonati a morire nell’indifferenza generale.
 
“Mi dispiace, ma non puoi fare niente per il piccolo. E non dimenticare lo scopo della tua missione.” 
 
Gli aveva detto Sengoku, proprio lui che lo aveva tirato fuori dall’inferno.
Rosinante era solo, si sentiva solo, e credere nel bene cominciava a metterlo a dura prova: il mondo gli stava crollando addosso, non era riuscito a trovare una cura, ogni giorno che passava, Law scompariva; e Doflamingo aveva sicuramente compreso la natura del suo allontanamento dalla Famiglia, dopo cinque mesi di assenza, non dando più alcuna notizia di sé, come un traditore.
Presto, il fenicottero gli avrebbe dato la caccia per ucciderlo e riprendersi il ragazzino di Flevance.
 
L’Ufficiale prese Law in braccio. Il bambino si reggeva in piedi a stento, era leggerissimo.
Lo adagiò piano sul letto.
«Hai freddo?»
Scosso dai brividi, Law fece sì con la testa.
Rosinante si tolse dalle spalle il cappotto di piume per coprirlo.
«Ecco, così starai caldo… Vuoi provare a mangiare o a bere qualcosa?» cercò di convincerlo, perché della cena che gli aveva portato, rimasta sul comodino a fianco a letto e ormai freddatasi, Law non aveva toccano nulla. 
Il bambino la guardò stomacato.
«D’accordo, mangerai quando ti sentirai meglio»
 
E quando?
Chiese una voce, che in realtà era la coscienza stessa del marine.
Appena  un medico lo visiterà.
Davvero pensi che, pur ottenendo l’attenzione di un dottore, questo riesca a salvarlo? Non ci sono terapie adatte per la sua patologia. Nessuno si è mai occupato del caso.
Questa era purtroppo una possibilità, un timore che gli frullava fra i pensieri da tempo, e repentinamente tentava di buttarlo giù.
Ci sarà sicuramente qualcuno, lo troveremo, continueremo a cercare!
Credi gli sia rimasto tempo a sufficienza? 
Guardalo, ti sta morendo sotto gli occhi… E tu non fai altro che aumentare la sua sofferenza!
 
Rosinante si allontanò da Law, amareggiato dalle sue riflessioni e con l’immotivata paura che il piccolo potesse captare i suoi pensieri.
Gli veniva da piangere, avrebbe volentieri sbattuto la testa contro un muro… inutilmente.
Si avvicinò all’unica finestra presente nella stanza e dalla quale poteva osservare la strada; stare di vedetta, tenerla sotto controllo.
Sul suo polso era allacciato un mini-lumacofono nero, per le intercettazioni; lo attivò.
 
Nella trascorsa giornata, dopo aver banalmente tentato di chiedere assistenza in ospedale, in città si era diffusa la notizia che un sopravvissuto di Flevance era a piede libero e andava assolutamente catturato.
La Marina, ora, stava cercando entrambi. Avrebbero dovuto lasciare l’isola immediatamente; tuttavia, Law non era nelle condizioni per affrontare subito un altro viaggio in mare; e, per precauzione, il Tenente aveva deciso di trovare rifugio in periferia, in uno dei quartieri più malfamati e poco frequentati della città.
Dovevano nascondersi; e non era da sottovalutare la loro identità pirata, qualcuno avrebbe potuto riconoscerli come appartenenti al clan Donquijote. Pur essendo un marine, per Rosinante era meglio evitare grane e non far arrivare sue notizie al Quartier Generale.
 
Quando l’anziana signora che gestiva la locanda li aveva visti entrare si era mostrata indifferente e, pur trovandosi di fronte un uomo che portava in spalla un bambino, non aveva fatto domande. Non era stato un gesto di cortesia il suo, piuttosto l’abitudine alla presenza di ladri e tagliagole, che costituivano la normale clientela; finché pagavano lei poteva fingersi sorda, orba e muta.
 
Un piccolo bip destò l’attenzione di Rosinante:
 
«Negativo, Capitano, non li abbiamo trovati… abbiamo perso le loro tracce. Potrebbero aver abbandonato l’isola, alcuni testimoni giù al porto ci hanno riferito di aver visto una coppia sospetta prendere il largo, for-»
 
E almeno questa è andata.
 
Pensò il marine, tirando un sospiro di sollievo, mentre chiudeva la lumachina senza finire di ascoltare il rapporto; aveva intercettato esattamente ciò che le sue orecchie speravano di udire.
Per quella notte, avrebbero goduto di un sonno tranquillo. Sempre che Law non si sentisse nuovamente male.
 
Il clima placido venne però guastato da alcuni tipacci sulla strada in fondo al vicolo: si stavano dando ai bagordi notturni, alzavano la voce sbraitando frasi senza senso e si divertivano a lanciare bottiglie che facevano esplodere con un colpo di pistola. Erano ubriachi fradici.
«Silent!»
Con uno schiocco di dita, una barriera invisibile discese sul piccolo Law a proteggergli il sonno dagli schiamazzi molesti. Si era addormentato e sembrava respirare in modo regolare.
Rosinante colse l’occasione per uscire dalla camera e rollarsi una sigaretta.
Appena fuori, appoggiò la schiena al muro del corridoio e si dedicò al suo vizio migliore. Ne aveva bisogno.
Intanto che fumava, si guardò in torno: quel posto era davvero raccapricciante: il verde scuro dell’intonaco era pieno di crepe e infiltrazioni di umidità, mura marce, uno strato di sudicio pavimentava il corridoio, e c’era odore di pipì. Da una fessura sul battiscopa face capolino un ratto.
 
Solo per una notte…
 
Non poteva aspettarsi di meglio: aveva pagato quel tugurio meno di cento Berry.
Chiuse gli occhi, godendosi la nicotina che gli intasava i bronchi e che si infiltrava tossica nel sangue, donandogli un lieve attimo di pace.
Poi, udì delle voci. Queste provenivano da una delle camere presenti sul piano; erano le risate licenziose d’una donna, seguite dai brontolii di un uomo.
Una delle porte in fondo al corridoio si aprì; e come su una scena teatrale, uscirono il suddetto uomo, d’aspetto loffio, con un cilindro alto e la giacca inamidata, e la suddetta donna, volgare negli abiti e nel trucco.
Lei sorrideva maliziosa mentre afferrava le banconote che quello gli passava allargando il portafogli. L’uomo le baciò la mano e si congedò prendendo la direzione delle scale.
Rosinante, guardandoli, ricordò che l’ultima volta in cui era stato in un bordello fu quella per riscuotere il gruzzolo di un protettore finito nel mirino di Doflamingo. Il fenicottero si teneva debitamente alla larga da certi ambienti – ma non dalle lucciole, specie quelle di alto borgo –  il lavoro sporco lo faceva sbrigare agli altri.
Però, in quell’occasione, il marine s’era divertito e tolto parecchie soddisfazioni nel prendere a pugni la faccia dell’infame sfruttatore di turno.
 
Corazon non s’accorse di essere rimasto ad osservare la scena oltre il necessario, anche dopo che l’uomo se n’era andato; la donna, sentendosi fissata, gli era arrivata quasi sotto il naso.
«Ehi, biondino, sei solo?»
Strinse le labbra attorno al filtro e prese un altro tiro, illuminando la cicca. La ignorò totalmente.
«Be’ devi esserlo, anche se mi pare strano che un tipo affascinante come te se ne stia qui senza avere nessuno a tenergli compagnia» disse lei, con voce gracidante, avvicinandosi sufficientemente da fargli sentire il suo odore di femmina e di letto consumato.
«Io potrei rimediare… » gli sorrise peccaminosa, distendendo due labbra lucide e rosa, in un sorriso stretto stretto da ridurre la bocca ad una fessura orizzontale, che a stento le foderava i denti.
Quelle sue labbra sottili davano l’impressione di stare per strapparsi.
 
Non ricevendo in cambio alcuna risposta, la donna, palesatasi come una di facilissimi costumi, azzardò a mostrare la merce sbottonandosi il décolleté indecente: liberò due seni bianchi, che sbordarono sgraziati e pesanti da un corpetto blu tanto stretto che le disegnava un vitino da vespa.
Continuava a sorridergli, beffarda e senza vergogna. Rosinante non vedeva altro che le sue labbra tese e sottili.
Labbra rosa.
Truccate di rosa.
Che gli sorridevano.
Troppo vicine.
Sempre sottili, troppo sottili.
Riusciva a vederne la forma.
Dei denti. Sotto la pelle.
 
«Uno come te non me lo farei mai scappare»
 
Che aveva detto?
 
«Rosy» 
 
«Sei di poche parole, ma mi piaci»
 
«Non parli più. È colpa mia. Mi dispiace…»
 
Lei lo stava toccando.
Sorrideva ancora.
Sorrideva all’infinito.
Che c’era di divertente?!
 
«Dopo tutto questo tempo…» 
 
I profondi occhi ambrati di Rosinante assunsero un velo opaco; si lasciò cadere la sigaretta dalla bocca, aveva perduto in un baleno ogni sensibilità: il suo corpo era lì, ma la propria volontà era migrata in un passato non troppo lontano.
 
«... è fiutando il tuo stesso sangue che mi hai trovato»
 
«Sarai il cliente più carino della serata»
Sussurrò languidamente la prostituta, spostando le mani esperte per palpare la zona dei miracoli contro la legge di gravità.
«Rilassati che ti faccio divertire»
 
Togli le mani.
 
«Lo senti?… Quanto mi sei mancato»
 
Fa schifo.
 
La donna fece scorrere le sue unghie lunghe giù e su per un binario isolato, che non accennava la partenza di alcun treno.
 
«Fratellino perduto, giuramelo…»
 
Andrai all’Inferno, Dofy. 
 
«Il tuo cuore mi appartiene e batterà solo per me, fu fu fu»
 
La smetterai di ridere.
 
«Non mi lascerai mai più, Corazon»
 
Non ti lascerò uccidere nessun altro, pirata Doflamingo.
 
Appena le mani collose di quella sgualdrina dal ghigno sgradevole provarono a spantalonare parti che non le appartenevano, Rosinante se la scrollò di dosso.
«Ma che diavolo fai?» sbottò lei.
La spinse via, garbatamente, e aprì in fretta la porta della camera in cui Law stava dormendo, e la richiuse con la medesima velocità, prima che quella specie di anguilla provasse ad intrufolarsi. 
«Oh, ma insomma, che modi sono questi?! Apri la porta maledetto! Che ci sei venuto a fare qui se non ti va di farlo, eh?! Apri, finocchio!!»
Indignata, la donna batteva alla porta come un’invasata… e sarebbe potuta rimanere là per ore, giorni, perché nessuno l’avrebbe udita: toccandola, Rosinante aveva compiuto su di lei una piccola, leggera, silenziosa magia.
 
 

 

***

 
 
Morti. 
 
Potevano esser deceduti in mare.
O uccisi da qualche balordo per vendicarsi sulla Famiglia; il fenicottero già meditava sui possibili responsabili e su come organizzare per loro una macabra fine.
Oppure, poteva esser morto solo Law – lui era malato – ma con la sua scomparsa andavano a sfumare piccoli e indispensabili progetti.
Ipotesi, unicamente ipotesi, che però si erano accaparrate un posto in prima fila fra le paranoie del diavolo rosa.
Centocinquanta giorni... Neanche una chiamata.
Se Law aveva tirato le cuoia, perché Rosinante non faceva ritorno?
No, Rosinante certamente non era morto, non era accaduto per quattordici lunghi anni. E Law era insieme a lui.
 
Vivi.
 
Il dolce fratellino aveva abbandonato...  cioè, si era momentaneamente allontanato dal clan… da lui.
E lo aveva fatto per far guarire il moccioso, cercando un’improbabile cura in un imprevisto, malriposto, afflato di filantropia che il Demone Celeste non concepiva, non capiva. Non se lo aspettava. 
L’Ufficiale di Cuori aveva preso una decisione in libero arbitrio, non consultando il Capitano, non chiedendo il permesso a suo fratello maggiore. Uscendo deliberatamente fuori dal suo controllo.
 
Scappati.
 
 
«Da quanto sta là dentro?»  domandò Lao G, arrivando alle spalle di Jora e Baby 5.
«Da ieri sera, e non ha voluto mangiare nulla neanche a pranzo, siamo molto preoccupate per il Signorino» disse la donna rammaricata.
«Sì, e poi gli altri ufficiali non sono ancora tornati dalla missione, e lui con noi non vuole parlare», aggiunse la bambina, che in mano teneva un vassoio con del tè e dei biscotti a forma di fiore fatti da lei con tanto affetto per il Signorino.
«Eh, temo che la causa sia sempre…» Jora non finì la frase, lasciando intendere il resto nel silenzio.
«Sì, ho capito – proseguì Lao G, togliendosi dalla testa le sue singolari orecchie di coniglio - Dovevamo aspettarcelo, è suo fratello. Dofy gli vuole un bene così grande con la G, che quel codardo di Corazon neanche si immagina. Comunque, isolarsi non lo farà stare meglio»
«Lao, ti prego, parlaci tu!» lo implorò Baby 5, a lei mancavano le attenzioni del Signorino... ovvero gli incarichi per svolgere missioni mortali.
«Reggimi questo – Lao G posò il copricapo sulla testolina della bambina, le orecchie lunghe e blu la resero particolarmente graziosa – adesso allontanatevi e non entrate per nessun motivo» le avvisò serio, perché il Capo era psichicamente instabile e bastava poco per compiere un passo falso. In passato alcuni sfortunati ci avevano rimesso uno o più arti.
 
L’uomo bussò deciso alla porta, attendendo una risposta, che arrivò subito con un verso monosillabo privo di significato
«Dofy sono io, Lao» si annunciò l’Ufficiale, aprendo l’uscio e richiudendolo alle sue spalle.
La camera si presentò anche peggio di come se la aspettava: soffitto, pareti e pavimento sul lato sinistro, più qualsivoglia oggetto ad arredare la stanza, erano stati tranciati di netto, in cinque parti.
Sembravano i postumi del passaggio di una tigre gigante, che aveva deciso di affilarsi gli artigli proprio lì.
Era molto grave: il Signorino difficilmente si lasciava andare alle passioni.
Seguendo gli squarci, Lao G trovò il Capitano appoggiato alla parete in fondo, immerso nell’ombra.
Accanto a lui c’era un tavolino, scampato alla furia, con sopra un lumacofono.
Squadrandolo meglio, l’Ufficiale s’accorse che il Signorino era impegnato ad accartocciare un foglio: lo stringeva spasmodicamente nella mano destra, producendo un crepitante rumorio.
«Voglio farli a pezzi… tu che ne dici?» parlò il Demone Celeste, con tono cheto, inadatto.
«Che chiunque venga a mettersi contro la famiglia Donquijote, non ha speranze. E io sarei tra i primi a fargliela pagare» rispose l’Ufficiale, iniziando a sistemare lo scempio che era in terra e decidendo cosa era da buttare e cosa da riparare.
Doflamingo assunse un’espressione satanica, galvanizzato dai versi di quel fedelissimo Credo perorato in suo favore.
«Il mio fratellino se ne è andato, lo ha fatto ancora» continuò il fenicottero.
«Vorrei poterti dire che tornerà Dofy, ma non ne possiedo la certezza»
«Non ci si comporta così... io lo avevo riaccolto nella Famiglia»
«Hai ragione Dofy, non è meritevole della tua misericordia»
Il fenicottero tirò all’insù gli angoli della bocca:

«Quante volte, fratellino, dimmi quante volte…»
 
… Avrai intenzione di punirmi.
 
Doflamingo si passò una mano sulla fronte, a sorreggersi la testa, quasi pesasse tonnellate e stesse per spezzargli l’osso del collo.
«Devi sapere, Lao, che perdendo mia madre alla tenera età di otto anni, fui certo sul da farsi. Solo mio fratello non accettò la mia decisione, lui non era pronto a capire»
 
Nostro padre meritava di morire.
 
Dal volto contratto di ‘Mingo si dissipò ogni accenno di sorriso.
Scomodi ricordi, di macerie ingrigite dal tempo, tornarono a fargli visita insolenti e perniciosi.
 
 
Diciotto anni prima:
il cuore  batteva così forte da rimbombargli nelle orecchie, il braccio teso ancora tremava e il dito sembrava essersi amalgamato col grilletto della pistola.
Le armi erano pesanti. Non lo immaginava, aveva visto gli adulti maneggiarle sempre con molta facilità. La polvere da sparo puzzava. Perché Trebol non glielo aveva detto?
Davanti a lui, la realtà si presentava eccessiva, inferma, ombrata. Colpa delle lenti nere.
Vedeva suo fratello Rosinante, non vedeva più suo padre. Certo, gli aveva appena fatto saltare il cervello cancellandogli quel sorriso bonario mostrato persino con una pistola puntata sulla nuca.
Dofy ne era disgustato.
Sì, doveva per forza essere il disgusto verso le ultime e affettuose parole pronunciate da quell’uomo – che aveva avuto il coraggio di chiedere perdono ai suoi figli – che Dofy avvertiva lo stomaco contorcersi nel tentativo di espellere un rigurgito di nausea incontenibile.
Sì, doveva essere questo a provocargli malessere, e non la chiazza vermiglia che si allargava accanto ai suoi piedi.
Non capiva perché suo fratello continuasse ad urlare.
«Rosy, piantala. L’ho ucciso, è finita»
Disse calmo, a voce bassa. Ma il fratellino non lo ascoltava, era sotto shock.
«Perché continui a frignare?! Ormai è morto!»
‘Mingo serrò i denti, scavalcò il cadavere del padre, schiacciandogli col piede tre di dita di una mano, e si fiondò contro il disperato fratellino.
«Ascoltami bene: è colpa sua se nostra madre non c’è più, è colpa sua se stiamo soffrendo, è colpa sua se tu piangi! Capito?!»
Anche berciandogli contro, Rosinante non lo ascoltava: piangeva così forte da diventare cianotico.
«Io tornerò a Marijoa con la sua testa... Tu verrai con me! Andremo a vivere nel posto in cui tutti ci mostreranno il rispetto che meritiamo!»
Con la mano che non stringeva la pistola, ‘Mingo afferrò quella di suo fratello.
Rosy parve riprendere lucidità, perché la ritirò fulmineo; non smise di singhiozzare.
Dofy ritentò.
Niente, il suo fratellino non voleva muoversi, non gli dava retta e gridava, gridava forte.
‘Mingo non lo sopportava; lo buttò a terra colpendolo con un pugno in faccia, e gliene diede altri fino a gonfiargliela, fino a stancarsi, fino a scoppiare anche lui in lacrime.
Ma non voleva fargli del male, non gliene aveva mai fatto, gli voleva troppo bene.
Lo dimostravano gli anni tortuosi passati ad arrancare sulla terra dei comuni mortali: Dofy si era sempre preso cura di lui, beccandosi anche le botte del fratellino, togliendosi il pane di bocca per farlo mangiare.
E adesso, Doflamingo non capiva, perché lo stava abbandonando? Erano fratelli, dovevano stare insieme.
«Io… riprenderò i miei poteri, il mio posto tra i Draghi Celesti!... Gli esseri umani sono cattivi... Non voglio morire qui! Rosy - ‘Mingo ridusse la voce in un rantolo sofferto - ti prego, andiamo via»
Riafferrò il fratellino, che non si ritirò come aveva fatto prima, al contrario, la sua mano era pesante e dondolava a seconda di come Dofy gli teneva il polso.
Rosinante sembrava più morto di suo padre; non si muoveva, eccetto che per i singhiozzi causati dal pianto, che lo scuotevano ad intermittenza sin nelle viscere.
Impaziente, arrabbiato, e con addosso un’inspiegabile senso di vacuità, Doflamingo lasciò andare il polso del fratellino. Non c’era più nulla da fare per lui, per loro.
Afferrò il cadavere del padre tirandogli un braccio, guardò per un’ultima volta Rosy.
 
...
 
Trascinando con sé la sua colpa, Doflamingo se ne andò senza voltarsi più indietro. 

Lasciandosi alle spalle le lacrime del fratellino.
 
In quel lontano e crudele giorno, il Drago Celeste smarrì il suo cuore per sempre.
 
Anche allora mi lasciasti solo.
 

 

***

 
 
 
«Dofy?… Dofy, tutto bene?»
Da oltre dieci minuti, il diavolo rosa non rispondeva a niente, tremava e rideva, rideva senza motivo. Rideva e faceva paura. Con dei mugolii bassi e profondi schiacciati tra i denti.
L’Ufficiale era preoccupatissimo.
«Dofy, vado a chiamare un medico!»
«No... uh, uh, non c’è bisogno, uh, uh, uh, – ‘Mingo tornò al presente, rallentando il motore della sua risata –  non preoccuparti, è tutto chiaro adesso»
E cosa fosse chiaro lo sapeva solo lui, Lao G non gli pose domande.
«… di che stavamo parlando?»
«Di… di tuo fratello» rispose l’Ufficiale, esitando; non gli piaceva quando il Signorino si comportava come un pazzo.
«Giusto… Lao, dimmi, quale è la pena per il tradimento?»
«Se qualcuno osa tradirti, Dofy, sarà ripagato con la morte»
«Esattamente, è così che lo perdonerò, stavolta sarà questa la mia misericordia… Semmai qualcuno dovesse tradirmi» disse in ultimo, restituendo vaghezza all’entità del soggetto.
«Hai intenzione di uccidere entrambi?» chiese secco Lao G, riportando la conversazione su due bersagli definiti: Trafalgar Law e l’Ufficiale di Cuori, Corazon.
Doflamingo, che nel frattempo si era andato a stravaccare su una poltrona in pelle, su quello che era rimasto della poltrona, inclinò la testa in direzione del suo devoto interlocutore, compiaciuto  dall’attenzione che gli stava mostrando.
«Oh, no. No. Io, no… Poco fa, attraverso il lumacofono, un mio fedele uccellino  mi ha riportato un’importante notizia, fu fu fu, prendi questo»
«Che cos’è?» chiese Lao, afferrando il foglio di carta che il fenicottero aveva tenuto stretto tra le dita arrivando a macerarlo.
«Adesso non è più niente, puoi anche buttarlo»
L’Ufficiale srotolò la carta e lesse quanto vi era scritto sopra, anche se l’inchiostro s’era sbiadito e cancellato in diversi punti, era ancora visibile una frase scritta con un corsivo grossolano e tremolante:
 

 

- Vado a guarire la malattia di Law.
 
                                                 Cora.

 
 

 

***


 

  
Law si svegliò di soprassalto, aveva avuto un incubo, non lo ricordava, ma la sensazione che aveva addosso lo metteva in stato di allarme.
Riconoscere la forma della stanza spoglia in cui Rosinante lo aveva portato lo rasserenò un po’.
Quando sentì qualcosa di tiepido e leggero sfiorargli la fronte, alzò lo sguardo e nel buio si accorse di Corazon: stava dormendo accanto a lui, col capo appoggiato sul suo cuscino.
Intorno a sé, Law non sentiva nulla a parte il respiro di quell’uomo, c’era una quiete tale che lo rilassava lenendo ogni suo dolore.
 
«Ti salvo io ti salvo io!»
 
Era stato Rosinante a parlare.
«Cora-san, sei sveglio?» domandò Law, ma il marine russava e, involontariamente, gli passò un braccio sulla testa, schiacciandolo.
«Ehi, Cora’ togliti! Togliti su-»
«Non avere paura Law... Ci sono io con te, ci sono... io»
Law sgranò gli occhi, al buio non vedeva molto, ma sembrava veramente che Corazon continuasse a parlare nel sonno.
Avvertì una stretta al cuore: da quando aveva perduto tutto, la casa, i genitori, Lami, gli amici, la sua vita,  non si era più sentito al sicuro in nessun luogo; ma, ora, c’era quell’uomo, con le sue piume a coprirlo, che si stava dannando per lui. L’unico a trattarlo ancora come un normale essere umano.
 
Avevi ragione tu, Sorella…
 
Il piccolo Trafalgar ripensò alle lontane parole di una povera suora; anche lei uccisa a Flevance; gli aveva detto di avere speranza e che prima o poi avrebbe trovato qualcuno pronto ad aiutarlo.
Sulla bocca di Law si allargò un timido sorriso; prese il braccio di Corazon e se lo sistemò meglio attorno a sé. Si avvicinò a lui, abbracciandolo. E nascose il viso contro il petto dell’Ufficiale, per sentire il battito forte del suo cuore.
Ecco, Law non aveva bisogno d’ altro.
Di morire non gli importava, perché finalmente non era più solo.
 
«Ti voglio bene, Cora-san»
 
E io voglio bene a te, piccolino.
 
Una lacrima dolce e silenziosa colò, lasciando una traccia sottile e bagnata sulla guancia del clown.
Non era solo per la D che lo stava aiutando, non era più per la D, non lo era mai stato.
Quel bambino era un dono del cielo, degli Déi, incarnava la salvezza stessa: Law era il fratello che Rosinante aveva perduto da bambino.
Il marine lo strinse forte a sé, non lo avrebbe lasciato più andare.
 
 

 

***

 
 
 
Lo scotch di quel nightclub non era di ottima qualità, ma aiutava a riflettere e andava giù facile.
Doflamingo osservò i due cubetti di ghiaccio contenuti nel bicchiere restare attaccati, ad abbracciarsi, e iniziare a sciogliersi insieme, lentamente, annegati in tre dita di whisky.
 
È questa la fine che ti sei scelto, Ros'?
  
L’intero locale era sotto il controllo della Famiglia Donquijote: di guardia all’ingresso c’erano Pica e Trebol, e dentro, a tener compagnia al Capitano, assicurandosi che nessun mentecatto troppo alticcio provasse ad avvicinarsi a lui, stavano Diamante, seduto a tre tavoli di distanza dal bancone, e Lao G, appoggiato a una colonna. Lui aveva insistito affinché il Signorino non fosse lasciato mai da solo, e aveva trovato alto consenso fra gli altri ufficiali che in quella sera si erano mossi insieme accompagnando Doflamingo.
Naturalmente, il Demone Celeste non aveva bisogno di guardie del corpo attorno a sé; no, ma era necessario fargli sentire la vicinanza della Famiglia, e loro costituivano la sua unica famiglia.
Nell’ambiente, la luce fioca, proveniente da lanterne opache disseminate sopra ogni tavolo, stemperava cautamente l’oscurità, ma non l’aria fumosa condensatasi a metà altezza.
Raccolti in un angolo, tre musicisti intrattenevano i clienti con ritmi jazz, assecondando il vociferare di sottofondo; nel locale c’erano pure altre persone: il barman, che con un canovaccio strofinava diversi bicchieri, lucidandoli, senza però perdere d’occhio quello di Doflamingo che, appena si vuotava, andava subito riempito di tre quarti; e una ventina di pirati, stavano attenti ad evitare di incrociare gli occhi con i membri della Famiglia.
La fama del clan Donquijote era dilagata ovunque nel Mare Settentrionale, si erano fatti un nome, e non solo nella “normale” pirateria, ma anche nel crimine organizzato. Persino i mozzi della più sprovveduta delle bagnarole sapevano che con loro non c’era da scherzare
 
‘Mingo non smetteva di guardare i cubetti di ghiaccio, fantasticandoci sopra, dentro e fuori.
Quando venivano pizzicate, le corde massicce del contrabbasso sembravano creare una scala su cui i pensieri del fenicottero precipitavano flemmaticamente. E i tocchi gravi aggiunti dal pianoforte davano loro la spinta per non potersi fermare.
 
Lo ami?...
Io amo te!
Così tanto che ti darò l’occasione per poterti sacrificare.
 
Turbine della follia.
 
«Vogliamo parlare con lui, fateci entrare!»
Il sassofonista si bloccò; un gruppo di ragazzi stava cercando di passare forzando l’ingresso, ovvero andando a sbattere contro il corpo catafratto dell’Ufficiale di Picche e quello mucoso di Trebol.
«Che avete intenzione di fare? Eehi Eehi, non sapete chi siamo? È meglio per voi che ve ne torniate tranquilli a casa o rischierete di farvi molto male questa sera!»
L’Ufficiale di Fiori interpose il suo lungo scettro d’oro tra loro e l’entrata, ma un giovane alto, con le spalle larghe e dal fisico robusto, si fece avanti senza paura dicendo: «Sappiamo chi siete! Clan Donquijote, voi siete l’orgoglio del Mare Settentrionale!»
Vi fu un attimo in cui tutti tacquero, i musicisti immobili.
«Che ha detto il tipo?! Trebol, togliti e fallo entrare! Abbiamo un ammiratore!»
Gridò Diamante, animando la sua bocca larga. Tra i pirati Donquijote lui era il più cedevole alle lusinghe, non importava da chi provenissero o come fossero, un narciso come lui non ci faceva caso.
Pica e Trebol si spostarono; d'altronde, il Signorino non aveva accennato il contrario ed era rimasto indifferente a quel fracasso. Ma non alla musica che si era fermata, infatti, voltò poco il capo per fare capire a quelli in fondo di riprendere. Il pianista rimise le mani sulla tastiera, il resto della banda a seguire.
Gli ufficiali fecero passare il gruppo di adolescenti cresciuti, accogliendoli all’interno del bistrot.
Erano verginelli alle prime armi, esaltati  dall’essere in un locale per soli adulti, per veri pirati. Si guardavano intorno curiosi ed eccitati.
Uno tra loro, però, stava puntando l’uomo giusto: quello in smoking bordeaux che, placidamente seduto su uno degli sgabelli alti posti di fronte al bancone, se ne stava comodo a sorseggiare il suo brandy, anzi, a fissarlo manco fosse stato una palla di cristallo.
Il ragazzo guardava unicamente lui, stregato dall’aura solenne e austera che vedeva irradiarsi attorno all’uomo; meravigliato dalla riverenza che gli ufficiali mostravano nei suoi confronti.
Pareva un Dio.
E che classe: indossava una pelliccia di piume del colore della follia, che cadevano spioventi come un lungo mantello, guanti in pelle nera, orecchini d’oro ai lobi delle orecchie. Doflamingo era il Principe dei corsari.
Il ragazzo lo adorava, gli avrebbe fatto una statua seduta stante, un vitellino d’oro, lo avrebbe osannato in eterno.
 
«Da dove venite?» chiese l’Ufficiale di Fiori, che già vedeva in loro del potenziale: buoni da usarsi come spacciatori, o sicari sacrificabili.
 
«Siamo del Mare Settentrionale, veniamo da Nortis»
 
Ti sei nascosto bene.
 
Doflamingo invece non li ascoltava. A parte godersi la musica, fatta di quella calma che preludiava la tempesta, era assorto nelle sue congetture, pensava unicamente a Law e a suo Fratello, surrogati momentaneamente da due cubetti di ghiaccio quasi completamente discioltisi nell’alcol.
 
Ma adesso io ho qualcosa che presto ti farà tornare da me.
 
Non badò a nulla, finché, dalle domande che Trebol pose alla banda di sbarbatelli, ‘Mingo venne attratto inevitabilmente dalle parole del moccioso che gli aveva fatto il calco visivo.
Pronunciandosi a nome di tutti, il ragazzo gli stava chiedendo di accettarli nel suo clan.
Doflamingo dedicò agli ospiti tre secondi della sua preziosa attenzione: l’incondizionata lealtà era ciò che più lo divertiva, lo stavano idolatrando perché era un pirata e non avevano capito. La pirateria era un escamotage per ottenere altro. Ma era affascinante lasciarli e vederli convinti a credere in una menzogna. Erano un’opera d’arte che si faceva da sola.
L’illusione sul volto degli innocenti… quale raro dono. Era controllo. E per il Demone Celeste il controllo era la transustanziazione del piacere puro, estatico.
 
«Vi concedo il mio simbolo… ma se qualcuno vi sconfiggerà me lo restituirete»
 
Parlò una sola volta, lasciando i suoi ufficiali sorpresi e ammutoliti.
I pivellini non credevano alle loro orecchie.
Il sassofonista osò una nota alta e lunga.
L’illusione cominciò a girare i suoi dentati ingranaggi.
La macchina infernale era pronta.
Doflamingo fece finta di brindare a quei ragazzi e scatenò la sua ordalia contro Rosinante:
bevve in un sorso tutto il suo whisky.
 
Voglio vederti morire per lui e anche per me, soprattutto per me, fratellino. 
 
 
 

 

“Not even from the sun
Not even from the sun
Not even from the sun
Dont you want me to run…”

 

 
 
Track BOMBA scelta: CLICCATE PER ASCOLTARE
Sto pezzo sulla One Shot ci sta bene come il pollo con le patate! ^_^
(scommetto che, dal testo inserito all’inizio e alla fine, qualcuno tra voi avrà capito subito di chi si tratta, scappelliamoci tutti dinnanzi alla voce di quest’uomo!)
Da ascoltare durante o dopo la lettura. O quando volete. Io mentre scrivevo ci sono andata a ruota libera.
Ed eccoci al terzo giro.
Arrivati qui siete ancora freschi dell’ultima parte, quindi affronterei questa per prima.
1) So bene che sapete chi è il ragazzo che proviene da Nortis, io non lo nomino solo perché non mi serve, comunque, trattasi di Bellamy.
Essì, qui fa un breve cameo. Ricordate il volume 77 del manga, in cui scorrendo cinque, sei vignette, viene presentato il momento in cui la Iena incontra ‘Mingo e gli chiede di poter far parte del suo clan. Ecco, poiché in quel frangente il fenicottero ci viene mostrato vestito in un certo modo e coi capelli portati in un certo modo, mi è venuto facile pensare che fossero incontrati nel periodo in cui ancora c’era Corazon. Inoltre, ‘Mingo lo si vede fissare un bicchiere di whisky (o quello che è), mi sono chiesta ma chissà a cosa stava pensando? (ovviamente ascoltava Bellamy, ma io ci ho voluto vedere di più). Quindi, ho fatto due più due e ho deciso di unire i due momenti del passato: la fuga di Corazon e l’incontro con Bellamy. Può funzionare? Boh… ditemelo voi. ^^
Tornando a Bellamy, ai suoi occhi ‘Mingo è un gran figo, una celebrità, non mi pare sconveniente  farlo fermare a guardare lo stile del fenicottero (che io preferisco in questa veste “invernale”).
2)  Trattando l’inizio: il tempo della storia si aggira intorno ad un mese prima che Dofy contatti il fratello per informarlo sul frutto Ope Ope.
3) Quando entra in scena la prostituta, c’è una parte in cui si sovrappongono due momenti, quello presente, con la prostituta che allunga le mani su Ros’ (beata lei), e quello passato, in cui Ros’ ricorda frasi di suo fratello. Ho voluto introdurre appena il loro primo incontro dopo quattordici anni, sono poche battute, lo so. Ma so che devo ritornarci in una prossima One Shot, che sarà incentrata solo su questo, quindi per adesso fatevelo bastare.
4) Andiamo avanti, ho messo le mani su quel momento tanto atroce che è l’omicidio di Doquijote Homing, la separazione dei due fratelli, il crack definitivo, e il momento in cui il fenicottero mostra e abbandona in un sol colpo la sua umanità. Almeno a me piace vederlo così. La pistola gliel’ha data Trebol, come anche il frutto filo filo.
E che Dofy senta l’allontanamento di Rosy come una punizione è una mia convinzione, a mio parere quel fenicottero sa bene quello che ha fatto.
5) Poi, quando Mingo dice a Lao G che un uccellino gli ha comunicato una cosa attraverso il lumacofono, non scervellatevi, trattasi di Vergo (attualmente spia nella marina)  che gli ha comunicato la possibilità di ottenere il frutto Ope Ope (questo l’ho dedotto io, non è mai stato dichiarato apertamente nel manga, ma si fa presto a intuirlo).
6) Il foglietto che Mingo passa a Lao G.  è quello che Cora’ lascia sulla sua amaca, mi piace credere che Mingo se lo sia tenuto per tanti mesi a pensarci sopra. Povero fenicottero che soffre.
7) E mi pareva giusto dare spazio alla Famiglia, in questa shot è più nitido l’affetto che nutrono per il signorino,  e che loro si preoccupino veramente per lui, ci credono tutti.
8)Ah, il colore rosa è il colore della follia. Altro che il colore delle femminucce, mica una coincidenza, caro Oda. ^_^
Insomma, cavoli vostri, questa One Shot è più corta rispetto alle precedenti ma è tosta da sorbire.
Comunque, spero di essere stata capace di affrontare al meglio gli argomenti.
Ringrazio  tanto i lettori, chi recensisce, preferisce, segue, ricorda e sostiene questa storia!
Senza di voi, salvo agenti esterni, gli aggiornamenti delle mie fanfiction diminuirebbero fino a sparire. Per i lettori che stanno aspettando gli aggiornamenti della altre storie (Loverman e Curami aggiornata al IV capitolo il 31/8/16), abbiate pazienza. Non le ho abbandonate.
Per quanto riguarda il l’immagine qui sotto, non ho resistito e ho disegnato ‘Mingo con addosso lo smoking bordeaux… e la pelliccia di piume, mi ha fatto dannare, però… ammazza che figo vestito così! Oda, saresti un ottimo stilista qualora volessi buttarti nel campo.
Dedicata a tutti gli infoiati per Dofy e Rosy.  ^^

 photo Doflamingo e Rosinante_zpsatzykgrc.jpg
   
 
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