Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: nettie    14/10/2016    0 recensioni
Alzò il capo e mi guardò con quei due grandi occhioni vispi che raccontavano la Primavera.
《 Li vedi questi libri? Saranno i nostri fiori quando fuori è Inverno. 》
Genere: Drammatico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nei giorni seguenti, Sandra mi diede il permesso speciale di visitare Margherita per circa un’oretta al giorno. Il suo stato mi preoccupava sempre di più, ma dimenticai in fretta della lettera che le avevo scritto sere e sere prima. Mi dimenticai di quel pezzo di cuore come un bambino, crescendo, si dimentica del suo giocattolo preferito.

Ogni pomeriggio, se prima era come fosse lei ad assistere me, ora s’erano invertiti i ruoli.  Il mio stato emotivo era terribilmente instabile, e ogni volta che guardavo nei suoi occhi vitrei il petto mi faceva male.

La coccolavo e la tenevo stretta come una bambina da proteggere, carezzandole il capo con la delicatezza di chi sta maneggiando una preziosa bambolina di porcellana, mentre lei tremava in silenzio fra le mie braccia. Le nostre giornate trascorrevano in silenzio come tutti gli altri giorni, ma quel silenzio era così freddo da congelare il sangue nelle mie vene. Era un silenzio gelido, che non mi trasmetteva alcuna emozione se non amarezza. Non sapevo cosa le avessero fatto, e la mia sofferenza più grande era quella di non poterglielo chiedere. Ogni volta che cercavo un qualsiasi tipo di contatto con lei, fosse anche solo visivo, si ritraeva dalla mia presa e si raggomitolava in un angolo del letto. La guardavo, e mi sembrava una bestiola smarrita ed indifesa alla quale avevano tolto la ragione. Le differenze le potevo solo vedere. Le avevano tolto le bende dai polsi, sì, e profonde cicatrici solcavano questi ultimi. Alcune erano ancora rosse, altre sembravano uno sbiadito e disprezzato ricordo impresso sulla pelle. Non capivo chi avesse potuto fargli del male fino a questo punto, né capivo perché lei si lasciasse trattare così male. Ogni volta che i miei occhi cadevano su quei polsi fini, la rabbia mi ribolliva nello stomaco e desideravo sempre di più proteggerla, come un cane da guardia inferocito. Non capivo la realtà, perché io non avevo mai vissuto né sentito parlare di cose simili, rinchiuso lì da sempre e impossibilitato a vedere ciò che si celava dietro quelle pesanti mura che iniziavano a starmi un po’ strette.

Vedere Margherita in quello stato era come morire un po’ dentro, e non riuscivo a sostenere così tanta pressione. C’erano periodi in cui alternava i suoi stati di lucidità a stati di semi-incoscienza, e sembrava sempre profondamente sonnolenta, quasi come se stesse per crollare dal sonno da un momento all’altro. Mi rivolgeva la parola, ma a  volte le sue frasi risultavano sconnesse e scomposte, o forse seguivano un filo logico criptato e presente solo nella sua mente così complessa. A volte indicava sempre quel maledetto muro, e vedevo i suo occhi velarsi di lacrime mentre si rinchiudeva in un silenzio che non era mai stato suo. Avrei voluto fare qualcosa, salvarla, scappare con lei oltre quelle mura che - lo sentivo dentro - odiavamo entrambi. Per la prima volta, iniziò a mancarmi la vecchia Margherita, e mi chiesi se la Primavera l’avrebbe mai guarita da quello che ormai iniziavo a chiamare col nome di male. Avrei voluto vivere con lei mille di quelle Primavere.

Ogni sera, mi coricavo sempre un po’ più disilluso e distrutto dentro. Mi si inumidivano gli occhi e mi veniva l’istinto di piangere, allora lo facevo perché nessuno mi guardava. Mi sentivo un bambino indifeso nell’infanzia della quale non avevo memoria, Poi, mi addormentavo così: preso dallo sconforto più totale, mentre i giorni si mischiavano gli uni agli altri.

 

Arrivò un giorno in cui Sandra venne nella mia stanza con il volto affranto, ma così affranto che mai la vidi una seconda volta in quelle condizioni. Le labbra erano increspate in una spiacevole espressione di rammarico, e le mani sembravano tremarle. Si mise accanto a me, seduta ai bordi del letto, e mi mise una mano sulla spalla con delicatezza. Io la guardai con fare interrogativo, e lei ci mise un bel po’ prima di iniziare a parlare, come se dovesse trovare le parole giuste per dirmi ciò che doveva dire. Sospirò, prima una, poi due volte, e mi guardò bene negli occhi. Affondò il suo sguardo nel mio, e leggevo nei suoi grandi occhi scuri qualcosa: qualcosa che mi stava nascondendo. Inarcai un sopracciglio, e con un cenno della mano la invitai a parlare senza timore.

 

《Oggi non potrai vedere Margherita. Magari, domani.》

 

Lo disse tutto d’un fiato come se le dispiacesse tanto da farle male dentro, e poi abbassò immediatamente lo sguardo. Si mordicchiò appena un labbro e strinse i pugni, a capo chino come se volesse evitare il contatto visivo con me. Io non feci niente, rimasi semplicemente a metabolizzare il fatto, quelle sue parole, quella negazione. Mi preoccupai: era vera preoccupazione, la sentivo in fondo allo stomaco, quella preoccupazione che forse mai avevo provato in vita mia prima di quel momento. Iniziavo a sentire il dolce profumo di vita inebriarmi i polmoni, ma non feci mai in tempo a sentirne il sapore pungente sul palato.

 

Così i giorni passarono sempre più lenti, silenziosi, e io mi chiudevo sempre di più in me stesso - mio malgrado, malgrado di tutti, malgrado di Sandra. Ogni giorno sempre la stessa storia, sempre le stesse parole da parte di Sandra, tanto che iniziai ad allontanarmi anche da lei. “Domani”, “Domani”, “Domani”. Ormai pensavo solo ad arrivare al giorno seguente, nella speranza di poter vedere la mia Margherita in fiore, nella speranza di potermi assicurare che non fosse appassita una volta per tutte. La mente smise di farsi false illusioni, ma il cuore ancora non voleva cedere. Non mi facevo più carezzare, e preferivo starle alla larga, non guardarla quando era in stanza a sistemare le mie cose e a lasciarmi il cibo. Evitavo il contatto umano, il contatto con lei, come se fosse la cosa che più mi disgustasse al mondo. Le visite dal Dottore aumentarono di volta in volta, e Sandra dovette trascinarmi con la forza lì, circa tre giorni a settimana. Ma io ormai m’ero imposto ed ero deciso: non avrei fatto niente se non m’avessero ridato indietro la mia Margherita. La volevo, la volevo con tutto me stesso e sentivo bisogno di lei. Un verissimo e vitale, disperato, angosciante bisogno della mia bella Margherita. Come potevano farmi conoscere la vita e strapparmela via subito dopo, senza alcuna pietà? Così, sedevo scomposto su quella sedia scomoda mentre quel grasso uomo mi metteva pressione e mi innervosiva. Odiavo il dottore, e più lo odiavo più sentivo la bile salirmi in gola. Lo fulminavo con lo sguardo, lo sfidavo a strapparmi le parole dalla bocca o le scritte dalle mani: non importava quanto potesse tentare e ritentare, non mi avrebbe mai abbattuto. Ero diventato ostile a quel tipo di vita, e lui se ne era accorto. Non sembrava volermi lasciare andare, no: mi tratteneva lì a lungo, ma io non avevo intenzione di cambiare idea. Non mi avrebbero mai avuto, senza Margherita.

 

Una sera come tante, tediosa, mentre Sandra mi riaccompagnava in stanza vidi qualcuno entrare nella stanza di Margherita … Ma quel qualcuno non era lei, e forse fu questa la cosa che fece più male. Era un uomo dalla pelle bruna e dai capelli molto scuri, aveva il passo un po’ trascinato e la schiena molto curva. Era alto, molto più alto di me, ed era robusto. Un po’ mi mise timore. Una delle tante donne col camice e col berretto reggeva una borsa dall’aria pesante, mentre lo lasciava entrare in quelle quattro mura che per me erano diventate sacre, una qualcosa di molto più simile ad un santuario che a una stanza. Passando, riuscii a ficcare il naso negli affari altrui, e buttai l’occhio dentro quella stanza, speranzoso di trovare lei seduta su quel letto scomodo dalle coperte sgualcite… ma non trovai più neanche le sue pareti, e fu lì che sentii il cuore cessare di battere nel petto per un attimo interminabile, il fiato mozzato a metà. Lì, non c’era più Margherita, semplice. L’avevano cancellata senza dire niente e nessuno, come se non fosse mai esistita, come se fosse solo un errore di Dio da eliminare. Non avevano cancellato solo lei e il suo profumo, ma anche il mondo che aveva creato in quella stanzetta. Avevano steso uno strato di triste vernice bianca anche sulle sue amate pareti, e io non volevo ancora crederci. Dove era finita?

Mentre Sandra mi trascinava via di lì per un polso usando una violenza che non era sua io mi scollegai dal mondo esterno, e sentivo il mio cuore sanguinare copiosamente da una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Quando lei aprì la porta della mia stanza, mi ci fiondai dentro e le chiusi la porta in faccia: non mi curai della sua presenza, né mi chiesi se fosse rimasta male o meno del mio gesto. Per la prima volta, sentivo il vero bisogno di stare solo. Mi buttai in ginocchio in un angolo, e piegando le gambe al petto misi la testa fra le mani. Tremavo, e non sapevo cos’altro fare. Ero scosso, forse troppo, ed era come se tutto intorno a me girasse un po’ troppo veloce e io non riuscissi a stare al passo del mondo. La confusione iniziava a farsi spazio in me, ed i pensieri si attorcigliarono in un caos indistricabile. Solo, nel freddo di quell’Invernale sera, urlai per la prima volta. Lo feci in silenzio, ma lo feci talmente forte da sentir le pareti della mia camera vibrare. Era un silenzioso grido di dolore, che tuttavia non bastava per esprimere il mio stato d’animo. Spalancai con violenza la bocca, e desiderai urlare come un condannato a morte. Lo feci in silenzio e fu liberatorio, ma il mio cuore non si era scagionato da quel peso mortale. Iniziai a piangere quasi senza accorgermene, e singhiozzai perso in quel pianto disperato. Le lacrime mi rigavano il viso senza che io me ne accorgessi, gli occhi rossi e paonazzi scrutavano nel buio della stanza mentre cercavano lei. Più la cercavano, più non la trovavano. Più non la trovavano, più il cuore si struggeva e si struggeva ancora, consumandosi in ogni lacrima. Con la testa serrata fra le mani mi maledii da solo, e per la prima volta provai un intenso dolore che mi dilaniava dentro, tanto che avrei preferito non esistere. Non so per quanto tempo piansi e mi disperai, ma sentivo lo sguardo di Sandra addosso, lei, che m’osservava da dietro il piccolo vetro posto sulla mia porta. Vegliò su di me per tutto il tempo, e io non riuscivo a sopportare la sua presenza - seppur così assente - in un momento tale.

[ Angolo Autrice: 

Siete pronti per l'ultimo capitolo? Rimanete aggiornati! Come sempre vi invito a mettere mi piace sulla pagina Facebook dove potrete leggere materiale aggiuntivo.  
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: nettie