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Autore: DaniNTI    14/10/2016    0 recensioni
"Lo spazio tra ogni punto" è il racconto interiore in prima persona di un anonimo giovane in un periodo della sua vita caratterizzato da un incontrastabile vuoto esistenziale e da un profondo sconforto.
Attraverso il racconto di momenti di vita quotidiana, che coinvolgono altri personaggi, tra cui una donna con cui egli ha una relazione di natura prevalentemente sessuale, due amici e il suo gatto, il protagonista dà voce alle sue riflessioni e ai suoi pensieri, i quali si configurano come una sorta di "flusso di coscienza" che intervalla la descrizione delle giornate.
Citazione dal testo:
"La mia quotidianità stantia è il limbo che mi spetta, e chissà chi l’ha deciso. Ho smesso di aver voglia di lottare per diventare ciò che non sono. Non porterebbe a nulla e la ragione è molto semplice: la mia coscienza è incredibilmente lucida, ma fottutamente debole. O forse sono le turbolenze con cui conviviamo ogni giorno nella nostra segreta interiorità ad essere troppo forti per chiunque provi a contrastarle".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Cinque confezioni di carne in scatola, tre pacchi di crackers, succo di pompelmo, fagioli e cipolle. Avevo appena fatto la spesa. La gente si stupisce quando sa che a casa non ho un frigorifero. “Non ne ho bisogno”, rispondo sempre.
26 aprile, fuori c’era il sole e la temperatura era gradevole. A terra pieno di pozzanghere, il giorno prima aveva diluviato. Ero arrivato a casa, il gatto faceva finta di niente. “Sarà arrabbiato”, pensavo.  In quel periodo in effetti lo stavo ignorando più del solito.
Mia madre rompeva i coglioni in quei giorni, diceva che era ora di trovarmi un lavoro serio.
Mi mantenevo facendo quel che potevo.  Lavoravo come imbianchino,  non regolarmente ma neanche troppo raramente. Il passaparola è una cosa che funziona per davvero. Strano che ora sia io a dirlo, non ci speravo in queste robe.
Duke voleva imparare il francese e mi aveva chiesto aiuto. Mi sentivo una merda a far pagare un amico, ma lui insistette e io avevo bisogno di soldi quindi ammetto di non aver fatto troppe storie. Tre ore al giorno, quattro giorni a settimana.  Tutto questo per una francesina conosciuta su Internet. Non penso che gliel’avrebbe mai data. Povero Duke, un po’ mi dispiaceva. 
Lui mi voleva bene davvero, molto più di quanto gliene volessi io: Duke è l’amico perfetto, ma ci è sempre stato qualcosa che mi ha frenato nel rapporto con lui, non sono mai riuscito ad andare oltre. Insomma, non ci è mai stato un rapporto di vera fratellanza, almeno da parte mia. Lui invece mi adorava, ero un mito per lui e a dire il vero non ho mai ben capito il perché.
Duke è un imbranato, ma ha una mente brillante: mi piaceva parlare con lui di cinema, anche se ne sapeva molto più di me. Lui è uno di quelli che ama quei film per scoppiati dove non si capisce una sega: ho sempre pensato che la gente che guarda quei film lo faccia per darsi l’aria da intellettuale, per crearsi un personaggio.
“Non può esserci gente a cui sta roba piace sul serio”, ho sempre pensato.
 Cazzo, a Duke invece sì. Gli brillavano gli occhi quando ne parlava, e non gli è mai importato nulla di ostentare i suoi gusti ricercati alle altre persone. Ne parlava solo con me, anche se io di cinema non capisco un cazzo.
Una volta la combinai grossa.
Aveva appena finito gli esami della sessione e mi aveva invitato da lui a passare la serata. Non ero troppo di buon umore, ma glielo dovevo.  Eravamo stati un paio d’ore lì tranquilli, giocando a carte e parlando del più e del meno. Poi ci era venuta fame: ordinammo due pizze, ci svaccammo sul divano e iniziammo a guardare uno dei suoi film. Passò quasi un’ora ma niente.
 Mi girai verso lui e dissi:
“Oggi è martedì?”.
 Lui annuì, un po’ stupito del fatto che non sapessi che giorno fosse.
“Oh cazzo”, continuai,
“Oggi consegna il fattorino coglione, ecco spiegato il ritardo”.
Duke mi guardò con la faccia di chi non sa cosa dire,  probabilmente perché lui era così preso dal film che della pizza non gliene fregava più di tanto. Passarono un paio di minuti mentre ci incastravamo nel reciproco silenzio, io continuavo a guardare lo schermo del televisore con l’aria un po’ imbronciata, mentre Duke era con la birra tra le mani a fissare il pavimento. All’improvviso aveva smesso di seguire il film.
Qualcosa era nell’aria, l’avevo intuito facilmente.
“Posso chiederti una cosa?”, esordì timidamente lui.
“Certo, bello”, dissi con tono rassicurante.
“Dimmi tutto”.
Lui stette in silenzio ancora per un po’ e poi mi fece: “Ecco…sai, volevo chiederti… sì ecco, una ragazza no? Ecco, come faccio a baciarla bene? Cioè, aspetta cazzo, non sono un deficiente, non devi spiegarmi certe cose ehehe però ecco, come si fa a farlo davvero bene?”.
E continuava a parlare senza mai prendere fiato: “Perché ecco, beh sai, alcune amiche di Jarrett ne parlavano ieri eheh, parlavano di tipi con cui erano uscite che non le baciavano come volevano e io, beh sai, non capivo troppo bene”.
Io intanto continuavo a guardare quel film che diventava sempre più assurdo di pari passo col suo monologo, finché la sua vocina tremolante, condita di giocosità mista a un po’ di imbarazzo , divenne insopportabile alle mie orecchie ed ecco che la mia mano sbattè sul tavolo prepotentemente.
“Cristo, Duke”.
Mi fermai un attimo ma la mia testa di merda non mi suggerì di abbassare la voce.
“Che cazzo di domande sono, sei impazzito eh?”, continuai gridando.
“Una tipa la baci e basta, punto. E’ un cazzo di bacio, non una scopata. Cazzo. Sul serio ascolti le amichette troie di Jarrett?”, e lo fissai con aria interdetta, ma al tempo stesso con quel fare tipico di chi vuol rimproverare e peggio ancora far sentire inadeguato l’interlocutore.
Le pizze erano arrivate, il fattorino coglione mi guardava con la faccia da culo di chi non è a suo agio, la stessa con cui mi stava fissando timidamente Duke sul divano prima che mi alzassi per aprire la porta. Probabilmente il fattorino coglione aveva sentito le urla. Presi le pizze, pagai e feci sbattere la porta.
Quella volta la combinai grossa. Mangiammo le pizze in silenzio, Duke non mi ha mai detto nulla riguardo a quell’accaduto, né sul momento né successivamente. Forse quello che ancora oggi mi fa più male nel ripensarci è proprio il fatto che lui non ebbe mai il coraggio di incazzarsi. Né tanto meno fece più alcun riferimento, neppure velato, a questa storia.
L’avevo fatto sentire inadeguato, e una persona che si sente inadeguata vorrebbe soltanto morire. Mi ero macchiato di una vittoria crudele: l’avevo fatto sentire colpevole di star parlando in modo disinibito e sincero. Quello che dovrebbe essere un traguardo per due amici.
Sentirmi inadeguato è un qualcosa che non provavo da quando mio padre mi portava a giocare a tennis da bambino e io le mancavo tutte, ma forse riesco a immaginare di cosa si tratti: penso che sia qualcosa che ti laceri profondamente, è un livello più profondo di sofferenza in cui qualsiasi cosa ti passi per la mente deve superare l’enorme scoglio di essere accettata prima da te stesso, e una volta accettata da te stesso deve superare lo scoglio ancora più grande di essere accettata dagli altri. Se anche uno solo dei due scogli non viene superato allora la cosa che ti era passata per la testa non aveva senso di esistere, e quella piccola cosetta, che magari era solo un pensiero qualunque apparentemente innocuo, fa di te una nullità. Tale si sentiva probabilmente Duke.
Lui aveva compiuto lo sforzo enorme di accettare ciò di cui sentiva il bisogno di parlare. Primo scoglio superato. Il secondo ero io, e lo stroncai, in modo spietato.
   
 
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