Non piangerà. Non davanti agli altri, almeno.

 Questo Tobio lo sa bene, quando fa cenno ai suoi compagni di squadra e annuncia che torna un attimo nello spogliatoio 'ché ha dimenticato una cosa. Hinata lo guarda e gli chiede se vuole che lo accompagni, ma Tobio lo sa: l'amico ha capito, non fa domande quando Tobio scuote il capo e si volta, correndo verso gli spogliatoi prima che qualcun altro si faccia avanti per andare con lui.

 Di fronte alla porta, la mano già sulla maniglia, esita. Forse non è una buona idea. Forse dovrebbe solo lasciar perdere, tornare indietro e andarsene.

 La mano si muove da sola: abbassa la maniglia e piano, silenziosamente, apre la porta non più di quello che basta a farlo passare; singhiozzi mal trattenuti giungono inesorabili alle sue orecchie e si piantano lì, nel cuore, come lame di ghiaccio.

 Senza fare rumore si richiude la porta alle spalle e si addentra nello spogliatoio semi-oscuro. I singhiozzi si sono placati, deve averlo sentito entrare.

 Tobio percorre un'intera fila di armadietti arrivando fino alla fine, e lì ferma il passo prendendo un profondo respiro. Il dado è tratto: svolta l'angolo, ritrovandoselo di fronte.

 Non piangerà davanti agli altri.

 Ma da solo, protetto dalla penombra dello spogliatoio, gli occhi di Oikawa sono ora arrossati e il volto è rigato dalle lacrime.

 Tobio vede l'altro ragazzo spalancare gli occhi quando gli si para davanti, in un misto di vergogna e puro odio. Vede anche le sue labbra schiudersi, immagina stiano vomitando fuori i peggiori insulti, tutta la frustrazione, ma non sente le sue parole: è come se fosse circondato da una bolla di silenzio, la voce di Oikawa è solo un ronzio indistinto.

 In un certo senso Tobio non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un piccolo, innocente sorriso, sentendosi stupidamente privilegiato: a nessuno mai Oikawa farebbe vedere una simile immagine di sé, nemmeno a Iwaizumi.

 A nessuno, sì, tranne che a Tobio.

 Ora le sente, le parole di Oikawa, gli insulti gridati con voce roca dal pianto e velenosa di odio e frustrazione. E accusa ogni colpo, per quanto faccia male. Non fiata, non risponde; solo, gli si avvicina lentamente, mentre Oikawa indietreggia disgustato – che non gli si avvicini – fino ad arrivare con la schiena contro gli armadietti.

 Allora, non potendo più indietreggiare, rimane a fissare con sguardo sconvolto Tobio che ancora gli si avvicina, gli si avvicina al punto che i loro corpi si sfiorano, che il fiato dell'uno soffia sul volto dell'altro, che basterebbe un nulla per abbracciarsi.

 E Tobio le allunga, le braccia; le avvolge intorno alle spalle di Oikawa, stringe con le mani la stoffa della divisa all'altezza delle scapole, posa il mento sulla sua spalla e lo stringe a sé. Solo, lo abbraccia.

 Oikawa è come pietrificato, le membra immobili, ma Tobio non si scosta. Finché non sente il corpo di Oikawa tremare contro il proprio, non sente le sue dita aggrapparsi con disperazione alla sua felpa, il volto andare a nascondersi contro il suo collo e calde lacrime bagnargli il bavero della maglia.

 Non fiata, Oikawa: è già abbastanza umiliante così senza che cominci a singhiozzare come una ragazzina, ma stringe di più Tobio. Lo odia, continua a ripeterglielo come un mantra, lo odia ma lo stringe come se fosse la sua unica ancora di salvezza.

 Mentre gli passa delicatamente le dita di una mano fra i capelli, Tobio non può fare a meno di chiedersi quando finirà tutto questo, quando finalmente potrà guardarlo negli occhi senza il timore di scorgervi odio e quando infine potranno smettere di recitare, non solo di fronte agli altri ma anche con loro stessi.

 “Ti amo.”

 È un sussurro che si perde nel silenzio quasi irreale. Oikawa continua a stringerlo.