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Autore: Odinforce    16/10/2016    7 recensioni
[Men in Black]
Ambientato prima degli eventi di Men in Black 3, gli agenti J e K si troveranno ad affrontare una delle più pericolose razze dell'universo... i Predator!
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Men in Black vs. Predator
 
 
1. Una pessima giornata 

L’alba di un nuovo giorno sorse sulla città di New York, resa limpida e fresca dalla brezza primaverile che soffiava in quei giorni su tutta la costa. I grandi edifici della metropoli furono baciati dal sole uno dopo l’altro, compreso quello su cui rivolgeremo ora l’attenzione. Situato al 504 Battery Drive, era in apparenza un comune palazzo di cemento privo di finestre, con un unico portone d’ingresso posto sul lato principale. Passava inosservato come gran parte delle cose a New York, dal momento che i newyorkesi badavano in genere ai fatti loro.
Un trio di persone arrivarono davanti all’edificio in quel momento. Due uomini vestiti di nero trascinavano di peso un terzo, quello che in apparenza sembrava un giovane ispanico vestito da teppista. Questi non smetteva di parlare, cercando di convincere i due uomini in nero a lasciarlo andare.
« Vi state sbagliando! » insisteva. « Io mi chiamo Carlos e vengo dalla Terra! Non sono un dannato alieno! »
« Vedi di darci un taglio » dichiarò K, l’uomo in nero più anziano. « Ormai siamo arrivati. »
« Non so niente! Avete preso l’uomo sbagliato... non sono quello che pensate che sono! Non sono un Drensh o come diavolo si chiama... »
« Un Drenj » rispose J, l’altro uomo in nero, più giovane e di colore. « Comunque credimi, Carlos... se fossimo sicuri che tu non sei un Drenj, credi davvero che ti avremmo inseguito per tutta la notte, catturato in un vicolo e trascinato di peso per quattro isolati fino alla nostra base? E non fingere di non riconoscerla, sappiamo benissimo che sei stato accolto qui un mese fa! »
Il trio varcò la soglia, attraversando il corridoio fino all’ascensore. J e K spinsero dentro il povero Carlos, facendolo sbattere contro la parete d’acciaio.
« Uff » sospirò J, visibilmente stanco. « Era ora, dannazione... lo sai che per colpa tua non ho chiuso occhio stanotte? »
« Colpa mia? Non so di cosa stai parlando » rispose Carlos, continuando a negare tutto. « Mi accusate di un mucchio di stronzate. Dite che sono un alieno, che spaccio droga e che ho infranto la legge intergalattica o roba del genere... io non so niente! Non ho fatto niente! »
« Ah sì? Dillo ai ventisei poveretti finiti in ospedale per aver ingerito la tua roba » affermò K spazientito. « Come reagirebbero se sapessero che la polvere che hai venduto loro è ricavata dalle tue secrezioni ascellari? Siete tutti uguali, voi Drenj... credete di fare buoni affari sulla Terra con le vostre sostanze, ma poi vi fate acchiappare come un branco di tonni. »
L’ascensore continuò a scendere. Carlos sembrava agitato più che mai.
« Io... io... »
« Carlos » disse J, alzando la voce. « Finora siamo stati gentili, abbiamo usato le buone maniere... almeno in larga parte. Ma se continui a blaterare cazzate, io e il mio collega saremo costretti a usare le maniere cattive. Perciò prova a ripetere un’altra volta che non sei un alieno – anche se ti abbiamo preso con le mani nel sacco – e mi vedrai costretto a farti tacere con questo. »
E tirò fuori dalla tasca una specie di bastoncino di plastica e metallo. Carlos lo guardò, con aria tesa.
« C-che cos’è? »
« A dire il vero non ho mai imparato il parolone tecnico... io lo chiamo semplicemente “macinachiappe”. Quando un alieno fa il duro, mi basta infilarlo nelle sue chiappe e spingere finché non arriva fino allo stomaco, macinando le sue interiora finché non si decide a parlare... »
Dlin.
L’ascensore arrivò al piano, ma nel frattempo Carlos aveva preso a urlare terrorizzato.
« Nooo, pietà! Vabenevabene, confesso ma non infilatemi quell’affare tra le chiappe! »
« Saggia decisione » commentò K, con un sorrisetto. « P, F, portatelo nell’area di detenzione, procedura standard. »
Due Men in Black si fecero avanti, portandosi via un Carlos ancora agitato.
J ridacchiò, infilandosi il “macinachiappe” nella tasca.
« Eh, gli alieni » commentava nel frattempo. « Non importa da quale angolo dell’universo saltino fuori, non riescono mai a riconoscere il bastone che usiamo per farci i selfie. »
I due colleghi avanzarono per il quartier generale MIB. Anche se era l’alba, il posto era comunque pieno di gente. I Men in Black lavoravano infatti a turni, seguendo una giornata di 36 ore; occuparsi del controllo dell’attività aliena sulla Terra non era certo un lavoro qualsiasi, e richiedeva un impegno costante. Questo non era comunque il caso di J, perché in quel momento sbadigliò sonoramente.
« Stanco? » commentò K, notandolo.
« Eccome » gli rispose J. « Tu sarai abituato, ma io ancora non reggo una caccia al Drenj di 9 ore. Non mi reggo in piedi, te lo assicuro.
« Allora vai pure a riposare, parlo io con Z. »
J fissò sorpreso il suo collega. Era assai raro che rifilasse simili gentilezze, ma evitò di commentare con una battuta, perché aveva davvero bisogno di dormire.
« Grazie, K, te ne devo una. »
« Me ne devi cinque, volpe. »
Si separarono a metà strada. J raggiunse il luogo più appartato dove poter riposare, K proseguì dritto, verso l’ufficio di Z. Lungo la strada incrociò una donna bionda di mezz’età, la quale lo salutò con un sorriso.
« Buongiorno, O » rispose lui meccanicamente.
Trovò il capo della base al suo posto, dietro la scrivania e con una grossa tazza di caffè tra le mani. Aveva l’aria cupa.
« Buongiorno, K » borbottò Z. « Che novità porti a questo vecchio rimbambito? »
K sedette davanti alla scrivania.
« Abbiamo catturato il Drenj, missione compiuta. »
« Eccellente. E le vittime? »
« I sopravvissuti si riprenderanno, con le dovute cure fornite dalla squadra di pulizie. »
Z annuì, mostrando un debole sorriso compiaciuto.
« Bene... non resta che archiviare il caso, allora » dichiarò dopo una pausa. « I Drenj... non avevamo a che fare con loro dai tempi di Woodstock. All’epoca se la sono spassata un sacco con i giovani in cerca di sballo. »
Un’altra pausa. K si prese a sua volta un po’ di caffè, ma nel frattempo continuò a scrutare Z in volto. Qualcosa lo turbava, era evidente.
« Qual è il problema, Z? » domandò dopo il primo sorso. « Riconosco quello sguardo, significa chiaramente “sta per arrivare qualcosa che preferirei andasse su un altro pianeta”. »
Z allargò un poco il sorriso.
« Hai indovinato. Pare che nel primo pomeriggio avremo ospiti... una visita da parte del popolo Yautja. »
A K non andò per poco di traverso il caffè.
« Yautija? » ripeté. « Oh, per la miseria... cosa vogliono stavolta? »
« Nulla, almeno apparentemente. Una loro navetta in transito nel nostro sistema ha subìto un guasto e chiede di atterrare qui per effettuare le riparazioni. Hanno già promesso di fare i bravi durante il loro soggiorno, ma come ben sai non mi fido degli Yautja... per questo ho convocato l’Agente A, affinché venga a tener d’occhio la situazione. »
« A? Uhm, è da parecchio che non si fa viva da queste parti. »
« Ora ha un buon motivo per farlo. A è la migliore, quando si ha a che fare con quei pazzoidi. Arriverà tra qualche ora, appena in tempo per accogliere gli Yautja. »
K sospirò profondamente.
« Speriamo che fili tutto liscio, allora. »
« Me lo auguro » commentò Z. « Abbiamo avuto fin troppe grane con gli Yautja in passato... dovresti saperlo meglio di me, visto che ne hai ucciso uno. »
« Sono ancora indeciso se considerare quell’esperienza un onore o una condanna. »
Entrambi risero, anche se il divertimento fu breve.
« Be’, per ora è tutto » dichiarò Z. « Puoi andare, K... ah, assicurati di avvertire J della faccenda, so che tra lui e A c’è stato del tenero in passato. »
« E non è finita molto bene » aggiunse K. « In effetti spero quasi che J dorma a lungo e si risvegli quando A e gli Yautja saranno già ripartiti. »
Il Man in Black uscì dall’ufficio, decisamente turbato per le ultime novità. Mentre si dirigeva alla sua scrivania gli tornò alla mente – quasi automaticamente – tutto ciò che sapeva sulla razza Yautja. Noti anche come Predator, erano ritenuti non a torto tra i più pericolosi alieni dell’universo conosciuto: vivevano di caccia e di combattimento, da loro considerato come mezzo per dimostrare le proprie virtù, e le loro prede erano praticamente tutti coloro che decidevano di cacciare. Piattole, Kylothiani, Chitauri, Bogloditi... persino la feccia dell’universo tremava al solo sentire il ringhio di uno Yautja alle loro spalle.
Tra gli umani e i Predator, invece, c’era una lunga storia da raccontare. Il popolo Yautja visitava ormai da secoli la Terra, ed era in parte responsabile del progresso dell’umanità; si facevano venerare come dèi da alcuni popoli, ma nel frattempo li usavano come pedine sacrificali in pericolose battute di caccia. Nell’ultimo secolo, poi, le visite erano aumentate di numero, insieme agli avvistamenti da parte di uomini innocenti. I Men in Black, per quanto organizzati, non erano in grado di fermare gli Yautja, e arrivavano sempre quando ormai era tutto finito; perciò, fin da quando l’organizzazione era attiva, intervenivano quando potevano per limitare i danni e nascondere – come sempre – ogni traccia aliena.
Ma i Predator continuavano a tornare, rifiutandosi di rispettare qualsiasi tregua.
 
J si svegliò qualche ora dopo, quando lo stomaco cominciò a brontolare per la fame. Il giovane lasciò quindi la sua branda e raggiunse l’area del terminal, affollata dal consueto viavai di agenti e alieni, mentre una voce femminile registrata comunicava l’ennesimo annuncio.
« Attenzione: navetta Yautja classe R in arrivo al Varco 3. »
Il messaggio non penetrò subito nella mente di J, intento com’era a sbadigliare pesantemente. Fu solo alla terza ripetizione del messaggio che il giovane MiB cominciò a capire qualcosa.
« Navetta Yautja? » ripeté sorpreso, e nel frattempo i suoi occhi notarono varie sfumature di ansia e nervosismo tra le persone che gli stavano intorno, sia Men in Black che alieni. Non aveva mai incontrato i Predator, ma ne aveva sentito parlare molto; era a causa loro che una persona era entrata a forza nella sua vita, rivoltandola come un guanto per un certo periodo.
Alexa...
J scosse la testa, cercando di non pensarci. Ignorò il messaggio che ancora risuonava al terminal e raggiunse a grandi passi il bancone del Burger King, pronto a riempirsi lo stomaco. Un grosso alieno viola con quattro braccia gli diede il benvenuto.
« Ehilà, Dex » salutò J. « Come vanno le cose al miglior cuoco della galassia? »
« Piuttosto bene, per un profugo elzariano » rispose Dex. « Allora, cosa ti porto? »
« Il miglior Whopper della galassia, naturalmente. »
« Detto fatto, bello. »
Le porte del terminal si aprirono in quel momento, e un nuovo gruppo di alieni fece il suo ingresso. Quasi tutti si fermarono a guardare: erano gli Yautja. Umanoidi, alti più di due metri e dalla pelle rugosa, con delle lunghe protuberanze simili a dreadlocks che spuntavano dal cranio; indossavano tutti una maschera di metallo, che permetteva loro di vedere a infrarossi e in altre modalità. Una mezza dozzina di giovani guerrieri guidati da un anziano, l’unico dotato di mantello e armato di lancia. Molti alieni arretrarono alla vista dei Predator, visibilmente intimoriti; altri cercarono di ignorarli, pur dimostrando una certa tensione nello sguardo.
Gli Yautja avanzarono fino al centro del salone, proprio di fronte al Burger King. Z venne loro incontro, scortato dall’Agente O, fermandosi di fronte a loro senza parlare. Sembravano tutti in attesa di qualcosa, o di qualcuno.
« Eccoti qua. Ben svegliato, volpe. »
J si voltò e vide K avvicinarsi a lui.
« Ehi » salutò, pur continuando a guardarsi intorno. « Ma che succede? »
« Non hai sentito la comunicazione? »
« Sì che l’ho sentita. Ma perché riceviamo un’improvvisata dagli Yautja? »
« Hanno un guasto alla nave, faranno una sosta da noi per ripararla. »
J fece un verso scettico. Intanto Dex gli serviva il Whopper che aveva ordinato.
« È questo che hanno detto? » borbottò mentre addentava il suo panino. « Io sento puzza di guai persino qui, davanti al bancone del Burger King. »
« Lo so » rispose K, « per questo l’Agente A li terrà d’occhio. »
A J per poco non andò di traverso il boccone.
« A è qui? » esclamò, tossendo un poco. « E quando pensavi di dirmelo? »
« Ti sei svegliato solo adesso. »
« K, credevo di essere stato chiaro quando te l’ho detto quattro anni fa: una delle più valide ragioni per cui puoi permetterti di svegliarmi in caso di emergenza è per informarmi del ritorno di A! »
« La prossima volta avvisami dove vai a nasconderti per dormire, allora. »
J sospirò seccato, mentre K raggiungeva i colleghi intenti ad accogliere i Predator.
« Prima il Drenj, poi gli Yautja... e ora anche A » mormorò il giovane MiB. « Che giornata... e sono appena le due del pomeriggio. Mi domando come potrebbe andare peggio. »
Qualcosa di grosso si fermò al bancone in quel momento, posizionandosi accanto a lui. J alzò lo sguardo e vide un Predator, uno dei giovani guerrieri.
Notò che lo stava fissando.
« Be’, che vuoi? » domandò J, scorbutico.
Il Predator non rispose, ma abbassò lo sguardo. Ora fissava il panino tra le mani del MiB.
« Che c’è? Vuoi questo? » insisté J. « Scusa, bello, ma il Whopper migliore della galassia spetta a me... se ne vuoi uno fa’ la fila come tutti gli altri. »
La mano dell’alieno scattò in avanti un attimo dopo, strappando via il Whopper da quella di J.
« Ehi... ridammelo! »
Il Predator, evidentemente, fece finta di non sentirlo, perché nel frattempo si toglieva il casco per mangiare il panino, rivelando la sua orrida, feroce faccia: J vide due piccoli occhi gialli e una bocca irta di fauci, ma non provò neanche un po’ di paura né disgusto. Il Man in Black avanzò di un passo, puntandogli contro un dito minaccioso.
« L’hai voluto tu, cowboy » dichiarò con crescente irritazione. « In questo momento me ne frego se sei un grande guerriero, il primo ministro o il presidente del Pianeta X... tu il mio Whopper non te lo mangi! »
La risposta del Predator fu un unico, incomprensibile ringhio bestiale, dopodiché avvicinò il panino alla bocca.
J gli sferrò un pugno in faccia prima che fosse troppo tardi. Il Predator barcollò per un attimo, sorpreso, e J ne approfittò per cercare di riprendere il panino; l’alieno, tuttavia, non aveva mollato la presa, e quando le mani del MiB si strinsero sul suo possente braccio, rispose di conseguenza, afferrandolo per la gola con la mano libera.
Ormai avevano attirato l’attenzione di tutti i presenti, compresi K, Z e gli altri Yautja. Nessuno, tuttavia, osò intervenire, né tantomeno avvicinarsi. Nel frattempo J era riuscito a riprendersi il Whopper, ma ora rischiava di soffocare; il Predator sembrava intenzionato a punirlo per la sua insolenza.
J reagì gettando via il panino. Il Predator lo seguì con lo sguardo e mollò la presa; sotto lo sguardo stupefatto di tutti, l’alieno ora stava correndo a riprenderselo! J lo seguì a ruota e si gettò contro di lui, afferrandolo per le gambe. Caddero entrambi in avanti, a pochi centimetri dal panino ora riverso a terra. Il Predator continuò a ignorare J e cercò di afferrare ciò che restava del Whopper, ma il Man in Black glielo impedì ancora. Il giovane terrestre gli era saltato addosso e prendeva a calci e pugni ogni parte del corpo che riusciva a raggiungere.
« Così impari a fregarmi il pranzo! »
Nel frattempo, l’intera folla continuava a fissare la scena con enorme stupore. Perfino K, che tra i presenti non era certo il migliore ad esternare emozioni tramite espressioni facciali, dimostrava in quel momento una notevole sorpresa. Il suo collega stava tenendo testa a un guerriero Yautja.
Il Predator ruggì spazientito, e atterrò infine J con un calcio. L’alieno lo afferrò per la giacca e lanciò un altro ruggito ancora più forte, mentre scopriva una coppia di lame retrattili dal braccio libero. Sembrava intenzionato a farla finita, facendo a pezzi quello sciocco terrestre...
« Basta così! »
Qualcuno aveva urlato all’improvviso, ma non fu la voce ad interrompere la rissa. J vide una lancia metallica frapporsi tra lui e il Predator, bloccando le lame di quest’ultimo. Un calcio apparso dal nulla respinse dunque l’alieno, costringendolo a mollare la presa da J. Il MiB cadde di nuovo a terra ma si rialzò subito, scoprendo chi era giunto a salvarlo da morte certa.
Era una donna di colore, alta e dai lunghi capelli neri raccolti in trecce. Il suo abito da Man in Black parlava chiaro sulla sua professione, insieme alla lancia di foggia aliena che reggeva in quel momento per tenere a bada lo Yautja. Il suo bel viso, dominato in quel momento da un’enorme serietà, recava un marchio impresso sulla guancia sinistra. Il Predator fissava questo, e reagì facendosi subito da parte.
La donna ignorò l’alieno, voltandosi a guardare J.
« Ne è passato di tempo, James » gli disse con un sorrisetto.
 
 
   
 
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