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Autore: ClaireOwen    17/10/2016    3 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ho finito di scrivere il capitolo praticamente adesso, ho fatto una revisione svolazzante ma ci tenevo a rispettare la scadenza settimanale e mi son fatta prendere un po' dalla foga.
Tuttavia credo che anche questo sia un capitolo abbastanza introspettivo ed importante, qualcuno qui comincia a realizzare cose e qualcun altro invece è un po' troppo scombussolato per realizzare il tutto più di quanto non abbia in parte già fatto...
ovviamente non c'è bisogno di fare nomi e scoprirete il resto leggendo :)
Sperando che sia di vostro gradimento io mi congedo,
come al solito per qualsiasi cosa mi trovate qui d'altra parte sono sempre curiosissima dei vostri pareri quindi fatevi avanti!
Un bacio,
Chiara.



VIII
 
Continuava a fissare l’involucro cartaceo ormai malmesso ed il contenuto, era un invito prestampato, uguale quindi a quello che avevano ricevuto chissà quante altre persone, nessun riguardo speciale per lei, nessun commento in più, nessuna dannata spiegazione. Abby era una codarda pensò nella sua testa, non le aveva accennato nulla nemmeno al telefono, eppure si sentivano quasi tutte le sere, mandavano avanti conversazioni vuote più perché il protocollo prevedeva che una madre ed una figlia dovessero sentirsi, era buon senso, di comune uso.
“Pensavi che saresti sfuggita per sempre a New York e invece…”
Jasper tentò di sdrammatizzare mentre ricevette una gomitata dal compagno che aveva capito al volo dall’espressione eterea dell’amica che la sua reazione era tutt’altro che serena.
Clarke guardò l’orologio, erano nel bar da troppo tempo e cominciava a sentire l’aria consumata attorno a lei troppo stretta, aveva bisogno di uscire.
“Vi va di camminare fino a casa?”
Jas’ strabuzzò gli occhi “Con questo fred…”
Nuovamente Monty lo fermò e le rispose convinto “Certamente.”
 
Era quasi buio e i tre passeggiavano uno affianco all’altro in silenzio, i ragazzi aspettavano che la loro amica dicesse qualcosa, sapevano bene com’era fatta, non potevano pretendere di estorcerle nulla e far finta di niente era fuori discussione.
La ragazza però non riusciva a formulare pensieri lucidi in quel momento, le dispiaceva, sapeva perfettamente che i due non avrebbero detto nulla per non offenderla in alcun modo ma tutto ciò che le passava per la mente era confuso.
La verità è che non aveva mai perdonato sua madre per la morte del padre, l’aveva accettata così velocemente.
Jake era malato, gli era stato diagnosticato un cancro al fegato e lei non aveva fatto altro che assecondare la debolezza che pian piano aveva prevalso su di lui, nonostante la sua posizione in ospedale aveva deciso di appoggiare senza remore la volontà del marito di interrompere qualsiasi trattamento, di abbandonare tutto, persino loro, Abby non aveva lottato per amore ma si era semplicemente arresa.
Non biasimava il padre, era ovvio che non potesse pensare lucidamente, chi poteva reagire in modo oggettivo di fronte alla consapevolezza di una data di scadenza così vicina?
Abigail aveva smesso persino di andarlo a trovare in ospedale era come se volesse staccarsi da lui il prima possibile, ormai era fatta e non c’erano alternative. Clarke lo sapeva bene ma continuava ad incolparla perché forse se si fosse preoccupata anche solo la metà di quanto aveva fatto lei, avrebbero potuto passare anche solo qualche mese in più come una famiglia.
Invece non le restavano degli ultimi ricordi felici a cui aggrapparsi e per questo non poteva perdonarla. Di suo padre le restava solo tutto il peso di una sofferenza che nessuno era stato in grado di alleviare.
Quando poi lui era andato per sempre Abby ci aveva messo così poco a voltare pagina: una casa nuova, un nuovo compagno, un nuovo quartiere. Per quanto Clarke avesse provato a giustificarla, a trovare motivazioni plausibili che potessero dare un senso al suo modo di reagire, non riusciva a trovare nulla a cui dare adito per capirla e dunque il rancore aveva prevalso velocemente.

Arrivarono prima del previsto davanti al Bed & Breakfast in cui alloggiavano Monty e Jasper, forse l’aria gelata e limpida gli aveva fatto accelerare il passo più di quanto potessero immaginare. Si fermarono all’entrata per i saluti.
“Sicura che non vuoi compagnia fino a casa?”
disse Jasper preoccupato.
“No, va bene così.”
“Guarda che non è un peso per noi, è più vicino del previsto.”
Rincarò Monty.
“Davvero, grazie… ma ho bisogno di stare un po’ da sola e di fare mente locale”
Non era sicura che avesse davvero bisogno di stare sola, aveva paura in realtà che i ricordi riaffiorassero e che la facessero crollare ulteriormente ma d’altro canto sapeva che i due ragazzi non potevano aiutarla più di quanto non avessero già provato a fare e non voleva che quell’imbarazzante silenzio che li aveva accompagnati fin lì continuasse a gravare su di loro, si sentiva in colpa perché era lei a non avere il coraggio di spezzarlo.
“Vedi il lato positivo, ci vedremo prima del previsto.”
Clarke annuì poi schioccò un bacio sulla guancia ad ognuno di loro nel modo più convincente possibile, non voleva che i due potessero percepire le sue debolezze, non voleva che i due si preoccupassero per lei più del dovuto.
Gli voltò le spalle velocemente ritirando le mani fredde nelle tasche della giacca e continuò per la sua strada.
Era quasi arrivata a destinazione quando il cellulare cominciò a squillare incessantemente, rispose senza nemmeno guardare il disply, meccanicamente:
“Si?”
“Clarke, tesoro!”
Era lei, sua madre. Rimase impietrita. Jasper e Monty forse le avevano detto di aver portato a termine l’impresa che lei gli aveva cinicamente assegnato, erano stati davvero veloci.
“Ciao.”
Rispose secca, cercando di scansare tutte le emozioni che in quel momento l’assalivano.
“Tutto bene?”
Con che coraggio lo chiedeva?
“Mh-mh.”
Mormorò in assenso, non riusciva a dirle sì, non riusciva a mentire così spudoratamente.
“Non sai come sono contenta di sentirti! Jas e Monty mi hanno detto che vi siete visti…”
“Già… congratulazioni.”
Disse poco convinta. Non aveva la forza di gettarle addosso i suoi pensieri.
“Hai visto i biglietti? Ne ho preso uno in più sia per l’andata che per il ritorno così puoi portare qualcuno, magari un amico.”
Forzò l’accento sulla “o”, conosceva Abby dopotutto era sua madre, perfezionista e calcolatrice sino a risultare maniacale. Era chiaro che volesse che sua figlia fosse accompagnata da un ragazzo, la forma, ancora una volta, voleva che fosse così, era cresciuta e quindi la prassi prevedeva che dovesse mostrare a tutti i suoi conoscenti quanto anche la sua figlioletta avesse una vita perfetta e felice.
“Non saprei a chi chiedere ma’, non è che in poco più di un mese ho fatto poi chissà quante amicizie, cioè non sono amicizie che potrei considerare così profonde.”
“Dai! Sai quanto sarebbero felici le zie di vederti con qualcuno diverso da i tuoi cari Monty e Jasper?”
Stava oltrepassando il limite, possibile che fosse così attaccata all’apparenza?
“Comunque ti ho messo dei soldi sul conto bancario, così puoi comprarti qualcosa, chiaramente sono comprese le spese anche per il tuo ipotetico cavaliere.”
Vedendo che la ragazza non diceva ancora nulla, Abby continuò con le informazioni
“Dopo il ricevimento potete stare a casa, i posti letto ci sono, abbiamo finito di ristrutturare anche la stanza degli ospiti, io e Marcus partiamo per la luna di miele subito dopo la festa. I biglietti di ritorno sono aperti e puoi fermarti a New York quanto vuoi, ho pensato che magari volevi salutare qualcuno!”
Parlava di lei dei suoi piani, di quello che pensava fosse giusto e non le aveva lasciato il minimo spazio, non le aveva chiesto nulla sul tirocinio, sulla casa, sulla sua nuova vita, sentì una fitta allo stomaco.
“Devo proprio andare adesso, ma gr…” tossì e ci riprovò “grazie per esserti preoccupata di tutto.”
Ed attaccò, senza voler ascoltare la risposta.
-
 
Quando Clarke rientrò lui e O’ se ne stavano accucciati sul divano a chiacchierare mentre sorseggiavano una tazza di tè.
“Hei”
Disse per salutarla.
Lei però non si girò nemmeno, fece un cenno con la mano mentre saliva le scale annunciando a gran voce e con una freddezza inquietante
“Vado a farmi una doccia, vi serve il bagno?”
Prontamente rispose Octavia dicendole che non c’era alcun problema mentre Bellamy cercava di capire cosa potesse esserle accaduto, non era solita reagire così, nemmeno quando i loro rapporti erano ancora strani e poco cordiali era stata così aspra, anzi aveva ammirato la correttezza di Clarke fin da subito, la sua discrezione, adesso invece sembrava un fascio di nervi, noncurante e annebbiata da chissà quale brutto pensiero, Bell si preoccupò, rabbuiandosi.
Quando sentirono la porta del bagno sbattere e poco dopo l’acqua scorrere in lontananza, O’ prese la parola:
“Dovresti parlarle.”
“Scusa cosa vuoi che le dica? Ha la sua vita, i suoi problemi, come ognuno di noi. Se vorrà farlo sa dove trovarci.”
“Sei davvero patetico.”
Bell la guardò smarrito.
“Dio, quando smetterai di mentire di fronte all’evidenza?”
“Non riesco a seguirti.”
“Appunto.” Poi la sorella gli prese il viso tra le mani per assicurarsi che i suoi occhi non sfuggissero il suo sguardo.
“Lei ti piace.”
Cosa stava dicendo? Non aveva senso, Octavia doveva essere impazzita pensò. Ma non rispose, non la contraddisse, non parlò perché non sapeva cosa dirle, non riusciva ad ammetterlo apertamente che lei si stava sbagliando e improvvisamente non era nemmeno più tanto sicuro di quale fosse la realtà dei fatti.
“Fai come ti pare.”  
Disse lei con un tono di rimprovero e vedendo che lui non rispondeva “Se ti sta bene così, se non riesci nemmeno a dirlo a te stesso e ti senti in pace, amen. Io però non me la bevo Bell, sei sangue del mio sangue, ti conosco troppo bene, spero che troverai il coraggio di essere felice un giorno.”
Poi si alzò, lasciandolo lì solo con i suoi pensieri più confusi che mai.
Octavia non aveva fatto una delle sue solite scenate cariche di emotività e di avversione nei suoi confronti, il suo tono era invece piuttosto afflitto e allo stesso tempo impassibile, come se fosse davvero preoccupata per lui e per quello che sentiva. Dal suo canto Bellamy non sapeva bene dove sbattere la testa, sentiva qualcosa nei confronti di Clarke? Non sapeva dirlo.
D’un tratto però il suo stomaco si attorcigliò mentre ripensò alla sera precedente, quando l’aveva stretta tra le sue braccia un senso di serenità si era fatto strada in lui, un calore nel petto lo aveva fatto sentire più vivo che mai e il profumo di lei lo aveva inebriato, lasciandolo lì incapace di reagire, aggrappato al suo corpo come se fosse l’unica cosa possibile, l'unica cosa che potesse desiderare. Staccandosi da quell’abbraccio lei gli aveva rivolto un sorriso timido e sincero, poi senza dire nulla era rientrata, lasciandolo lì ancora per un po’ piacevolmente stordito.
Forse sua sorella ci aveva visto lungo, eppure perché non riusciva ad ammetterlo a se stesso? Nonostante provasse qualcosa, le emozioni gli apparivano indecifrabili, non riusciva a pensare lucidamente e a darsi delle risposte. Scosse la testa e decise di mettersi ai fornelli, da quando era piccolo sapeva che il miglior modo per evitare di farsi affliggere dai propri pensieri era tenersi occupato, era diventata una questione di sopravvivenza, quando pensava di scoppiare, di non reggere il peso di tutto ciò che gli passava per la testa cominciava a darsi da fare, andava bene qualsiasi cosa.
Mentre si adoperava per condire il pollo, il viso tirato e stanco di Clarke che poco prima aveva fatto capolino all’ingresso gli riaffiorò in mente.
Non stava funzionando.
Voleva capire cosa le fosse successo, sapeva che avrebbe passato il pomeriggio con i suoi amici e non riusciva a spiegarsi come questo avesse potuto turbarla, si scoprì a pensare che se anche solo uno dei due avesse provato a ferirla gliel’avrebbe fatta pagare, non importava chi o cosa fosse a renderla così passiva e poco reattiva, lui non lo avrebbe permesso, vederla in quel modo lo feriva dentro, soprattutto perché il giorno prima aveva potuto osservare nei suoi occhi blu una luce nuova e gioiosa che sembrava essere contagiosa.
 
-
 
Scese per la cena alle otto in punto, i capelli biondi ancora leggermente umidi le si erano gonfiati e boccoli più mossi del solito le ricadevano dolcemente sulle spalle, il viso era quello che era invece, cercò di dipingere sul suo volto un’espressione il più neutra possibile ma ebbe risultati scarsi.
In quel momento avrebbe preferito che i tre non avessero mai ripreso a mangiare tutti insieme, le risultava davvero difficile nascondere la sua amarezza, era in momenti come questo che avrebbe voluto vivere sola o quantomeno non con due ragazzi che fino ad un mese e qualche settimana prima erano semplici estranei.
 
“Che profumino!” Esordì O’ che si faceva strada verso Bellamy, in una frazione la sua testa fece capolino sulla spalla del fratello per sbirciare la padella. Lui le passò una mano tra i capelli scuri ridacchiando e bisbigliandole qualcosa che Clarke dal tavolo non riusciva a decifrare. La più giovane Blake prese posto allora vicino alla bionda
“Jas’ e Monty sembrano fantastici, restano un altro po’? Sarebbe bello magari passare un pomeriggio insieme!”
“Purtroppo ripartono domani in mattinata.”
Disse lei fredda e concisa.
“Oh… capisco.”
Octavia sembrava perplessa, forse si aspettava una risposta più consistente e la giovane Griffin incapace di sopportare quella strana delusione che percepiva nel tono dell’altra, si corresse.
“Voglio dire sicuramente ci saranno altre occasioni, sono pur sempre i miei unici e migliori amici, sono certa che avremo modo di vederci presto, ci organizzeremo.”
E cacciò un sospiro, sapendo che quantomeno lei li avrebbe rivisti di lì ad una settimana, sarebbe stata felicissima se solo pensare a quell’evento non le avesse dato il voltastomaco.
“Non sono i tuoi unici amici Clarke.” Le disse O’ sfoggiando un sorriso d’incoraggiamento. Nel frattempo Bell arrivò a tavola con la padella piena e i tre cominciarono a mangiare.
Il silenzio pendeva in bilico sulla tavola, un po’ perché effettivamente Bellamy si era dato da fare ed il pollo era squisito, un po’ perché entrambi i fratelli non volevano turbare più di quanto non si potesse già notare la coinquilina.
Nuovamente fu Octavia ad azzardare
“A che ora stacchi stasera?”
Disse rivolgendosi al fratello che le rispose solo dopo aver trangugiato d’un fiato un bicchiere d’acqua
“Stasera non sono di turno in realtà.”
“Ah…” Fece lei, agitandosi leggermente.
Clarke la osservò era davvero ostinata se pensava che avrebbe potuto nascondere quella sottospecie di relazione clandestina al fratello ancora per molto, il ragazzo infatti stranito dal suo atteggiamento la interrogò
“Perché, hai bisogno di qualcosa?”
Lei fissò il suo piatto quasi vuoto tardando a trovare una risposta perlomeno convincente.
“E’ per via di quella festa di compleanno della tua amica, non è vero? Quella di cui mi parlavi l’altro giorno… com’è che si chiamava? Un nome esotico forse, proprio non riesco a ricordare…”
Clarke tentò di salvare la situazione, in un certo senso O’ le faceva tenerezza e le ricordava una piccola Griffin alle prese con una madre decisamente troppo apprensiva.
“Emori, si chiama così.”
“Ah già giusto, sono davvero una frana a ricordare i nomi, soprattutto se sono così particolari…”
Bellamy alzò un sopracciglio ma non disse nulla.
“Ti avrei chiesto se potevi passarmi a prendere quando staccavi… ma se non vai magari, se per te non è troppo problematico, posso fermarmi da lei.”
“Scusa e chi sarebbe questa Emori?”
“Una compagna di corso.”
“Posso venirti a prendere anche se non lavoro.”
“Non ce n’è bisogno Bell davvero, riposati anzi.”
Clarke gli rivolse un’occhiata severa che colpì ed affondò per così dire il moro che sospirando acconsentì.
“Devi mandarmi un messaggio prima di addormentarti, fammi solo sapere se è tutto okay e domani mattina chiama quando ti svegli.”
La ragazza sorrise radiosa e strizzò velocemente l’occhio girandosi verso la bionda. Poi si alzò e stampò un bacio sulla fronte al maggiore
“Grazie fratellone.”

Clarke a sua volta cominciò a sparecchiare senza proferire parola, fu Bellamy a decidere di infrangere la quiete
“Non c’è nessuna festa vero?”
Lei scrollò le spalle e lui sbuffò.
“Cerca di mantenere la calma, è adulta e, furba com’è, se la sa cavare egregiamente”
Lui annuì nonostante il suo volto celasse un’ombra di scetticismo mista a preoccupazione.
Un silenzio pesante si impossessò nuovamente dell’angolo cottura mentre i due finivano di sgomberare la tavola e di pulire.
 
“Allora io esco!”
Octavia da lontano li salutò senza dare loro la possibilità di ricambiarla. Clarke si stava asciugando le mani ancora umide per aver lavato i piatti e sbadigliò, sentì la spossatezza prendere ogni muscolo del suo corpo, non si era fermata un attimo e la giornata non era stata tra le migliori che ricordasse. Si sentiva vuota e confusa allo stesso tempo, tanto da rendersi conto in ritardo che Bell se ne stava appoggiato al tavolo e la fissava insistentemente.
“Tutto okay?”
Fece lei quando finalmente incrociò gli occhi scuri di lui.
“Io si, Octavia a parte.”
Clarke tentò di abbozzare un sorriso e provò a congedarsi.
“Sono davvero stanca credo che andrò a stendermi un po’.”
Così dicendo lo superò dirigendosi verso le scale.
 
-
 
Ci mise una frazione di secondo a capire che non poteva più sopportare il  non riuscire trovare risposte ai suoi interrogativi riguardo Clarke, non era in grado di darsi pace, quell’ombra scura sul suo volto lo stava mandando in paranoia, tentò di raggiungerla, aveva cominciato a salire pochi scalini.
“Aspetta.”
Lei si fermò senza voltarsi.
“Beviamo qualcosa? Credo che possa farti bene.”
“Non credo di aver voglia di nulla di alcolico.”
“Non ho specificato cosa, infatti a me va bene anche una tazza di latte.”
Cercò d’incoraggiarla e metterla alle strette, non voleva che le sfuggisse.
“Mi trovi in cucina.” Aggiunse, allo stesso tempo non voleva essere insistente o pressarla in qualche modo, forse sperava che fosse mossa dalla voglia di passare semplicemente un po’ di tempo con lui e di certo non voleva obbligarla a farlo.
Senza indugio le voltò le spalle e ritornò in cucina, se fosse stato ancora un bambino speranzoso e gioioso come qualche ricordo logoro dimostrava, le dita delle sue mani nelle tasche dei jeans sarebbero state incrociate nella speranza che Clarke accettasse il suo invito forse un po’ troppo maldestro ed azzardato.
 
-
 
Il suo senso di stanchezza non era finzione, si sentiva davvero sfinita e almeno fino a quel momento il suo unico desiderio era stato sprofondare nel materasso e non riemergere più quanto meno sino al giorno seguente.
Poi però Bell aveva avanzato una richiesta e lei si sentì allettata e attratta da quella proposta come una dannatissima calamita, ricordò per una frazione di secondo il momento in cui la sera prima, tra le sue braccia possenti e avvolgenti si era sentita forte e capace di poter affrontare qualsiasi cosa. Tutta quella sicurezza l’aveva abbandonata in meno di ventiquattro ore, era bastato uno semplice invito su carta profumata, di nuovo odiava sentirsi così suscettibile, così debole, inerme quasi.
 
Più di una volta lei e Bellamy insieme erano riusciti a darsi la forza necessaria per tirarsi su, per reagire, era come se la presenza dell’uno fosse in grado di rinvigorire l’altro, insieme avrebbero potuto affrontare anche una battaglia probabilmente senza restarne scalfiti, impassibili e senza alcuna paura. Una forza della natura ecco cos’erano insieme.
 
Fece retrofront, incapace di raggiungere il tanto agognato letto quanto di reprimere quell’impulso che la portava dritta tra le grinfie del maggiore dei Blake.
Lo trovò intento ad armeggiare con un pentolino di latte e cacao in polvere come se in cuor suo fosse stato certo che la ragazza lo avrebbe raggiunto senza alcuna remora o ripensamento e fu in quel momento mentre lui era ancora di spalle che sorrise sperando che lui avvertendo la sua presenza avrebbe fatto lo stesso.
 
“Vuoi parlarne?”
Chiese lui mentre con estremo riguardo posava sul tavolo due tazze fumanti.
Clarke se ne stava seduta con le gambe incrociate e tentava con risultati poco soddisfacenti di non ricambiare lo sguardo intenso e scuro di Bellamy.
“Non giudicarmi.”
Lui si fece serio e annuì prontamente.
Poi la bionda si spostò leggermente, quel tanto che le permetteva di recuperare l’invito ormai quasi stracciato che qualche ora prima aveva e glielo porse. Nel prenderlo Bell sfiorò la sua pelle chiara come la luna che quella sera imperava nel cielo scuro, provocandole un piacevole brivido.
Ci mise poco a decifrare il contenuto.
“Lui chi è?”
“Un collega di mio padre.”
Il giovane moro serrò le labbra poi tentò di capirci di più
“E tuo padre…”
“Morto. Un tumore.”
Strinse un pugno nervoso sul tavolo, ora finalmente capiva, d’un tratto quell’espressione sofferente che aveva sin da subito notato come carattere distintivo della giovane Griffin acquistò ai suoi occhi un senso, orribile e tragico.
“Io… scusami.”
Lei scosse la testa e cercò di apparire il meno turbata possibile.
“Non devi, non fa niente.”
“No invece. Stai uno schifo e vorrei aiutarti davvero. Vederti così toglie il fiato.”
E si morse il labbro per aver parlato senza nemmeno pensarci due volte, per essersi esposto forse un po’ troppo.
Clarke alzò lo sguardo e i suoi occhi blu come  l’oceano si riempirono di gratitudine per quelle semplici parole che poche persone erano state in grado di riservarle nell’ultimo periodo, Bell lo sostenne, non poteva farne a meno, quegli occhi lo facevano sentire diverso.
“Forse c’è qualcosa che potresti fare.”
Anche le sue parole affiorarono sulle sue labbra rosee e screpolate per il freddo prima che potesse realizzare cosa stesse per dire. Ora di certo non poteva tirarsi indietro.
“Mia madre mi ha mandato due biglietti, vuole che porti qualcuno con me.” Enfatizzò sul maschile proprio come aveva fatto lei al telefono.
“Magari se non hai nulla di meglio da fare… pensavo che potresti venire con me ad un noiosissimo matrimonio.”
E finalmente respirò dopo aver pronunciato l’ultima frase senza prendere fiato.
Il volto di Bellamy s’illuminò e acconsentì con enfasi prima che potesse rassicurarla a parole, ci sarebbe stato per la principessa se questo era davvero quello di cui aveva bisogno.
   
 
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