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Autore: Leonhard    18/10/2016    3 recensioni
"Wilde, hai una zampa rotta". "Dimmi qualcosa che non so, Savage". La volpe era in ginocchio nella polvere, con le zampe rivolte verso il cielo; impressa negli occhi ancora la sagoma di Alopex e l'espressione sul muso di Judy. Terrore. "Per esempio da che parte stai: quanto ti paga Bellwether per ammazzarci tutti?".
il tanto atteso (spero) seguito di THE WILDE CASE
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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8. Cavallo cattura cavallo


Bonnie Hopps era uno di quei conigli con la mente stranamente aperta, ma di indole cauta e timorosa come voleva per lei quella parte di natura che l’evoluzione proprio non era riuscita a sradicare. La sua nidiata, di dimensioni modeste vista la sua età e comparata con le famiglie accanto, era cresciuta con pochi divieti ed ancor meno rimproveri, tutti celermente compensati da Stu: lui non vedeva effettivamente l’ora di sfoderare il suo sguardo orgoglioso alla vista dei suoi figli che si occupavano di un singolo filone di carote a testa.

Bonnie Hopps era uno di quei conigli atipici: un coniglio strano, un coniglio che remava controcorrente, che faceva a pugni con sé stessa e l’aveva dimostrato al mondo intero quando, qualche anno prima, aveva dichiarato che il numero dei loro figli non sarebbe più salito. Alle orecchie di tutta Bunnybureau, un villaggio popolato da soli conigli, era parso quasi contro natura, al punto che per qualche tempo era serpeggiata la voce che lei non fosse un vero coniglio ma qualcos’altro, qualcosa di sbagliato, frutto della violazione di un tacito e mai scritto tabù.

Dentro di sé, in un angolino ben nascosto della sua mente, rifletteva ogni tanto sulla banalità della loro natura: i conigli nascono, si dedicano interamente alla famiglia finché i genitori non decidono che devono averne una anche loro, normalmente in coincidenza con il primo calore. E allora partiva una trafila noiosa, monotona e ripetitiva che rimbalzava dal fare figli al produrre cibo che sarebbe servito per guadagnare i soldi che servivano per crescere altri figli che avrebbero prodotto ancora più cibo per guadagnare più soldi per più figli: questo gioco dell’altalena l’aveva stancata, al punto da farle provare il sordo desiderio di scendere.

Quando una piccola Judy sopra un palcoscenico troppo alto per loro si era calcata sulla testolina un cappello da poliziotto, aveva ricambiato con il marito uno sguardo confuso e preoccupato che tuttavia serviva unicamente da maschera per celare l’orgoglio che sentì divampare dentro di sé. Ma Stu…beh, lui era aperto di mente quanto bastava per non gettare le carote che nascevano con una forma grottesca, bizzarra e talvolta anche erotica: sicuramente non poteva pensare che una delle sue figlie si sarebbe trasferita a Zootropolis perché nei suoi sogni più grandi c’era uno scintillante e dorato distintivo e non un cappello di paglia e delle casse di verdura.

La sua natura titubante e timida le aveva lasciato in eredità un istintivo moto di sospetto per le cose nuove e strane e una di quelle era stato lo spettacolo che la sera prima aveva preannunciato Judy durante la loro video telefonata su Furrbook, assieme all’invito ad assistervi perché, sue testuali parole, sarebbe stata la ciliegina sulla torta alla sua prima indagine.

Se c’era una cosa che Stu Hopps adorava, a parte il suo lavoro, la monotonia della sua vita e coltivare la terra, era l’azzurro. Parecchie volte si perdeva ad osservare il cielo estivo e poco sembrava importargliene della calura e del sole e dell’emicrania che l’avrebbe aspettato la sera: lui guardava il cielo con occhi persi.

“I nostri antenati non lo guardavano mai il cielo” diceva ogni volta che uno dei suoi figli gli chiedeva il motivo. Come se quella fosse una risposta soddisfacente per una mente curiosa come quella di un cucciolo di coniglio. La cappa azzurra, come l’aveva battezzata pochi secondi dopo la fine della chiamata con Judy, sarebbe stata a momenti, ma lui era seduto sulla veranda della sua casa già da due ore, fissando l’ombra lontana della città con occhi pieni di speranza ed aspettativa.

Dieci secondi.

Bonnie era rimasta in casa: i cambiamenti e le cose nuove la lasciavano titubante e proprio non riusciva a comprenderne il motivo. Tutto quello che sentiva era una sorda voglia di lasciare almeno un vetro tra lei e quello spettacolo che sarebbe iniziato in qualunque momento.

Era stata naturalmente felice per la figlia e non aveva dubbi sul fatto che sarebbe andato tutto bene: aveva Nick Wilde al suo fianco e, sebbene non l’avesse mai visto, sentiva quasi di conoscerlo dai racconti di Judy. Le piaceva pensare a quella strana volpe truffaldina e dalla risposta pronta e sagace come una specie di angelo custode: anche Stu lo vedeva in quel ruolo e la prova era stata il suo augurio che non diventasse qualcosa di più. Lavorare con le volpi era ok, ma spingersi sul non professionale era assolutamente inaccettabile, specie se la cosa includeva sua figlia con quello sguardo e quella voce.

Anche su quel punto Bonnie si trovava in un limbo, esattamente come a quella famosa recita: la tradizione, il conservatorismo da una parte ed il cuore di mamma dall’altra che nulla augurava alla figlia se non la felicità, in qualunque forma e con qualunque animale.

Cinque secondi.

Judy forse non lo sapeva, ma la città l’aveva cambiata: non era ingenua, non lo era mai stata, ma aveva sviluppato una sorta di abitudine a rispondere ‘vedremo la prossima volta’ ogni volta che l’invito a tornare si estendeva anche al suo collega: una volpe in più a Bunnybureau che non fosse Gideon Gray non sarebbe stata un problema, soprattutto se era solo di passaggio.

Vedremo la prossima volta: quante prossime volte ci sarebbero state prima che avrebbe loro fatto l’onore di conoscere il poliziotto che più di ogni altro faceva fremere il naso alla loro figlioletta?

Allora la prossima volta vi aspettiamo tutti e due.

Zero.




Judy aveva raccontato ai suoi genitori della nuvola azzurra che avrebbe avvolto Zootropolis come una coltre di nebbia: quello sarebbe stato la diffusione del vaccino contro gli Ululatori, ma in quel momento, aggrappata al parapetto della terrazza del centro ricerche (parapetto le sembrava un nome molto poco azzeccato) non riuscì a vederla come una scintillante coperta del colore del cielo.

La guardava con occhi colmi di preoccupazione, cercando da qualche parte nella sua testa anche solo un neurone che avesse in quel momento l’immagine dei suoi genitori da offrirle. La cappa di fumosa brina si posò sulla città, nascondendola alla vista, obliterandola dal mondo con una lentezza surreale, quasi fosse la scena di un film horror: la suspance la obbligò a trattenere il respiro, mentre Jack sbraitava alla radiolina ordini che lei non coglieva.

Il passo pesante della stampella la informò che Nick si stava appoggiando al parapetto accanto a lei: l’espressione sul suo volto tradiva la preoccupazione mischiata alla maschera sprezzante che usava ogni volta che doveva coprire il suo lato debole.

“Speriamo che l’additivo di Bellwether fosse la rigenerazione rapida” disse con un sorrisetto sarcastico e fintissimo. “Oppure una pelle d’acciaio come quella di Bullk”.

“Non ti ci vedo con la pelliccia verde” osservò la coniglietta, stando al suo gioco e pregando che uno scambio di battute cretine aiutasse ad alleggerire l’atmosfera tesa che si stava creando. La volpe ridacchiò.

“Perché no? Farebbe pendant con la camicia” replicò lui. Judy ridacchiò senza tuttavia sentirne una reale voglia.

-Ragazzi, non ci crederete mai- crepitò la voce di Alopex dalla ricetrasmittente. –Il vaccino nell’atmosfera…funziona-. I tre si scambiarono un’occhiata perplessa.

“Che stai dicendo, Alopex?” borbottò Jack. “Bellwether l’ha manomesso”.

-Lo so, ma l’effetto non è mutato- replicò la volpe albina. –Ho fatto una simulazione al computer su una cavia virtuale: i predatori non perderanno la ragione anche se esposti agli Ululatori. Stando ai risultati…-.

“È un test al computer Alopex” fece presente la lepre, leggermente stizzita. “Come puoi pensare che darei credito ad una…”.

-Aspetta un attimo, c’è dell’altro- interruppe la voce della volpe. –Sembra che…ma cosa…oh…oh santa…oh no…no, no…rientrate immediatamente nel laboratorio e chiudetevi in una camera stagna-.

“Che cosa?” replicò Nick, prendendo la radiolina dalla spalla. “Che sta succedendo? Cosa vedi?”.

-Entrate immediatamente!- sbraitò Alopex, la voce era intrisa di panico. –Tutti dentro, dannazione!-. I tre si guardarono poi si volsero e rientrarono, diretti al laboratorio. A metà strada incrociarono Alopex: il pelo era arruffato e lo sguardo attonito e sbarrato.

“Che diavolo succede?” ringhiò Jack. “Tu e le tue simulazioni: che hai visto di tanto sconvolgente?”. La volpe non rispose: si limitò a girare lo schermo del portatile nella loro direzione. Lampeggiava la proiezione di un animale, chiaramente un predatore, ma a quattro zampe e affiancato da un filamento di DNA che lampeggiava e cambiava colore ad ogni rotazione.

“Per chi parla inglese e legge le lettere?” borbottò Nick. “C’è un manuale di istruzioni? Un tutorial si Salvatore Howlzulla?”.

“Non ne sono ancora sicura” borbottò Alopex, voltando nuovamente il pc verso di lei. “Ho una teoria, ma preferisco evitare di pensarci. In ogni caso…”. Scrutò i tre davanti a lei con occhi seri, quasi gelidi, poi estrasse una siringa e spinse l’ago nella spalla di Judy, svuotando il serbatoio nel suo corpo. La coniglietta si ritrasse di scatto, finendo contro la divisa di Nick; vi premette la schiena, percependo il calore del pelo dell’amico attraverso il tessuto, i muscoli tendersi ed incurvarsi.

“Che stai facendo?” chiese la volpe, avvolgendo la coniglietta con la coda in un simbolico gesto protettivo. Alopex sorrise.

“Tranquilli” disse. “È il vaccino non modificato”. Davanti al silenzio dei colleghi, la volpe sorrise. “Ho voluto prendere delle precauzioni: il vaccino originale protegge dagli Ululatori ed anche dalla variante presente nell’atmosfera di Zootropolis”.

“Perché l’hai vaccinata con quello?” chiese Jack. Aveva le braccia incrociate, ma era palese che stava stringendo il calcio della pistola nascosta sotto la giacca. Il sorriso di Alopex non svanì né mutò: li guardò tutti uno per uno e scosse la testa, rendendosi conto che la conclusione più logica stava diventando anche la più probabile.

“Perché sono sicura che esiste un motivo per cui proprio noi quattro siamo stati radunati” disse. “E se le cose prenderanno una piega brutta, o almeno strana, lei è l’unica di noi in grado di arrivarci: ho solamente assicurato la sopravvivenza dei Quattro Cavalli”.

La situazione degenerò in fretta: il vento era cambiato, ma il fiuto di Nick e di Alopex arrivò troppo tardi. Dalle bocchette dell’aria calò lento e minaccioso una colata fumosa di vaccino, che investì i quattro. Judy annusò l’aria: il vaccino odorava di fiori di campo misto ad erba tagliata di fresco. Un profumo gradevole, che sapeva di libertà. Ebbe appena il tempo di formulare quel pensiero, poi Jack si volse verso Nick e la sua espressione cambiò.

Conosceva Jack da troppo poco per poter dire di saperlo gestire, ma se c’era una cosa che aveva imparato era che quando quella lepre cambiava espressione così repentinamente era il momento di preoccuparsi sul serio: lo sguardo con cui fissava Nick era attento, sbarrato e spaventato.

No, non era spaventato: quello che si leggeva sul suo muso era senza ombra di dubbio terrore.

Un terrore dirompente, inarrestabile, che spazzava via qualunque cosa incontrasse sul suo cammino: autocontrollo, compostezza, raziocinio, sangue freddo, logica, tutto. Preda di quel panico, arretrò di qualche passo ed incespicò sulle sue stesse zampe, cadendo goffamente all’indietro. Nick gli restituì uno sguardo incuriosito, mentre Alopex chiudeva il portatile con movimenti lenti.

“Che ti succede Savage?” chiese il poliziotto. “Non ricordi come si sta in piedi?”.

“STAMMI LONTANO!” squittì. Con una velocità assolutamente anomala, la pistola fece la sua comparsa stretta nella zampa e l’istante successivo il singolo occhio scuro della canna scrutava Nick. Ci fu un piccolo scricchiolio talmente sottile e veloce che nessuno in quel corridoio avrebbe potuto giurare che ci fosse effettivamente stato.

Poi lo sparo.

Davanti agli occhi di Judy, paralizzata dalla sorpresa e dalla paura, ci fu un lampo bianco, poi la scena si paralizzò. Il fumo azzurro si depose al suolo, assieme alle gocce di sangue che inzaccheravano le piastrelle sotto Alopex.

Il fiore rosso che era improvvisamente sbocciato sulla sua pelliccia era risaltato dal bianco immacolato del pelo; la volpe albina rimase congelata in un singolo istante poi crollò a terra, ai piedi di Nick, immobile. La volpe rimase impietrita a guardare il vuoto tra lui e la lepre, che continuava a premere il grilletto nella sua direzione, apparentemente sordo del vuoto ticchettio del cane contro il carrello retratto. Quel terrore la faceva ancora da padrone negli occhi celesti della lepre, che non ne volevano sapere di lasciare la volpe.

“Tu…” mormorò infine. “Tu…non puoi riconoscermi, vero?”. Dalla gola di Nick uscì un lamento strozzato, sovrastato dalla risata di Bellwether dall’altra parte del corridoio.

In quella stridula risatina vi era solamente la vittoria.



NOTA DELL'AUTORE:

Infine ci siamo: siamo finalmente arrivati al penultimo aggiornamento. Ebbene si, il prossimo capitolo sarà quello conclusivo. Sono veramente colpito e commosso dal successo che ha avuto questa storia assolutamente senza pretese e nata quasi per caso e ci tenevo a ritagliarmi un momento per ringraziarvi tutti, dal primo all'ultimo, per aver dedicato a questa fic un po' del vostro tempo.

E' stato un esperimento che ha dato risultati assolutamente inaspettati e non vedo veramente l'ora di farvi leggere la conclusione che ho pensato per questa vicenda. Altro non ho da dire al momento, quindi vi invito a godervi la suspance che spero di aver creato e di soddisfare al meglio delle mie possibilità.

Alla prossima, stay tuned

Leonhard
   
 
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