2° Capitolo
Nell’aula cadde un silenzio agghiacciante ed assordante e il tempo si
congelò all’istante.
Stiles guardava con sorpresa ed orrore l’anello che capeggiava con la sua
maestosa presenza su quel dito sbagliato, in cui troneggiava indiscusso e
faceva bella mostra di sé, togliendogli il fiato e schiacciandogli il cuore
quando riuscì ad indentificare la figura oscura, che lo metteva a terra con una
sola occhiata, come Derek Hale.
Quello che non si aspettava di vedere era l’eguale sorpresa che si
dipingeva nelle sue gemme di smeraldo, attraversate da una scarica elettrica
che riuscì a contenere con maestria. Sembrava restio dal distogliere lo sguardo
dal luogo in cui si era incastrato l’oggetto d’argento e scosso da ciò che
rappresentava.
«Quello è mio» disse glaciale il diciottenne, gutturale e fulminandolo a
vista, esigendo quello che gli apparteneva indietro. Forse quello che vi aveva
visto se l’era immaginato, perché sparì in una frazione di secondo decisiva.
Stiles lo guardò per un attimo senza che riuscisse ad inquadrare la
situazione e quando la consapevolezza lo colse, il cuore perse vari battiti e
il respiro divenne pesante, perché non
poteva essere. «Questo avrebbe il suo senso» proferì con gli occhi quasi
annebbiati, osservando l’anello perfettamente lucido ed improvvisamente consono
di quanto gli fosse estraneo.
Derek gli rifilò un’occhiataccia spazientita e per
nulla comprensiva. «E tu dovresti essere quello brillante. Non hai minimamente
pensato che fosse quello sbagliato?».
Brillante? «Certo che l’ho fatto» esclamò adirato ed
infastidito il castano, guardandolo torvo. «Stavo anche cercando di capire a
chi appartenesse».
«Lo vedo» disse il playmaker tagliente come una lama affilata e di burla,
indicando con evidenza il gioiello che sferzava sull’anulare sinistro
affusolato e lungo, com’erano tutte le dita del più giovane. «Vuoi
restituirmelo o preferisci che te lo strappi?».
Restituirlo. Non l’aveva già fatto? Gli occhi ambrati tornarono sul
cilindro argentato, trovandolo ancora annidato dove l’aveva lasciato, comodo ed
a suo agio. Perché non se n’era ancora sbarazzato? «Brutale come sei non
stenterei a crederci, ma ci tengo ai miei arti» proferì con sarcasmo pungente,
procedendo a togliere l’anello e provando un brivido d’incompletezza quando
l’estrazione avvenne. Tutto il suo essere gli urlava che era quello il luogo a
cui apparteneva, che non doveva separarsene e che era nelle mani ideali.
L’oggetto tornò nelle grinfie del suo padrone e Stiles ebbe compassione per
esso.
Ora era stranamente nudo senza che alcun ornamento di metallo lo coprisse.
Si sentiva abbandonato ed era una sensazione peggiore dell’essere rifiutato da
qualcosa che credeva appartenergli e che poi si era rivelato l’esatto opposto,
facendo subentrare il sentimento di essere voluto e ricercato. Atteso
trepidamente. Doveva togliersi quell’idea sconcertante dalla mente.
«Questo non lo rivuoi?» domandò il capitano con una mola sottile e calda
che Stiles non riuscì ad interpretare.
Il castano fu richiamato in causa, risvegliato dai suoi pensieri e dalle
strane sensazioni che si erano impadronite del suo corpo, posando le iridi di
miele sulla mano destra del giocatore di basket che si apriva mostrando un anello
identico a quello appena restituito. Sembrava essere stato protetto fino a quel
momento. «Ce l’hai tu?» era una domanda molto stupida che poteva risparmiarsi,
ma l’impeto e lo sconcerto di vederlo proprio lì, tra le mani dell’ultima
persona che si sarebbe aspettato di scorgere, lo guidarono senza freni
inibitori.
«Sì, Stiles» asserì con una strana riverenza che accompagnava chi doveva
essere guidato.
Ancora? Il modo in cui Derek pronunciava il suo nome
aveva una cadenza speziata e scivolava sulle sue labbra come se fosse naturale
e giornaliera la formulazione di quell’insieme di suoni un po’ ostici. Sembrava
quasi non rendersene conto. «Credevo di… averlo perso».
«No e posso assicurarti che è il tuo» dichiarò il moro con sicurezza certa,
quasi onirica, come se non potesse essere altrimenti e avesse le prove di
quanto affermasse. «Li hai scambiati quando sei corso via».
«Oh, grazie» grazie di che, se è per
colpa sua se ti sei allontanato in fretta e furia. Ma per quanto la propria
mente lo stesse rimproverando, mettendogli davanti la
realtà dei fatti, quella parola fu pronunciata con riconoscenza autentica e
possedeva un peso enorme.
Le dita affusolate del minore percorsero l’aria, titubanti ed indecise se
potessero prendere l’oggetto direttamente dalle mani del capitano – quelle
stesse mani che l’avevano stretto ed imprigionato e di cui sentiva ancora la
presa bollente sul mento –, ma l’anello sembrò avvicinarsi e le falangi si
mossero autonomamente, sfiorando con le punte il suo palmo ed agganciando il
cilindro.
Quando lo prese tra le mani fu come se avesse dimenticato tutto il teatro
che si stava rigettando tra quelle pareti e lo indossò lasciandolo scivolare
sul dito corretto, dove trovò la sua perfetta collocazione. «Ciao» pronunciò
con amorevolezza e nostalgia ritrovata, salutando un vecchio e fedele amico che
gli era terribilmente mancato e che adesso poteva riabbracciare.
Derek lo guardò per tutto il tempo con il fiato trattenuto in fondo alla
gola e soltanto con la coda dell’occhio Stiles notò che si fece scivolare
l’anello gemello sul medio destro.
Possedevano lo stesso oggetto nel medesimo luogo.
«Amico, ma che diavolo è successo?» domandò uno Scott spiazzato e confuso
con le iridi castane enormi, guardandolo fisso.
«A che proposito?» chiese in risposta il suo migliore amico del tutto
estraneo ai fatti e concentrato soltanto a raggiungere la prossima aula.
«Tu e Derek Hale» disse il messicano con poche parole che racchiudevano
tutto quello che era avvenuto solamente pochi minuti prima. «Un attimo prima vi
stavate per sbranare – letteralmente, Stiles. Letteralmente – e quello
successivo… non so nemmeno a cosa ho assistito».
«Non spremerti troppo le meningi, Scott» proferì benevolo e con una punta
di sarcasmo morbido, accarezzando istintivamente la triscele dell’anello.
«Devi credermi, Stiles. È stato strano» dichiarò con un’insolita sensazione
al petto e un mormorio soffuso che prendeva un’inconsueta nota nella voce. «Era
come se per lui esistessi solo tu».
«Comprensibile. Era me che stava cercando e voleva qualcosa che gli
apparteneva indietro» gli fece ben presente la sua controparte, riflessivo e
con la risoluzione del caso ben visibile davanti agli occhi. «Non se ne sarebbe
andato senza».
«Era molto più di questo» rivelò il moro, fermando il passo e bloccandosi
davanti alla porta della classe appena raggiunta. «Non riusciva a distogliere
lo guardo da te. Fino all’ultimo».
«Avanti, Stilinski, non ti costa nulla dirmelo» lo esortò la ragazza che
gli si parava davanti e che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare
finché non gli avesse rivelato ciò che pretendeva.
Erano stati giorni pieni ed estenuanti in cui file interminabili di ragazze
gli avevano rubato ogni attimo di respiro, tormentandolo con le domande e
supplicandolo con tutte le armi che avevano a disposizione, cercando di farlo
cedere e cadere dalla loro parte almeno per un momento. Stiles ne aveva odiato
ogni minuto. «La risposta è sempre la stessa per te e le altre: non ricordo
dove l’abbia preso».
«Pensi davvero che ti creda?» domandò retorica la bionda ossigenata che lo
squadrava dall’alto in basso, fulminandolo ad ogni secondo e probabilmente
maledicendolo in tutte le lingue esistenti.
«Non ho nulla per te» disse esaustivo e caparbio nell’ultima risposta che
le avrebbe dato, invitandola cortesemente a togliere il disturbo ed a lasciar
perdere quella storia, mettendovi la parola fine.
La ragazza lo penetrò con sguardo assassino fin dentro le pupille e
borbottò un insulto poco lusinghiero quando uscì dall’aula. Lei non sarebbe
stata l’ultima.
«Non ce la faccio più. Ho bisogno di una vacanza» esclamò esausto e quasi
privo di energie vitali, accasciandosi sul banco e sospirando amaramente.
Da quando una settimana prima era accaduto quel siparietto pittoresco tra
lui e il capitano della squadra di basket tutta la scuola appariva in
agitazione crescente, senza che si potesse arrestare o quantomeno placare e
tutto era accompagnato dall’immagine che gli studenti si erano costruiti di lui
e Derek Hale che avevano incontri clandestini e si scambiavano anelli come la
grande coppia da fiaba che rappresentavano; come se il destino li avesse uniti
e fosse impossibile separarli: una coppia scelta dal fato.
Quello stesso giorno, dopo nemmeno un’ora, tutto il liceo era a conoscenza
del fatto che Stiles Stilinski e Derek Hale possedessero il medesimo anello.
Era stata una voce che si era espansa come una macchia d’olio letale e crudele,
ma era stata placata dalla rivelazione che i due oggetti fossero nelle dita
sbagliate e per Stiles era cominciato l’inferno. Perché ogni ragazza
interessata al diciottenne si presentava alla sua porta pretendendo di sapere
dove avesse comprato quell’anello, desiderosa di avere lo stesso identico
gioiello del playmaker.
«Tieni duro, Stiles. Presto le voci si affievoliranno e smetteranno di
tormentarti» proferì Allison candida e con comprensione, accarezzandogli i
capelli castani amorevolmente con il tocco di una madre che era in grado di
cancellare le pene più grandi. Sull’anulare sinistro faceva la sua bella comparsa
l’anello d’argento regalatole da Scott, lo stesso che portava quest’ultimo.
Il sedicenne mugolò in approvazione, abbandonandosi a quell’unico gesto
affettuoso e rilassante che gli veniva concesso in quei lunghi giorni di
agonia. «Non sapevo nemmeno ne portasse uno» ad un primo approccio, Stiles non
ci aveva fatto caso; non aveva pensato che in realtà tutta quella storia
comportasse il fatto che Derek Hale possedesse un anello, un anello che teneva
sul medio destro e che probabilmente tutti avevano adocchiato, ma allora perché
la bufera si era scatenata soltanto quando si era scoperto che il suddetto
anello aveva un gemello?
Stiles l’avrebbe notato, avrebbe visto che su una qualsiasi falange di
Derek Hale vi era un cerchio argentato che portava fieramente ed invece, in
tutto quel tempo, per quanto passasse i propri pomeriggi in un’area isolata e
delimitata, all’interno della palestra di basket, sugli spalti e sommerso dai
libri, non aveva mai adocchiato quel particolare ornamento. Non aveva neanche
fantasticato sulla possibilità che il playmaker ne potesse possedere uno,
condividendolo con qualcuno.
Ma era sul medio destro ed era esplicito e chiaro che in realtà non lo
condividesse con nessuno e, se davvero lo indossava, voleva dire che durante
gli allenamenti lo riponeva nell’armadietto assegnatogli negli spogliatoi per
non perderlo. E se anche fosse stato vero e logico, davvero non l’aveva mai
incrociato da nessun’altra parte per potersene accorgere?
«Lo porta, invece» rivelò il capitano della squadra di lacrosse, apparendo
dietro le loro spalle con le orecchie tese e il riguardo che dopotutto prestava
ad ognuno di loro, menefreghista in superficie, ma conscio di ciò che gli
girava intorno.
Il gruppo si voltò interamente verso di lui e Jackson si ritrovò tutti i
loro occhi su di sé, attenzione che in un contesto diverso ed in un’occasione
completamente differente avrebbe apprezzato e di cui avrebbe beneficiato,
esaltando maggiormente se stesso, ma non quando riceveva degli sguardi
interrogativi ed indagatori ‒ soprattutto quello dello Stilinski, a cui
non sfuggiva mai nulla ‒ che apparivano chiaramente chiedergli come
facesse a saperlo; avrebbero nuovamente ripuntato il dito sul fatto che fosse
in competizione con il diciottenne ‒ benché quest’ultimo non ne sapesse
nulla ‒ e che lo studiasse in modo quasi ossessivo. «Lo indossa, a volte.
Tiene il simbolo rivolto verso l’interno, in modo che possa vederlo soltanto
lui» non aveva proprio voglia di giustificarsi e spiegare perché avesse notato
quei particolari; in realtà si domandava come potesse non essersene accorto
nessuno di loro. L’anello saltava spesso fuori, senza una regolarità o un
motivo preciso; non c’era nessun intervallo in mezzo. Appariva quasi come per
magia e lo accarezzava distrattamente come se fosse l’oggetto più importante
dell’universo e non potesse mai separarsene. «Ma la maggior parte delle volte
lo tiene al sicuro».
«Al sicuro?» gli fece eco Stiles, strabuzzando gli occhi e sentendo
l’anulare sinistro formicolare. «Perché dovrebbe tenerlo al sicuro?».
«Dovresti immaginarlo» proferì l’Argent, immedesimandosi nella posizione in
cui si trovava il capitano della squadra di basket. «Se davvero ha un rapporto
particolare con quell’anello, non avrebbe mai voluto condividerlo con il mondo
e soprattutto con la schiera di ragazze che gli ronza intorno».
Era un ragionamento ovvio e razionale, quasi elementare, lui era il primo a
ritrovarsi in quella situazione ed a provare quel medesimo desiderio,
soprattutto con quella caccia alle streghe che si era aperta e che prevedeva
l’estrazione forzata del proprio prezioso anello con tanto di amputazione di
dito o, nel peggiore dei casi, con il taglio netto della mano o del braccio ‒
no, grazie.
La cura e la meticolosità che Derek aveva messo nel proteggere l’esistenza
di quell’ornamento, non doveva apparirgli così folle e senza senso, soprattutto
se preveniva quella pazzia che si era abbattuta su di loro ‒ anche se
probabilmente Stiles non era implicato nell’equazione ‒ ed
improvvisamente tutto quell’esercito di ragazze esageratamente esagitate
sarebbe andata in giro con una copia di quell’anello senza che ne conoscessero
il significato e la possibile importanza che Derek Hale gli infondeva. «Tutto
finirebbe prima se lui si decidesse a sceglierne una» ma lo lascerebbero in
pace a quel punto? Si arrenderebbero all’evidenza che il diciottenne avesse
finalmente qualcuno al suo fianco?
«La vedo ardua, le ha sempre rifiutate tutte» riferì Allison meditando
sull’ipotesi appena presentata dal ragazzo, scostandogli una ciocca castana
dagli occhi ambrati.
«Davvero?» domandò sorpreso il messicano, seduto davanti alla sua
controparte e testimone di tutti gli avvenimenti che si abbattevano su di lui
senza esclusione di colpi. Voleva davvero aiutare il suo migliore amico, ma non
aveva idea di come muoversi.
«Sì, almeno per gli ultimi due anni ne ho la certezza» asserì la mora con
convinzione, tornando indietro con i ricordi fino a dove ne avesse accesso.
«Deve essere un’esperienza orribile essere rifiutate da quello scorbutico
musone, ho quasi pena per loro» disse Stiles con un tono quasi rammaricato e di
chi si immaginava perfettamente la scena, ma tutto era offuscato
dall’avversione che provava per loro in quel momento. Un giorno gli sarebbe
passata.
«Ti sbagli, Stiles» fece la sua comparsa la bionda fragola, intromettendosi
nella discussione e facendo primeggiare la sua persona – lei si era unita al
gruppo dopo l’arrivo di Allison ed il suo evidente coinvolgimento con Scott. Il
sedicenne notò quanto fosse differente il suo nome pronunciato dalle labbra di
ciliegia di Lydia e da quelle di Derek, ma preferì scacciare quel pensiero. «Le
rifiuta con garbo e gentilezza».
«Gentilezza? Derek? Non credo che possano coesistere queste due parole
nella stessa frase» sproloquiò il castano con poca convinzione nata
dall’incredulità dell’esistenza di tale personalità nel più grande.
Lydia sbuffò seccata, roteando gli occhi. «Forse non la gentilezza classica
che intendiamo noi, ma a loro basta» riferì con convinzione come se fosse in
possesso delle prove che avallassero la sua causa. «Fa presente l’impossibilità
e il perché non può ricambiarle e loro si ritrovano il cuore meno ferito».
«Deve essere uno che sa far valere le sue ragioni ed un buon oratore»
sentenziò Allison con un piccolo cipiglio sul volto, scavando nella mente
parole e possibilità che potessero permettere qualcosa del genere.
Stiles avrebbe voluto ribattere che Derek
non è per niente un buon oratore.
«Fa molto di più» affermò Lydia con una strana aura intorno a lei ed uno
scintillio affascinato nelle iridi verdi. «Le ragazze passano dalla sua parte e
lo sostengono silenziosamente».
Stava decisamente scappando, scappando a gambe levate perché non sarebbe
più riuscito a reggere quella situazione per altri due minuti.
Le ragazze che aveva affrontato erano una più spaventosa dell’altra,
insistenti ed ossessionate e poche di loro apparivano controllate e propense ad
abbandonare quella battaglia, dedicandosi ad altre risoluzioni per il problema.
Stiles voleva soltanto essere lasciato in pace, almeno durante l’ora della
mensa, visto e considerato che durante tutta la giornata quella fila di svitate
non ne voleva sapere di smorzarsi.
Era stato trattenuto fino al minuto precedente e nel momento in cui aveva
risposto nuovamente con una negazione, si era ritrovato ad essere fissato da
due gemme ferite. Insomma, non è certo
colpa mia. Non era riuscito a reggere e prima che una nuova combattente gli
tagliasse la strada, aveva fatto inversione ed era corso su per le scale
anti-incendio poste al lato dell’edificio e le aveva percorse tutte, fino ad
arrivare sul tetto. Era solito rifugiarsi lì durante quella lunga ed estenuante
settimana.
«Sono innamorata di te» pronunciò una voce femminile con tono sommesso,
facendo ricadere tutta l’attenzione su di lei proprio nel momento in cui Stiles
giunse all’ultimo gradino metallico, fermandosi di botto ed accucciandosi
contro la scala, spalmandosi addosso al muro per quanto gli fosse concesso per
non essere visto. Oh, ma andiamo, non è
possibile. Stava davvero assistendo ad una dichiarazione? Quella dichiarazione?
Derek era proprio a pochi metri da lui, vigile e si ergeva in tutta la sua
stazza, fronteggiando la ragazza che gli stava aprendo il suo cuore, speranzosa
e carica di aspettativa. Era davvero bella, fresca e del tutto devota a lui,
come avrebbe potuto rifiutarla? Com’era anche solo stato capace di rifiutarne
una?
«Mi dispiace, ma non posso corrispondere i tuoi sentimenti» pronunciò Derek
con una cadenza speciale e calda, una che scaldava il cuore e rasserenava come
un morbido abbraccio, liberando dai pensieri negativi lentamente.
Stiles doveva essere accidentalmente caduto in un universo parallelo,
perché quello non poteva assolutissimamente essere il Derek che aveva
incontrato.
La ragazza sembrò colpita in pieno petto in un primo momento, ferita e
quasi distrutta, ma in fondo agli occhi poteva vedere la consapevolezza che non
sarebbe andata diversamente e che l’avrebbe accompagnata per tutto il tempo.
Stava cercando solo conferme? «C’è qualcun altro?» domandò con la certezza che
quella fosse l’unica motivazione per quella sfilza di rifiuti che si
accumulavano uno dopo l’altro.
Gli occhi di Derek erano sempre stati impenetrabili ed impossibili da
decifrare, vi era sempre uno scudo a proteggerli e non lasciavano mai
trasparire nulla. Erano insondabili e perfetti. Ma in quel momento, proprio in
quello, il verde delle sue iridi si accese. «Sì».
Stiles si sentì soccombere, con un peso eccessivo sul petto, per
l’intensità con cui fu pronunciata quell’unica affermazione. Era inviolabile ed
eterna e faceva male.
«Perché non è con te?» chiese la ragazza guidata da una missione di cui si
stava facendo carico o soltanto dalla curiosità che la spingeva ad indagare
sulla sua rivale in amore.
«A differenza tua, non mi è neppure permesso di fantasticare su
un’ipotetica dichiarazione» annunciò il moro con nessuna sfumatura nella voce,
ma che raggelò comunque il sangue di Stiles, perché era carica di rammarico e
mancata occasione. E sembrava soffrine molto.
Lei apparve soppesare le parole e gli occhi le caddero sul lato destro del
ragazzo, osservando un punto che il sedicenne non seppe identificare, e
riportando lo sguardo sulle sue gemme boscose. «Se è chi penso io, dovresti
provarci».
Derek abbozzò un sorriso di circostanza quasi nostalgico, mentre la mano
destra si chiudeva in un pugno. «Forse. Un giorno».
Lei annuì in risposta e forse lo stava rimproverando per quella mancanza di
coraggio che stava dimostrando, ma si congedò subito dopo senza pronunciare più
alcuna parola e Stiles la vide sparire dietro la porta che conteneva le scale
interne.
«Esci fuori o hai ancora intenzione di rimanere nascosto?» domandò il
diciottenne al vuoto con una nota piccata e derisoria.
Poteva essere così sfortunato? Com’era possibile che avesse percepito la
sua presenza, era stato così attento e meticoloso e lui voleva soltanto
andarsene e dimenticare quel momento imbarazzante.
«Stiles» esclamò in un richiamo obbligato ed un chiaro ordine imposto.
A-ah, e ora come ne usciamo fuori? «Non volevo origliare, sono qui per caso e
non mi interessa nulla di questa storia, ne ho abbastanza delle tue ragazze»
gracchiò in una parlantina fluida ed accartocciata, investendolo con le sue
parole nel momento in cui ebbe l’audacia di uscire dal suo nascondiglio ed
affrontarlo, salendo l’ultimo gradino e poggiando i piedi sul tetto.
«Ti credo» disse il moro come un’onda anomala e fredda, investendolo
all’improvviso, sorprendendolo.
«Sul serio? Perché?» chiese stralunato e basito il sedicenne. C’era
qualcosa di diverso in lui e Stiles stava divenendo testimone di troppi
aspetti.
«Perché sei qui?» domandò a sua volta Derek, ignorandolo bellamente.
Stiles lo guardò dritto nelle iridi di giada, osservandolo per scovare una
spiegazione a quello strano dialogo. «Volevo soltanto due minuti di tregua,
quindi sì, sono letteralmente scappato».
«Lo fai spesso» dichiarò il maggiore a se stesso
con una sfumatura soffusa.
«Scappare?» chiese il sedicenne con una nota piccata ed offesa, ma era come
se si fosse intromesso in una sua riflessione privata.
«Venire qui» proferì in un’unica nota. E
lui come fa a saperlo? «Ti danno molto fastidio?».
«Il tuo fanclub di scalmanate? Che sarà mai
essere odiato da tutto il popolo femminile della scuola perché impedisci il
loro sogno d’amore» proferì il castano con sarcasmo ed ironia pressante,
sorridendo di sbieco e con stanchezza.
«Sogno d’amore?» domandò l’altro poco convinto, aggrottando le sopracciglia
scure.
«Sei tu, Derek» annunciò Stiles con evidenza e con voce convenevole. «Sono
un po’ ossessionate e spaventose. Davvero spaventose e metà di loro non le
avevo nemmeno mai viste – forse più di metà».
Derek annuì come se avesse compreso, ma era probabile che se la stesse ridendo sotto i baffi. «Ed in che modo glielo
staresti impedendo?».
Ahi. Stiles si accarezzò d’istinto l’anello,
improvvisamente più pesante del quotidiano. «Non ricevono la risposta che
vorrebbero e la storia degli anelli le ha fatte impazzire».
«Non solo quella» rivelò il playmaker con una nota piccata, ma ancora una
volta sembrava che stesse parlando tra sé e sé.
Stiles lo capì al volo che si stesse riferendo a loro due e alle voci che
li circondavano. «Perché non hai scelto lei?» Derek lo guardò spaesato e con
espressione interrogativa e lui sbuffò interiormente. «La ragazza di poco fa».
«Ti farebbe molto comodo, liberandoti da tutto questo» e lo disse con un
astio premente e quasi arrabbiato, come se lo stesse
tradendo.
Stiles lo guardò di rimando e con le gemme d’ambra che brillavano
intensamente. «Sì, mi aiuterebbe. Smetterei di essere il nemico delle donne e
mi lascerebbero finalmente in pace, invece di essere accusato di essere quello
che ti porta via da loro. Ne basterebbe una, una soltanto di loro».
«Nessuna di loro è quella giusta, Stiles» ed era nefasto ed imperativo e
non ammetteva alcuna replica.
Perché sembrava che fosse colpa sua? Perché ogni colpa ricadeva su di lui?
«Tu conosci il mio nome» appariva come un’accusa, una forte, una che indicava
che non sarebbe dovuto esserne in possesso.
Derek innalzò un sopracciglio, guardandolo criptico e c’era il lieve
luccichio di chi fosse appena stato messo nel sacco. «È un reato?».
Avrebbe voluto rispondere di sì, perché l’aveva quasi sbranato quando si
era fatto scappare il suo nome al loro primo incontro ufficiale. «No,
semplicemente sorprendente» ed era sincero e stupito, ma era certo che tutto
quello nascondesse qualcosa e che qualsiasi scusa gli avesse propinato non sarebbe
stata creduta.
«Sei il figlio dello sceriffo» e quello doveva valere come ogni motivazione
possibile, che suonava tanto: tutti sanno
chi sei.
«Tutti si limiterebbero ad indentificarmi con il mio cognome, non come
Stiles» e lo sapeva bene, perché lui era quello che passava inosservato in
mezzo alla folla anche se aveva il potere di risultare unico ed irripetibile.
Perché era quello che era cresciuto senza una madre e che era il piccolo figlio amato dello sceriffo
della contea, quello che era cresciuto in fretta e si era preso carico della
famiglia rimastagli, quello intelligente che spiccava nei test attitudinali, ma
possedeva un nome soltanto nella sua piccola cerchia ristretta, che una volta
si limitava a soli tre membri – suo padre, Scott e Melissa, la madre di
quest’ultimo – e che lentamente si era allargata grazie alla presenza di
Allison – Jackson continuava
imperterrito a chiamarlo Stilinski.
«Non è così che ti fai chiamare?» ed il sedicenne sentì un brivido
percorrergli tutta la colonna vertebrale per l’allusione fondata che l’altro
aveva lasciato trapelare, con guardo tagliente e conoscitore e Stiles ebbe la
certezza che Derek Hale possedesse fin troppe informazioni su di lui, fino ad
arrivare ad un nome che in realtà era fittizio e che nascondeva quello reale,
ma che non riconosceva come tale. «Sono il re della scuola, ricordi?» doveva
avere un’espressione al limite del ridicolo e completamente basita se Derek
sentì il bisogno di dovergli dare ulteriori spiegazioni o forse voleva soltanto
depistarlo e salvarsi. E si stava beffando di lui.
«Quello era un insulto» puntualizzò il figlio dello sceriffo.
«In effetti mi sono sentito profondamente insultato» dichiarò il moro con
ilarità piccante, convenevole e fintamente provato.
«Era sarcasmo? Derek Hale sa fare del sarcasmo?» domandò retorico e con
un’incredulità premente nelle iridi poco abituate, mentre il suo schema
continuava a modificarsi e ad aggiornarsi.
Derek aveva una strana piega sulle labbra che assomigliava un po’ troppo ad
un sorriso trattenuto e non si era neppure accorto che si era avvicinato così
tanto a lui. «È colpa tua» un sussurro, un mormorio così indefinito che Stiles
non seppe nemmeno come riuscì a percepirlo e ad identificarlo.
«Derek» proferì con il fiato in gola in una domanda silenziosa e confusa,
mentre una mano dell’altro si avvicinava al suo viso e lo sfiorava, proprio
quella dove faceva mostra di sé l’anello d’argento; riusciva a sentire il
metallo carezzarlo.
«Puoi dirglielo» acconsentì il diciottenne, alzandogli il mento ed
incastrando le perle di smeraldo in quelle d’ambrosia. «A tutte loro. Dagli la
risposta che vogliono e smetteranno di girarti intorno. Non mi importa se
possiederanno quest’anello».
Era strano il permesso che gli stava concedendo, aveva un sapore
concentrato e con la missione di liberarlo, eppure trapelava quanto per lui
valessero poco quelle copie e che confluisse il reale significato soltanto in
quelli che appartenevano a loro due. «A me sì» il tocco di Derek sembrò
vacillare e tremare, ma era così impercettibile che pensò di esserselo sognato.
«Per me è importante e non ho mai sopportato chi possiede le mie stesse cose;
non ci rinuncerò per causa loro» proferì con quella convinzione che gli
attraversava tutto l’organismo, guardandolo dritto negli occhi. «Condividerlo
con te è già abbastanza, soffocante e schiacciante. Mi fa sentire circondato».
Le iridi di Derek si tinsero di una nuova sfumatura, piccole pagliuzze di
blu elettrico, e il sangue di Stiles gelò, perché non poteva seriamente
esserselo fatto scappare.
Derek gli afferrò la mano destra e la imprigionò tra le dita, mentre le
labbra si posarono sulla triscele rossa dell’anello di Stiles, schioccando un
bacio incandescente. «Se questo è quello che provoco in te dovresti
rifletterci, perché non rinuncerò al mio».
Dietro le spalle lasciò uno Stiles al limite dello sbigottimento, con il
cuore a mille e l’ossigeno assente nei polmoni, con l’anello che si stringeva
sempre di più sul dito medio, circondandoglielo e bruciandolo.
Povero Stiles, quante
probabilità potevano esserci che l’anello che accidentalmente aveva scambiato,
fosse proprio quello della persona da cui stava fuggendo? La dea bendata deve
divertirsi molto con lui.
Nessuno si immagina
un Derek gentile, è un’idea insostenibile e Stiles ne è pienamente testimone,
peccato che ci sia sempre qualcosa che glielo presenti in modo differente e per
quanto sostenga la sua visione, con Derek che non fa nulla per cambiarla, poi
inevitabilmente scopre un mondo nuovo a cui non può credere e ci sono fin
troppe cose a cui non può credere e molte si sono già manifestate in questo
secondo capitolo.
La battaglia tra loro
due è molto ardua e particolare, testarda e con una supremazia non esattamente
identificabile. E come se non bastasse c’è ben altro in mezzo a loro e
quell’esercito di ragazze un po’ fissate ed esagerate crea, a loro insaputa, un
canale diretto tra Stiles e Derek; anche se Stiles ne farebbe volentieri a meno
e Derek… è Derek, un’incognita.
Ringrazio chiunque
stia dando una possibilità a questa storia, che ha ancora tanta strada davanti
e che è soltanto all’inizio; chi l’ha messa, dal suo primo capitolo, tra le
preferite, ricordate e seguite, chi ha lasciato un commento e chi si limita
semplicemente a leggere in silenzio.
Al prossimo venerdì,
Antys