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Autore: Mikirise    22/10/2016    1 recensioni
"Dove stiamo andando?"
"A cercare Tony."
"E dove sta, Tony?"
"Non lo so."
"E allora dove stiamo andando?"
"Non lo so."
In cui Tony sembra scomparire (uhm), Peter parla sempre a sproposito, Steve entra nel panico e ci sono flashback a caso. Più o meno.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte II






“È vero che un aereo viaggia in media 900 chilometri orari?” Peter si sistema la cintura di sicurezza e guarda verso il finestrino, scavalcando il signore di mezz'età e pelato accanto a loro. “Mi scusi, sono molto emozionato. È il mio primo volo. Di solito prendo la macchina. Più spesso l'autobus. Zio diceva che fa bene alla mia vita sociale. Non comunque che io ne abbia una. Penso fosse questo il problema. Anche se l'autobus non mi ha mai fatto incontrare nessuno d'interessante. Vabbe, tranne Steve. Anche lui è tipo da autobus, sa?” dice, rivolto al signore, per poi rigirarsi verso Steve. “Ottocento… novecento chilometri orari?”

“Non saprei.”

“C'è questo mio… c'è Harry, che dice che la media di volo è ottocento qualcosa chilometri all'ora. E mi sembra forte. Tipo, ci metterei pochissimo tempo ad andare a trovare i miei compagni di classe, o zia. Però, gli aerei te li devi prendere all'aeroporto e poi devi prendere pure gli autobus o i taxi, o altra roba, quindi, tutto il tempo che hai guadagnato sull'aereo, penso lo perdi lì. Harry, comunque, ha l'elicottero privato.”

“Harry…?”

“Harry Osborn. A volte viene alle feste di Tony. L'ho appena conosciuto, ma sembra simpatico. Mi ha detto che se voglio posso andare da lui a giocare coi suoi videogiochi.” A Peter manca una coda, ecco cosa. Sembra un piccolo chihuahua, sempre teso. Steve non può che sorridere, guardandolo.

“Un Osborn… suo padre deve essere felicissimo della vostra amicizia.” La domanda è: perché Steve non sapeva che Harry e Peter fossero amici. L'unica risposta doveva essere che i due ragazzini si fossero incontrati nell'ultimo evento di beneficenza organizzato nominalmente da Tony. Anche perché ultimamente non hanno avuto nessuna grande apertura e…

“In realtà no. Ma Tony dice che è colpa sua, certamente non mia. Dice che quando era piccolo ha fatto uno scherzo sullo spionaggio industriale…? Non sono molto sicuro.” Lancia un'altra occhiata al piccolo finestrino dell'aereo. “Ci stiamo muovendo. Ah. Okay. Sai, prima di… prima di volare via e poter, tipo, morire, perché non sono molto sicuro di cose che volano senza il mio controllo… nel senso che avevo un elicottero giocattolo e mi piaceva farlo volare e volava come dicevo io non uno sconosciuto che, per caso eh, potrebbe essere anche un sociopatico con manie suicide… ma… uhm… ah, sì, dicevo che saremmo dovuti andare a vedere una partita degli Yankees e, boh, mangiare hotdog e hamburger. Sarebbe da fare, no? Io sono più per i Mets, va bene ma ho paura che quest'anno non andremo lontano. Quindi cambio League e nessuno può dirmi niente. Anche perché ho la sensazione che quest'anno li fate neri i Red Sox. Se però fanno la Inteleague Play, sto coi Mets. Io lo dico per informarti. Io amo i Mets. Io sono un Mets. Che dici?”

L'aereo inizia a prendere velocità e Peter chiude gli occhi, aggrappandosi al sedile (anche se in modo discreto, perché avrebbe undici anni e certe cose mica le può far notare).

“È una bella idea” risponde con molta calma e un sorriso Steve. La gravità schiaccia la testa a tutti e due e il ragazzino sente che il suo cervello crea muco per lasciargli quella bruttissima sensazione sotto il ponte del naso (quella del naso tappato ma non tappato di quando vuoi starnutire, ma non c'è niente da starnutire). “Appena inizia la stagione sportiva potremmo andare allo stadio.”

“Penso sia la settimana dopo la Fiera della Scienza…” mormora Peter, e forse vorrebbe anche continuare a farfugliare roba, ma porta le mani sulla pancia e sta zitto, perché sente di non poter aprire bocca con la sicurezza che non sarebbe successo nulla di male. Quindi aspetta che l'aereo si stabilizzi e comincia a giocare con le dita.



Nella prospettiva di Steve, l'unico modo per vincere quella litigata era salire sull'autobus e aspettare che l'istinto snob e impaziente di Tony prendesse il sopravvento, lasciandolo andare via su un mezzo pubblico. Per questo era saltato sul primo che aveva visto, senza nemmeno prendersi la briga di controllare che andasse nella direzione che sarebbe servita a loro. Manhattan o, per lo meno, Brooklyn. L'autobus non andava da nessuna delle due parti, perché Steve sarebbe stato dannato prima di avere un colpo di fortuna.

Tony era saltato subito dietro di lui, trovando, come primo problema quello di non aver l'abbonamento mensile, o annuale. E comunque, a cosa servirebbe un abbonamento alla rete regionale a Tony Stark? Okay. E la cosa era stata sottolineata da un bambino, che si era girato verso una donna, inginocchiandosi sul sedile con un non proprio discreto: “Zia, zio, porca paletta! Quello è Tony Stark!” che la zia aveva zittito con un gesto delle dita, lanciando un'occhiata alle sue spalle.

“Hai veramente speso cinque dollari per uno stupido biglietto che nemmeno ti serviva perché hai la macchina là? Guarda. Guarda! Sta là!” aveva chiesto istericamente, quando Tony si era seduto accanto a lui. E stava anche per rispondere. Stava per azzardarsi a rispondere! “No! Non parlare. Non dire niente.”

“Cosa dovrei dire?” Aveva sbuffato. “Il grande capitano Rogers sfugge da una stupida lite? Beh, sì, sappi che ti sei guadagnato una vita di prese in giro.” Aveva sfiorato, stizzito, il palo davanti a lui, per poi roteare gli occhi. “Mi sembra di stare nel New Jersey.”

“Ti sto ignorando.”

“E fai bene. Non sono un esperto di questi mezzi portatori di microbi -bah, forse Bruce sarebbe anche felice di stare in questa scatola piena di virus, ma senti, penso che tra poco ci sarà una fantastica fermata. Perché non scendi lì e non provi a prendere un altro autobus? Magari, questa volta, uno che porti veramente a casa. Perché, l'ultima volta che ho controllato, non vivevamo nel Queens.” Aveva sbuffato. “So leggere anch'io le insegne degli autobus. Come hai fatto a sopravvivere fino ad ora?”

“Tu parli, parli e continui a parlare. Ma non ho sentito neanche uno scusa.” Steve, più che parlare, sussurrava. Aveva scosso la testa e si era accarezzato la fronte. “Senti, sai che ti dico? Lascia stare. Lascia stare.”

“Scusa? Perché dovrei scusarmi? Cioè, sì, è vero. Forse sto progettando una cosa che non è poi così…” Aveva abbassato la voce, portandosi una mano davanti alla bocca. “…legale e forse tu, coi tuoi valori da bravo cittadino statunitense degli anni quaranta, non apprezzerai tanto, ma lo faccio per la nazione! Per il bene della società!”

“Sei strano da settimane. Evasivo, distratto, fai l'idiota più del solito e… mi hai tenuto fuori da…” Aveva sospirato, voltando lo sguardo verso il finestrino. Aveva deciso di fermarsi alla corrispondenza di un dosso, che aveva fatto sobbalzare Tony sul sedile.

“Oh, per favore! Stiamo parlando di… metti: se qualcuno, qualcuno che dipende da te, che lavora per te, o con te, è nei guai, guai seri, guai che implicano morte, tu non faresti di tutto per aiutarlo? E, se questa cosa fosse pericolosa, non penseresti a, non lo so, immischiare meno gente possibile? Senti, lo so che rivolgersi ad un avvocato cieco e novellino non sia stata un'idea poi così brillante, ma, davvero, cosa ho fatto per meritarmi tutto questo… tutte queste espressioni da sono molto deluso da te? Da mi aspettavo di più da te? Da mi hai feri-… Tu…” Lo aveva osservato, iniziando a boccheggiare. “Tu pensavi che io ti stessi tradendo.” Ed era stato colpito dalle sue stesse parole. Aveva abbassato lo sguardo, per poi scuotere la testa. Era stato zitto. Niente zittisce mai Tony Stark. Apparte, beh, Pepper, a volte.

“Eri strano.”

“Sono sempre strano” aveva ribattuto prontamente l'uomo, roteando gli occhi. “Fa parte del fascino. Stavo solo pensando che… che stavo a Hell's Kitchen, te lo ha detto Clint?”

“Clint sapeva di questa storia prima di me?”

“Allora Jane. Deve averlo detto anche a Thor, a questo pun-…”

“Jane? Davvero? Quante persone hai coinvolto in questa storia, piuttosto che coinvolgere me?” Steve sembrava seriamente ferito dalla scoperta. Aveva girato tutto il busto verso di lui, con le sopracciglia leggermente all'insù e la bocca socchiusa. Un cucciolo, ecco cosa. Non si sa se prenderlo in giro e dirgli tutti gli ossi che incontri per casa. Ma in che guai si caccia sempre Tony?

“Uhm. Immagino sia stata Pepper. Pepper, vero? E dai. Rispondi. Natasha ha giurato che avrebbe avuto le labbra cucite…”

“Tony!”

“E poi, scusami se è divertente sapere che quando sei geloso tu, va tutto bene e, quando sono geloso io, Pepper è tipo no Tony non puoi rintracciarlo con un satellite! No Tony, non puoi cercare di ottenere informazioni private-barra-personali delle persone solo perché hanno un rapporto con Steve. Tony, questo è contro i diritti umani!”

“Cosa è contro i diritti umani? Tony!”

“Ecco, appunto. Un altro moralista. Senti, alla fine non l'ho fatto, okay? E comunque, io non ti ho mai seguito fino a Hell's Kitchen per essere sicuro che non avessi un ritorno di fiamma con Sharon. E questa tua paranoia nei confronti di…”

Pum!

Non era riuscito a finire la frase.

Tony aveva sentito gridare il suo nome e poi una spinta tra le braccia di Steve. Un altro nome era stato gridato, non era riuscito a capire molto bene quale, ma… e i colpi. Un colpo in testa, uno sul braccio. Del sangue sul petto. Gli occhi che non si aprivano e non si chiudevano. L'impossibilità di respirare e il riuscire a ripetere soltanto: “Steve. Porca puttana, Steve.” Ma nessuna risposta, mentre un bambino piangeva in sottofondo. Tanto dolore. Anche tanto dolore. Cazzo.

E, per un attimo che gli era sembrato una vita intera, il suo cervello era stato bloccato dal panico.




“Perché c'è un orsacchiotto di peluche alto tre metri all'entrata?” Peter punta con il dito giusto il tempo per ricordarsi che zia May odia quando punta il dito. E quindi nasconde la mano dietro la schiena e sorride innocentemente, mentre Steve paga il tassista e saluta gentilmente. Il ragazzino pensa di essere stato anche abbastanza bravo. Sul taxi non ha mangiato, e quindi niente briciole per terra. Quelle sono rimaste a New York, insieme alla Vecchia e a le action-figure di Superman.

“Tony ha strane maniere per chiedere scusa” mormora in un sospiro, per poi alzare la testa verso l'orsacchiotto un po' sbiadito a causa del sole. “Sono sicuro fosse o questo o una sua statua in bronzo. A questo punto meglio l'orsacchiotto.”

“Doveva chiedere scusa a te?” Deve esserci una specie di scheletro, dentro l'orsacchiotto, per tenersi in piedi. Magari è di metallo, o magari è un materiale che si auto-sostiene. Si deve avvicinare quel che basta per toccare il Gigante Buono e scavargli una gamba. Quel che basta, ovviamente, per il bene della sua testa che continua ad immaginare da cosa sia retto. Deve sapere il materiale. Deve sapere come è stato costruito. Deve sapere.

“No.” Steve ignora completamente le occhiate rapide del ragazzino al peluche, quando si gira e sospira pesantemente, per poi guidarlo verso la porta dell'enorme casa. “Certi privilegi ce li ha solo Pepper. A me toccano bibite analcoliche e sacchi di patate. Sacchi di patate molto grandi.”

Peter aggrotta le sopracciglia, e, per un attimo, dirige la sua completa attenzione all'uomo al suo fianco. “Perché? Perché le patate?” Viene leggermente spinto da una delle grandi mani di Steve, perché inizi a camminare. “E perché a Pepper un orsacchiotto? Stavano insieme? Perché zio diceva sempre che alla zia regalava orsacchiotti, quando litigavano. Quello e dei fiori. Diceva che con quelli andava sul sicuro, perché è una legge implicita che devi accompagnare la tua ragazza fino alla porta di casa, quando la riporti da un appuntamento, che non ti devi mai presentare a casa sua a mani vuote e che per farti perdonare devi regalarle orsacchiotti. Quindi è vero che Tony e Pepper si sono frequentati? Pensavo fossero pettegolezzi, sai, prima di conoscerlo, perché il Tony Stark delle riviste è… diverso? Comunque è bello che sono rimasti amici, no?” Peter. Stai zitto. Si schiarisce la gola e osserva la porta davanti a loro. A questo punto sarebbe meglio ricominciare a farsi domande sulla fisica del Gigante Buono. Solo sulla fisica, per favore. La struttura portante. Cosa non lo porti a collassare su se stesso. Il materiale. Sì, meglio.

“È molto bello che siano rimasti amici” risponde, comunque, Steve con quel sorriso strano sulle labbra.

“Non è una risposta sulle patate. Ma va bene. Immagino. Quando litigo con mia zia, mi ritrovo sempre a dover portare fuori la spazzatura. Crede che mi aiuti a pensare alle cose cattive che ho fatto nella mia vita. Io butto solo la spazzatura. E pulisco la mia stanza. Non penso tanto a quello che ho fatto di male. Ci sto pensando solo ultimamente, sai. Devo chiedere scusa a zia per un sacco di cose. Come quella volta che ho rubato i biscotti, che ho detto che non ero stato io a farlo, ma non era vero. Solo che zio diceva sempre che alle persone piace il cibo e chi porta cibo. Non dico che volevo tutti questi amici, ma almeno uno sì. Almeno un amico. Devo chiedere scusa a zia per così tante cose… forse dovrei darle anch'io un sacco di patate. Magari c'è un motivo. No?” Si strappa la pellicina intorno alle unghie, come se da questo dipendesse la sua stupida lingua che continua a muoversi e a farlo parlare e parlare. “Le patate assorbono i sensi di colpa?” Pensa che, comunque, ne deve regalare un po' anche a Tony. Magari con più patate non gli tornerà in mente di scappare e far preoccupare così tanto Steve. Deve anche chiedergli scusa, ovviamente, Peter. E non per delle stupide briciole. E non per aver rubato qualche merendina.

Steve gli accarezza la testa. Beh, in realtà gli ha appoggiato l'enorme mano sui capelli e gli ha scompigliati anche con un po' di impaccio e poca delicatezza. Ma questi sono gesti d'affetto che Peter capisce, che sa affrontare.

“Steve…” inizia, e poi si morde le labbra. Guarda in basso. Boccheggia. Boccheggiare fa schifo. “Io…”

“Oh, grazie al cielo siete qui. Tony, sono qui. Sì, sì tutti e due sani e sa-…” Pepper apre la porta dell'enorme casa e nemmeno li invita ad entrare, mentre tiene il cellulare attaccato all'orecchio. Appena dopo averli visti, fa un cenno per farli entrare e fa risuonare i suoi tacchi nel vuoto di una casa veramente troppo grande. Tap tap. Peter riesce a focalizzarsi di più sui suoi tacchi che sulle sue parole. Tap tap tap. Pepper non è una che si ferma. Steve e Peter rimangono fuori casa, comunque. “Sì. Le cose sembrano essere in ordine e Natasha mi ha già mandato -no Tony, quello sarebbe illegale. Ah. Dici Peter?” La donna allontana il cellulare dall'orecchio di nuovo, roteando gli occhi. “Scusatemi. Sapete, lavoro. Ho un capo… uhm, rompiscatole. Però dovreste entrare. Era preoccupato, a proposito. Chiede a Peter se ricorda la Fiera delle Scienze e il progetto.”

“Tony non è qui?” Steve va dritto al punto. Lancia un'occhiata veloce alle finestre e intorno alle porte. No. Tony non c'è. Ma lui lo sapeva già, no? Probabilmente lo aveva sperato, ma Tony non sarebbe Tony se non fosse difficile raggiungerlo. Sarebbe dovuto essere abituato.

“Uhm, no.” E torna al telefono, chiedendo scusa col labiale e quel sorriso così luminoso. Peter, comunque, decide che lasciare il segno delle sue mani sulle finestre è divertente. Come il panorama sul mare. A New York c'è il mare. Dal Queens si vede il fiume. Ma l'oceano così lui non lo ha mai visto. L'oceano. Non quello di Nemo. Ma quello di Atlantide, forse. Quello limpido. Quello che brilla sotto il sole, anche d'inverno. Tap tap. Pepper continua a parlare. “Ti devo mettere in viva-… senti: sei tu che mi hai chiamato perché no-… oh, per favore. Sai che ti dico? La prossima volta ti ascolto solo per il dodici per cento delle tue lamentele. Che ne dici? Ti piace di più così? Oh! No, siamo in quel momento in cui a me non importa del tuo panico. Dovresti -non fare il bambino.”

“Posso parlargli?”

“Sarebbe una buo-… ha attaccato.” Sospira, passandosi una mano sul viso e sedendosi sul divano. “Non vengo pagata abbastanza.” Poi sorride e afferra un bicchiere poggiato sul tavolino. Ha delle cartelle davanti, nessun foglio lasciato volante. Niente che le persone possano leggere, se passano per caso. Ed evita lo sguardo di Steve, appositamente. “Come stai Peter?” Gira addirittura il busto. No, aspetta. Magari è solo un'impressione. Forse. Magari.

“Bene” risponde automaticamente il ragazzino. Si gira di scatto verso di lei e sorride.

Steve allora si siede davanti a Pepper e la osserva. Aspetta il momento giusto, immagina. O, semplicemente, si aspetta che lei parli spontaneamente, che gli dica dove si trova Tony e perché è scappato via. Le persone non dovrebbero scappare via.

“Penso di aver fatto anche un amico.”

“Questa è una bella cosa.”

“Tony mi ha aiutato a ideare un piano per averne altri, se le cose non vanno.”

“E questa non è una bella cosa.” Pepper ride e scuote la testa. “Sono felice che tutto questo stia andando bene. Tony era preoccupato. Io ho solo detto che, finché Peter sta con te, Steve, andrà tutto bene, ma lui non ci credeva, ovviamente. Il solito bambino ansioso.” Sorride nervosamente e giocherella con le dita.

Peter torna a guardare il mare. Quando mai potrà rivedere il mare così? L'impronta della sua mano è in bella vista sotto i raggi del sole e lui non guarda quella cosa sbagliata che ha fatto, guarda il mare. Ci pensa dopo alla mano sul vetro e a qualsiasi altra cosa. La nasconderà a Pepper e Steve. Pulirà con la manica della maglietta, al massimo con l'orlo sulla sua pancia. Ma il mare. Dio mio. Quanto può essere incredibile, quel mare? Lancia un'occhiata a Steve. Anche a lui probabilmente piacerebbe, se solo non fosse così…

“Non si sarebbe dovuto preoccupare se fosse stato con noi.” C'è una pausa. Steve prende un respiro profondo e le mani le tiene sulle ginocchia. Magari si aggrappa a se stesso. Fa quella cosa che fanno gli adulti con la bocca. Una smorfia e un'ultima occhiata al mare. Tony ama il mare. Steve ama Tony. Tony non c'è. Peter dovrebbe avvicinarsi a lui. Lo fa senza che nessuno se ne renda conto e trattiene il respiro. Gli sembra di stare in mezzo ad una conversazione da grandi. È così, possibilmente. Anche dal divano si vede l'impronta della sua mano sul finestrino. “Cos'è successo, Pepper?”

E lei sospira e guarda verso il basso. Ha un sorriso di scuse, sempre quello, si gratta dietro l'orecchio. “Prima” marca la parola con un movimento della testa. “Prima complotti e ricatti e spionaggi e roba di cui non posso parlare. E di cui la signorina Walters non è a conoscenza. Ma è andato tutto bene. Immagino. Spero. Poi,” Sospira e mantiene l'espressione pacifica che aveva poco tempo fa. Pepper è brava nel suo lavoro. Ed è anche brava come amica di Tony. Sorride. “Tony è entrato nel panico.”




Tony teneva la guancia poggiata sulla mano e le caviglie incrociate. E quella smorfia che ha tutte le volte che vorrebbe tanto ridere, ma non lo fa. Non è una smorfia che si vede tutti i giorni e Steve cerca di imprimerla nella sua mente e non lasciarla andare. Mai.

“L'ultima notte a New York. L'ultima notte al mondo e tu quello che fai è pensare alla fonduta. I tuoi onesti pensieri da Steve brillo sono incentrati sulla fonduta.” Tony aveva scosso la testa, mentre Steve faceva saltare lo sguardo dal soffitto al viso di lui, con fare lento, addirittura rilassato. L'ultima notte. E lui era rilassato. Sembrava rilassato. “E io che speravo di avere qualche oscuro segreto da te, prima di mandarti in guerra. Una qualche tua fissazione. Un difetto sul favoloso Cap. Una confessione di qualche tua avventura quando eri piccolo. Non lo so, qualsiasi cosa. E tu dici che vuoi provare la fonduta?”

Steve aveva arricciato le labbra e si era girato di fianco, cercando di afferrare la mano sul letto di Tony. “Non l'ho mai assaggiata” aveva mormorato, imbronciandosi leggeremente quando l'altro aveva spostato la mano sul proprio fianco, tirando indietro i piedi. “Quando domani andrò in guerra, ci andrò con la consapevolezza di non aver mai assaggiato una fonduta. Lo trovo triste.” Aveva gli occhi languidi. Nel suo non ricordare molto bene, forse ricordava anche troppo bene.

A Tony si era stretto il cuore.

C'era l'aria di un paese ferito a far loro da atmosfera. Tante persone, là fuori, piangevano i loro mariti, le loro mogli, i loro padri, le loro figlie, sepolti tutti da un cumulo di cenere e cemento. Un cumulo di odio e risentimento. E cuori lacerati. Si parte per proteggere, a volte. A volte semplicemente per vendicarsi. Steve partiva perché era cosa giusta da fare. Perché le persone sono morte senza motivo e i bambini piangono. Santo cielo. I bambini piangono. E questa è una guerra vera, non quelle dei videogiochi. Risiko non vale come allenamento. Lì le urla non le senti. Non hai paura di poter morire. Non hai paura che qualcuno parta e poi non torni più, con tanti rimpianti, con così tante cose e posti che non ha visto. Ma i bambini piangono.

Steve piange.

Qualcuno li dovrebbe proteggere, sai?

Steve era già partito, una volta. Ma era diverso. Non c'era questo terrore dilagante. Non c'erano due torri a terra, gente che grida giustizia, e un paese che sente di doversi rialzare (su altri bambini che piangono). Questa volta si parte per fare male. E se vuoi fare male a qualcuno, qualcuno si farà male. Forse tu. Ma niente poteva fermare le lacrime per una madre sotto le macerie. Immagina di no. Sa di no.

Questa è la sua ultima notte. Steve non è un soldato. Il capitano Rogers sì. E domani tornerà a uccidere. Domani non avrà gli occhi languidi.

“Papà cucinava sempre la fonduta, insieme a mia zia Peggy. Erano assurdi. La fondue. Mamma odiava quando la facevano, perché, non so, sembra che durante la guerra lui da civile avesse invitato zia Peggy a mangiarne un po' insieme e mamma avesse frainteso. Sai, fondue, fond, affezionarsi, magari conoscersi biblicamente…” Tony aveva riso, sistemando la testa sul cuscino e sul braccio piegato. Parlare dei genitori fa ancora un po' strano. Una parte di lui pensava di poter tornare a Malibù per litigare con Howard e sentire Maria suonare il pianoforte. Ma loro non ci sarebbero stati e Tony non sarebbe tornato a Malibù. “Papà trovava esilarante la sua gelosia. Beh, all'inizio no. All'inizio zia Peggy gli ha sparato addosso perché era un idiota, e quindi…” Mai più. Non voleva tornare a Malibù mai più.

“Anch'io pensavo a qualcosa del genere. Più per il tono che usavi quando lo proponevi a Pepper, che per un altro motivo. Lo dicevi in quel modo…” Steve aveva confessato con gli occhi che iniziavano a chiudersi. Che tipo. L'alcol lo rende sonnolento, non più disinibito, non più divertente. Steve sembrava solo voler dormire e magari è per questo che stavano sul suo letto a parlare. E lo sanno tutti che il letto di Tony non si usa per parlare. O si dorme (uhm) o si fanno cose. E con cose intende…

Questo ragazzo era troppo puro per questi tempi. Faceva sentire in colpa. Porca puttana. Pure le parolacce sembrano troppo sporche per essere pensate accanto a lui. Cazzo.

“Oh, ma perché l'intento era quello. È. Prima o poi capirà il doppio senso. O forse no, non lo so. Non credo.”

“Speri di no.” Steve aveva sorriso, strusciando il viso contro il cuscino bianco.

E comunque era vero che Tony sperava di no. Se avesse voluto che capisse glielo avrebbe spiegato, no? Lui e Pepper -forse era meglio pensarci sopra, prima. Peccato non lo avessero fatto. Peccato fossero, in quel momento, in una di quelle relazioni in cui non sai come comportarti, quelle cose strane tra una relazione vera e un'amicizia degenerata, in cui nessuno dei due ha il controllo. E forse era un po' tardi per pensare alla possibilità che lei non accettasse (lui). Che situazione di merda. E di questo, non aveva avuto il coraggio di parlarne nemmeno a Rhodey, figuriamoci a Steve. Non che comunque non sapesse che loro sapevano. Pepper non è una persona che merita di essere o avere un segreto. Nemmeno una di quelle che riesce ad esserlo. “Ma che ne sai?” La voce era uscita un po' più dura di quello che avrebbe voluto. Aveva roteato gli occhi al senso di colpa che aveva preso a pizzicarlo sulla bocca dello stomaco. È l'ultima notte di Steve. Cazzo.

“Allora lo spero io” dice Steve. Non sembrava irritato dal tono di Tony. Una volta ogni tanto un colpo di fortuna ce lo ha anche lui, allora. Era così sollevato che si era dimenticato di prestare attenzione alle parole di Steve. Se fosse stato un po' più concentrato, avrebbe chiesto perché. E magari avrebbe anche avuto una risposta. E invece il momento era passato. “Sai cosa cucinava sempre mia mamma?” Aveva fatto una pausa e forse si era anche addormentato un po'. Per un po'. “Il pasticcio di patate. C'erano così tante patate. Le cucinava in tutti i modi. Al forno, lesse, fritte, da sole, come contorno di un po' tutto… ma il pasticcio di patate -quello lo preparava sempre. Da piccolo pensavo di essere almeno per metà di pasticcio di patate.” Aveva alzato un lato della bocca.

Steve non smette di piangere da quella notte in ospedale. Dente per dente. Occhio per occhio. (E il mondo diventerà cieco. Senza madri. Senza padri. Senza pasticci di patate.)

“Io avrei detto che sei fatto per metà di un dorito.” Anche Tony avrebbe voluto avere qualcuno con cui prendersela. Un faida da iniziare. Per non impazzire.

“I dorito hanno patate?”

“Non penso.”

“Allora no.” Aveva scosso la testa, lentamente, abbracciando il cuscino sotto questa. Steve non è tipo da faida. Ma c'è così tanta rabbia, adesso. Aveva sospirato e aveva lasciato scendere verso il basso il lato della bocca. Gli occhi erano ancora chiusi e una mano ancora libera -cercava la mano di Tony? Oh, per favore! No! No. No, no. Doveva smettere di cercare cose che non c'erano. Steve era solo stanco. “Tony.” Il ragazzo aveva sbarrato gli occhi e poi aveva scosso la testa per riprendersi dai suoi pensieri -a volte meno di cinque secondi ti fanno andare da tutt'altra parte. “Non ho un posto a cui tornare.” Eccola la parte malinconica di Steve. Grazie alcol. Grazie grazie. Steve Rogers uno di noi. Sarcasmo.

Fanculo i segnali che non esistono.

Tony gli aveva afferrato la mano, col braccio libero, e se l'era portata alla fronte, non sa bene perché. Magari perché è un melodrammatico figlio di buona donna e Steve sarebbe partito e non si sa se sarebbe tornato indietro. E non voleva che se ne andasse. Né che soffrisse così tanto e così solo. “Ma guarda che sei proprio uno stronzo” aveva detto, facendo in modo che Steve aprisse gli occhi per osservarlo. “Hai James. Hai Nat. Hai me. E tutti ti adorano. Guarda quel tipo -com'è che si chiama? Agente? Quello che vuole il tuo autografo.”

“Phil.” Steve aveva richiuso gli occhi, liberando il braccio dal cuscino, per raggiungere la mano di Tony.

“Sono abbastanza sicuro si chiamasse Agente, ma okay. È un fan tuo, mica mio.” Aveva ridacchiato. Poi si è dato il tempo di un respiro profondo. Una consolazione era il sapere che questi sarebbero stati ricordi sbiaditi dall'alcol. E nient'altro. Perché non era riuscito a fermarsi. Lo aveva detto preso dal momento. In un momento in cui non riusciva a fermarsi. “Se non hai una casa, vieni da me.”

“Va bene.”

“Va bene.”





Pepper aveva insistito. E con insistito s'intende ordinato. Steve si guarda intorno e sospira. Pepper ordina e lui obbedisce. Beh, tutti obbediscono.

“È come un pigiama party” dice Peter, infilandosi sotto le coperte e sistemando il cuscino sul divano. Beh, okay che tutti obbediscono, ma questo non toglie che si obbedisce in modo relativo. Prendere una stanza della vecchia casa di Tony a cui lui aveva giurato non tornare mai più? Uhm. La cosa non sembra molto giusta. Peter ne sembra entusiasta. Beh, tranne quando guarda verso la finestra. Ha uno sguardo colpevole, quando guarda verso il mare. Come se ricordasse di aver fatto qualcosa che non doveva fare.

Comunque Steve sorride e si sistema per terra. “Il tuo primo?”

“Oh, no, dai. Questo è un colpo basso. Non è il mio primo pigiama party. Ne ho fatti alcuni prima, sai? Giocavo con la Playstation e mangiavo patatine. E poi abbiamo costruito roba. Questo è almeno il mio terzo pigiama party. Terzo, okay? E comunque Tony mi ha detto che se fai quel sorrisetto là, eh, sì, quello che stai facendo adesso, ti devo ignorare, perché neanche lui è mai stato ad un pigiama party prima di me. Nessun genio va ai pigiama party da giovane, siamo troppo presi a salvare il mondo. E nessuno ha a casa un laboratorio in cui giocare tutta la notte. E le mamme non accettano facilmente esplosioni. Neanche le zie. È una prerogativa dei geni.”

“Che paroloni.” Steve ridacchia e si porta una mano sul petto. “Però aspetta. Il primo pigiama party di Tony Stark è stato con te? Fantastico.” Sperava di avere avuto lui quel privilegio. Beh, almeno per i vent'anni di amicizia. Però, effettivamente lui e Tony non avevano mai fatto le cose che si fanno ad un pigiama party, di notte. O con uno di loro che non fosse mezzo addormentato. O in una camera da letto. Quindi niente. Non ha mai potuto intrecciare i capelli di uno Stark annoiato del fatto che Pepper continuasse a dirgli cosa fare, o che lo abbia lasciato o che… santo cielo, non lo avrebbe sopportato. “E quando?” Domanda pertinente. In fondo, non ricorda di averli mai lasciati da soli a giocare…

Tocca a Peter sorridere divertito. Si arrotola tra le lenzuola e dà una fiancata al cuscino un po' troppo rigido del divano. Avrebbe dovuto provare a convincere Steve a prendere un materassino gonfiabile che sicuramente Tony teneva nascosto da qualche parte. “Rimane molto spesso solo.” Non è un'accusa. Nemmeno implicita. È solo la verità. È vero. Steve molto spesso non c'è, per i suoi corsi, o per gli appuntamenti dalla psicoterapeuta, o per… Ci ha messo settimane per capire che qualcosa non era normale in Tony. Dio mio. Se fosse un supereroe Tony non si dovrebbe nemmeno preoccupare di nascondere niente a Steve. Lui farebbe tutto da solo, non si accorgerebbe di niente. “E noi ci divertiamo tantissimo. Soprattutto quando ci viene a trovare il dottor Banner. Mi ha fatto osservare come si riproducono le cellule. Dal vivo! E in piangiama. Ci credi? Il dottor Banner, Bruce, e Tony Stark in un laboratorio mi hanno fatto osservare come funzionano gli antibiotici e il tessuto cellulare normale di una persona in pigiama. Uau. Adoro i nostri pigiama party. Perché è come se fossimo in uno di quei fumetti fantastici. È tipo stare nello stesso laboratorio con Batman e Atom. A questo punto io pretendo di essere Robin. E combattiamo gli uomini cattivi dei laboratori cattivi.”

“Non sapevo tu conoscessi Bruce.”

Peter sobbalza e si guarda intorno. Oh no. Lo ha fatto di nuovo. Ha parlato a sproposito. Cavolo. Cavolo. Ha spifferato un altro segreto. Abbassa lo sguardo. “Non combattiamo il male per davvero.” Che è un po' come dire che effettivamente lo fate. Fermati ora. Non dire più una parola. “E Bruce non va bene come Atom, comunque. Sarà tipo, Flash? Magari Firestom. Uhm. Killer Frost?”

“Peter.”

Il ragazzino sospira. “Sì?”

“Va tutto bene. Solo non sapevo che conoscessi Bruce.” Non che comunque quei due, Tony e Bruce, insieme, non siano la ricetta più pericolosa nella sua vita, in quasi tutti gli aspetti. Soprattutto quella personale. “Magari lui sa qualcosa su tutto questo.”

“Pepper ha detto…”

“E magari parla. Qui mi sembra che stiano tutti giocando a nascondiamo qualcosa a Steve. Non mi piace.”

Peter storce le labbra e non dice niente. Una volta ogni tanto. Lancia un'occhiata al vetro che li separa dalla brezza marina e la sua mano è ancora lì, un'impronta piccola e perfetta. Qualcosa di sbagliato. Che ha creato lui, ovviamente. “Magari Tony ha bisogno di qualche giorno da solo.” Fa fatica a dirlo. Ma è meglio di dire ad alta voce quello che pensa veramente. Tony se n'è andato per colpa mia. Porca paletta. Deve essere una sfortuna tutta sua.

Steve non risponde, ma due settimane senza chiamate, né messaggi, scusate tanto, lo mette abbastanza in allerta. Soprattutto dopo la loro ultima notte insieme. Lo sanno tutti che Tony Stark è una stupida reginetta del dramma.

Non un buon pigiama party.



“Ci credi che ci siamo conosciuti proprio grazie al pugno nell'occhio che mi hai dato quella volta? Lo avevo detto che con un occhio nero sono irresistibile.” Tony lo teneva anche troppo vicino, abbracciato con un braccio sulle spalle e l'aria di aver trovato un cagnolino. Beh, nel suo caso la sua felicità è simile a quella provata quando ha scoperto come poter costruire dei laboratori nel bel mezzo di Manhattan e renderli la sua casa. Quindi. Tanta felicità, mentre beveva del buon whisky.

“Eri più ubriaco di un inglese alle partite di calcio” Bruce aveva alzato gli occhi e cercava disperatamente di sciogliere l'abbraccio Made in Stark, anche abbastanza imbarazzato. Grande errore mostrare a Tony che si è imbarazzati. “Non pensavo si potesse diventare amici con uno che ti ha vomitato sulle scarpe la prima volta che vi siete incontrati.” Teneva gli occhi bassi e parlava senza aprire troppo la bocca. Come se cercasse sempre di controllarsi. Controllarsi dal fare che cosa?

Steve si accarezzava il retro del collo, a disagio. Avevano optato per un luogo appartato, è vero. I rumori davano fastidio anche a Bruce ma non era abituato. Non era abituato a Bruce a casa di Tony. A Bruce in generale, visto che sembrava essere una nuova conoscenza del periodo della guerra. Quando Steve non c'era. E non c'era neanche Pepper. O Rhodey. Tony era da solo ed è arrivato Bruce. Bene. Aveva cercato di sorridere. Non riusciva a tenere le mani ferme. “Ha cominciato così più amicizie di quello che pensi.”

“Non ti ho vomitato sulle scarpe!” aveva protestato indignato Tony. “Il fatto che non ricordi il nostro primo incontro mi ferisce, va bene? Senti? È il mio cuore che si spezza.”

“Tu non hai un cuore, Tony” gli aveva ricordato Bruce, sempre coi suoi occhi bassi e un ghigno sulle labbra.

“Ah, è vero. Vecchie abitudini.” Poi era scoppiato a ridere, dando una pacca bella forte sulla spalla di Bruce. “Meno male che me lo ricordi sempre. Steve, ho una novità, non ho un cuore. Sono un ammasso di circuiti e metallo. Bruce lo ha confermato. In effetti mi chiedevo come fosse possibile che io fossi così intelligente rispetto agli altri. Sono un'evoluzione. Tipo dei pokemon. Quanto tempo hai prima di andartene?”

“Una settimana.”

“Per…?”

“Non per molto.”

Non è una di quelle risposte che piacciono tanto a Tony. È vaga. Non c'è il numero e ha chiesto il numero. Un lasso di tempo misurabile e misurato. Non per molto non è misurabile. È dannatamente soggettivo. Ma l'aveva presa per buona. Aveva annuito e poi aveva sorriso, lasciando andare il povero Bruce, che era intento a voler raggiungere il suo bicchiere di succo di frutta. “Quindi tra non molto torni a casa.”

Qui. La parola segreta era qui. A casa qui. È un sollievo, sempre, ricordarlo. Anche un peso, perché, davvero, non ne avevano neanche parlato poi così bene, ma Steve non ha fisicamente un altro posto a cui tornare. Magari è… magari doveva… dire no? “Sì.”

“Perfetto.” Tony si era stiracchiato. “Appena questo terzo incomodo se ne va, parliamo male di lui, che dici? Così vediamo se passa il test del capitano. Non trovi abbia una voce irritante?”

“Sarei ancora qui.”

“Fidati. Lo so. Ti critico per cose ben peggiori quando non ci sei, Orsacchiotto.”

“Tony!” “Tony.” Lo avevano sgridato entrambi con diverse sfumature di rassegnazione e questa cosa fa scoppiare a ridere Tony così tanto da sentire di non potersi fermare.

Quindi aveva riso. E riso. E riso.





 
  
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