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Autore: xClove    11/05/2009    1 recensioni
Camminavo senza una vera meta. Più che altro aspettavo che mi venisse un’idea in mente. Qualcosa da fare. Qualunque cosa. Ma il mio cervello si rifiutava di ideare qualsiasi pensiero che non fosse Katia.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo senza una vera meta.

Più che altro aspettavo che mi venisse un’idea in mente.

Qualcosa da fare.

Qualunque cosa.

Ma il mio cervello si rifiutava di ideare qualsiasi pensiero che non fosse Katia.

La ferita della nostra separazione ancora mi bruciava in petto.

Abbandonato per uno più giovane di quindici anni.

Ma soffrivo soprattutto per essere stato diviso dalla mia bambina. La mia piccola Danielle.

Chissà quando l’avrei rivista.

E in attesa di rivederla sono qui.

Ma qui dove?

Qui da tutte e da nessuna parte.

Non mi sono mai sentito così solo, così malinconico.

Così spezzato.

Sì. Ecco come sono. A metà.

Senza mia moglie, senza mia figlia.

Cosa rimane della mia vita?

Niente.

Una pallida imitazione di ciò che ero prima.

Passeggio ne parco adesso. È pieno di coppie felici. Ridenti.

Ignari di quello che succederà quando quella magia sarà finita.

Quando le mattine ti alzerai pensando a quanto sia lunga la giornata con la persona che hai accanto. Sempre accanto.

Quando tornerai da lavoro stanco e non hai voglia di parlare con nessuno.

Ma lei insiste. Tu vuoi vedere la televisione in santa pace. Lei vuole fare l’amore.

Mi sento pessimista. Vedo la vita in nero.

E pensare che è bastata un’ora a rovinarmi l’esistenza.

“Alex, è ora che tu lo sappia. C‘è un altro nella mia vita”

La guardai basito. Forse non avevo capito.

“Un altro?”

La mia voce è come un sussurro, come se non volesse uscire dalla mia gola.

“Sì.. Un altro che mi sa dare amore, dolcezza, gioia di vivere.. ”

“Un altro..”

“Alex.. Ti prego, non fare scenate, è tutto sistemato. Potrai vedere Dani ogni due fine-settimana”

“Un altro..”

Non ci credevo. Che lei, Katia, la donna della mia vita, mi avesse fatto scendere di botto così dal paradiso.

E mi ero schiantato a terra.

Il colpo è stato forte. Troppo forte.

Non quando, e se, mi riprenderò.

Con il senno di poi, capisco di averlo sempre saputo.

Dentro di me sapevo che tra noi non c’era più quella complicità, quell’affiatamento, quel sentimento che tutte le volte che la vedevo mi travolgeva l’anima.

Ma ero preso da me stesso, dal mio lavoro.

Non me ne sono accorto ed eccomi qui.

Abbandonato come un cane.

A sperare che le coppiette felice del parco si lascino.

Le mie gambe vanno dove vogliono. Come anche i miei pensieri.

Navigano nei ricordi più dolorosi..

“Papà dove vai?”

Danielle, con il suo solito orsacchiotto in mano, mi guarda con i suoi occhioni castani.

Pieni di ingenuità.

Ah quante cose dovrai imparare mia piccola puffa.

“Papà va via per un po’ tesoro.. Ma verrò a trovarti”

“E per quanto vai via? Perché non rimani? Mi avevi promesso che quest‘estate saremmo andati cavallo sulla spiaggia!”

Un’altra lama mi trafigge.

“E andremo tesoro, non ti preoccupare”

La guardo. Mia moglie ci fissa dalla scala che porta al piano di sopra.

È lassù zitta. Non dice niente.

Ha già dimenticato il “noi”.

Ormai c’è solo lei con quel tizio giovane.

Io sono di scarto, un rifiuto.

Mi ritrovo in un vicolo, stretto e isolato dal resto.

Mi ci infilo e continuo la mia passeggiata attraverso i ricordi.

Sono pronto per pugnalarmi ancora al mio cuore già mutilato, quando qualcosa attira la mia attenzione.

Una ragazza.

Seduta su una sieda a dondolo foderata con una stoffa antica, ma logora dal tempo.

E tiene un gatto in braccio.

Un persiano nero.

Nero come i suoi capelli ricci che le ricadono sul viso.

Non ho mai visto una creatura così bella. Così eterea.

Sembra fuori dal mondo.

Passo sotto il suo balcone, ma non fa cenno di avermi visto.

Continuo la mia camminata ma rallento leggermente, per osservarla meglio.

Ma lei se ne accorge.

Alza leggermente il capo rivelando due occhi verdi come smeraldi.

“Mi stai fissando? Cioè.. Mi vedi?”

Oddio. Ho già capito. È una pazza. Cosa vuol dire “mi vedi?”

“Ehm.. Sì.. Sei lì sul balcone.. Seduta..”

All’improvviso ho una voglia matta di fuggire. Cerco di accampare qualche scusa.

“Ma a me non sembri molto occupato”

Ma cosa fa, mi legge nel pensiero?

“Come ti chiami?”

“Alex.. E tu?”

“Oh.. Tutti mi chiamano Sparky”

“Sparky?”

“Non farci caso..”

“Ma.. Sembri così giovane, quanti anni hai?”

Spalanca gli occhi come se le avessi chiesto le prima legge della termodinamica.

Sembra davvero così piccola. Non avrà più di quindici anni.

“Ne ho più di quelli che dimostro..”

Svia la domanda. Anche lei sembra così sola.

“Dove sono i tuoi genitori?”

“Non lo so”

Sembra assolutamente disinteressata.

“Ah.. Sono usciti?”

“In un certo senso”

Voglio farla parlare ancora. Non sembra così pazza. Voglio sentire la sua voce così pura e innocente.

“Beh torneranno presto, no?”

Smette per la prima volta, da quando è iniziato questo dialogo, di accarezzare il gatto.

“No. Non credo che torneranno..”

Sembra così.. Fuori posto. Assomiglia a una principessa, rapita dal castello di una fiaba e messa nei panni di un’insignificante essere umano.

Ha un’aria.. Antica. Non per l’età.. Ma per le parole, per il tono i voce, per l’atteggiamento.

“E tu Alex? Dove stai andando?”

Colpito in pieno. Mi ritrovo a rispondere con le sue stesse parole.

“Non lo so, Sparky”

“Allora abbiamo qualcosa in comune.”

Ride. La sua risata è come musica. Come un usignolo alle prime delle luci del mattino.

Mi affascina.

“Allora Alex, raccontami di te. Siamo qui e non dobbiamo fare niente. Perché non cominciare una buona conversazione?”

Mi da sempre di più l’idea di un reale.

“Io? Ma sono uno sconosciuto.. Non so quanto ti possa interessare la mia vita”

“Sempre meglio che stare qui, ad aspettare”

Ma non ad aspettare i suoi genitori. Lo so. Ad aspettare forse che il suo principe arrivi sul cavallo bianco. Il principe del suo regno incantato.

E comincio a parlare.

Di me. Di Katia. Di Danielle. Della mia vita, degli amici, delle emozioni che ho provato, della mia infanzia.

Di tutto quello che mi passava per la testa.

E Sparky ascoltava.

Tutto. Con quei suoi occhi sembrava capire più lei, che io che avevo vissuto tutto ciò che raccontavo.

E mi sfogai completamente.

Le raccontai dei rimpianti, dei rimorsi, delle occasioni perdute e di quelle che probabilmente arriveranno.

Ma scese la sera. Troppo in fretta.

“Alex, è meglio se vai. È tardi”

“Hai ragione..”

Era un rimprovero strano, ma adeguato. Ma solo se fatto da lei.

“Potrò tornare?”

“Ne sarei felice”

Le sorrisi. Il mio primo vero sorriso dopo la separazione.

Lei sorrise di rimando accarezzando il suo micio.

E mi allontani con il cuore più leggero.

Dopo quel giorno, tornai sempre.

Lei mi aspettava lì. Sulla sua sedia a dondolo con il gatto tra le braccia.

Nella sua veranda al primo piano.

Mi aspettava e ogni giorno mi chiedeva di me, di ogni istante vissuto mentre non lì con lei.

Col tempo cominciammo anche a parlare di altro.

Musica, libri, cultura generale.

E scoprii la sua passione per il pianoforte.

E scoprii quanto fosse intelligente.

Quanti libri avesse letto, del calibro di Ivanohe, Orgoglio e pregiudizio, Piccole donne..

Non salii mai a casa sua. Né mai glielo chiesi. Stavamo bene così. Lei dall’alto della veranda, come la principessa che era. E io povero suddito, in cerca di felicità.

Mi nutrivo di quei momenti, così belli e spensierati. Puri e semplici.

Che non mi facevano scivolare nella depressione. Non mi facevano toccare il fondo, ma anzi adesso stavo lentamente risalendo.

Certo non pretendevo di stare bene subito. Ma Sparky era la medicina migliore.

Pensavo sempre meno a come era crollata la mia vita.

Non frugavo più spesso nei ricordi.

Stava rinascendo un nuovo Alex.

Ma nascevano anche dei dubbi.

Chi era davvero Sparky?

Ogni giorno alla stessa ora lei era lì. Sempre.

E mi è rimasto impresso nella mente un episodio..

Trafelato arrivai alla via della veranda della mia nuova amica.

Erano quasi quattro giorni che non riuscivo ad andare da lei.

Il mio nuovo progetto di architettura mi stava prendendo anche la notte.

Arrivai da lei e la trovai come al solito.

Ma pallida, e con gli occhi pieni di paura.

“Alex! Dov‘eri finito?”

“Scusa.. Il lavoo mi ha portato via così tanto tempo..”

“Non devi più sparire così.. Non riesco a stare qua senza la tua prensenza!”

“Cosa?”

“Voglio dire.. Non mancare più ti prego”

“Ok..”

“La mia vita è legata a questo..”

“Non capisco..”

“Lasciamo stare.. Allora com‘è andata la giornata?”

È un grande punto interrogativo Sparky. Ma da quel giorno non disertai più i nostri incontri.

Se era vero quello che aveva detto, io non volevo perderla.

Non volevo perdere la mia medicina.

La mia cura.

La mia droga quotidiana.

[…]

Dopo quasi due mesi dalla nostra separazione, Katia mi chiamò.

Mi cercò prima sul cellulare, poi sul telefono fisso.

La evitai.

Ma mi chiamò anche in ufficio. E allora non potei più soffocare il mio passato che cercava di farsi strada tra la cura benefica di Sparky.

“Pronto?”

“Alex ciao. Ti prego ascoltami”

“Sono impegnato adesso”

Si, a tenerti fuori dalla mia vita.

“Si tratta di Danielle”

Mi feci serio.

“Cosa succede?”

“É all‘ospedale.. È caduta dal melo del nostro giardino”

“Cosa?”

“Ti prego vieni qui.. Non so cosa fare”

Riagganciai e corsi fuori dall’ufficio dopo aver balbettato una rapida scusa.

Guidai come un pazzo e arrivai lì dopo neanche dieci minuti.

Katia mi venne incontro. Aveva gli occhi rossi e il trucco colato.

Sentii la ferita riaprirsi. La cura-Sparky era stata vinta.

“Che caspita ci faceva lassù, eh?”

“Non lo so Alex, io ero a farmi la doccia, poi visto che non sentivo più la sua voce e..”

Scoppiò in lacrime. La presi tra le mie braccia.

[…]

Passarono intere settimane.

Ormai la mia vita era lavoro-ospedale.

Non avevo neanche il tempo di pensare a Sparky. Se dovevo badare alla vita di qualcuno, preferivo badare a quella di Danielle.

Le mie giornate vivevano nell’ansia continua che il cellulare squillasse per darmi una brutta notizia.

Pregavo ogni giorno.

Ricominciai anche ad andare in chiesa.

[…]

Finalmente la bella notizia. La mia Dani era fuori pericolo. Sarbbe guarita completamente.

Riuscii così a prendermi due orette libere per tornare da Sparky. Era un mese che non la vedevo.

Ma non ne avevo più sentito il bisogno, dopo i primi giorni.

Io e Katia eravamo tornati insieme. La nostra piccola ci aveva riuniti.

Tranquillo e felice arrivai alla viuzza.

Ma davanti alla veranda c’era un camion dei traslochi.

Mi avvicinai preoccupato.

Sparky traslocava.

Ma non ne ero sicuro.

Chiamai un operaio e lo interrogai.

“Chi è che trasloca?”

“Oh.. Una coppia di anziani.. Lavoro leggere, non ci sono molti mobili.”

“Anziani? Ma con loro non c‘è anche una ragazzina?”

“Ragazzina?”

“Si, capelli neri, magrolina con un gatto sempre tra i piedi”

“No guardi.. Si sbaglia, qui hanno sempre vissuto loro due e basta”

Mi allontanai, gettando un ultimo sguardo alla veranda. Eppure ero sicuro che fosse quella.

La mia vita è legata a questo..

Queste parole mi balenarono in testa.

Ma allora chi è Sparky?

L’ho immaginata, o è sempre stata lì?

  
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