“Corpo e anima sono un tutt’uno, un’essenza
inscindibile e interscambiabile. In parole povere, la realtà cosiddetta
‘terrena’ ha regole e principi completamente diversi da quelli che governano il
Lifestream; queste differenze richiedono, quindi, un adattamento. In pratica,
il concetto di morte non si riferisce a qualcosa di completamente opposto alla
vita, ma più semplicemente al cambiamento di essenza, adattandosi alle regole
della realtà a cui si sta affacciando. Conclusione: anima e corpo non possono
essere separati, in quanto creerebbe devastanti problematiche nel passaggio tra
Pianeta e Lifestream. Si ritiene, infatti, che se il corpo viene distrutto,
l’essere perde una parte di sé e non sarà in grado di ricongiungersi al
Pianeta, in quanto esso è l’organo dedicato alla conservazione dei ricordi e delle
emozioni collegate alle persone care. Dopo vari studi, ritengo che questo
legame sia un requisito fondamentale per il raggiungimento della Terra Promessa
da parte dei defunti, in quanto fonte di un’incredibile quantità di energia
vitale. E’ questa simbiosi tra defunti e viventi a rendere vitale questo
Pianeta.
La tradizione di bruciare i cadaveri è una
grave violazione di questo dogma, per quanto, talvolta necessaria. Le anime
private del loro contenitore perdono ogni legame con Gaia e non contribuiscono
al defluire del Lifestream. L’evento chiamato ‘Purga dei Sephera’ attuata dalla
stirpe umana a seguito della sconfitta di Jenova fu la comprova degli effetti
devastanti della rottura di questo legame. Tuttora, i pochi Cetra rimasti
avvertono la sofferenze di quelle anime intrappolate sul confine tra la vita e
la morte, senza alcuna possibilità di comunicare né con la realtà, né con il
Pianeta.”
M’interrompo circa a metà delle conclusioni
del rapporto di Gast, preso in prestito da Vincent durante la nostra permanenza
nella sua villa, poiché immagini terrificanti di uomini e donne mandate al
rogo, disperate e terrorizzate, mi si affollano nella testa, trasmettendomi la
macabra sensazione di dejà vu. Mi massaggio le tempie e prendo profondi sospiri
per ricacciare indietro la nausea. Esattamente come nella stanza di Gast, non
posso fare a meno di rivivere scorci di memorie di circa due millenni fa. Come
è possibile?
- Steven mi ha rivelato che tu hai visioni
di quel passato quando vengono rievocate quegli eventi, è così? –
Guardo Vincent di sottecchi, concentrandomi
con tutte le mie forze su di lui, al fine d’ignorare, o almeno provarci, quelle
immagini. Il pistolero è accomodato su una seggiola disposta accanto alla
finestra. Il gomito appoggiato al davanzale fa da sostegno per la testa. Il suo
sguardo tradisce una certa preoccupazione. Ha insistito perché leggessi coi
miei occhi la relazione di Gast, così da capire in pieno la situazione in cui
verte Evelyn. Annuisco lentamente, mentre un conato più forte degli altri mi
costringe a stringere i denti. E poi, quelle fitte al cuore…
- Questo è dovuto alle cellule di Jenova
contenute nel tuo corpo. Più avanti, Gast sostiene che i ricordi e le emozioni
dei Saphera vennero assorbiti dal corpo cristallizzato della loro padrona. -
- Ed immagino che lei non le abbia
conservate intatte e pure, dico bene? –
- Già. Nella sua biblioteca ho trovato un altro
rapporto, riguardante gli esperimenti eseguiti durante il Progetto S. Lì, Gast
asserisce che, probabilmente, l’aggressività e la misantropia riscontrata nei
mostri infusi con cellule J sia dovuto proprio questo. Apparentemente, Jenova
ricava il suo potere dalle emozioni negative dei suoi accoliti, incanalando il
loro odio e la loro rabbia direttamente nel cervello del malcapitato. –
L’ultima frase sfuma in un silenzio pesante,
ricolmo di sottintesi. E una frase aleggia sopra di essi. Per un lungo istante
essa incombe sulle nostre figure irrigidite e incapaci di guardarsi negli
occhi; finché il pistolero rompe gli indugi con somma mestizia.
- Forse è questo che è successo a Sephiroth…
-
Non posso fare a meno di grugnire e scuotere
dolosamente la testa, attirando inevitabilmente l’attenzione di un pistolero
punto sul vivo. Egli, tuttavia, non si altera, mantiene il solito impenetrabile
contegno.
- So che per te è ancora difficile accettare
il fatto che Sephiroth sia una vittima, anziché un carnefice, ma… -Quelle
parole pennellate da quel tono di voce così accorato, se non dolce, nei
confronti di quel… quel… MOSTRO! No, non merita la pietà. Non la merita, non la
merita, NON LA MERITA!
Fuori di me, afferro il margine del tavolo
dinnanzi a me e lo rovescio di lato. Ora che non c’è più nessuno ostacolo tra
di noi, una suadente voglia di assalirlo solletica ogni cellula del mio corpo.
Avverto i miei muscoli tendersi e gonfiarsi in attesa dello sforzo, le dita
irrigidirsi e piegarsi alla stregua di artigli affilati, i denti digrignarsi
pronti ad addentare quella pelle pallida e morta. Gli occhi rossi della mia…
preda? Sì, solo una preda può guardarmi con quegli occhioni terrorizzati. Lo
odio… Come fa a convivere col fatto di aver dato vita a un mostro, un genocida,
un pazzo, un criminale…
Non merita tutta quella compassione…
Non… la… merita…
La testa inizia girare e la vista
offuscarsi. Un richiamo ovattato raggiunge a stento le mie orecchie, tale da
non riuscire a decifrare cosa effettivamente contenesse. Un nome, forse? Quale?
E’ tutto così confuso…
La chioma
ondeggia sensuale ad ogni suo movimento e mi pare di avvertirne la morbidezza
scorrere lenta tra le mie dita, stuzzicare i polpastrelli, solleticare il mio
palmo; come se davvero la mia stessa mano fosse affondata in quel mare di seta
corvina. Improvvisamente, mi pare addirittura di avvertire il delicato e
leggero effluvio di resina di pino solleticarmi l’olfatto. E’ un odore così
trascinante, capace di far nascere in me un dolce ed amaro torpore. La meraviglia
suscitata da un sorriso angelico, la setosa consistenza di una carezza che
liscia materna la mia gota. Il pallore raffinato di quella pelle così perfetta
mi affascina. Così come quegli occhi... difficilmente riesco a trovare un
aggettivo adatto a descriverli, poiché la loro bellezza è qualcosa di
soprannaturale. Contrariamente al sentimento che racchiudono, così dirompente e
terreno da avvolgere entrambi come un vortice. Percepisco il suo fiato, il
quale, regolarmente, poggia la sua profumata essenza sulla mia bocca; preludio
magnifico della scesa di quelle accoglienti labbra rosse. Esse sono dischiuse
appena, protese verso le mie, in attesa di un contatto lontano quanto una
stella, eppure minuscolo come lo spessore di un filo d’erba. Quelle rose carnose
si muovono.
Ti amo.
Così la voce
d’angelo proferisce, riempiendomi il cuore di una gioia sconfinata, capace di
distruggere ogni singolo brandello del mio essere. Mi aggrappo a lei, che è
tutto il mio mondo e mi basta poco per toccarlo.
Ma lei non è
qui, mi rendo tragicamente conto. La splendida illusione si trasforma in
un’amara realtà, la quale ferisce nel profondo, dilaniando quei minuscoli
brandelli di ego. Smetto di respirare, rendendomi conto che l’ossigeno inalato
proveniva da quell’ipnotico respiro; le mie gambe cedono, facendomi realizzare
che era il suo corpo a sorreggermi; il mio sorriso si trasforma in disperato
pianto, comprendendo che lei era la fonte della mia gioia; un gelo mortale mi
attanaglia le ossa, capendo così che ella era il sole che mi donava la vita.
Mi accorgo
di essere inginocchiato, prostrato, per meglio dire. Le mani disperatamente
aggrappate alle inferriate gelide lanciano fitte di dolore, poiché ferite dagli
angoli taglienti del metallo. La testa è leggerissima e i polmoni si
contraggono disperatamente alla ricerca di aria. Questo è l’effetto
irrefrenabile di una passione repressa da tanto, troppo tempo, concludo.
Ritrovo la forza di muovermi e alzo lo sguardo al di là del cancello, dove,
leggiadra e perfetta, LEI passeggia. Il suo volto di porcellana è abitato da
una tristezza senza confini, animata da una struggente solitudine, la quale
scatena qualche lacrima di tanto in tanto. Sono in quei momenti, in cui il
rimpianto ha la meglio, che la donna ritrova la grinta e scaccia via quelle
gocce amare con un elegante gesto della mano. Le sue dita sottili corrono sulla
gota rosea e, sensualmente, accarezzano il labbro inferiore. La bocca di apre
appena e un sospiro liberatorio abbandona la sua gola. Poi, i suoi occhi si
elevano in direzione del cancello. La vuotezza che prima spegneva quelle iridi
smeraldine sembra svanire, appena un sentimento assurdo e irrazionale le anima.
Speranza.
Speranza di
rivedere l’uomo che ama.
Speranza di
riabbracciare la sua bambina.
Speranza che
il suo ingiusto calvario finisca.
Speranza che
la sua vendetta si compia.
Quest’ultimo
pensiero ricopre quella benevola luce con un’ombra maligna e rabbiosa. Un’ombra
che deforma le sue angeliche fattezze per pochissimi, terrificanti istanti in
quelle di un raccapricciante demone dilaniato dalla furia del fuoco. Esso si
contorce convulso, passandosi sul viso sfigurato le mani armate da lunghi
artigli giallastri. Essi scendono lungo la fronte calva, le cavità orbitali,
gli zigomi consunti; lasciando profondi e sanguinolenti solchi sul misero
strato di muscoli e tendini. Appena giunte dove una volta v’erano carnose e
rosee labbra, le dita svaniscono all’interno dell’oscura morsa del cavo orale,
dove denti affilati calano dall’alto e dal basso e tranciano quelle falangi sdrucite.
Il sangue sprizza dalla bocca, cacciato fuori in grosse gocce da attenuate, ma
non meno agghiaccianti, urla. Nell’attimo in cui questo demone appare e
svanisce, riesco a riconoscere la nota tipica di quelle grida. Il mio sguardo,
infatti, cala sul grembo, ove rivoli di sangue lasciano piccoli segni del loro
passaggio sul tessuto latteo. Gelsomini bianchi crescono repentinamente là ove
le gocce toccano il terreno, ma marciscono appena raggiunta la piena maturità.
No, non marciscono. Vengono inceneriti.
Fuoco.
Quella
parola smuove qualcosa dentro di me, ma la strana calma che mi avvolge le
membra impedisce a quel sentimento di prevalere.
Mi volto
appena alla mia sinistra e punto il mio nemico. La sua immancabile divisa nero
pece disegna la sua linea scattante e tonica, simile a quella di una pantera. E
come un felino, egli aderisce contro la cancellata, sornione, da cui osserva
l’oggetto del proprio desiderio.
- Come mai ancora qui, Cloud? –
- Per
cercare delle risposte, credo. –
Il SOLDIER
sposta l’attenzione su di me, puntandomi di sottecchi. La cortina argentea dei
suoi capelli nasconde in parte il suo viso affilato. Non mi sfugge, tuttavia,
il sorrisetto arrogante che deforma l’iniziale linea neutra delle sue labbra.
- Buona fortuna, allora. –
Rispondo al
suo sguardo con un’occhiata mordace, ma essa va ad infrangersi contro il
completo disinteresse del Generale nei miei confronti. Ha occhi se non per lei.
Non so perché, ma la cosa mi infastidisce. Per tanti anni ho creduto di essere
la sua sola ossessione: la marionetta da torturare, l’uomo da battere, l’eroe
da distruggere. Quello che intercorre fra noi è un legame malato e perverso,
eppure unico e speciale. Entrambi vediamo nell’altro la fonte della nostra
immortalità, poiché finché uno di noi due vivrà, l’altro sopravvivrà. Lo ha
detto lui stesso.
I will never be a memory.
[Io non sarà
mai un ricordo. Sephiroth, FFVII:ACC]
La sua
totale indifferenza, tuttavia, fa vacillare le mie convinzioni. A lui non è mai
importata la fama o la gloria, essere l’Eroe di Midgar o l’Angelo da una Sola
Ala per Sephiroth, è relativo: esse sono solo conseguenze delle imprese
compiute; quest’ultime rese molto più grandiose o deprecabili di quanto siano
realmente. Lo ripete spesso nei passi del suo diario: la sua prigione dorata è
stata costruita sopra al sangue di tanti innocenti e la sua fama si è
alimentata dei cadaveri dei suoi nemici. Una facciata per coprire i misfatti
della Shinra, il capro espiatorio di qualunque ritorsione sulla società elettrica.
Lui non vuole essere ricordato come Eroe o Distruttore; bensì per la sua semplice
umanità, ossia un marito protettivo e affettuoso o un padre volenteroso e
amorevole.
Alzo lo
sguardo verso Evelyn e comprendo: lei conserva la sua vera memoria.
- Che ne
sarà di te, quando tutta questa storia sarà finita? Tua moglie si mescolerà nel
Lifestream, tua figlia diventerà una martire, Genesis verrà sconfitto una volta
per tutte e io mi premunirò perché tue memorie diventino esattamente quello che
sono. Tutti ti ricorderanno solo per il mostro che sei. –
Sephiroth
non sembra per nulla toccato da questa possibilità; anzi sembra quasi
divertirlo, dal momento che le sue labbra s’inarcano in un sorriso furbo.
- Appunto. E’ in quel ricordo che io vivrò,
così da alimentare le paure e gli scrupoli degli uomini, in modo da evitare che
gli orrori subiti dai miei cari non vengano ripetuti. Ciò che m’importa è che
loro riposino in pace. Null’altro conta. –
Il coraggio
e la determinazione dimostratomi di fronte a un tragico destino riempiono il
mio cuore di un’ammirazione immensa, la stessa che mi pervadeva quand’ero
bambino. E’ veramente lui… l’eroe dei miei sogni, l’uomo che avrei voluto
essere, l’esempio che avrei voluto seguire. Come posso permettere che le sue
qualità vengano dimenticate? Che un uomo così giusto e coraggioso venga
millantato in questo modo?
Vuole solo proteggere la sua famiglia, in
fondo.
Improvvisamente,
il cancello subisce un deciso singulto accompagnato da un forte clangore di
metallo contro metallo. Con il cuore in gola, faccio un passo indietro e
rimango assolutamente stupito nel constatare l’autore del trambusto. O meglio,
l’autrice. Evelyn. In un qualche modo, la sua presenza è riuscita a trapassare
il confine tra vita e morte. Il cancello, infatti, sembra contenere a malapena
la sua irruenza. Quel cancello apparentemente insormontabile e indistruttibile,
costruito dall’odio e dal risentimento di un intero Pianeta nei confronti di
quell’omicida sanguinario, scricchiola e geme come se fosse fatto di alluminio.
E’ possibile che io…
Rivolgo il
mio sguardo sbigottito in direzione di Sephiroth, il quale è stupito almeno
quasi quanto me.
No, non posso davvero averlo…
Non faccio
in tempo a terminare il pensiero che il Generale inizia a muovere un paio
d’incerti passi verso la donna ancorata alle sbarre. Con decisi tentativi, ella
cerca di aprire una breccia in quel cancello, ma essi vanno ad infrangersi
contro alla strenua resistenza del metallo, il quale ondeggia sempre di meno.
Quando ormai gli sforzi divengono vani, l’angelo volge uno sguardo struggente,
disperato e supplichevole verso Sephiroth, il quale si ferma a un passo dalle
sbarre. Il Generale scandaglia la donna da cima a fondo, affascinato e rapito,
fino a che i suoi occhi non si posano sulle dita avvolte attorno al metallo. A
nessuno di noi tre sfugge che, anche se di poco, una minuscola parte di lei
sembra sfociare da questa parte. Tutti gli sguardi sono puntati su quel
particolare. I due amanti si fissano negli occhi per un breve, significativo,
istante. Osservo rapito la scintilla di speranza illuminare le loro iridi dalle
mille sfumature del verde. Così, con tacito assenso e mano tremante, il SOLDIER
rompe gli indugi. Nonostante sia terrorizzato, più che dalle conseguenze, dalla
prospettiva del fallimento, il desiderio di riaverla per sé, anche per un solo
attimo, ha la meglio; quindi, sebbene sia una vana speranza, lui deve tentare.
Ed io mi rendo conto di tenere per lui.
Tutta la
malevolenza svanisce appena le loro dita finalmente si sfiorano.
Perdo quasi
un battito nell’assistere alle loro espressioni, dapprima incredule, poi
ammantante da un gioioso sollievo. Anni di sofferenze, torture e umiliazioni
sono stati spazzati via da un solo, minuscolo contatto. Il distacco e la
freddezza sono scomparse dal viso di marmo del Generale, spazzate via da un fiume
impetuoso di lacrime. Rimango letteralmente a bocca aperta, sebbene non sia la
prima volta che vedo Sephiroth in quello stato. Ciò che più mi colpisce è la
quantità innumerevole di sensazioni contenute in quelle gocce, le quali mi
fanno capire veramente la profondità del suo animo e la sua estrema emotività.
Leggerlo è un conto, ma vederlo… fa impressione.
Non c’è
traccia del mostro sanguinario o dell’infallibile SOLDIER nell’uomo innanzi a
me. Mi rendo conto che le prime due figure non sono altro che il misero
risultato di anni di repressione, di apatia, di sconfitta, i quali avevano congelato il suo cuore, rinchiudendo in
quella prigione gelata perfino il ricordo del calore. Fino ad oggi. In fondo, è
sempre stato questo l’effetto che Evelyn gli provoca. Non importa quanto in
profondità la sua umanità può essere sepolta, lei è sempre in grado di farla
riemergere con un semplice gesto.
Per questo ti ama.
Evelyn muove
le labbra, ma nessun suono giunge alle nostre orecchie. La barriera, infatti,
consente solo a qualche centimetro di pelle di trapassare il confine. Sephiroth
la studia, cercando di carpire il significato di quelle parole mimate. Gli dice
di non piangere; anzi vorrebbe vedere ancora una volta il suo splendido
sorriso, quello in grado di ridonare vita al suo cuore fermo da tempo. Egli
ubbidisce immediatamente alle richieste della sua Regina. In quell’arco non v’è
traccia del ghigno mefistofelico protagonista dei miei incubi peggiori. Ed è
qui che capisco: non importa quanto il Pianeta si accanisca contro di lui,
quanto sia terribile il dolore che gli provoca, quanto crudelmente gli strappi via
ogni singola briciola di umanità, perché niente e nessuno potrà soffocare
l’ingenua speranza di riunirsi alle persone che ama. E’ questo che lo fa andare
avanti, è di questo che vive. Io non sono nessuno di fronte all’immenso
sentimento che serba in quel cuore dilaniato. Credo che ripeterebbe ogni azione
commessa, perché sono state quelle azioni a condurlo dall’amore della sua vita.
Mi rendo
conto che io non sono e non sarò mai in grado di fermarlo…
- Non sono riuscito a cambiare le cose... –
La mesta
ammissione di colpevolezza proferita da Sephiroth attira la mia attenzione,
poiché, a seguito di questo, noto la donna poggiare la mano libera sul quel
ventre squarciato, mentre un guizzo di dolore spegne entrambi i loro sorrisi. Una
realizzazione terribile mi attanaglia le membra e, improvvisamente, avverto la
sensazione di essere risucchiato in un vortice. E poi, sparire.
Il pigolio dei chocobo accompagnato dal
cigolio delle ruote sgangherate del carretto degli Oshima e dalla risata
sguaiata del suo capostipite, preannunciano il ritorno di mio marito dai campi
di frumento. Sono già due settimane che lavora per loro. Gli piace sentirsi
utile per la comunità che tanto calorosamente lo ha accolto, nonostante tutto. Takara
drizza la testa, in ascolto, e, appena avverte una voce famigliare, abbandona i
suoi giochi per fiondarsi davanti alla porta d’ingresso. Saltella impaziente,
contenta come un cucciolo scodinzolante. Una sensazione che, mi accorgo,
condividere con la stessa intensità. Una notizia bellissima quanto inattesa ha
sconvolto la mia intera giornata e non vedo l’ora di condividerla con il suo
fautore. Anche se, da un lato, un po’ temo questo confronto. Non so cosa potrà
accadere, come mio marito possa recepire una tale prospettiva. Sebbene egli mi
abbia dato prova di essere cambiato, non riesco a fidarmi totalmente di lui. In
fondo, è ancora così giovane…
-Papà! –
Il filo dei pensieri viene interrotto dalla
vocetta squillante di mia figlia, con la quale accoglie gioiosa l’allampanata
figura appena entrata in casa. Corre verso di essa, ma viene intercettata da due
grandi braccia che la sollevano da terra, fin sopra la testa di suo padre.
Viene lanciata in aria e il mio cuore fa una capriola. Al contrario, lei ride
divertita. Dopodiché, gli arti si chiudono attorno a lei in una delicata morsa,
per poi essere posta al pari di un meraviglioso viso angelico.
- Ciao principessa. Me lo dai un bacino? –
La piccola, tenerissima e maldestra, allarga
le braccine minute e le avvolge attorno la testa di Sephiroth; successivamente gli
pone un grosso bacione sul naso, schiacciandoglielo. L’espressione misto
dolorante e infastidito del padre è comica, al punto tale di strapparmi una
risata soffocata, la quale viene distintamente percepita dall’udito fine del
mio Generale. Egli mi lancia un languido sguardo e mi sento letteralmente
attirata nella sua direzione. Lo saluto con un bacio ben più moderato e un
accomodante sorriso.
-Ben tornato. -, gli sussurro dolcemente.
- Bello essere a casa. -, mi risponde,
sfoggiando un’espressione stanca, ma felice.
Appena Natsu appare nel suo campo visivo, il
suo arco si fa più beffardo, strappando all’anziana un grugnito.
- Buonasera, nonnina. –
- Umpf, risparmia il fiato. Non sia mai che
ti serva per scappare di nuovo a gambe levate.
-, risponde l’anziana, senza degnarlo di uno sguardo, poiché troppo
impegnata a leggere il giornale appollaiata sul suo solito seggiolone.
Sephiroth aggrotta le sopracciglia, sorpreso
dalla risposta. E anche un po’ punto sul vivo.
- E questo cosa vorrebbe dire? –
- Chiedilo a tua moglie. Sembra che tu ne
abbia combinata un’altra delle tue. –
A quel punto, Sephiroth mi fissa
interrogativo. Dal canto mio, non posso far altro che scuotere la testa
esasperata.
- Grazie, baba. Anche se non era esattamente
così che avevo immaginato il momento della notizia. –
Mio marito rivolge febbrilmente la sua
attenzione tra Natsu e me, scatenando l’ilarità di Takara, la quale assiste
dall’alto del suo scranno, ossia la spalla di suo padre.
- Che notizia? Che cosa è successo? –
Dolcemente, gli passo le mani lungo i lati
del viso, accarezzandogli la pelle ancora sporca di polvere e terra. Mi mordo
il labbro inferiore. Lo adoro quando è così scarmigliato e… selvaggio. Abbasso
lo sguardo e vado ad individuare la sua mano destra, lasciata pendere al fianco.
Con le dita accarezzo il dorso, le nocche, le falangi percependo ogni minuscola
imperfezione. La pelle è secca, screpolata, a causa del sole e dell’acqua,
microscopici tagli infrangono l’insormontabile continuità dell’epidermide,
sbavature di terra nera sporcano l’intonsa perfezione di questo effimero
pallore. Assimilo con piacere tutte queste sensazioni, mentre accompagno la
mano verso la sua destinazione. Percepisco un dolce languore misto a nostalgia,
appena il suo palmo aderisce pian piano al mio grembo. Lo stomaco si
attorciglia, mentre osservo la mia culla completamente accolta nella sua forte
stretta.
Sei al
sicuro, piccolino.
Alzo lo sguardo per assistere alle reazioni
di mio marito. In un primo momento, egli sembra ancora confuso, stordito. Le
palpebre vengono sbattute più e più volte, mentre cerca di elaborare la
situazione. Attonito, poi, mi guarda a bocca aperta.
Di fronte alle sue buffe espressioni, rido radiosa
e impaziente di proferire quella frase.
- Sono incinta. –
Lui riabbassa lo sguardo verso il mio
grembo, poi di nuovo lo rialza su di me. E’ incredulo. Assolutamente senza
parole. Boccheggia, intento ad elaborare la notizia, stordito da un’emozione
incontrollabile, alla quale cede appena si rende conto della situazione.
Infine, il suo viso assume un’adorabile espressione fiera ed entusiasta, la
quale accende una splendida luce meravigliata e sorpresa nelle sua giade
serpentine, coronate da un divino e smagliante sorriso. Sembra un bambino…
- E’ meraviglioso. –, sussurra, privo di
fiato, con un inflessione dolcissima, mai sentita prima d’ora.
Mette la piccola a terra e mi afferra con
entrambe le mani la base della testa, attraendomi verso il suo viso, luogo in
cui un tenero e appassionato bacio mi trasmette tutta la gioia provata fino a
quel momento. Mentre ci baciamo, lui avvolge le braccia attorno alle mie spalle,
delicatamente, come se stesse abbracciando un vaso fragilissimo. Una premura
capace di destare tutto il dispiacere pendente sullo stomaco provato poco fa,
tuttavia. Interrompo il bacio e volgo l’attenzione sulla mia primogenita, la
quale ci scruta da dietro le fessure delle sue ditine, fingendo di essere
imbarazzata ad assistere alle nostre smancerie. Mi scappa un sospiro.
Perché non
ha avuto la stessa reazione anche con lei?
Dopo qualche secondo, mio marito poggia le
due dita sul mio mento e, dolcemente, mi volge verso di lui.
- So a cosa pensi. Ma ti giuro che questa
volta andrà diversamente. - , prende un profondo sospiro, come se stesse
scendendo a patti con una decisione difficile e definitiva, - Ho deciso di
ritirarmi. Mi libererò della Shinra, del mio rango, del mio lavoro. Mi libererò
di tutto per stare con voi. –
S’inginocchia ai miei piedi, stringendo la
mia mano nella sua, e poi liscia il viso della nostra bambina, fino alla base
del collo, dove indugia col palmo per un lungo istante. Osserva teneramente
Takara, mentre a me rivolge uno sguardo adorante, quasi timoroso, capace di
spaccarmi il cuore letteralmente a metà.
- Io ti amo alla follia, Evelyn. Forse non
sono molto bravo a dimostrartelo, ma ti assicuro che ti amo come mai ho amato
nella mia intera, vuota esistenza. Amo nostra figlia, amo il bambino che sta
per arrivare, amo la vita che stiamo costruendo insieme. Io ho bisogno di voi,
come… come l’aria, l’acqua, il sole. Senza di voi, mi sento morire. - , si
trascina sulle ginocchia, completamente sottomesso, avvicinandosi a me, - Io
non esisto senza di te… -
L’ultima frase, così sussurrata e piena di
assoluta devozione, è una stoccata dritta al cuore. E quello sguardo… mi sento
sciogliere dalla tenerezza. Mi rendo conto che davvero lui è disposto a
corrispondere ogni mio desiderio. Come un soldato fedele farebbe nei confronti
della sua implacabile regina.
Colmo la distanza e passo la mano libera
dietro alla sua testa, così da avvicinarla al mio grembo. Egli si lascia
guidare, chiudendo gli occhi. Assapora il mio materno calore trapassare la
stoffa, mentre stringe a sé sia me che nostra figlia. In questo modo, egli crea
la sua barriera, dentro cui ha deciso di rinchiudere se stesso, i suoi sogni,
il suo onore, la sua essenza. E’ pronto a donarsi completamente alla sua
famiglia. Ci stringe forte, quasi con disperazione si aggrappa a noi. E
capisco.
Sì, questa
volta sarà diverso.
Apro gli
occhi lentamente e la luce tenue del tramonto mi accoglie gentilmente alla realtà.
Lo spettacolo dei raggi morenti sui ghiacci del Mare di Icicle è una sinfonia
di tonalità infuocate, le quali vanno a stridere con il gelo spietato degli
iceberg flottanti su una distesa di diamanti brillanti. La meraviglia della
natura mi strappa un sorriso stanco, ma l’amarezza delle visioni lo fredda
all’istante. Mi rivolgo in direzione di Vincent, il quale sta rivedendo il
nostro itinerario di volo e migliaia di dubbi mi assalgono. Dovrei rivelargli
del secondo figlio di Sephiroth? Non so nemmeno se sia vivo o no. Quello
squarcio potrebbe essere stato provocato in migliaia di modi, ma, in cuor mio,
so già di conoscere la risposta. Chiunque abbia attentato alla vita di Evelyn
sapeva del bambino? E’ per quello che l’ha uccisa?
Dovrei parlargli
dello stato in cui versano suo figlio e sua nuora nell’aldilà? Dovrei
raccontargli del cancello e di come si sia indebolito appena mi sono
immedesimato in Sephiroth?
Egli alza lo
sguardo verso il soffitto vetrato dell’aeronave e sospira, esausto. E’ da
quando siamo fuggiti dalla villa di Gast che Vincent non si riposa nemmeno un
secondo. Ha la sensazione che qualcuno ci segua. Si pente di aver accondisceso
a quella fuga spericolata, perché, secondo lui, abbiamo attirato delle
pericolose attenzioni. Non tanto su di noi, ma su Takara. Con la perdita del
corpo di Jenova, la morte di Hojo e la definitiva disfatta di Sephiroth, la
ragazza è l’ultima portatrice pura di cellule J, all’infuori del sottoscritto; ma,
soprattutto, ella è l’ultima Antica sulla faccia del Pianeta. Cellule J unite e
sangue Cetra… un potere inimmaginabile. Un potere capace di fare gola a un
sacco di gente senza scrupoli.
Se Rufus
dovesse venire a conoscenza della sua esistenza… Non ci voglio pensare!
Sephiroth aveva ragione a considerarla un pericolo, perché lo è. Per se stessa
e per gli altri. Spero che LOVELESS abbia ragione. Se lei è il Dono dovrebbe
avere la capacità e il buon senso di riportare ordine nell’Universo. Spero non
si lasci trascinare dalla vendetta e che non perda di vista il suo obiettivo;
altrimenti…
Dovrò
trovare il modo di ucciderla…
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26 Gennaio XXXX
Tutto inizia in un mondo fatto di piume.
Esse circolano attorno a me, in un lento e solenne vortice nero e bianco. Avverto
la sensazione di cadere nel vuoto, tragicamente, inevitabilmente,
infinitamente. Non realizzo cosa mi stia accadendo, poiché i miei sensi
sembrano avvolti da una ottenebrante nebbia. Non capisco come sia arrivato lì,
eppure ricordo con chiarezza il calore del fuoco, seguito da un mortale bagno
gelato. Eppure anche quei ricordi iniziano a svanire, soppiantati da un lento e
inesorabile oblio, fino alla finale sensazione di vuoto. Mi accorgo di non
provare assolutamente nulla, infatti. Non provo né odio, né dolore, né rabbia, ma
neppure gioia o sollievo o calma… Niente. Dopo un tempo in parvenza infinito,
mi si para davanti la fine di quel lungo tunnel piumato, dove una gelida luce
verdastra mi accoglie. Lifestream? No, cristalli, migliaia e migliaia di
cristalli si ergono austeri al di sopra del morbido letto di piume. Da esse i
blocchi ghiacciati vengono lambiti delicatamente da quel circolo vizioso bianco
e nero. A qualche metro da quelle cime, alcune piume bianche iniziano a
fluttuarmi attorno, staccatosi dal seminato. Ne seguo una con lo sguardo, dal
limbo della mia confusione e noto, con nascente orrore, che le mie gambe sono
ridotte a due consunti moncherini abbrustoliti. Un terrore dilagante risveglia
d’improvviso i miei sensi, i quali vengono subitamente stuprati da una
sensazione ben più potente: l’agonia. Mio malgrado, avverto ogni singolo
candido calamo conficcarsi direttamente in quei tessuti martoriati o, quando i
muscoli mancano, direttamente nelle ossa. Inizio ad urlare fino a squarciarmi
la gola, divincolandomi come un ossesso, nel tentativo di tenere lontano quei
coltelli barbuti dalle mie gambe. Ogni mio sforzo, naturalmente, si rivela invano,
soprattutto quando uno stormo di piume nere prende in ostaggio il mio braccio
destro e mi trascina inevitabilmente verso uno di quelle punte ghiacciate.
Appena cristalli e steli entrano in contatto, questi ultimi si solidificano
assumendo la forma di un’enorme e maestosa ala nera, la quale si stringe
attorno al mio braccio frantumandolo letteralmente fino alla spalla,
trasmettendomi un dolore mai provato in vita mia.
A quel punto, mi sveglio. L’eco di quella
sofferenza mi accompagna ancora nel dormiveglia, quando ancora il sogno
persiste nella mia mente, come una sinfonia macabra ed ostinata. Stringo il
braccio al petto, avvertendolo ancora pulsare, soprattutto all’altezza della
scapola, dove l’ala affonderebbe le sue fameliche radici. Esattamente come le
notti precedenti, mentre le mia dita scandagliano quella parte, mi pare di
avvertire una bozza ampia e rugosa, serpeggiarmi sotto pelle. La consistenza è
morbida, ma compatta. Sembrano quasi…
No. E’ solo soggezione, decido alla fine. La
stanchezza, lo stress e il poco sonno sicuramente stanno avendo fatali effetti
sulla mia psiche dilaniata, lasciando spazio alle fantasie suscitate dalle
frasi sibilline e sconnesse di Genesis. Per quanto mi sforzi, tuttavia, non
riesco ad ignorarle. Sono un chiodo fisso che mi sta lentamente trascinando
verso un abisso di ossessione. Sono giorni che me ne sto chiuso qui dentro, in
questi archivi ammuffiti a scartabellare chilometri e chilometri di fascicoli,
ad assimilare dati, a scovare ogni singolo rapporto. Speravo che l’incontro con
il rosso avrebbe risolto ogni cosa. Quando il suo esercito di copie sferrò il
suo micidiale attacco verso lo Shinra Building, quasi non potevo contenere
l’impazienza di trovarmi faccia a faccia col lui. Per un attimo, un minuscolo
attimo, ho sperato… ho sperato che, finalmente, avrei potuto avere le risposte
che cercavo. Ma il rosso sembra godere nel vedermi agonizzare, mentre
strisciavo ai suoi piedi per supplicarlo di darmi le risposte che cerco da una
vita.
‘Vuoi
risposte, ma sei sicuro di essere in grado di comprendere la realtà dei fatti?
Di accettarla? Io non credo, Sephiroth. La tua mente è ancora schiava della
realtà che ti è stata costruita attorno. Non sei pronto per abbandonarla. Per
quanto tu desideri avere delle risposte, inconsciamente le rifuggi. Tu hai
paura della verità. ‘
Sento il gelo attanagliarmi le ossa. Che
abbia ragione? Che il mio disperato bisogno d’inseguire la normalità, sia,
invece, un modo per negare ciò che sono davvero? In effetti, ho sempre temuto
il confronto. Sin da bambino, quando, timidamente, andai da Gast e gli chiesi
informazioni sulla mia famiglia. Ricordo che le mani mi tremavano al pensiero
di ciò che avrei scoperto sul conto dei miei genitori. Oggi, come allora, mille
domande mi si agitavano nella mente, senza avere, però, l’ardire di esprimerle.
Il Comandante ha ragione: io ho paura. Tantissima.
Checché dica la gente, la prospettiva di scoprire che la tua vita poggi le sue
fondamenta su mere menzogne spaventerebbe anche il più coraggioso degli uomini.
E’ difficile staccarsi dalle piccole credenze che tengono insieme il proprio
ego. Se ne esce spezzati, esattamente come il Comandante. Mi sono reso conto di
vedere il mio futuro: un uomo distrutto e piegato da una verità troppo
terribile per sopravviverci. Ne è uscito un individuo vuoto, confuso… perduto.
L’unica certezza che gli rimane sono corvini versi impressi su carta irruvidita
dal troppo sfogliare. Come una nenia martellante, quel suono frusciante è
l’unico tassello in grado di legare fra loro i pezzi del suo cuore spezzato.
LOVELESS è la sua fortezza, la sua Dea il suo faro. Mai come in quel momento ho
avvertito una tale affinità con Genesis. Anch’io ho perso dei tasselli
importanti del mio essere. L’unica cosa che mi tiene in piedi è la possibilità
di rivedere la mia famiglia. Un pensiero che nel vuoto della notte è sempre in
grado di tranquillizzarmi; almeno finché non mi rendo conto che sono proprio
questi desideri ad incatenare la mia mente nella gabbia di bugie costruitami
attorno. Un’altra fittizia, bellissima illusione. Capisco che non sono disposto
ad andare fino in fondo per questo motivo. La prospettiva di perdere la mia
famiglia è ben più terrificante di perdere me stesso. In fondo, che bisogno ho
io di sapere chi o cosa sono? A loro importerebbe?
Ripenso a quella notte in cui capii di aver
sposato una donna capace di apprezzarmi nonostante la mia natura bestiale e…
No, a loro non importa, quindi perché dovrei affannarmi a perorare una causa che
mi porterebbe a distruggere tutto ciò che amo? Se Genesis è stato in grado di
uccidere la sua stessa famiglia e le gesta di Angeal hanno portato al suicidio
di sua madre, posso solo immaginare cosa possa accadere a mia moglie e a mia
figlia. Anzi non ci voglio nemmeno pensare.
A questo punto, mi chiedo: se davvero tengo
così tanto alla mia famiglia, allora, perché marcisco qua dentro? Perché dormo
su questa gelida scrivania? Perché non mando tutto al diavolo?
‘Perché tu
sai, amico mio. Non sai bene cosa, ma ti rendi conto che qualcosa non torna.
Strani dettagli, stracci d’informazioni, sogni… ‘
Rabbrividii e rabbrividisco tuttora di
fronte a quella parola. Sogni. Genesis è sempre stato molto curioso sul contenuto
di quegli stessi incubi che mi hanno accompagnato per tutta la vita. E’ un
argomento di cui non parlo mai volentieri, nemmeno Evelyn è a conoscenza di
tutti i dettagli di quelle visioni. Gli unici con cui ne abbia mai discusso a
fondo sono stati proprio loro: Angeal e Genesis. A quest’ultimo, poi,
interessavano particolarmente. Passavamo intere nottate a parlarne e il rosso
trovava interessanti - almeno secondo lui- raffronti con LOVELESS, scatenandomi
l’orticaria alla sola menzione. Non ho mai amato l’idea della predestinazione,
del fato, del destino. Essendo cresciuto poi in un ambiente totalmente
agnostico e pragmatico, certe idee prive di qualsivoglia fondamento scientifico
erano assolutamente bandite. L’unica cosa a cui avrei dovuto credere erano fatti
quantificabili e calcolabili. Anche se non è così semplice ignorare quelle
immagini terrificanti. Quand’ero bambino non volevo mai addormentarmi, il
pensiero di chiudere gli occhi e fronteggiare i mostri che vivevano nella mia
testa mi terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Motivo per il quale Hojo
m’imbottiva di calmanti e sonniferi, anche molto pesanti, talvolta, senza alcun
riguardo per la mia età. L’importante è che dormissi, in un modo o nell’altro.
Ma cosa sono quelle visioni? Perché mi
perseguitano? Ma, soprattutto, che cosa significano? Alcune sono scatenate da
fatti ben precisi, altre si ripresentano di tanto in tanto senza alcun nesso.
Che sia come dice Genesis? E’ il mio subconscio che tenta di suggerirmi le
risposte ai miei quesiti? Secondo il banoriano, sì, è così e, con questo punto
di vista, inizio ad analizzare con occhio critico certe incongruenze sulle mie
origini. I miei sospetti si focalizzano soprattutto sui miei genitori. Il
Professore mi rivelò che anche mia madre era una scienziata. Lei ed Hojo si
conobbero all’università e si fidanzarono poco dopo la laurea, per poi sposarsi
appena vennero assoldati dalla Shinra per un importante progetto scientifico.
Da lì, a pochi anni, nacqui io. Agli occhi di una persona normale, o ingenua come
lo fui quando questa storia mi venne raccontata, si direbbe un normale ed ovvio
concatenamento di eventi: innamoramento, matrimonio e figli. La menzione ad
“importante progetto scientifico” posta proprio lì, tra matrimonio e figli alla
stregua di una lama, mi stringe il cuore in una morsa gelida. Chiunque
scambierebbe quell’evento come un’innocente giustificazione, una logica
conseguenza ad una forte stabilità economica tale da giustificare la decisione
di sposarsi ed allargare la famiglia, ma io no. Non ho prove del contrario,
però il mio istinto mi sembra suggerire una verità terribile e angosciante.
Se l’importante progetto scientifico si
rivelerebbe essere proprio il Progetto G?
Hollander utilizzava feti umani per le sue
ricerche e lui fu il primo a pubblicare un articolo sull’argomento. Un articolo
in cui rivelava il successo di uno dei suoi esperimenti. E quel successo aveva
un nome: Angeal. Tra me e il moro c’è solo qualche anno di differenza e ciò mi
suggerisce due possibili motivazioni. Primo, chi si occupò del mio caso ebbe
bisogno di più tempo per perfezionare le ricerche rivali, così da ottenere
risultati migliori e, seconda e più inquietante ragione, mancava di materia
prima, ossia il feto a cui donare la loro artificia maledizione.
Ora che ho dato sfogo ai miei sospetti, mi
rendo conto che il quadro definito ha un’aria terribilmente realistica… Mi
viene la nausea a pensare che i miei genitori… che mia madre possa
davvero aver acconsentito a farmi questo. Quale madre potrebbe svendere il
proprio figlio per un riconoscimento scientifico? Mi rifiuto di crederlo! Lei
mi amava, il Professore me lo diceva sempre, e aspettava con ansia il giorno in
cui mi avrebbe tenuto fra le sue braccia, in cui ci saremmo finalmente
conosciuti, in cui saremmo diventati un’entità unica. Quale mero esperimento
dovrebbe suscitare un tale amore agli occhi di uno scienziato? Conoscendo quel
verme di Hojo, potrei quasi scommettere che l’abbia costretta a trasformarmi in
una cavia per la sua folle visione di onnipotenza e godere nel vederla morire
nel darmi alla luce. Un ostacolo in meno tra lui e la sua gloria. Poi, toccò a
Gast, fino a che non diventai solo suo, il suo esperimento, il suo trofeo, la
sua perfetta macchina di distruzione.
Quanto lo odio… mio padre. Quell’uomo mi ha sempre disgustato, ma alla luce di
questi fatti, un odio atavico, una rabbia incontrollabile, un disprezzo
viscerale nei confronti di quel mostro rachitico richiedono a gran voce il suo
sangue. Sangue che speravo imbrattasse le pareti del suo antro degli orrori, a
seguito dell’incontro con Genesis. Quando raggiunsi il laboratorio, lui era
ancora lì a ridere istericamente senza apparente motivo. Come un pazzo. Lo
fissai per un lungo istante, interdetto, mentre il suono stridulo e fastidioso
delle sue risa mi trapanava il cervello, paralizzandomi sul posto. E’ assurdo
che, dopo così tanti anni, quella risata è capace ancora di assoggettarmi alla
paura. Lui mi guardò divertito e, appena notò il turbamento, egli mi rivolse
un’espressione di scherno.
“ Ti vedo
smarrito, ragazzo. Speravi che i tuoi
amichetti fossero qui per me? Sei il solito, piccolo ingenuo. Quando aprirai
gli occhi? Se ne sono andati, esattamente come Gast fece quando eri bambino.
Nessuno vive troppo a lungo nella tua asfissiante ombra. Tranne me, perché ti
ho creato! “
Precise, letali… velenose. Le parole di Hojo
sono più pericolose perfino della Masamune stessa. Sfiancano, sfibrano e soffocano
ogni sentimento e, contemporaneamente, instillano un senso totale di
inadeguatezza. E senso di colpa. E’ colpa mia, lo so. Anche Hojo lo sa. Tutto
il Pianeta lo sa. E’ impossibile non sentirmi sbagliato. Hojo è sempre stato così bravo ad annullarmi, a colpirmi
nel peggiore dei modi. E quel ‘creato’ capace
d’insinuarmi il disagio direttamente nelle ossa, dando corpo ai miei dubbi…
Sono giorni che mi arrovello su quel dettaglio. Lui SA che sto facendo scoperte
sempre più scomode, che ficco il naso dove non dovrei, che non vivo per
scoprire quella verità la quale, lo so, sarà la mia rovina; ma sbattermelo in
faccia in quel modo è puro sadismo. Perché? Perché una persona deve essere così
crudele? Cosa ho fatto di così sbagliato per meritarmi un trattamento simile?
E’ perché non gli ho mai obbedito? Perché mi ribellavo a quella realtà assurda?
Perché non mi sono mai piegato alla sua incontestabile autorità? Eppure,
eccomi, Generale dell’esercito più sanguinario del mondo, Eroe della ShinRa,
Guerriero leggendario e Protettore dei Deboli. Titoli vuoti e fittizi, dentro
cui Hojo mi ha rinchiuso, nonostante la stregua resistenza e le continue
ribellioni. Lui ha ottenuto tutto ciò che desiderava da me. Perché ancora non
mi dimostra almeno un briciolo di riconoscenza?
L’unica spiegazione che sembra soddisfare
queste domande è, dopotutto, molto semplice: mi odia. Sono la causa della morte della donna che amava. Sempre se
Hojo abbia mai provato qualcosa di diverso dal disprezzo e dall’arroganza.
Forse è proprio per questo che è così crudele e distante con tutti: ha perduto
uno dei legami più importanti che un uomo possa intrecciare ed è normale che,
per proteggersi da ulteriore dolore, cerchi di non intrattenere nessun’altro
rapporto, anzi avvelenarlo, ove necessario.
Nel tentativo d’immedesimarmi, una domanda
sottile e agghiacciante s’insinua sottopelle: avrei odiato anch’io mia figlia?
Sarei in grado anche solo d’ignorarla?
Sono uno sciocco. Come può venirmi in mente
di paragonarmi ad Hojo? A paragonare una qualunque altra persona ad un mostro
come lui?
Io non oserei mai alzare un solo dito su mia
figlia, figurarsi impugnare una verga e percuoterla con essa; oppure
costringerla alla solitudine forzata, o toglierle il diritto inalienabile
dell’innocenza. Quello scienziatuncolo non è affatto meritevole del perdono di
suo figlio. Sono sempre stato fin troppo indulgente con lui, risparmiandogli la
giusta punizione per i suoi crimini. Crimini perpetrati ben prima della mia
nascita, come la sua fremente attività scientifica dimostra. Ma ora basta! Non
ho più intenzione di corrispondere le aspettative di un uomo per cui ho
sacrificato tutta la mia vita per ricevere in cambio solo fango. Come se
dovessi ringraziarlo per avermi venduto a una Compagnia di maniaci scellerati
in cambio di gloria imperitura. A scapito dei desideri di mia madre. Sono più
che certo che lei non mi avrebbe voluto questo per me. Mi avrebbe allevato
amorevolmente e magari protetto contro la ShinRa, affinché potessi diventare
una persona differente, priva della sete di sangue e violenza della Bestia e
della superba arroganza dell’Eroe. Sarei stato solo il suo Bambino. Avrei
conosciuto l’innocenza, la pace, la felicità sin dall’inizio. Grazie a lei
avrei potuto avere molti amici, sarei stato benvoluto nonostante i miei strani
tratti somatici, la mia spiccata intelligenza, la mia forza sovraumana. Lei
avrebbe sopperito dove peccavo e mi avrebbe guidato verso la mia realizzazione.
Sono davvero uno sciocco… forse
quello che sono riuscito ad ottenere ora, non lo devo solo a me stesso. Avverto
il mio animo più leggero pensando che, in un qualche modo, mia madre sia sempre
stata accanto a me ad ogni passo e mi abbia sussurrato le risposte ai miei
dilemmi. Lei vive nel Lifestream, in fondo, non mi stupirei se la sua anima
fosse qui anche in questo momento, consolandomi con questi pensieri. Quand’ero
bambino capitava spesso che avvertissi una presenza accanto a me, soprattutto
nei momenti più duri. Se mi concentravo appena mi sembrava quasi udire una voce
gentile sussurrarmi dolci e amorevoli parole, eppure dannatamente sfuggevoli.
Certe volte, nel tentativo di approfondire quell’arcano, riuscivo quasi a
visualizzarla, alta e bellissima, con lunghi capelli fluenti, pelle diafana.
Tanto fu il desiderio di abbracciarla che, una volta, percepii il suo calore
sotto le mie dita. Per un attimo, un attimo minuscolo, credetti di averla
ritrovata, di conoscere finalmente la mia origine, il luogo da cui provenivo.
Avrei infine collegato una bocca a quel sorriso, una pelle a quel calore, degli
occhi a quella luce, un viso a quella voce. Ci mancò così poco, ma la mia
concentrazione venne a meno e il fantasma mi sfumò tra le braccia. Tentai più e
più volte a ristabilire il contatto, però, per quanto m’impegnassi, non riuscii
più ad avvertire nulla più che una flebilissima presenza. Ho tentato perfino a
coinvolgere Aerith, quando scoprii la sua appartenenza alla stirpe degli
Antichi, nella speranza che le sue straordinarie capacità d’intercessore
potessero sopperire alle mia scarsa risonanza col Lifestream. Fallì. Disse che
le anime non si possono chiamare a comando, ma si manifestano solo in casi di
estremo bisogno. Non aveva senso, pensai: io ho sempre avuto bisogno di lei. La
chiamai spesso a gran voce, la implorai di aiutarmi, di darmi un segno della
sua presenza o del suo amore; ma, niente, solo silenzio. Credevo mi amasse,
desiderasse coccolarmi, cullarmi, accarezzarmi, proteggermi. Perché mi ha
abbandonato? Che quella volta fosse solo un’illusione creata in un momento di estremo
dolore?
“Vivi
nell’illusione, amico mio. La verità serbata nel mio cuore è troppo preziosa
per essere impiantata in una mente sterile come la tua, o come quella di Angeal.
Ho già commesso un errore con lui e non ho intenzione di ripeterlo. Ma non
temere, amico mio, il tempo verrà e, finalmente, la tua lama potrà unirsi alla
mia e, insieme, spiegheremo le ali verso un radioso futuro.”
Ali
Senza che me ne sia reso conto, le mie dita
sono tornate a controllare lo stato della mia scapola destra. Le immagini del
sogno mi colpiscono di nuovo come un pugno in pieno stomaco e una nascente
ansia imperla il mio corpo di sudore. Inoltre, quei dubbi sulla mia origine
prendono sempre più consistenza. L’idea che io sia stato creato nello stesso modo attecchisce come un cancro mortale nella
mia mente. Devo trovare le prove, ma ormai ho scartabellato ogni fascicolo
marchiato ‘Project G’ e l’archivio Shinra c’è veramente avaro d’informazioni.
La maggior parte del materiale è andato perduto con l’attacco: con ogni
probabilità Hollander avrà distrutto o trafugato i passaggi chiave delle sue ricerche.
Buona parte, ma non tutte. Il tassello più inquietante è stato rinvenuti nel
Reattore Mako 5, durante la retata alla ricerca di Genesis. Nelle celle di
controllo del reattore era stato allestito un piccolo laboratorio, in cui erano
conservate varie capsule di contenimento trafugate dal Reparto Scientifico
qualche mese prima, in concomitanza della scomparsa del Comandante. Assieme ad
esse, ho trovato numerosi rapporti su esperimenti di un processo chiamato
“canale a due vie”. Purtroppo, le informazioni erano frammentarie e i fascicoli
mancavano di importanti allegati, ma credo che contenessero dati approfonditi sulla
ricerca di Hollander. Inoltre, ho ritrovato anche un rapporto recente, in cui
lo scienziato affermava che il Comandante non presentava alcun segno di
cambiamento e la sua approvazione alla ripresa del servizio. Falso. Genesis era
cambiato profondamente e quegli abomini contenuti in quelle capsule ne erano la
prova lampante: copie. Ciò significa che quei mostri aberranti uccisi con tanta
veemenza, altro non erano che i SOLDIER e soldati di fanteria ribelli
sottoposti al potere di Genesis. Abbiamo ucciso i nostri stessi confratelli… e
non solo, probabilmente, anche gli abitanti di Banora. Civili innocenti
costretti a prendere parte ai vaneggiamenti di un pazzo. Magari c’erano anche
dei bambini fra di loro… Mi si gela il sangue al solo pensiero.
‘Canale a due vie’… E’ dunque questo il
potere dei SOLDIER di tipo G? Tramutare le persone in mostruose copie di sé? Un
potere invidiabile, poiché permette di creare un esercito di super-soldati
completamente assoggettati alla volontà del Comandante in poco tempo, ma… a che
prezzo! I tratti genetici vengono altresì copiati, però una minima parte viene
persa nel processo, aggravando sempre più la degradazione. Davvero Genesis è
disposto a morire per perorare questa causa? Era disposto a tutto per difendere
Hollander, in quanto, a sua detta, è l’unico in grado di arrestare il processo
che sta portando il rosso verso l’inesorabile fine. Sebbene non lo abbia dato a
vedere, Genesis teme la morte. Lo conosco abbastanza da affermare che lui non è
così disposto al sacrificio come me od Angeal. Lui è un uomo attaccato alla
vita, oltre che avere una missione da compiere; ossia trovare questo fantomatico
Dono della Dea. Ha tanto da perdere, mentre Hollander… non sono l’unico ad
avere dei conti in sospeso con Hojo, ho scoperto. I due scienziati erano in
lizza per il posto di Direttore del Reparto Scientifico, ma mio padre è
risultato vincitore. Ciò relegò l’uomo al ruolo di eterno secondo. I suoi
risultati erano comunque di fattura invidiabile, tanto di permettergli un
impiego abbastanza importante all’interno della Compagnia, ma per lui non era
abbastanza. Mi sovviene un episodio a cui assistetti casualmente molto tempo
fa. Era il periodo in cui alla Shinra fervevano i preparativi per la guerra in
Wutai e le mie giornate erano così piene e stressanti che presi l’abitudine di
andare a sfogare tutto il nervosismo accumulato durante gli orari lavorativi nella
Sala Addestramenti. Di solito, aspettavo che tutti fossero usciti, anche se,
spesso dei campanelli di giovani SOLDIER mi raggiungevano poco dopo l’inizio
del combattimento. A me non importava più di tanto avere un pubblico; anzi ne
ero onorato, dal momento che forse avrebbero potuto imparare qualcosa di utile
in vista della guerra. Una sera, però, al posto delle solite reclute, trovai
uno scienziato. Curioso, dal momento che era proibito a chiunque del Reparto
Scientifico presenziare ai miei allenamenti senza la supervisione di Hojo. La
possibilità che fosse uno novizio venne subito sventata dal fatto che l’uomo si
muoveva con troppa disinvoltura trai comandi del terminale di controllo, il
quale richiedeva almeno un mese di studio per comprenderne solo il
funzionamento di base. Inoltre, non poteva essere un ammiratore, poiché più
interessato ai dati che scorrevano sullo schermo anziché alla mia persona. Feci
per dire qualcosa che l’uomo batté un pugno sul terminale con stizza,
lasciandomi interdetto. Poi, egli si rivolse a me, scoccandomi uno sguardo
pieno di astio e invidia.
“Tu saresti
dovuto essere mio! La tua gloria sarebbe dovuta essere mia!”
Il suo sibilo velenoso mi inquietò, ma, più
di tutto, le sue parole mi strapparono il fiato direttamente dai polmoni. Sono
un oggetto, un burattino, una… una…
COSA! Una cosa da possedere e con
cui accrescere la propria supremazia. Ciò che più mi ferì fu il fatto che non
solo Hojo mi considerava in quel modo, ma anche altre persone. Fu in quel
momento che capii che dietro a tutta quell’ammirazione, adorazione, fanatismo
vi era invidia. Velenosa e corrosiva invidia. Tutti quei SOLDIER non venivano
per vedere me, ma la mia disfatta. Speravano che quell’aggiornamento sfornato
dal Reparto Scientifico e contro cui tutti fallivano o quel nuovo prototipo di
macchina potesse umiliarmi e mostrare al mondo quanto la mia fama fosse
immeritata e quanti inadeguato fossi al titolo di Generale. Quell’uomo, quello
scienziatuncolo, Hollander corruppe il piacere di essere un modello per gli
altri, l’idea benevola di essere in un qualche modo utile al mio prossimo, il
pensiero che tutti i miei sacrifici possano aver aiutato gli altri. Tutti gli
sforzi compiuti per trovare il mio equilibrio dopo due anni passati sul filo
della furia vennero vanificati in due frasi.
E ora, come allora, con quegli stessi
concetti Hollander ha costruito la sua vendetta. Lo capii appena Genesis ripeté
le stesse parole che lo scienziato usò al tempo. Quell’uomo senza spina dorsale
si è approfittato della disperazione di un ragazzo. Si è presentato di fronte
ai suoi occhi come un Messia, colui che lo avrebbe salvato da una ignobile e
dolorosa morte. Inoltre, per assicurarsi che il suo prezioso burattino si
piegasse al suo volere, egli rivelò quella verità che ha corrotto il Comandante
fino al midollo, conducendolo alla folle decisione di aizzarsi contro il mondo.
Ma non poteva farlo da solo, affinché il suo piano avesse successo, entrambi i
giocattoli dovevano tornare a lui. Non sarebbe stato difficile, a causa della
forte amicizia che li accumunava. Perfino un legame così puro non ha avuto
scampo di fronte ai velenosi fili di quel ragno malefico. Dovrei essere grato
alla mia tendenza di scappare dai problemi appena essi si presentano, ma
rimanere solo dopo aver conosciuto l’amicizia non è piacevole. Anche se, dentro
di me, ho sempre avuto il sentore che una situazione del genere sarebbe
capitata prima o dopo. E’ stato dimostrato più volte che la nostra amicizia era
costruita su piani differenti. Capitava spesso che sia Angeal che Genesis mi
tagliassero fuori dalle loro conversazioni, rievocando vecchi ricordi o ridendo
di un gesto o una situazione di cui mi sfuggiva l’ironia. La loro intesa era il
risultato di anni e anni di vicinanza e conoscenza reciproca, nulla di tutto
questo intercorreva tra me e i due banoriani. Certo il loro affetto nei miei
confronti era sincero, ma le differenze erano spesso troppo palesi. Non
pretendevo di certo di inserirmi prepotentemente nella loro salda amicizia,
però avrei preferito che non mi considerassero poco più di un “nuovo arrivato”,
soprattutto dopo un intero anno passato a combattere gomito a gomito nei posti
più ostili del Pianeta. Ero certo, tuttavia, che la situazione sarebbe cambiata
col tempo. Sempre il solito ottimista, Sephiroth…
Ora, il rapporto legato con i due banoriani
si è mostrato in tutta la sua inadeguatezza. Ciò che credevo aver intessuto in
questo periodo non si è altri rivelato che aria fritta, una miserabile illusione
di un cuore solitario. MI hanno lasciato indietro con una facilità disarmante,
come se fosse l’azione più naturale del mondo. Come se fosse ovvio. Ho
sottovalutato tantissimo la portata del gap tra i due livelli, accorgendomi di
essere poco più di un conoscente per loro. Mi domando chi siano ora quegli
uomini alati che si ostinano a chiamarmi ‘amico’, a spingermi suadentemente a
ribellarmi a questo sistema corrotto, ad aizzarmi rabbiosamente contro un
Pianeta ingiusto, a costringermi deliberatamente a dar loro la caccia…
Per quanto mi senta tradito, non riesco ad
odiarli o, quanto meno, disprezzarli. Sono due delle poche persone che abbia
mai rispettato e ritengo non meritino il trattamento che la Compagnia sta
riservando nei loro confronti. Cancellazione.
I loro nomi infangati, il loro onore macchiato, le loro persone ricercate, come
fossero bestie rabbiose, senza coscienza, senza volontà. Sono stati plagiati
dall’annebbiata visione di un pazzo, il quale li ha relegati al miserabile
stadio di strumenti. Due grandi guerrieri distrutti dall’errore di uno solo.
E’ così la storia, no? I tre amici vanno in
battaglia, ma solo uno ritorna e diventa un eroe. Che ironia... Proprio io.
Proprio io che non ho mai avuto un ideale, un motivo, una ragione per cui
combattere divento il baluardo ultimo contro l’imminente ‘Guerra delle
Bestie’. Il muro dietro cui la Shinra si
nasconde, usando la mia fama inattaccabile per lavarsi una coscienza più lurida
delle fogne dei Bassifondi. Quei maiali dei piani alti non hanno nemmeno il coraggio
di pronunciare quei nomi, proprio perché ne vogliono cancellare anche solo il
ricordo, dimodoché facilitare alle ignare reclute l’ingrato compito di
ucciderli a vista.
Alla fine, Genesis aveva ragione.
My friend, the fates are cruel
There are no dreams, no honor remains
The arrow has left the bow of the goddess
My soul, corrupted by vengeance
Hath endured torment, to find the end of the journey
In my own salvation
And your eternal slumber
[Amico mio,
le parche sono crudeli. Non ci sono più sogni, non c’è più onore. L’arco ha
lasciato l’arco della Dea - La mia anima corrotta dalla vendetta ha sopportato
il tormento per trovare le fine del viaggio nella mia stessa salvezza e nel tuo
sonno eterno. LOVELESS, Atto IV]
Buona spaventosa(?) sera a tutti!!!!! Come
state carissime/i? Comincio ad entrare nel clima halloweeniano (?!) anche
perché penso che vi sia venuto un colpo vedendo un mio aggiornamento, così tra
capo e collo random. Dolcetto o scherzetto XD! Come da copione, mi scuso
terribilmente per l’attesa, ma è stata più dura del previsto. Soprattutto la
parte di Sephiroth. Voi non avete assolutamente idea di quanto abbia faticato a
scriverla! Credevo fosse facile questa parte in cui i due SOLDIER finalmente
s’incontrano, ma mi sono resa conto che trovare significati nascosti e
retroscena a quella… ehm… scena, appunto, è stata una faticaccia. Ho dovuto
spremere ogni singola goccia della mia creatività per inventarmi dei dialoghi
verosimili (perché quelli originali, oltre a non avere molto senso, non
lasciano molto spazio all’immaginazione -.-‘ ). E poi, via ad inventarsi altre
supposizioni e teorie che tolgono il sonno al nostro bel (:E) platinato. Io
spero di non essere ripetitiva, perché ho la memoria di un pesce rosso e ciò
che scrivo è dovuto all’ispirazione del momento, quindi non saprei nemmeno dove
andare a ricercare i tratti incriminati. Non abbiatene, giuro che non lo faccio
apposta. Con Seph infatti devo sempre andare con i piedi di piombo, perché dopo
aver trattato l’argomento principale che, a causa dei problemi elencati prima,
per arrivare al giusto numero di pagine devo allungare la solfa per un bel po’
e lì si rischiano le ripetizioni e deviazioni dal tema. Mettiamo anche sempre
voglia O di scrivere, quindi viene da sé che ci abbia messo una vita. E mi
scuso. Di tutto. Il fatto è che sono ormai proiettata verso la fine di questa
storia, di cui cambio finale ogni santa volta che ci penso -.-‘ (va a finire
che ci lascia a metà ndSeph; Che?! Io sono su un’aeronave e tra poco vomito
*burp* ndCloud, Poveri noi -.-‘ ndVince). Mi scuso tantissimo per le fan di
Vince che mi seguono se questo giro non è molto presente, ma avevo voglia di
far tornare la nostra cara Evelyn e concentrarmi sulla mente malata del
n(v)ostro biondo preferito. Quella su Cloud è una parte un po’ onirica e strana
che mi ha portato via un sacco di tempo, perché l’ho riscritto tipo 20 milioni
di volte. Sono riuscita a metterci tutto quello che volevo e a me personalmente
piace un sacco, spero che anche voi la apprezziate.
Paradossalmente, mi diverto più a scrivere
di Cloud che di Seph -.-‘ ciò non va bene!!!! Dovrò rimediare.
Coooooomunque, complice uno schemino da
fare invidia agli ingeGNeri della NASA, ho capito che ci stiamo avvicinando
alla fine di sta benedetta storia. Ho calcolato che tra 7 capitoli la nostra
avventura finisce! Da un lato sono triste, perché questa è la storia che mi ha
consacrato come scrittrice ufficiale qui su EFP, ma da un lato sono anche
felice così finalmente potrò cimentarmi in altri progetti, sempre tema FFVII e
cmq ispirati a questa storia.
Va bene, siori, io smetto di vaneggiare e
spero passiate un buon Halloween!!!
Alla prossima!
Besos