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Autore: fortiX    26/10/2016    3 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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24. Confronto

“Corpo e anima sono un tutt’uno, un’essenza inscindibile e interscambiabile. In parole povere, la realtà cosiddetta ‘terrena’ ha regole e principi completamente diversi da quelli che governano il Lifestream; queste differenze richiedono, quindi, un adattamento. In pratica, il concetto di morte non si riferisce a qualcosa di completamente opposto alla vita, ma più semplicemente al cambiamento di essenza, adattandosi alle regole della realtà a cui si sta affacciando. Conclusione: anima e corpo non possono essere separati, in quanto creerebbe devastanti problematiche nel passaggio tra Pianeta e Lifestream. Si ritiene, infatti, che se il corpo viene distrutto, l’essere perde una parte di sé e non sarà in grado di ricongiungersi al Pianeta, in quanto esso è l’organo dedicato alla conservazione dei ricordi e delle emozioni collegate alle persone care. Dopo vari studi, ritengo che questo legame sia un requisito fondamentale per il raggiungimento della Terra Promessa da parte dei defunti, in quanto fonte di un’incredibile quantità di energia vitale. E’ questa simbiosi tra defunti e viventi a rendere vitale questo Pianeta.

La tradizione di bruciare i cadaveri è una grave violazione di questo dogma, per quanto, talvolta necessaria. Le anime private del loro contenitore perdono ogni legame con Gaia e non contribuiscono al defluire del Lifestream. L’evento chiamato ‘Purga dei Sephera’ attuata dalla stirpe umana a seguito della sconfitta di Jenova fu la comprova degli effetti devastanti della rottura di questo legame. Tuttora, i pochi Cetra rimasti avvertono la sofferenze di quelle anime intrappolate sul confine tra la vita e la morte, senza alcuna possibilità di comunicare né con la realtà, né con il Pianeta.”

M’interrompo circa a metà delle conclusioni del rapporto di Gast, preso in prestito da Vincent durante la nostra permanenza nella sua villa, poiché immagini terrificanti di uomini e donne mandate al rogo, disperate e terrorizzate, mi si affollano nella testa, trasmettendomi la macabra sensazione di dejà vu. Mi massaggio le tempie e prendo profondi sospiri per ricacciare indietro la nausea. Esattamente come nella stanza di Gast, non posso fare a meno di rivivere scorci di memorie di circa due millenni fa. Come è possibile?

- Steven mi ha rivelato che tu hai visioni di quel passato quando vengono rievocate quegli eventi, è così? –

Guardo Vincent di sottecchi, concentrandomi con tutte le mie forze su di lui, al fine d’ignorare, o almeno provarci, quelle immagini. Il pistolero è accomodato su una seggiola disposta accanto alla finestra. Il gomito appoggiato al davanzale fa da sostegno per la testa. Il suo sguardo tradisce una certa preoccupazione. Ha insistito perché leggessi coi miei occhi la relazione di Gast, così da capire in pieno la situazione in cui verte Evelyn. Annuisco lentamente, mentre un conato più forte degli altri mi costringe a stringere i denti. E poi, quelle fitte al cuore…

- Questo è dovuto alle cellule di Jenova contenute nel tuo corpo. Più avanti, Gast sostiene che i ricordi e le emozioni dei Saphera vennero assorbiti dal corpo cristallizzato della loro padrona. -

- Ed immagino che lei non le abbia conservate intatte e pure, dico bene?  

- Già. Nella sua biblioteca ho trovato un altro rapporto, riguardante gli esperimenti eseguiti durante il Progetto S. Lì, Gast asserisce che, probabilmente, l’aggressività e la misantropia riscontrata nei mostri infusi con cellule J sia dovuto proprio questo. Apparentemente, Jenova ricava il suo potere dalle emozioni negative dei suoi accoliti, incanalando il loro odio e la loro rabbia direttamente nel cervello del malcapitato. –

L’ultima frase sfuma in un silenzio pesante, ricolmo di sottintesi. E una frase aleggia sopra di essi. Per un lungo istante essa incombe sulle nostre figure irrigidite e incapaci di guardarsi negli occhi; finché il pistolero rompe gli indugi con somma mestizia.

- Forse è questo che è successo a Sephiroth… -

Non posso fare a meno di grugnire e scuotere dolosamente la testa, attirando inevitabilmente l’attenzione di un pistolero punto sul vivo. Egli, tuttavia, non si altera, mantiene il solito impenetrabile contegno.

- So che per te è ancora difficile accettare il fatto che Sephiroth sia una vittima, anziché un carnefice, ma… -Quelle parole pennellate da quel tono di voce così accorato, se non dolce, nei confronti di quel… quel… MOSTRO! No, non merita la pietà. Non la merita, non la merita, NON LA MERITA!

Fuori di me, afferro il margine del tavolo dinnanzi a me e lo rovescio di lato. Ora che non c’è più nessuno ostacolo tra di noi, una suadente voglia di assalirlo solletica ogni cellula del mio corpo. Avverto i miei muscoli tendersi e gonfiarsi in attesa dello sforzo, le dita irrigidirsi e piegarsi alla stregua di artigli affilati, i denti digrignarsi pronti ad addentare quella pelle pallida e morta. Gli occhi rossi della mia… preda? Sì, solo una preda può guardarmi con quegli occhioni terrorizzati. Lo odio… Come fa a convivere col fatto di aver dato vita a un mostro, un genocida, un pazzo, un criminale…

Non merita tutta quella compassione…

Non… la… merita…

La testa inizia girare e la vista offuscarsi. Un richiamo ovattato raggiunge a stento le mie orecchie, tale da non riuscire a decifrare cosa effettivamente contenesse. Un nome, forse? Quale? E’ tutto così confuso…

 

 

 

La chioma ondeggia sensuale ad ogni suo movimento e mi pare di avvertirne la morbidezza scorrere lenta tra le mie dita, stuzzicare i polpastrelli, solleticare il mio palmo; come se davvero la mia stessa mano fosse affondata in quel mare di seta corvina. Improvvisamente, mi pare addirittura di avvertire il delicato e leggero effluvio di resina di pino solleticarmi l’olfatto. E’ un odore così trascinante, capace di far nascere in me un dolce ed amaro torpore. La meraviglia suscitata da un sorriso angelico, la setosa consistenza di una carezza che liscia materna la mia gota. Il pallore raffinato di quella pelle così perfetta mi affascina. Così come quegli occhi... difficilmente riesco a trovare un aggettivo adatto a descriverli, poiché la loro bellezza è qualcosa di soprannaturale. Contrariamente al sentimento che racchiudono, così dirompente e terreno da avvolgere entrambi come un vortice. Percepisco il suo fiato, il quale, regolarmente, poggia la sua profumata essenza sulla mia bocca; preludio magnifico della scesa di quelle accoglienti labbra rosse. Esse sono dischiuse appena, protese verso le mie, in attesa di un contatto lontano quanto una stella, eppure minuscolo come lo spessore di un filo d’erba. Quelle rose carnose si muovono.

Ti amo.

Così la voce d’angelo proferisce, riempiendomi il cuore di una gioia sconfinata, capace di distruggere ogni singolo brandello del mio essere. Mi aggrappo a lei, che è tutto il mio mondo e mi basta poco per toccarlo.

Ma lei non è qui, mi rendo tragicamente conto. La splendida illusione si trasforma in un’amara realtà, la quale ferisce nel profondo, dilaniando quei minuscoli brandelli di ego. Smetto di respirare, rendendomi conto che l’ossigeno inalato proveniva da quell’ipnotico respiro; le mie gambe cedono, facendomi realizzare che era il suo corpo a sorreggermi; il mio sorriso si trasforma in disperato pianto, comprendendo che lei era la fonte della mia gioia; un gelo mortale mi attanaglia le ossa, capendo così che ella era il sole che mi donava la vita.

Mi accorgo di essere inginocchiato, prostrato, per meglio dire. Le mani disperatamente aggrappate alle inferriate gelide lanciano fitte di dolore, poiché ferite dagli angoli taglienti del metallo. La testa è leggerissima e i polmoni si contraggono disperatamente alla ricerca di aria. Questo è l’effetto irrefrenabile di una passione repressa da tanto, troppo tempo, concludo. Ritrovo la forza di muovermi e alzo lo sguardo al di là del cancello, dove, leggiadra e perfetta, LEI passeggia. Il suo volto di porcellana è abitato da una tristezza senza confini, animata da una struggente solitudine, la quale scatena qualche lacrima di tanto in tanto. Sono in quei momenti, in cui il rimpianto ha la meglio, che la donna ritrova la grinta e scaccia via quelle gocce amare con un elegante gesto della mano. Le sue dita sottili corrono sulla gota rosea e, sensualmente, accarezzano il labbro inferiore. La bocca di apre appena e un sospiro liberatorio abbandona la sua gola. Poi, i suoi occhi si elevano in direzione del cancello. La vuotezza che prima spegneva quelle iridi smeraldine sembra svanire, appena un sentimento assurdo e irrazionale le anima.

Speranza.

Speranza di rivedere l’uomo che ama.

Speranza di riabbracciare la sua bambina.

Speranza che il suo ingiusto calvario finisca.

Speranza che la sua vendetta si compia.

Quest’ultimo pensiero ricopre quella benevola luce con un’ombra maligna e rabbiosa. Un’ombra che deforma le sue angeliche fattezze per pochissimi, terrificanti istanti in quelle di un raccapricciante demone dilaniato dalla furia del fuoco. Esso si contorce convulso, passandosi sul viso sfigurato le mani armate da lunghi artigli giallastri. Essi scendono lungo la fronte calva, le cavità orbitali, gli zigomi consunti; lasciando profondi e sanguinolenti solchi sul misero strato di muscoli e tendini. Appena giunte dove una volta v’erano carnose e rosee labbra, le dita svaniscono all’interno dell’oscura morsa del cavo orale, dove denti affilati calano dall’alto e dal basso e tranciano quelle falangi sdrucite. Il sangue sprizza dalla bocca, cacciato fuori in grosse gocce da attenuate, ma non meno agghiaccianti, urla. Nell’attimo in cui questo demone appare e svanisce, riesco a riconoscere la nota tipica di quelle grida. Il mio sguardo, infatti, cala sul grembo, ove rivoli di sangue lasciano piccoli segni del loro passaggio sul tessuto latteo. Gelsomini bianchi crescono repentinamente là ove le gocce toccano il terreno, ma marciscono appena raggiunta la piena maturità. No, non marciscono. Vengono inceneriti.

Fuoco.

Quella parola smuove qualcosa dentro di me, ma la strana calma che mi avvolge le membra impedisce a quel sentimento di prevalere.

Mi volto appena alla mia sinistra e punto il mio nemico. La sua immancabile divisa nero pece disegna la sua linea scattante e tonica, simile a quella di una pantera. E come un felino, egli aderisce contro la cancellata, sornione, da cui osserva l’oggetto del proprio desiderio.

- Come mai ancora qui, Cloud? –

- Per cercare delle risposte, credo. –

Il SOLDIER sposta l’attenzione su di me, puntandomi di sottecchi. La cortina argentea dei suoi capelli nasconde in parte il suo viso affilato. Non mi sfugge, tuttavia, il sorrisetto arrogante che deforma l’iniziale linea neutra delle sue labbra.

- Buona fortuna, allora. –

Rispondo al suo sguardo con un’occhiata mordace, ma essa va ad infrangersi contro il completo disinteresse del Generale nei miei confronti. Ha occhi se non per lei. Non so perché, ma la cosa mi infastidisce. Per tanti anni ho creduto di essere la sua sola ossessione: la marionetta da torturare, l’uomo da battere, l’eroe da distruggere. Quello che intercorre fra noi è un legame malato e perverso, eppure unico e speciale. Entrambi vediamo nell’altro la fonte della nostra immortalità, poiché finché uno di noi due vivrà, l’altro sopravvivrà. Lo ha detto lui stesso.

 

I will never be a memory.

[Io non sarà mai un ricordo. Sephiroth, FFVII:ACC]

 

La sua totale indifferenza, tuttavia, fa vacillare le mie convinzioni. A lui non è mai importata la fama o la gloria, essere l’Eroe di Midgar o l’Angelo da una Sola Ala per Sephiroth, è relativo: esse sono solo conseguenze delle imprese compiute; quest’ultime rese molto più grandiose o deprecabili di quanto siano realmente. Lo ripete spesso nei passi del suo diario: la sua prigione dorata è stata costruita sopra al sangue di tanti innocenti e la sua fama si è alimentata dei cadaveri dei suoi nemici. Una facciata per coprire i misfatti della Shinra, il capro espiatorio di qualunque ritorsione sulla società elettrica. Lui non vuole essere ricordato come Eroe o Distruttore; bensì per la sua semplice umanità, ossia un marito protettivo e affettuoso o un padre volenteroso e amorevole.

Alzo lo sguardo verso Evelyn e comprendo: lei conserva la sua vera memoria.

- Che ne sarà di te, quando tutta questa storia sarà finita? Tua moglie si mescolerà nel Lifestream, tua figlia diventerà una martire, Genesis verrà sconfitto una volta per tutte e io mi premunirò perché tue memorie diventino esattamente quello che sono. Tutti ti ricorderanno solo per il mostro che sei. –

Sephiroth non sembra per nulla toccato da questa possibilità; anzi sembra quasi divertirlo, dal momento che le sue labbra s’inarcano in un sorriso furbo.

- Appunto. E’ in quel ricordo che io vivrò, così da alimentare le paure e gli scrupoli degli uomini, in modo da evitare che gli orrori subiti dai miei cari non vengano ripetuti. Ciò che m’importa è che loro riposino in pace. Null’altro conta. –

Il coraggio e la determinazione dimostratomi di fronte a un tragico destino riempiono il mio cuore di un’ammirazione immensa, la stessa che mi pervadeva quand’ero bambino. E’ veramente lui… l’eroe dei miei sogni, l’uomo che avrei voluto essere, l’esempio che avrei voluto seguire. Come posso permettere che le sue qualità vengano dimenticate? Che un uomo così giusto e coraggioso venga millantato in questo modo?

Vuole solo proteggere la sua famiglia, in fondo.

Improvvisamente, il cancello subisce un deciso singulto accompagnato da un forte clangore di metallo contro metallo. Con il cuore in gola, faccio un passo indietro e rimango assolutamente stupito nel constatare l’autore del trambusto. O meglio, l’autrice. Evelyn. In un qualche modo, la sua presenza è riuscita a trapassare il confine tra vita e morte. Il cancello, infatti, sembra contenere a malapena la sua irruenza. Quel cancello apparentemente insormontabile e indistruttibile, costruito dall’odio e dal risentimento di un intero Pianeta nei confronti di quell’omicida sanguinario, scricchiola e geme come se fosse fatto di alluminio.

E’ possibile che io…

Rivolgo il mio sguardo sbigottito in direzione di Sephiroth, il quale è stupito almeno quasi quanto me.

No, non posso davvero averlo…

Non faccio in tempo a terminare il pensiero che il Generale inizia a muovere un paio d’incerti passi verso la donna ancorata alle sbarre. Con decisi tentativi, ella cerca di aprire una breccia in quel cancello, ma essi vanno ad infrangersi contro alla strenua resistenza del metallo, il quale ondeggia sempre di meno. Quando ormai gli sforzi divengono vani, l’angelo volge uno sguardo struggente, disperato e supplichevole verso Sephiroth, il quale si ferma a un passo dalle sbarre. Il Generale scandaglia la donna da cima a fondo, affascinato e rapito, fino a che i suoi occhi non si posano sulle dita avvolte attorno al metallo. A nessuno di noi tre sfugge che, anche se di poco, una minuscola parte di lei sembra sfociare da questa parte. Tutti gli sguardi sono puntati su quel particolare. I due amanti si fissano negli occhi per un breve, significativo, istante. Osservo rapito la scintilla di speranza illuminare le loro iridi dalle mille sfumature del verde. Così, con tacito assenso e mano tremante, il SOLDIER rompe gli indugi. Nonostante sia terrorizzato, più che dalle conseguenze, dalla prospettiva del fallimento, il desiderio di riaverla per sé, anche per un solo attimo, ha la meglio; quindi, sebbene sia una vana speranza, lui deve tentare. Ed io mi rendo conto di tenere per lui.

Tutta la malevolenza svanisce appena le loro dita finalmente si sfiorano.

Perdo quasi un battito nell’assistere alle loro espressioni, dapprima incredule, poi ammantante da un gioioso sollievo. Anni di sofferenze, torture e umiliazioni sono stati spazzati via da un solo, minuscolo contatto. Il distacco e la freddezza sono scomparse dal viso di marmo del Generale, spazzate via da un fiume impetuoso di lacrime. Rimango letteralmente a bocca aperta, sebbene non sia la prima volta che vedo Sephiroth in quello stato. Ciò che più mi colpisce è la quantità innumerevole di sensazioni contenute in quelle gocce, le quali mi fanno capire veramente la profondità del suo animo e la sua estrema emotività. Leggerlo è un conto, ma vederlo… fa impressione.

Non c’è traccia del mostro sanguinario o dell’infallibile SOLDIER nell’uomo innanzi a me. Mi rendo conto che le prime due figure non sono altro che il misero risultato di anni di repressione, di apatia, di sconfitta, i quali avevano congelato il suo cuore, rinchiudendo in quella prigione gelata perfino il ricordo del calore. Fino ad oggi. In fondo, è sempre stato questo l’effetto che Evelyn gli provoca. Non importa quanto in profondità la sua umanità può essere sepolta, lei è sempre in grado di farla riemergere con un semplice gesto.

Per questo ti ama.

Evelyn muove le labbra, ma nessun suono giunge alle nostre orecchie. La barriera, infatti, consente solo a qualche centimetro di pelle di trapassare il confine. Sephiroth la studia, cercando di carpire il significato di quelle parole mimate. Gli dice di non piangere; anzi vorrebbe vedere ancora una volta il suo splendido sorriso, quello in grado di ridonare vita al suo cuore fermo da tempo. Egli ubbidisce immediatamente alle richieste della sua Regina. In quell’arco non v’è traccia del ghigno mefistofelico protagonista dei miei incubi peggiori. Ed è qui che capisco: non importa quanto il Pianeta si accanisca contro di lui, quanto sia terribile il dolore che gli provoca, quanto crudelmente gli strappi via ogni singola briciola di umanità, perché niente e nessuno potrà soffocare l’ingenua speranza di riunirsi alle persone che ama. E’ questo che lo fa andare avanti, è di questo che vive. Io non sono nessuno di fronte all’immenso sentimento che serba in quel cuore dilaniato. Credo che ripeterebbe ogni azione commessa, perché sono state quelle azioni a condurlo dall’amore della sua vita.

Mi rendo conto che io non sono e non sarò mai in grado di fermarlo…

- Non sono riuscito a cambiare le cose... –

La mesta ammissione di colpevolezza proferita da Sephiroth attira la mia attenzione, poiché, a seguito di questo, noto la donna poggiare la mano libera sul quel ventre squarciato, mentre un guizzo di dolore spegne entrambi i loro sorrisi. Una realizzazione terribile mi attanaglia le membra e, improvvisamente, avverto la sensazione di essere risucchiato in un vortice. E poi, sparire.

 

 

Il pigolio dei chocobo accompagnato dal cigolio delle ruote sgangherate del carretto degli Oshima e dalla risata sguaiata del suo capostipite, preannunciano il ritorno di mio marito dai campi di frumento. Sono già due settimane che lavora per loro. Gli piace sentirsi utile per la comunità che tanto calorosamente lo ha accolto, nonostante tutto. Takara drizza la testa, in ascolto, e, appena avverte una voce famigliare, abbandona i suoi giochi per fiondarsi davanti alla porta d’ingresso. Saltella impaziente, contenta come un cucciolo scodinzolante. Una sensazione che, mi accorgo, condividere con la stessa intensità. Una notizia bellissima quanto inattesa ha sconvolto la mia intera giornata e non vedo l’ora di condividerla con il suo fautore. Anche se, da un lato, un po’ temo questo confronto. Non so cosa potrà accadere, come mio marito possa recepire una tale prospettiva. Sebbene egli mi abbia dato prova di essere cambiato, non riesco a fidarmi totalmente di lui. In fondo, è ancora così giovane…

-Papà! –

Il filo dei pensieri viene interrotto dalla vocetta squillante di mia figlia, con la quale accoglie gioiosa l’allampanata figura appena entrata in casa. Corre verso di essa, ma viene intercettata da due grandi braccia che la sollevano da terra, fin sopra la testa di suo padre. Viene lanciata in aria e il mio cuore fa una capriola. Al contrario, lei ride divertita. Dopodiché, gli arti si chiudono attorno a lei in una delicata morsa, per poi essere posta al pari di un meraviglioso viso angelico.

- Ciao principessa. Me lo dai un bacino? –

La piccola, tenerissima e maldestra, allarga le braccine minute e le avvolge attorno la testa di Sephiroth; successivamente gli pone un grosso bacione sul naso, schiacciandoglielo. L’espressione misto dolorante e infastidito del padre è comica, al punto tale di strapparmi una risata soffocata, la quale viene distintamente percepita dall’udito fine del mio Generale. Egli mi lancia un languido sguardo e mi sento letteralmente attirata nella sua direzione. Lo saluto con un bacio ben più moderato e un accomodante sorriso.

-Ben tornato. -, gli sussurro dolcemente.

- Bello essere a casa. -, mi risponde, sfoggiando un’espressione stanca, ma felice.

Appena Natsu appare nel suo campo visivo, il suo arco si fa più beffardo, strappando all’anziana un grugnito.

- Buonasera, nonnina. –

- Umpf, risparmia il fiato. Non sia mai che ti serva per scappare di nuovo a gambe levate.  -, risponde l’anziana, senza degnarlo di uno sguardo, poiché troppo impegnata a leggere il giornale appollaiata sul suo solito seggiolone.

Sephiroth aggrotta le sopracciglia, sorpreso dalla risposta. E anche un po’ punto sul vivo.

- E questo cosa vorrebbe dire? –

- Chiedilo a tua moglie. Sembra che tu ne abbia combinata un’altra delle tue. –

A quel punto, Sephiroth mi fissa interrogativo. Dal canto mio, non posso far altro che scuotere la testa esasperata.

- Grazie, baba. Anche se non era esattamente così che avevo immaginato il momento della notizia. –

Mio marito rivolge febbrilmente la sua attenzione tra Natsu e me, scatenando l’ilarità di Takara, la quale assiste dall’alto del suo scranno, ossia la spalla di suo padre. 

- Che notizia? Che cosa è successo? –

Dolcemente, gli passo le mani lungo i lati del viso, accarezzandogli la pelle ancora sporca di polvere e terra. Mi mordo il labbro inferiore. Lo adoro quando è così scarmigliato e… selvaggio. Abbasso lo sguardo e vado ad individuare la sua mano destra, lasciata pendere al fianco. Con le dita accarezzo il dorso, le nocche, le falangi percependo ogni minuscola imperfezione. La pelle è secca, screpolata, a causa del sole e dell’acqua, microscopici tagli infrangono l’insormontabile continuità dell’epidermide, sbavature di terra nera sporcano l’intonsa perfezione di questo effimero pallore. Assimilo con piacere tutte queste sensazioni, mentre accompagno la mano verso la sua destinazione. Percepisco un dolce languore misto a nostalgia, appena il suo palmo aderisce pian piano al mio grembo. Lo stomaco si attorciglia, mentre osservo la mia culla completamente accolta nella sua forte stretta.

Sei al sicuro, piccolino.

Alzo lo sguardo per assistere alle reazioni di mio marito. In un primo momento, egli sembra ancora confuso, stordito. Le palpebre vengono sbattute più e più volte, mentre cerca di elaborare la situazione. Attonito, poi, mi guarda a bocca aperta.

Di fronte alle sue buffe espressioni, rido radiosa e impaziente di proferire quella frase.

- Sono incinta. –

Lui riabbassa lo sguardo verso il mio grembo, poi di nuovo lo rialza su di me. E’ incredulo. Assolutamente senza parole. Boccheggia, intento ad elaborare la notizia, stordito da un’emozione incontrollabile, alla quale cede appena si rende conto della situazione. Infine, il suo viso assume un’adorabile espressione fiera ed entusiasta, la quale accende una splendida luce meravigliata e sorpresa nelle sua giade serpentine, coronate da un divino e smagliante sorriso. Sembra un bambino…

- E’ meraviglioso. –, sussurra, privo di fiato, con un inflessione dolcissima, mai sentita prima d’ora.

Mette la piccola a terra e mi afferra con entrambe le mani la base della testa, attraendomi verso il suo viso, luogo in cui un tenero e appassionato bacio mi trasmette tutta la gioia provata fino a quel momento. Mentre ci baciamo, lui avvolge le braccia attorno alle mie spalle, delicatamente, come se stesse abbracciando un vaso fragilissimo. Una premura capace di destare tutto il dispiacere pendente sullo stomaco provato poco fa, tuttavia. Interrompo il bacio e volgo l’attenzione sulla mia primogenita, la quale ci scruta da dietro le fessure delle sue ditine, fingendo di essere imbarazzata ad assistere alle nostre smancerie. Mi scappa un sospiro.

Perché non ha avuto la stessa reazione anche con lei?

Dopo qualche secondo, mio marito poggia le due dita sul mio mento e, dolcemente, mi volge verso di lui.

- So a cosa pensi. Ma ti giuro che questa volta andrà diversamente. - , prende un profondo sospiro, come se stesse scendendo a patti con una decisione difficile e definitiva, - Ho deciso di ritirarmi. Mi libererò della Shinra, del mio rango, del mio lavoro. Mi libererò di tutto per stare con voi. –

S’inginocchia ai miei piedi, stringendo la mia mano nella sua, e poi liscia il viso della nostra bambina, fino alla base del collo, dove indugia col palmo per un lungo istante. Osserva teneramente Takara, mentre a me rivolge uno sguardo adorante, quasi timoroso, capace di spaccarmi il cuore letteralmente a metà.

- Io ti amo alla follia, Evelyn. Forse non sono molto bravo a dimostrartelo, ma ti assicuro che ti amo come mai ho amato nella mia intera, vuota esistenza. Amo nostra figlia, amo il bambino che sta per arrivare, amo la vita che stiamo costruendo insieme. Io ho bisogno di voi, come… come l’aria, l’acqua, il sole. Senza di voi, mi sento morire. - , si trascina sulle ginocchia, completamente sottomesso, avvicinandosi a me, - Io non esisto senza di te… -

L’ultima frase, così sussurrata e piena di assoluta devozione, è una stoccata dritta al cuore. E quello sguardo… mi sento sciogliere dalla tenerezza. Mi rendo conto che davvero lui è disposto a corrispondere ogni mio desiderio. Come un soldato fedele farebbe nei confronti della sua implacabile regina.

Colmo la distanza e passo la mano libera dietro alla sua testa, così da avvicinarla al mio grembo. Egli si lascia guidare, chiudendo gli occhi. Assapora il mio materno calore trapassare la stoffa, mentre stringe a sé sia me che nostra figlia. In questo modo, egli crea la sua barriera, dentro cui ha deciso di rinchiudere se stesso, i suoi sogni, il suo onore, la sua essenza. E’ pronto a donarsi completamente alla sua famiglia. Ci stringe forte, quasi con disperazione si aggrappa a noi. E capisco.

Sì, questa volta sarà diverso.

 

 

Apro gli occhi lentamente e la luce tenue del tramonto mi accoglie gentilmente alla realtà. Lo spettacolo dei raggi morenti sui ghiacci del Mare di Icicle è una sinfonia di tonalità infuocate, le quali vanno a stridere con il gelo spietato degli iceberg flottanti su una distesa di diamanti brillanti. La meraviglia della natura mi strappa un sorriso stanco, ma l’amarezza delle visioni lo fredda all’istante. Mi rivolgo in direzione di Vincent, il quale sta rivedendo il nostro itinerario di volo e migliaia di dubbi mi assalgono. Dovrei rivelargli del secondo figlio di Sephiroth? Non so nemmeno se sia vivo o no. Quello squarcio potrebbe essere stato provocato in migliaia di modi, ma, in cuor mio, so già di conoscere la risposta. Chiunque abbia attentato alla vita di Evelyn sapeva del bambino? E’ per quello che l’ha uccisa?

Dovrei parlargli dello stato in cui versano suo figlio e sua nuora nell’aldilà? Dovrei raccontargli del cancello e di come si sia indebolito appena mi sono immedesimato in Sephiroth?

Egli alza lo sguardo verso il soffitto vetrato dell’aeronave e sospira, esausto. E’ da quando siamo fuggiti dalla villa di Gast che Vincent non si riposa nemmeno un secondo. Ha la sensazione che qualcuno ci segua. Si pente di aver accondisceso a quella fuga spericolata, perché, secondo lui, abbiamo attirato delle pericolose attenzioni. Non tanto su di noi, ma su Takara. Con la perdita del corpo di Jenova, la morte di Hojo e la definitiva disfatta di Sephiroth, la ragazza è l’ultima portatrice pura di cellule J, all’infuori del sottoscritto; ma, soprattutto, ella è l’ultima Antica sulla faccia del Pianeta. Cellule J unite e sangue Cetra… un potere inimmaginabile. Un potere capace di fare gola a un sacco di gente senza scrupoli.

Se Rufus dovesse venire a conoscenza della sua esistenza… Non ci voglio pensare! Sephiroth aveva ragione a considerarla un pericolo, perché lo è. Per se stessa e per gli altri. Spero che LOVELESS abbia ragione. Se lei è il Dono dovrebbe avere la capacità e il buon senso di riportare ordine nell’Universo. Spero non si lasci trascinare dalla vendetta e che non perda di vista il suo obiettivo; altrimenti…

Dovrò trovare il modo di ucciderla…

 

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26 Gennaio XXXX

 

Tutto inizia in un mondo fatto di piume. Esse circolano attorno a me, in un lento e solenne vortice nero e bianco. Avverto la sensazione di cadere nel vuoto, tragicamente, inevitabilmente, infinitamente. Non realizzo cosa mi stia accadendo, poiché i miei sensi sembrano avvolti da una ottenebrante nebbia. Non capisco come sia arrivato lì, eppure ricordo con chiarezza il calore del fuoco, seguito da un mortale bagno gelato. Eppure anche quei ricordi iniziano a svanire, soppiantati da un lento e inesorabile oblio, fino alla finale sensazione di vuoto. Mi accorgo di non provare assolutamente nulla, infatti. Non provo né odio, né dolore, né rabbia, ma neppure gioia o sollievo o calma… Niente. Dopo un tempo in parvenza infinito, mi si para davanti la fine di quel lungo tunnel piumato, dove una gelida luce verdastra mi accoglie. Lifestream? No, cristalli, migliaia e migliaia di cristalli si ergono austeri al di sopra del morbido letto di piume. Da esse i blocchi ghiacciati vengono lambiti delicatamente da quel circolo vizioso bianco e nero. A qualche metro da quelle cime, alcune piume bianche iniziano a fluttuarmi attorno, staccatosi dal seminato. Ne seguo una con lo sguardo, dal limbo della mia confusione e noto, con nascente orrore, che le mie gambe sono ridotte a due consunti moncherini abbrustoliti. Un terrore dilagante risveglia d’improvviso i miei sensi, i quali vengono subitamente stuprati da una sensazione ben più potente: l’agonia. Mio malgrado, avverto ogni singolo candido calamo conficcarsi direttamente in quei tessuti martoriati o, quando i muscoli mancano, direttamente nelle ossa. Inizio ad urlare fino a squarciarmi la gola, divincolandomi come un ossesso, nel tentativo di tenere lontano quei coltelli barbuti dalle mie gambe. Ogni mio sforzo, naturalmente, si rivela invano, soprattutto quando uno stormo di piume nere prende in ostaggio il mio braccio destro e mi trascina inevitabilmente verso uno di quelle punte ghiacciate. Appena cristalli e steli entrano in contatto, questi ultimi si solidificano assumendo la forma di un’enorme e maestosa ala nera, la quale si stringe attorno al mio braccio frantumandolo letteralmente fino alla spalla, trasmettendomi un dolore mai provato in vita mia.

A quel punto, mi sveglio. L’eco di quella sofferenza mi accompagna ancora nel dormiveglia, quando ancora il sogno persiste nella mia mente, come una sinfonia macabra ed ostinata. Stringo il braccio al petto, avvertendolo ancora pulsare, soprattutto all’altezza della scapola, dove l’ala affonderebbe le sue fameliche radici. Esattamente come le notti precedenti, mentre le mia dita scandagliano quella parte, mi pare di avvertire una bozza ampia e rugosa, serpeggiarmi sotto pelle. La consistenza è morbida, ma compatta. Sembrano quasi…

No. E’ solo soggezione, decido alla fine. La stanchezza, lo stress e il poco sonno sicuramente stanno avendo fatali effetti sulla mia psiche dilaniata, lasciando spazio alle fantasie suscitate dalle frasi sibilline e sconnesse di Genesis. Per quanto mi sforzi, tuttavia, non riesco ad ignorarle. Sono un chiodo fisso che mi sta lentamente trascinando verso un abisso di ossessione. Sono giorni che me ne sto chiuso qui dentro, in questi archivi ammuffiti a scartabellare chilometri e chilometri di fascicoli, ad assimilare dati, a scovare ogni singolo rapporto. Speravo che l’incontro con il rosso avrebbe risolto ogni cosa. Quando il suo esercito di copie sferrò il suo micidiale attacco verso lo Shinra Building, quasi non potevo contenere l’impazienza di trovarmi faccia a faccia col lui. Per un attimo, un minuscolo attimo, ho sperato… ho sperato che, finalmente, avrei potuto avere le risposte che cercavo. Ma il rosso sembra godere nel vedermi agonizzare, mentre strisciavo ai suoi piedi per supplicarlo di darmi le risposte che cerco da una vita.

‘Vuoi risposte, ma sei sicuro di essere in grado di comprendere la realtà dei fatti? Di accettarla? Io non credo, Sephiroth. La tua mente è ancora schiava della realtà che ti è stata costruita attorno. Non sei pronto per abbandonarla. Per quanto tu desideri avere delle risposte, inconsciamente le rifuggi. Tu hai paura della verità. ‘

Sento il gelo attanagliarmi le ossa. Che abbia ragione? Che il mio disperato bisogno d’inseguire la normalità, sia, invece, un modo per negare ciò che sono davvero? In effetti, ho sempre temuto il confronto. Sin da bambino, quando, timidamente, andai da Gast e gli chiesi informazioni sulla mia famiglia. Ricordo che le mani mi tremavano al pensiero di ciò che avrei scoperto sul conto dei miei genitori. Oggi, come allora, mille domande mi si agitavano nella mente, senza avere, però, l’ardire di esprimerle. Il Comandante ha ragione: io ho paura. Tantissima. Checché dica la gente, la prospettiva di scoprire che la tua vita poggi le sue fondamenta su mere menzogne spaventerebbe anche il più coraggioso degli uomini. E’ difficile staccarsi dalle piccole credenze che tengono insieme il proprio ego. Se ne esce spezzati, esattamente come il Comandante. Mi sono reso conto di vedere il mio futuro: un uomo distrutto e piegato da una verità troppo terribile per sopravviverci. Ne è uscito un individuo vuoto, confuso… perduto. L’unica certezza che gli rimane sono corvini versi impressi su carta irruvidita dal troppo sfogliare. Come una nenia martellante, quel suono frusciante è l’unico tassello in grado di legare fra loro i pezzi del suo cuore spezzato. LOVELESS è la sua fortezza, la sua Dea il suo faro. Mai come in quel momento ho avvertito una tale affinità con Genesis. Anch’io ho perso dei tasselli importanti del mio essere. L’unica cosa che mi tiene in piedi è la possibilità di rivedere la mia famiglia. Un pensiero che nel vuoto della notte è sempre in grado di tranquillizzarmi; almeno finché non mi rendo conto che sono proprio questi desideri ad incatenare la mia mente nella gabbia di bugie costruitami attorno. Un’altra fittizia, bellissima illusione. Capisco che non sono disposto ad andare fino in fondo per questo motivo. La prospettiva di perdere la mia famiglia è ben più terrificante di perdere me stesso. In fondo, che bisogno ho io di sapere chi o cosa sono? A loro importerebbe?

Ripenso a quella notte in cui capii di aver sposato una donna capace di apprezzarmi nonostante la mia natura bestiale e… No, a loro non importa, quindi perché dovrei affannarmi a perorare una causa che mi porterebbe a distruggere tutto ciò che amo? Se Genesis è stato in grado di uccidere la sua stessa famiglia e le gesta di Angeal hanno portato al suicidio di sua madre, posso solo immaginare cosa possa accadere a mia moglie e a mia figlia. Anzi non ci voglio nemmeno pensare.

A questo punto, mi chiedo: se davvero tengo così tanto alla mia famiglia, allora, perché marcisco qua dentro? Perché dormo su questa gelida scrivania? Perché non mando tutto al diavolo?

‘Perché tu sai, amico mio. Non sai bene cosa, ma ti rendi conto che qualcosa non torna. Strani dettagli, stracci d’informazioni, sogni… ‘

Rabbrividii e rabbrividisco tuttora di fronte a quella parola. Sogni. Genesis è sempre stato molto curioso sul contenuto di quegli stessi incubi che mi hanno accompagnato per tutta la vita. E’ un argomento di cui non parlo mai volentieri, nemmeno Evelyn è a conoscenza di tutti i dettagli di quelle visioni. Gli unici con cui ne abbia mai discusso a fondo sono stati proprio loro: Angeal e Genesis. A quest’ultimo, poi, interessavano particolarmente. Passavamo intere nottate a parlarne e il rosso trovava interessanti - almeno secondo lui- raffronti con LOVELESS, scatenandomi l’orticaria alla sola menzione. Non ho mai amato l’idea della predestinazione, del fato, del destino. Essendo cresciuto poi in un ambiente totalmente agnostico e pragmatico, certe idee prive di qualsivoglia fondamento scientifico erano assolutamente bandite. L’unica cosa a cui avrei dovuto credere erano fatti quantificabili e calcolabili. Anche se non è così semplice ignorare quelle immagini terrificanti. Quand’ero bambino non volevo mai addormentarmi, il pensiero di chiudere gli occhi e fronteggiare i mostri che vivevano nella mia testa mi terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Motivo per il quale Hojo m’imbottiva di calmanti e sonniferi, anche molto pesanti, talvolta, senza alcun riguardo per la mia età. L’importante è che dormissi, in un modo o nell’altro.

Ma cosa sono quelle visioni? Perché mi perseguitano? Ma, soprattutto, che cosa significano? Alcune sono scatenate da fatti ben precisi, altre si ripresentano di tanto in tanto senza alcun nesso. Che sia come dice Genesis? E’ il mio subconscio che tenta di suggerirmi le risposte ai miei quesiti? Secondo il banoriano, sì, è così e, con questo punto di vista, inizio ad analizzare con occhio critico certe incongruenze sulle mie origini. I miei sospetti si focalizzano soprattutto sui miei genitori. Il Professore mi rivelò che anche mia madre era una scienziata. Lei ed Hojo si conobbero all’università e si fidanzarono poco dopo la laurea, per poi sposarsi appena vennero assoldati dalla Shinra per un importante progetto scientifico. Da lì, a pochi anni, nacqui io. Agli occhi di una persona normale, o ingenua come lo fui quando questa storia mi venne raccontata, si direbbe un normale ed ovvio concatenamento di eventi: innamoramento, matrimonio e figli. La menzione ad “importante progetto scientifico” posta proprio lì, tra matrimonio e figli alla stregua di una lama, mi stringe il cuore in una morsa gelida. Chiunque scambierebbe quell’evento come un’innocente giustificazione, una logica conseguenza ad una forte stabilità economica tale da giustificare la decisione di sposarsi ed allargare la famiglia, ma io no. Non ho prove del contrario, però il mio istinto mi sembra suggerire una verità terribile e angosciante.

Se l’importante progetto scientifico si rivelerebbe essere proprio il Progetto G?

Hollander utilizzava feti umani per le sue ricerche e lui fu il primo a pubblicare un articolo sull’argomento. Un articolo in cui rivelava il successo di uno dei suoi esperimenti. E quel successo aveva un nome: Angeal. Tra me e il moro c’è solo qualche anno di differenza e ciò mi suggerisce due possibili motivazioni. Primo, chi si occupò del mio caso ebbe bisogno di più tempo per perfezionare le ricerche rivali, così da ottenere risultati migliori e, seconda e più inquietante ragione, mancava di materia prima, ossia il feto a cui donare la loro artificia maledizione.

Ora che ho dato sfogo ai miei sospetti, mi rendo conto che il quadro definito ha un’aria terribilmente realistica… Mi viene la nausea a pensare che i miei genitori… che mia madre possa davvero aver acconsentito a farmi questo. Quale madre potrebbe svendere il proprio figlio per un riconoscimento scientifico? Mi rifiuto di crederlo! Lei mi amava, il Professore me lo diceva sempre, e aspettava con ansia il giorno in cui mi avrebbe tenuto fra le sue braccia, in cui ci saremmo finalmente conosciuti, in cui saremmo diventati un’entità unica. Quale mero esperimento dovrebbe suscitare un tale amore agli occhi di uno scienziato? Conoscendo quel verme di Hojo, potrei quasi scommettere che l’abbia costretta a trasformarmi in una cavia per la sua folle visione di onnipotenza e godere nel vederla morire nel darmi alla luce. Un ostacolo in meno tra lui e la sua gloria. Poi, toccò a Gast, fino a che non diventai solo suo, il suo esperimento, il suo trofeo, la sua perfetta macchina di distruzione.

Quanto lo odio… mio padre. Quell’uomo mi ha sempre disgustato, ma alla luce di questi fatti, un odio atavico, una rabbia incontrollabile, un disprezzo viscerale nei confronti di quel mostro rachitico richiedono a gran voce il suo sangue. Sangue che speravo imbrattasse le pareti del suo antro degli orrori, a seguito dell’incontro con Genesis. Quando raggiunsi il laboratorio, lui era ancora lì a ridere istericamente senza apparente motivo. Come un pazzo. Lo fissai per un lungo istante, interdetto, mentre il suono stridulo e fastidioso delle sue risa mi trapanava il cervello, paralizzandomi sul posto. E’ assurdo che, dopo così tanti anni, quella risata è capace ancora di assoggettarmi alla paura. Lui mi guardò divertito e, appena notò il turbamento, egli mi rivolse un’espressione di scherno.

“ Ti vedo smarrito, ragazzo. Speravi che i tuoi amichetti fossero qui per me? Sei il solito, piccolo ingenuo. Quando aprirai gli occhi? Se ne sono andati, esattamente come Gast fece quando eri bambino. Nessuno vive troppo a lungo nella tua asfissiante ombra. Tranne me, perché ti ho creato! “

Precise, letali… velenose. Le parole di Hojo sono più pericolose perfino della Masamune stessa. Sfiancano, sfibrano e soffocano ogni sentimento e, contemporaneamente, instillano un senso totale di inadeguatezza. E senso di colpa. E’ colpa mia, lo so. Anche Hojo lo sa. Tutto il Pianeta lo sa. E’ impossibile non sentirmi sbagliato. Hojo è sempre stato così bravo ad annullarmi, a colpirmi nel peggiore dei modi. E quel ‘creato’ capace d’insinuarmi il disagio direttamente nelle ossa, dando corpo ai miei dubbi… Sono giorni che mi arrovello su quel dettaglio. Lui SA che sto facendo scoperte sempre più scomode, che ficco il naso dove non dovrei, che non vivo per scoprire quella verità la quale, lo so, sarà la mia rovina; ma sbattermelo in faccia in quel modo è puro sadismo. Perché? Perché una persona deve essere così crudele? Cosa ho fatto di così sbagliato per meritarmi un trattamento simile? E’ perché non gli ho mai obbedito? Perché mi ribellavo a quella realtà assurda? Perché non mi sono mai piegato alla sua incontestabile autorità? Eppure, eccomi, Generale dell’esercito più sanguinario del mondo, Eroe della ShinRa, Guerriero leggendario e Protettore dei Deboli. Titoli vuoti e fittizi, dentro cui Hojo mi ha rinchiuso, nonostante la stregua resistenza e le continue ribellioni. Lui ha ottenuto tutto ciò che desiderava da me. Perché ancora non mi dimostra almeno un briciolo di riconoscenza?

L’unica spiegazione che sembra soddisfare queste domande è, dopotutto, molto semplice: mi odia. Sono la causa della morte della donna che amava. Sempre se Hojo abbia mai provato qualcosa di diverso dal disprezzo e dall’arroganza. Forse è proprio per questo che è così crudele e distante con tutti: ha perduto uno dei legami più importanti che un uomo possa intrecciare ed è normale che, per proteggersi da ulteriore dolore, cerchi di non intrattenere nessun’altro rapporto, anzi avvelenarlo, ove necessario.

Nel tentativo d’immedesimarmi, una domanda sottile e agghiacciante s’insinua sottopelle: avrei odiato anch’io mia figlia? Sarei in grado anche solo d’ignorarla?

Sono uno sciocco. Come può venirmi in mente di paragonarmi ad Hojo? A paragonare una qualunque altra persona ad un mostro come lui?

Io non oserei mai alzare un solo dito su mia figlia, figurarsi impugnare una verga e percuoterla con essa; oppure costringerla alla solitudine forzata, o toglierle il diritto inalienabile dell’innocenza. Quello scienziatuncolo non è affatto meritevole del perdono di suo figlio. Sono sempre stato fin troppo indulgente con lui, risparmiandogli la giusta punizione per i suoi crimini. Crimini perpetrati ben prima della mia nascita, come la sua fremente attività scientifica dimostra. Ma ora basta! Non ho più intenzione di corrispondere le aspettative di un uomo per cui ho sacrificato tutta la mia vita per ricevere in cambio solo fango. Come se dovessi ringraziarlo per avermi venduto a una Compagnia di maniaci scellerati in cambio di gloria imperitura. A scapito dei desideri di mia madre. Sono più che certo che lei non mi avrebbe voluto questo per me. Mi avrebbe allevato amorevolmente e magari protetto contro la ShinRa, affinché potessi diventare una persona differente, priva della sete di sangue e violenza della Bestia e della superba arroganza dell’Eroe. Sarei stato solo il suo Bambino. Avrei conosciuto l’innocenza, la pace, la felicità sin dall’inizio. Grazie a lei avrei potuto avere molti amici, sarei stato benvoluto nonostante i miei strani tratti somatici, la mia spiccata intelligenza, la mia forza sovraumana. Lei avrebbe sopperito dove peccavo e mi avrebbe guidato verso la mia realizzazione.

Sono davvero uno sciocco… forse quello che sono riuscito ad ottenere ora, non lo devo solo a me stesso. Avverto il mio animo più leggero pensando che, in un qualche modo, mia madre sia sempre stata accanto a me ad ogni passo e mi abbia sussurrato le risposte ai miei dilemmi. Lei vive nel Lifestream, in fondo, non mi stupirei se la sua anima fosse qui anche in questo momento, consolandomi con questi pensieri. Quand’ero bambino capitava spesso che avvertissi una presenza accanto a me, soprattutto nei momenti più duri. Se mi concentravo appena mi sembrava quasi udire una voce gentile sussurrarmi dolci e amorevoli parole, eppure dannatamente sfuggevoli. Certe volte, nel tentativo di approfondire quell’arcano, riuscivo quasi a visualizzarla, alta e bellissima, con lunghi capelli fluenti, pelle diafana. Tanto fu il desiderio di abbracciarla che, una volta, percepii il suo calore sotto le mie dita. Per un attimo, un attimo minuscolo, credetti di averla ritrovata, di conoscere finalmente la mia origine, il luogo da cui provenivo. Avrei infine collegato una bocca a quel sorriso, una pelle a quel calore, degli occhi a quella luce, un viso a quella voce. Ci mancò così poco, ma la mia concentrazione venne a meno e il fantasma mi sfumò tra le braccia. Tentai più e più volte a ristabilire il contatto, però, per quanto m’impegnassi, non riuscii più ad avvertire nulla più che una flebilissima presenza. Ho tentato perfino a coinvolgere Aerith, quando scoprii la sua appartenenza alla stirpe degli Antichi, nella speranza che le sue straordinarie capacità d’intercessore potessero sopperire alle mia scarsa risonanza col Lifestream. Fallì. Disse che le anime non si possono chiamare a comando, ma si manifestano solo in casi di estremo bisogno. Non aveva senso, pensai: io ho sempre avuto bisogno di lei. La chiamai spesso a gran voce, la implorai di aiutarmi, di darmi un segno della sua presenza o del suo amore; ma, niente, solo silenzio. Credevo mi amasse, desiderasse coccolarmi, cullarmi, accarezzarmi, proteggermi. Perché mi ha abbandonato? Che quella volta fosse solo un’illusione creata in un momento di estremo dolore?

“Vivi nell’illusione, amico mio. La verità serbata nel mio cuore è troppo preziosa per essere impiantata in una mente sterile come la tua, o come quella di Angeal. Ho già commesso un errore con lui e non ho intenzione di ripeterlo. Ma non temere, amico mio, il tempo verrà e, finalmente, la tua lama potrà unirsi alla mia e, insieme, spiegheremo le ali verso un radioso futuro.”

Ali

Senza che me ne sia reso conto, le mie dita sono tornate a controllare lo stato della mia scapola destra. Le immagini del sogno mi colpiscono di nuovo come un pugno in pieno stomaco e una nascente ansia imperla il mio corpo di sudore. Inoltre, quei dubbi sulla mia origine prendono sempre più consistenza. L’idea che io sia stato creato nello stesso modo attecchisce come un cancro mortale nella mia mente. Devo trovare le prove, ma ormai ho scartabellato ogni fascicolo marchiato ‘Project G’ e l’archivio Shinra c’è veramente avaro d’informazioni. La maggior parte del materiale è andato perduto con l’attacco: con ogni probabilità Hollander avrà distrutto o trafugato i passaggi chiave delle sue ricerche. Buona parte, ma non tutte. Il tassello più inquietante è stato rinvenuti nel Reattore Mako 5, durante la retata alla ricerca di Genesis. Nelle celle di controllo del reattore era stato allestito un piccolo laboratorio, in cui erano conservate varie capsule di contenimento trafugate dal Reparto Scientifico qualche mese prima, in concomitanza della scomparsa del Comandante. Assieme ad esse, ho trovato numerosi rapporti su esperimenti di un processo chiamato “canale a due vie”. Purtroppo, le informazioni erano frammentarie e i fascicoli mancavano di importanti allegati, ma credo che contenessero dati approfonditi sulla ricerca di Hollander. Inoltre, ho ritrovato anche un rapporto recente, in cui lo scienziato affermava che il Comandante non presentava alcun segno di cambiamento e la sua approvazione alla ripresa del servizio. Falso. Genesis era cambiato profondamente e quegli abomini contenuti in quelle capsule ne erano la prova lampante: copie. Ciò significa che quei mostri aberranti uccisi con tanta veemenza, altro non erano che i SOLDIER e soldati di fanteria ribelli sottoposti al potere di Genesis. Abbiamo ucciso i nostri stessi confratelli… e non solo, probabilmente, anche gli abitanti di Banora. Civili innocenti costretti a prendere parte ai vaneggiamenti di un pazzo. Magari c’erano anche dei bambini fra di loro… Mi si gela il sangue al solo pensiero.

‘Canale a due vie’… E’ dunque questo il potere dei SOLDIER di tipo G? Tramutare le persone in mostruose copie di sé? Un potere invidiabile, poiché permette di creare un esercito di super-soldati completamente assoggettati alla volontà del Comandante in poco tempo, ma… a che prezzo! I tratti genetici vengono altresì copiati, però una minima parte viene persa nel processo, aggravando sempre più la degradazione. Davvero Genesis è disposto a morire per perorare questa causa? Era disposto a tutto per difendere Hollander, in quanto, a sua detta, è l’unico in grado di arrestare il processo che sta portando il rosso verso l’inesorabile fine. Sebbene non lo abbia dato a vedere, Genesis teme la morte. Lo conosco abbastanza da affermare che lui non è così disposto al sacrificio come me od Angeal. Lui è un uomo attaccato alla vita, oltre che avere una missione da compiere; ossia trovare questo fantomatico Dono della Dea. Ha tanto da perdere, mentre Hollander… non sono l’unico ad avere dei conti in sospeso con Hojo, ho scoperto. I due scienziati erano in lizza per il posto di Direttore del Reparto Scientifico, ma mio padre è risultato vincitore. Ciò relegò l’uomo al ruolo di eterno secondo. I suoi risultati erano comunque di fattura invidiabile, tanto di permettergli un impiego abbastanza importante all’interno della Compagnia, ma per lui non era abbastanza. Mi sovviene un episodio a cui assistetti casualmente molto tempo fa. Era il periodo in cui alla Shinra fervevano i preparativi per la guerra in Wutai e le mie giornate erano così piene e stressanti che presi l’abitudine di andare a sfogare tutto il nervosismo accumulato durante gli orari lavorativi nella Sala Addestramenti. Di solito, aspettavo che tutti fossero usciti, anche se, spesso dei campanelli di giovani SOLDIER mi raggiungevano poco dopo l’inizio del combattimento. A me non importava più di tanto avere un pubblico; anzi ne ero onorato, dal momento che forse avrebbero potuto imparare qualcosa di utile in vista della guerra. Una sera, però, al posto delle solite reclute, trovai uno scienziato. Curioso, dal momento che era proibito a chiunque del Reparto Scientifico presenziare ai miei allenamenti senza la supervisione di Hojo. La possibilità che fosse uno novizio venne subito sventata dal fatto che l’uomo si muoveva con troppa disinvoltura trai comandi del terminale di controllo, il quale richiedeva almeno un mese di studio per comprenderne solo il funzionamento di base. Inoltre, non poteva essere un ammiratore, poiché più interessato ai dati che scorrevano sullo schermo anziché alla mia persona. Feci per dire qualcosa che l’uomo batté un pugno sul terminale con stizza, lasciandomi interdetto. Poi, egli si rivolse a me, scoccandomi uno sguardo pieno di astio e invidia.

“Tu saresti dovuto essere mio! La tua gloria sarebbe dovuta essere mia!”

Il suo sibilo velenoso mi inquietò, ma, più di tutto, le sue parole mi strapparono il fiato direttamente dai polmoni. Sono un oggetto, un burattino, una… una… COSA! Una cosa da possedere e con cui accrescere la propria supremazia. Ciò che più mi ferì fu il fatto che non solo Hojo mi considerava in quel modo, ma anche altre persone. Fu in quel momento che capii che dietro a tutta quell’ammirazione, adorazione, fanatismo vi era invidia. Velenosa e corrosiva invidia. Tutti quei SOLDIER non venivano per vedere me, ma la mia disfatta. Speravano che quell’aggiornamento sfornato dal Reparto Scientifico e contro cui tutti fallivano o quel nuovo prototipo di macchina potesse umiliarmi e mostrare al mondo quanto la mia fama fosse immeritata e quanti inadeguato fossi al titolo di Generale. Quell’uomo, quello scienziatuncolo, Hollander corruppe il piacere di essere un modello per gli altri, l’idea benevola di essere in un qualche modo utile al mio prossimo, il pensiero che tutti i miei sacrifici possano aver aiutato gli altri. Tutti gli sforzi compiuti per trovare il mio equilibrio dopo due anni passati sul filo della furia vennero vanificati in due frasi.

E ora, come allora, con quegli stessi concetti Hollander ha costruito la sua vendetta. Lo capii appena Genesis ripeté le stesse parole che lo scienziato usò al tempo. Quell’uomo senza spina dorsale si è approfittato della disperazione di un ragazzo. Si è presentato di fronte ai suoi occhi come un Messia, colui che lo avrebbe salvato da una ignobile e dolorosa morte. Inoltre, per assicurarsi che il suo prezioso burattino si piegasse al suo volere, egli rivelò quella verità che ha corrotto il Comandante fino al midollo, conducendolo alla folle decisione di aizzarsi contro il mondo. Ma non poteva farlo da solo, affinché il suo piano avesse successo, entrambi i giocattoli dovevano tornare a lui. Non sarebbe stato difficile, a causa della forte amicizia che li accumunava. Perfino un legame così puro non ha avuto scampo di fronte ai velenosi fili di quel ragno malefico. Dovrei essere grato alla mia tendenza di scappare dai problemi appena essi si presentano, ma rimanere solo dopo aver conosciuto l’amicizia non è piacevole. Anche se, dentro di me, ho sempre avuto il sentore che una situazione del genere sarebbe capitata prima o dopo. E’ stato dimostrato più volte che la nostra amicizia era costruita su piani differenti. Capitava spesso che sia Angeal che Genesis mi tagliassero fuori dalle loro conversazioni, rievocando vecchi ricordi o ridendo di un gesto o una situazione di cui mi sfuggiva l’ironia. La loro intesa era il risultato di anni e anni di vicinanza e conoscenza reciproca, nulla di tutto questo intercorreva tra me e i due banoriani. Certo il loro affetto nei miei confronti era sincero, ma le differenze erano spesso troppo palesi. Non pretendevo di certo di inserirmi prepotentemente nella loro salda amicizia, però avrei preferito che non mi considerassero poco più di un “nuovo arrivato”, soprattutto dopo un intero anno passato a combattere gomito a gomito nei posti più ostili del Pianeta. Ero certo, tuttavia, che la situazione sarebbe cambiata col tempo. Sempre il solito ottimista, Sephiroth…

Ora, il rapporto legato con i due banoriani si è mostrato in tutta la sua inadeguatezza. Ciò che credevo aver intessuto in questo periodo non si è altri rivelato che aria fritta, una miserabile illusione di un cuore solitario. MI hanno lasciato indietro con una facilità disarmante, come se fosse l’azione più naturale del mondo. Come se fosse ovvio. Ho sottovalutato tantissimo la portata del gap tra i due livelli, accorgendomi di essere poco più di un conoscente per loro. Mi domando chi siano ora quegli uomini alati che si ostinano a chiamarmi ‘amico’, a spingermi suadentemente a ribellarmi a questo sistema corrotto, ad aizzarmi rabbiosamente contro un Pianeta ingiusto, a costringermi deliberatamente a dar loro la caccia…

Per quanto mi senta tradito, non riesco ad odiarli o, quanto meno, disprezzarli. Sono due delle poche persone che abbia mai rispettato e ritengo non meritino il trattamento che la Compagnia sta riservando nei loro confronti. Cancellazione. I loro nomi infangati, il loro onore macchiato, le loro persone ricercate, come fossero bestie rabbiose, senza coscienza, senza volontà. Sono stati plagiati dall’annebbiata visione di un pazzo, il quale li ha relegati al miserabile stadio di strumenti. Due grandi guerrieri distrutti dall’errore di uno solo.

E’ così la storia, no? I tre amici vanno in battaglia, ma solo uno ritorna e diventa un eroe. Che ironia... Proprio io. Proprio io che non ho mai avuto un ideale, un motivo, una ragione per cui combattere divento il baluardo ultimo contro l’imminente ‘Guerra delle Bestie’. Il muro dietro cui la Shinra si nasconde, usando la mia fama inattaccabile per lavarsi una coscienza più lurida delle fogne dei Bassifondi. Quei maiali dei piani alti non hanno nemmeno il coraggio di pronunciare quei nomi, proprio perché ne vogliono cancellare anche solo il ricordo, dimodoché facilitare alle ignare reclute l’ingrato compito di ucciderli a vista.

Alla fine, Genesis aveva ragione.

 

My friend, the fates are cruel

There are no dreams, no honor remains

The arrow has left the bow of the goddess

My soul, corrupted by vengeance

Hath endured torment, to find the end of the journey

In my own salvation

And your eternal slumber

[Amico mio, le parche sono crudeli. Non ci sono più sogni, non c’è più onore. L’arco ha lasciato l’arco della Dea - La mia anima corrotta dalla vendetta ha sopportato il tormento per trovare le fine del viaggio nella mia stessa salvezza e nel tuo sonno eterno. LOVELESS, Atto IV]

 

Buona spaventosa(?) sera a tutti!!!!! Come state carissime/i? Comincio ad entrare nel clima halloweeniano (?!) anche perché penso che vi sia venuto un colpo vedendo un mio aggiornamento, così tra capo e collo random. Dolcetto o scherzetto XD! Come da copione, mi scuso terribilmente per l’attesa, ma è stata più dura del previsto. Soprattutto la parte di Sephiroth. Voi non avete assolutamente idea di quanto abbia faticato a scriverla! Credevo fosse facile questa parte in cui i due SOLDIER finalmente s’incontrano, ma mi sono resa conto che trovare significati nascosti e retroscena a quella… ehm… scena, appunto, è stata una faticaccia. Ho dovuto spremere ogni singola goccia della mia creatività per inventarmi dei dialoghi verosimili (perché quelli originali, oltre a non avere molto senso, non lasciano molto spazio all’immaginazione -.-‘ ). E poi, via ad inventarsi altre supposizioni e teorie che tolgono il sonno al nostro bel (:E) platinato. Io spero di non essere ripetitiva, perché ho la memoria di un pesce rosso e ciò che scrivo è dovuto all’ispirazione del momento, quindi non saprei nemmeno dove andare a ricercare i tratti incriminati. Non abbiatene, giuro che non lo faccio apposta. Con Seph infatti devo sempre andare con i piedi di piombo, perché dopo aver trattato l’argomento principale che, a causa dei problemi elencati prima, per arrivare al giusto numero di pagine devo allungare la solfa per un bel po’ e lì si rischiano le ripetizioni e deviazioni dal tema. Mettiamo anche sempre voglia O di scrivere, quindi viene da sé che ci abbia messo una vita. E mi scuso. Di tutto. Il fatto è che sono ormai proiettata verso la fine di questa storia, di cui cambio finale ogni santa volta che ci penso -.-‘ (va a finire che ci lascia a metà ndSeph; Che?! Io sono su un’aeronave e tra poco vomito *burp* ndCloud, Poveri noi -.-‘ ndVince). Mi scuso tantissimo per le fan di Vince che mi seguono se questo giro non è molto presente, ma avevo voglia di far tornare la nostra cara Evelyn e concentrarmi sulla mente malata del n(v)ostro biondo preferito. Quella su Cloud è una parte un po’ onirica e strana che mi ha portato via un sacco di tempo, perché l’ho riscritto tipo 20 milioni di volte. Sono riuscita a metterci tutto quello che volevo e a me personalmente piace un sacco, spero che anche voi la apprezziate.

Paradossalmente, mi diverto più a scrivere di Cloud che di Seph -.-‘ ciò non va bene!!!! Dovrò rimediare.

Coooooomunque, complice uno schemino da fare invidia agli ingeGNeri della NASA, ho capito che ci stiamo avvicinando alla fine di sta benedetta storia. Ho calcolato che tra 7 capitoli la nostra avventura finisce! Da un lato sono triste, perché questa è la storia che mi ha consacrato come scrittrice ufficiale qui su EFP, ma da un lato sono anche felice così finalmente potrò cimentarmi in altri progetti, sempre tema FFVII e cmq ispirati a questa storia.

Va bene, siori, io smetto di vaneggiare e spero passiate un buon Halloween!!!

Alla prossima!

Besos

 

 

   
 
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