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Autore: Yuki002    26/10/2016    0 recensioni
What'a a soulmate?
Una domanda che ci poniamo nella vita, prima o poi. Rappresenta un viaggio che ci accompagnerà verso la felicità con un'altra persona: come si svolgerà il viaggio delle nostre due matricole?
Buona lettura^^
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DISCLAIMER:

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Haruichi Furudate; questa storia è stata scritta per pura passione e senza alcuno scopo di lucro.

La fic è ispirata alla frase appartenente alla serie televisiva “Dawson’s Creek” ed è stata utilizzata senza alcuno scopo di lucro.

NOTA: la fic nasce come one-shot, ma vista la lunghezza della storia ho deciso di divederla in più parti.
Buona lettura ^^

 

What’s a soulmate?



Bella domanda, neanche lui lo sapeva.

It’s like a best friend, but more.



Figuriamoci se considerava quel Re egoista un migliore amico, però non lo considerava neanche un compagno di squadra. Cos’era questo sentimento?

It’s the one person in the world who knows you better than anyone else.



“Oi, sicuro di stare bene?”

“Sto bene, bakageyama!”

Un abbraccio zittì le sue proteste.

“Ci rifaremo il prossimo anno. Distruggeremo l’Aoba Johsai!!”

Un singhiozzo accompagnò la pioggia che imperterrita nascondeva il pianto liberatorio di Hinata. Solo la bici caduta per terra fu testimone di quel magico momento.

That someone who makes you a better person.



“Hinata e quella tu la chiami schiacciata!!”

“Cosa hai detto? E quell’alzata? Era così lenta che ho dovuto per forza schiacciare male!”

Kageyama gli prese un lembo di stoffa della divisa e se lo portò più vicino, così vicino che gli occhi blu di lui inglobarono completamente quelli arancioni del compagno.

“Tu…” mormorò adirato lasciando in sospeso la frase per incutere più paura.

“Sì, io cosa? Eh?!” gli rispose con altrettanta prepotenza.

Kageyama si ammutolì  e lo lasciò andare dirigendosi verso la porta degli spogliatoi.

Perché? Perché gli aveva risposto in quel modo? Si pentiva di non essere stato tranquillo e aver lasciato correre. Quello sguardo che il corvino gli aveva rivolto lo faceva star male. Molto male.

Nello spogliatoio l’aria era fredda e si sentiva solo il rumore degli armadietti che si aprivano e chiudevano e dell’acqua che scorreva che faceva scivolare via tutti i ricordi di quella giornata solo da dimenticare.

“Ecco, Kageyama?” lo chiamò dal bagno insicuro se rivolgergli la parola.

Nessuna risposta.

“Kagey-“

“Hinata!!” uscì dal bagno di colpo.

“S-sì!”

“Ecco…” distolse lo sguardo afflitto. Fu in quel momento che Hinata capì che era il momento giusto per dirglielo.

“Mi dispiace!”

“Mi dispiace!”

La cosa era così insolita che scoppiarono a ridere all’unisono.

Sì, ormai era ovvio.

Hinata adorava Kageyama. Anzi, no. Lo amava. Non c’erano altre spiegazioni. Aveva amato l’abbraccio di quella giornata intrisa, aveva amato sentire il suo sguardo, il suo respiro su di sé, il calore dei loro corpi che, anche se per poco, si erano uniti. Aveva amato tutto.

No , actually he doesn’t make you a better person…



Lo odiava.

‘Lo odio, lo odio, lo odio!!’

Perché? Perché lo aveva visto uscire con una ragazza? Perché non se ne fregava, come aveva sempre fatto?

‘Guardami ti prego. Fregatene di quella tipa’ urlava la sua anima.

“Hinata? Ooooooi? Hinata?”

Quest’ultimo si riscosse dai suoi prensieri.

“Ah, eh… ecco…”

“Volevo solo presentarti Kitsune, un’amica di famiglia che da poco si è trasferita in questa scuola. Kitsune lui è Hinata, un mio compagno di squadra”

Una piccola mano si porse verso di lui.

“Piacere, io sono Kitsune Murasaki” gli sorrise timida. I suoi capelli erano di un nero notte che ricadevano gentili sulle spalla, raccolti in due trecce, che alla base, originariamente, erano dei chignon, rigorosamente decorate con piccoli fiori blu lungo tutti gli incastri dei capelli, per poi finire con due lacci che richiamavano i suoi occhi. E i suoi occhi…

Leggermente coperti da una frangetta, c’erano due calamite color del cielo, protetti a loro volta da degli occhiali con la montatura nera. Hinata non si sarebbe stupito se gli avessero detto che la stava fissando senza battere ciglio. Indossava un pail verde scuro, troppo lungo per lei, facendo sì che le maniche coprissero in parte le sue mani. La gonna rossa scozzese copriva fino alle ginocchia, coperte da delle calze nere infine ai piedi indossava dei mocassini neri.

“Piacere mio. Shouyou Hinata” tagliò corto nervoso, senza prendere la mano. il silenzio che si era levato in aria era pesante, nervoso e terribilmente doloroso per il numero dieci della Karasuno.

“Beh, allora andiamo, ti faccio vedere la scuola Kitsune. Ci vediamo in palestra, Hinata” una pacca sulla spalla del piccoletto accompagnò la frase, che faceva più male di mille lame.

You do that by yourself…



“Hinata?”

Sugawara fece scivolare la palla sul fianco avvicinandosi al piccolo giocatore depresso, intento a bere appoggiato al muro. L’aura di tristezza che lo circondava, come un viticcio attorno ad un albero, era percettibile anche a grande distanza. L’alzatore ufficiale della Karasuno affrettò il passo notando il pallore che man mano di diffondeva su tutto il viso, per poi scendere sul collo. Koushi carezzò lievemente il braccio di Hinata per svegliarlo da un incubo che si scatenava nella sua mente e nei suoi occhi, come una tempesta che gettava un ombra su quell’arancione sempre vivace, ma che oggi si era ridotto ad un colore opaco e spento.

“Ehy, Shouyou, cosa c’è che non va?”

Questi alzò lo sguardo stupito: raramente qualcuno in squadra lo chiamava per nome, benché meno un suo senpai. Si sentì grato a Sugawara, per riscaldarlo e confortarlo sempre nei momenti giusti. Gli piaceva essere chiamato per nome. Con un piccolo triste sorriso, si rivolse all’altro: “Non è niente, davvero. Grazie, senpai!”

Questi lo guardò storto: era ovvio che Hinata stesse mentendo. Gentilmente gli posò una mano sulla testa, facendo accidentalmente cadere la palla che teneva. Ma nessuno de due si mosse.

“Non cercare di fare il finto tonto, lo so che stai mentendo” gli rivolse la parola severo “Però mi fiderò di te” concluse con un sorriso caldo e accogliente.

L’opacità nei suoi occhi si trasformò, letteralmente, in una tempesta di emozioni. ansia, stanchezza, sollievo, felicità, tristezza, agitazione, imbarazzo, eccitazione, terrore, orgoglio…

A volte Sugawara si chiedeva come facevano a starci tutte quelle sensazioni nel suo piccolo corpicino da 1metro e 64 centimetri. E subito si rispondeva da solo, perché gli bastava guardare i suoi occhi per capire dove fossero inglobate, come un cristallo trasparente, che però racchiudeva mille colori. L’alzatore ufficiale della Karasuno strofinò con più veemenza i capelli arancioni dell’esca.

“Qualsiasi cosa sia, sono sicuro che andrà tutto bene!”

“Sì, andrà tutto bene!”

Koushi prese la palla da terra per poi tornare in campo.

“Hey, Tanaka, vuoi schiacciare un po?”

“E me lo chiedi pure!”

Hinata osservò la scena, gustandosi questo piccolo momento di serenità. Sì, Kitsune non avrebbe creato problemi. Si prese con le mani la stoffa della divisa, proprio sul cuore.

“Andrà tutto bene…” ripetè sottovoce.

                                                **********

Dall’altra parte della palestra Kageyama osservava la scena e ciò che vedeva on gli piaceva: il senpai Sugawara che conversava e toccava Hinata in un modo che gli diede fastidio. Si strofinò il petto con la mano, come per scacciare quella sensazione di astio che provava su tutto il corpo, ma che si concentrava principalmente sul cuore.

Che fastidio…

Perché si sentiva così?

Because he inspire you.



Non andava tutto bene, non andava tutto bene, non andava tutto bene!! Al diavolo Kageyama, al diavolo la stupida “amica”, al diavolo quel bacio che quei due si erano scambiati, al diavolo a quella stupida pioggia che stava bagnando il suo stupido corpo, mentre nascondeva le sue stupide lacrime amare!

Al diavolo tutto!!

Il suo cuore bruciava, bruciava di gelosia, bruciava di odio, bruciava, bruciava.

Ma faceva così male! Del resto quando ti bruci ti fai male, no?

Eppure non avrebbe mai creduto che una bruciatura, che in realtà non esisteva, gli avrebbe fatto più male di una che invece esisteva veramente.

Al diavolo ogni cosa!

E scappò lasciandosi dietro il fantasma di lui che pochi secondi prima stava poggiato al muro a piangere ancora di più, mentre lasciava cadere il suo ombrello.

                                                **********

Kageyama uscì dalla palestra con un sospiro pensieroso, mentre le prime gocce stavano iniziando a bagnare il terreno, creando così in poco tempo un forte odore di terra, erba e acqua. Un odore che Kageyama adorava e che lo concentrava parecchio. Più di quanto si aspettasse, visto che era talmente assorto da non aver nemmeno aperto l’ombrello per proteggersi. Era ormai da giorni che lui e Hinata non si fermavano per allenarsi insieme e gli mancava. Più di quanto si aspettasse.

Era solo un suo compagno di squadra, no? Non doveva preoccuparsi più di tanto. Da quando quella sensazione fastidiosa si era fatta presente nella sua vita, lanciava sempre delle occhiate ad Hinata. Aveva come il presentimento che, se non lo controllava, qualcun altro avrebbe provato a toccarlo come era successo con Sugawara. Così aveva fermato più volte Sawamura (che da bravo capitano quale era, gli arruffava i capelli per complimentarsi con lui) e Sugawara. Loro sì che creavano “problemi”. Ogni tanto anche Tanaka ci si metteva avvolgendo le spalle di Hinata con il braccio, cantilenando sempre:

“Hi-na-taaa, che ne dici se una volta andiamo a sbirciare le ragazze negli spogliatoi dopo le attività? Ho saputo che il club di atletica finisce gli allenamenti poco dopo di noi. Allora? Ti piace l’idea?”

Già, le ragazze…

Chissà se a Hinata piaceva già qualcuno nella scuola. O peggio… che fosse già fidanzato. Al solo pensiero ebbe i brividi lungo la schiena e di certo l’aria fredda di autunno non aiutava molto. Ma poi… farsi una riga di cavoli suoi?! Cosa doveva importargliene a lui? Anzi, doveva essere per lo più contento. Ma quando gli passò per la mente l’immagine di lui che stringeva sé il piccolo, ma altrettanto forte, corpo di Hinata, non poteva fare a meno di sorridere, come un ebete. Sentire i loro petti bollenti scontrarsi, entrambi bagnati fradici, le sue braccia che cingevano le spalle dell’altro e sentire il suo dolce profumo misto a quello della pioggia sul collo (che lo faceva sempre pentire di non aver morso quella pelle morbida, marcando così il suo territorio) erano tutti fattori che lo svegliavano puntualmente nel bel mezzo della notte e, all’occorrenza, gli creavano pure un problema molto più duro e crudo.

Sì, lui amava Hinata.

Ma era stato un idiota a non essersene accorto prima. Molto prima. E forse adesso era troppo tardi.

“…yama?”

E che era adesso che rompeva? Non voleva che quello stato di totale concentrazione. Ma già il fatto di non percepire più qualcosa di bagnato insinuarsi nei suoi vestiti lo distraeva parecchio. E ormai il momento magico era scomparso.

“Ka-ge-ya-maaaaaaaaa??”

Era Kitsune che lo stava trascinando sotto un balcone di una casa a qualche isolato più in là rispetto alla scuola, lasciando che l’ombrello proteggesse interamente lui e lasciasse scoperta lei. Kitsune era una brava ragazza: diligente e professionale, anche se aveva una strana passione per il linguaggio dei fiori e a volte gli parlava tramite essi. È successo così tante volte che ormai aveva imparato a memorie tutti i fiori e il loro significato. Oltre a questa particolare mania, aveva anche un caratteraccio. Era parecchio lunatica e le giornate in cui era di malumore erano nettamente di più rispetto alle giornate in cui era gentile e solare. Però con Kageyama cercava sempre di mantenere un carattere stabile: un gesto gentile compensato da un gesto brusco. Anche adesso aveva messo il benessere di lui prima di lei, offrendogli l’ombrello, ma al contempo lo stava strattonando al polso con non poca forza. Arrivati sotto al balcone Kitsune frugò attentamente nella sua borsa, per poi tirare fuori un asciugamano e lanciarglielo in testa.

“Tieni, tanto oggi non abbiamo gli allenamenti. Abbiamo solamente discusso per la prossima partita”

Kageyama sapeva che lei faceva parte del club di basket. E si ricordava anche di averla vista una volta giocare a tirava delle sberle al canestro, da farlo traballare. Non si stupiva poi del fatto che la presa della sua mano fosse così ferrea.

“Grazie” rispose solo, ancora troppo assorto.

“E quindi?”

“Quindi, cosa?” Odiava il fatto che lei a volte non fosse chiara nelle sue domande.

“Che ci facevi sotto la pioggia, con l’ombrello chiuso in mano per giunta, a sorridere in un modo che, mamma mia, penso che avresti fatto scappare tutti gli yokai (spiriti maligni) della zona!” strepitò con la sua voce stridula.

Poteva sembrare sembrare a prima vista una ragazza sensibile, timida e soprattutto con la voce flebile, flebile. Ma appena ti prendeva in confidenza, essa cambiava radicalmente il suo carattere. Kageyama stesso ci aveva messo un sacco di tempo per abituarsi al suo “nuovo” modo di rivolgersi a lui. Il corvino espirò rumorosamente portandosi due dita alla base del naso vicino agli occhi, in segno che non era molto felice di fare quella conversazione.

“Ero totalmente con la testa fra le nuvole, che non mi ero accorto di ciò che mi circondava”

“Ah, sì?” si stupì molto del fatto che non si fosse neanche accorto che un nanetto poco più alto di lei con un indomabile chioma arancione lo stesse praticamente stalkerando.  Ma preferì rimanere zitta.

“Sì, ora se vuoi scusarmi” si interruppe per asciugarsi velocemente i capelli per poi ripassargli l’oggetto con un cenno alle testa, per ringraziare “Devo tornare a casa” Fece per per voltarsi, ma venne preso da una mano alla spalla, per essere poi sbattuto contro la vetrina di un negozio che vendeva vari tipi di dolci.

Kageyama sollevò gli occhi al cielo esasperato.

“Kitsune, sei in vena di scherzi? Perché se è così sappi che io non lo sono. E voglio pure andare a casa a farmi una doccia. Quindi, per favore, mi lasceresti andare?”

“Mmmmm, fammi pensare un po’…” posò l’indice sul labbro inferiore con aria interrogativa “No!” rispose divertita, come una bambina.

“Ti prego, Kitsune! Cosa vuoi fare?” alzò un po’ la voce, cercando di essere paziente.

“Solo questo” gli rispose avvicinandosi paurosamente al suo viso. Di certo aveva scoperto un nuovo dettaglio di Kitsune: aveva gli occhi bicromatici. L’occhio destro riversava più su un colore tendente al grigio, che all’azzurro, ma era un dettaglio che nessuno poteva notare. I suoi pensieri su quanto gli occhi bicromatici fossero strani e su come sarebbero stati a Hinata (perché poi aveva pensato a lui anche in questo momento?!) furono fermati da un improvviso bacio da parte dell’ultima persona da cui se l’aspettava.

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Kitsune aveva deciso di essere temeraria, più di quanto Kageyama ricordasse. Prima era partita con un bacio a fior di labbra, per poi marcare i contorni delle labbra di Kageyama con la lingua e insinuarsi dentro le suddette. Il corvino fece resistenza tenendo ben serrata la bocca. Almeno il suo primo vero bacio avrebbe voluto riceverlo da Hina- ehm, dalla persona da cui voleva essere veramente baciato. Un rumore brusco di un oggetto che cadeva e il suono dei passi che schioccavano sotto le pozzanghere d’acqua fermò quel contatto.

Vedendo una distrazione da parte della ragazza, la spinse subito via il più lontano possibile, al di fuori del balcone facendo così che rimanesse sotto la pioggia a bagnarsi ulteriormente. Kageyama si voltò per vedere cosa era accaduto e, con un tonfo al cuore, riconobbe l’ombrello che, messo al contrario, si stava riempiendo di acqua.  Quei pulcini gialli disegnati sopra con sotto uno sfondo arancione, che richiamavano i suoi capelli, potevano appartenere solo a una persona. Era di Hinata.Senza dire niente prese l’ombrello e corse verso l’unica strada percorribile in quell’isolato.

Kitsune, rimasta ormai definitivamente da sola, si lasciò cadere sull’asfalto bagnato, lasciando che l’acqua inzuppasse i vestiti. Pianse solo dall’occhio sinistro, visto che col destro non riusciva più a lacrimare a causa di un incidente in macchina.

“Perché?” chiese alla pioggia singhiozzando.

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Hinata ormai aveva perso il conto di quante volte avesse detto nella sua mente:”Al diavolo!”. Perché era proprio vero. Tutto poteva andare a farsi benedire, dopo quello che aveva visto. Aveva intuito che quella Kitsune poteva dare dei problemi, ma non credeva fino a questo punto. E dopo aver visto la lingua di lei solleticare le labbra di Tobio…. il suo Tobio… era troppo.

Andò in frantumi, come uno specchio, dove ogni pezzo rotto era un frammento della sua anima. E, anche se ormai era a pezzi, urlava. Sì, urlava da dentro il suo corpo. Sentiva un fuoco che dallo stomaco, risaliva passando verso il cuore, unirsi al suo sangue per poi continuare verso la gola, fino a toccare le corde vocali…

E infine urlò.

Urlò così forte che, nonostante l’orario tardo, una giovane signora accompagnata dal marito vide la scena e, con una morsa al cuore, chiese disperata al compagno:

“Oh, cielo! Caro, non sarebbe meglio fare qualcosa? Un ragazzo a quest’ora che urla sotto la pioggia non è mai un buon segno!”

L’uomo poggiò la mano sulla spalla della moglie, sorridendole calorosamente.

“Non ti preoccupare, tesoro. Quando ti amavo, e non lo sapevi, anche io reagivo allo stesso modo. Vedrai che ci sarà qualcuno che lo aiuterà e lo farà sentire meglio. Abbi fiducia”

E come se lo avesse chiamato, la coppia vide un ragazzo, con un buffissimo ombrello, correre sotto la pioggia preoccupato nella stessa direzione dove era passato prima l’altro ragazzo. E sembrava parecchio di fretta visto che aveva due ombrelli e neanche li utilizzava!

L’uomo avvolse le spalle di sua moglie:”Visto?”

La donna si voltò e gli sorrise, senza dire una parola.

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C’erano un sacco di cose che Kageyama sapeva di Hinata. Che era un rompiscatole, che aveva dei riflessi fantastici, che ogni volta che comprava il cibo dopo gli allenamenti ci impiegava un sacco, che durante le lezioni picchiettava la penna sulle labbra, che aveva una piccola voglia color caffè alla base e che correva tanto. Tanto, molto, troppo veloce. Più di quanto si ricordasse. Quell’urlo che aveva sentito in lontananza era un chiaro segno che doveva muoversi e se ne fregava dello sguardo divertito che quella coppia gli stava rivolgendo. Cosa c’era da sorridere? Quella poteva diventare la peggiore serata della sua vita e nessuno riusciva a capirlo.

Ancora poco. Mancava poco. Piano piano riuscì ad intravedere una chioma arancione in lontananza. Con un ultimo sforzo aumentò la velocità, andando, come molti lo definivano, alla velocità della luce. Nell’oscurità i capelli del piccoletto spiccavano sempre di più per poi passare al collo, (con quell’irresistibile voglia color caffè, che Kageyama voleva tanto mordere)alle spalle che, seppur minute, racchiudevano una potenza degna della migliore esca della squadra, alle braccia, alla vita (che voleva tenere con le sue mani), le gambe (oh, se non si era mai reso conto di quanto fossero belle) che voleva sentirle ancorate alla sua vita. E infine anche i piedi divennero visibili. Ormai era a postata di mano.

“Hi-na-taaa!” urlò, buttandosi a capofitto sul corpo del ragazzo che, sfortunatamente, perse l’equilibrio facendoli cadere entrambi su una grande pozzanghera alquanto profonda (tra tutte le pozzanghere in cui potevano cadere, proprio quella più grande e profonda?!)

E come se non fossero già abbastanza bagnati, la pozzanghera contribuì a inzupparli per bene. E anche la pioggia non sembrò essere d’aiuto visto che si infittì ancora di più, come se volesse nascondere qualcosa. Un sentimento, un desiderio, una paura, una lacrima o un dolore freddo crudele. Hinata fece per rialzarsi per ridarsi alla fuga, ma stavolta Kageyama non lo avrebbe lasciato andare. Se lo sarebbe tenuto ben stretto, perché era l’unica persona che voleva vicino. Prese la mano di Hinata, fredda e tremante, e se lo portò vicino a sé, in un abbraccio che non trasmetteva altro che passione e dolore.

“Cosa stai facendo, idiota?!” Lasciami andare!! Lasciami andare!!” si dimenò tirando pugni su quel petto che voleva fare suo, ma non poteva, cercando in tutti i modi di svincolarsi. Dal più stupido, come fargli il solletico, al più disperato, come strappare la stoffa inzuppata della giacca. Cercava di interrompere quel contatto  che gli arrecava solo dolore e altre lacrime, che via via la pioggia disperdeva.

Ma alla fine cedette esausto. Le ginocchia mollarono e il corpo si lasciò sostenere solo dalle forti braccia del corvino. Quest’ultimo circondò meglio le spalle dell’altro per poterlo sostenere meglio, avvicinando i loro corpi sempre di più, così tanto che i loro cuori pulsanti parvero unirsi in un unico organo che alimentava la loro fiamma. E non ci fu cosa migliore per Kageyama che sentire il pianto dirottante del più piccolo farsi sempre più tenue, riducendosi solo ad un singhiozzo. Ma le ginocchia non ne volevano sapere di tornare a svolgere il loro lavoro e Kageyama era allo stremo.

Ricaddero di nuovo su quella dannata pozzanghera e l’abbraccio si sciolse per un attimo.

“No…” mormorò Kageyama con voce soffocata, preoccupato che il compagno di squadra lo sentisse. Ma questa era la verità. Non voleva che quel contatto si disperdesse nell’aria, mentre la pioggia lo trascinava via. Non voleva che se ne andasse. Ma era logico che Hinata si ritraesse, non trovando però la forza di rialzarsi. Il che rappresentava un vantaggio per Kageyama, che ne approfittò.

“Dove pensi di andare?” lo minacciò sovrastando il piccoletto con il suo corpo. Hinata parve bearsi, ma al contempo spaventarsi di quella posizione che avevano assunto. Sopra di lui Kageyama era bellissimo. Le gambe che sfioravano i suoi fianchi, le braccia che toccavano le sue spalle e quelle gemme blu che lo avevano incatenato al suo di sguardo…

Come aveva fatto a non accorgersi di loro?

Assumevano un solo colore, ma allo stesso tempo le luci mostravano sfaccettature che nessuno sarebbe riuscito a vedere. Notò che i suoi occhi non erano proprio blu, ma avevano dei filamenti bianchi e verde acqua, che lo rendeva ancora più bello e misterioso. Qualunque colore fosse stato era bellissimo. Quel colore era solo suo. Ma il suo pensiero  si spostò agli occhi magnetici di Kitsune e subito un senso di nausea lo pervase. Distolse lo sguardo stizzito.

“Hinata…”

“Non mi parlare” gli rispose secco.

Il corvino prese il mento del più piccolo, costringendolo a fissare il suo volto. Lo stato in cui riversava Hinata lo faceva star male: bagnato, tremante, occhi gonfi e col cuore spezzato.

“Per favore, ascoltami”

“Ti prego, non darmi false aspettative…” mormorò avvilito.

Kageyama lo guardò stranito non capendo il senso della sua frase. False aspettative di cosa? Portò il suo pollice sul labbro del più piccolo, toccandole ed estasiarsi per la loro morbidezza. Erano rosee, anche se in alcuni punti screpolate, come se la pioggia e il freddo non avesse fatto alcun effetto (a differenza sua che invece erano fredde e, molto probabilmente, avevano assunto un colore violaceo)

Si avvicinò considerevolmente al suo viso, assaporandone ogni minimo dettaglio. Come una piccola macchia di caffè sulla tempia, che iniziò a baciare leggermente, per poi scendere sotto l’occhio, la guancia fino a sfiorare l’angolo della bocca. A quel contatto Hinata si sottrasse dal suo corpo, dal suo sguardo, dalle sue labbra.

“Perché mi fai tutto questo?” ricominciò a lacrimare, portandosi le mani sul viso per coprire il suo dolore “Perché?!” urlò totalmente fuori di sé dalla tristezza, dalla disperazione, dall’amore che lentamente uccideva il suo spirito e il suo corpo.

“Perché ti amo, idiota!!!”

“Eh?” il tempo si fermò in un assordante silenzio, la pioggia parve quasi rallentare, come se fosse in ascolto.

“Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, TI AMO!!!” ripetè a pieni polmoni, fregandosene di chi poteva sentirli.

“Ti amo, bakahina…” terminò con un singhiozzo e lentamente una lcrime scivolò via dal suo controllo, piccola e leggera che si andò ad unire al cielo piangente.

Da suo canto Hinata lo guardava senza parole.

“Ah…eh…ah…” riuscì a dire solo questo, visto che ogni parola del suo vocabolario mentale svaniva, lasciando spazio solo a due parole: ti amo.

“No…non posso” negò il più piccolo, alzandosi e arretrando spaventato “Io…tu…” affrettò il passo scendendo dal marciapiede.

“Hinata!!! Attento!!!” l’urlo di Kageyama lo raggiunse ovattato.

Nel primo battito di ciglia vide Kageyama prendere la rincorsa.

Nel secondo battito di ciglia lo vide tendere le braccia verso di lui.

Nel terzo battito di ciglia vide il viso del corvino così vicino da sfiorare il suo naso e un paio di braccia spingerlo verso di lui.

E il camion passò.

Il rumore del clacson li assordò, mentre il veicolo sbandò un po’, proseguendo senza tenere conto dei due ragazzi che si stavano stringendo.

“Idiota!!!” lo sgridò Kageyama affondando la faccia nei capelli di Hinata “Cosa sarebbe successo se ti avesse preso?!”

“Eh?”

Le mani del corvino lo strinsero più vicino al suo corpo, facendogli percepire tutta la sua preoccupazione e spavento.

“Adesso lo capisci? Se fossi stato un semplice compagno di squadra per me, non ti stringerei come se fossi la cosa più importante della mia vita, non ti avrei continuato a fissare durante il giorno, non sarei stato geloso di Sugawara e tutti gli altri che ti toccavano e io no, non avrei questo impulso di farti mio e di sentirti accanto a me in ogni momento! Se qualcuno mi chiedesse perché ti amo non saprei che dirgli, perché quando ami veramente qualcuno non c’è motivo per tenergli così tanto…”

Questi prese il viso di Hinata con le mani per sentire quell’impercettibile calore che gli era rimasto.

“Adesso che sai i miei sentimenti…”

“Ti amo…”

Quelle parole sfuggite dalle sue labbra rosee parvero quasi un canto angelico, una lirica alle orecchie di Kageyama.

“…ma quando ti ho visto con Kitsune, ecco, ho pensato che tutto fosse finito”

Hinata sentì le punte degli occhi pizzicargli, ma cercò di mantenere il controllo. Non voleva di certo mostrarsi di nuovo debole e patetico.

Kageyama ruotò gli occhi, schifato al solo pensiero di quell’evento. Non che odiasse Kitsune, però non gli era mai interessata.

“Ah, giusto… È successo un casino con lei. Ci siamo incrociati e volontariamente mi ha portato sotto quel balcone per parlarmi. Ma poi le cose sono andate a finire in quel modo…”

“E io come faccio a fidarmi di te?”

Kageyama sciolse l’abbraccio prendendo le dovute distanze per spiegargli una volta per tutte la verità.

“Hinata…” sospirò stanco “Ti è sembrato che fossi felice di quel contatto? O che non mi fossi ribellato?” gli chiese mostrando i polsi, ancora lesionati, dove Kitsune aveva lasciato il segno cercando di tenerlo fermo.

Gli occhi di Hinata si trasformarono in due fiamme ardenti che, nel buio di quella sera, spiccavano come due soli che scaldavano l’asfalto bagnato. Perché era quello che Kageyama sentiva: calore.

Quel ragazzo riusciva a scaldarlo in ogni momento.

“Ti ha fatto male?” chiese Hinata pendendogli i polsi per accarezzarli con cura maniacale.

“Ti sembra che sia qualcosa di grave?” ci scherzo un po’ su.

“Sì, per me lo è”

“Che stai dicendo, idiota! È stato un mio errore essere baciato da Kitsu-“

“Come ti ha baciato?” il suo viso era tirato e serio, qualcosa che Kageyama non aveva mai visto su Hinata. Però, furbo come era, colse l’occasione.

“Vediamo…” iniziò in tono innocente avvicinandosi di nuovo al compagno di squadra, per poi prendergli il mento con due dita “Ha fatto così…” continuò baciandolo a fior di labbra per la prima volta. Fu molto strano. Per quanto il suo corpo fosse freddo, non era così per le sue labbra. Calde e invitanti.

“Poi così…” disse marcandone i contorni con la lingua “E infine così…” concluse assalendo con tutto il suo corpo quello piccolo e freddo di Hinata. Non ci mise molto a capire che la sua bocca sapeva di vaniglia e che la sua lingua fosse incredibilmente veloce e avida. Sembrava che non aspettasse altro da anni. Forse era sempre stato così. Hinata aveva resistito a questo suo istinto fino ad adesso: era il momento di accontentarlo.

Più volte Hinata si lasciava sfuggire un gemito che lo faceva fremere di eccitazione e più volte si erano fermati a prendere fiato. Ma non bastava mai. Non erano mai sazi. Almeno fino a quando Kageyama non interruppe quel circolo vizioso,

“Adesso lo hai capito?”

Hinata lo guardò con il viso finalmente rilassato, catturando ogni filamento dei suoi occhi, ogni dettaglio delle sue labbra e ogni dettaglio delle sue gote arrossite. Sì, quel viso, quel corpo, quell’anima… adesso erano sue. E lui avrebbe dato tutte queste cose a Kageyama. Perché finalmente un nuovo mondo si era aperto a lui e la chiave era stato proprio Kageyama.

“Sì!” gli rispose con un largo e speciale sorriso.

“Ti amo, bakahina”

“Ti amo, bakageyama”

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Il giorno dopo l’alzatore trovò sul banco tre fiori: un Giacinto viola, una Vedovella e un Garofano rosa. E sotto ad essi c’era un foglietto.

“Perdonami, ti prego – Amore sfortunato – Non ti dimenticherò mai”

Il corvino si lasciò sfuggire un sorrisetto sereno.

“Idiota, guarda che me lo ricordavo il linguaggio, sai?”
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Angolo dell'autrice

Ed eccolo qui, il primo capitolo di una piccolissima serie (2 capitoli XD) su una fic, che originariamente doveva essere lunga due paginette: ecco vi dico solo che ne ho scritte 20! Sono masochista, lo so T T Spero almeno abbiate apprezzato questo capitolo, nel prossimo si passa alla loro vita fuori dal liceo, quindi preparatevi!

Aggiornerò il prossimo capitolo appena potrò, anche se non credo di impiegarci troppo.

Spero seguirete anche il seguito ^^

Yuki.



PER CHI FOSSE INTERESSATO:

Volevo approfondire il personaggio di Kistune, visto che nella storia non ne ho avuto pienamente la possibilità.

Kitsune Murasaki sono entrambi nomi presi dai fiori! Kitsune (da Kitsunenotebukuro) deriva dalla Digitale Purpurea che, nel linguaggio dei fiori significa falsità. Inoltre volevo dire che Kiktsune non è il suo vero nome: essendo lei stessa fanatica del linguaggio dei fiori ne ha cercato uno che la rappresentasse al meglio. Questo per far capire che non è una ragazza proprio da odiare al 100%, visto che lei stessa si considera falsa, ma non riesce a far fronte a questo problema. Per questo si innamora di Kageyama, perchè è talmente disinteressato da tutto ciò al di fuori della pallavolo, che non gli dava fastidio la falsità di Kitsune, ergo lei si sentiva a suo agio in sua compagnia.

Murasaki (da Murasaki no Hana) deriva dalla Viola che significa potere (l'amore ossessivo che ha per Kageyama), regalità (la sua bellezza) e ambizione (fa di tutto per farsi piacere da Kageyama)

Ovviamente su altri siti troverete significati diversi per i fiori che ho citato, io mi sono documenata su due libri (un romanzo e un libro di ricerca), quindi non prendete i significati come assoluti.

Detto questo spero vi abbia interessato un po' XD Forse adesso vedrete Kitsune con un altro occhio (almeno lo spero T T)

Al prossimo capitolo!
   
 
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