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Autore: S h a d o w h u n t e r _    28/10/2016    8 recensioni
AU // Malec //
Pazzo, ecco come si definiva, un folle.
Si guardò la mano sporca di sangue secco, emettendo quello che alle sue orecchie giunse come uno strano verso strozzato.
Quel sangue non era affatto il suo, lo sapeva bene, ma era proprio quello il problema.
[...]
Alec non era mai stato il tipo di persona che si faceva coinvolgere, soprattutto in quel genere di situazioni, ma di fronte a quegli occhi verdi, non aveva avuto alternative.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo #11

Alec aprì lentamente gli occhi, svegliato da un rumore fastidioso nelle sue orecchie.
Sbatté appena le palpebre, momentaneamente accecato dai raggi di luce che filtravano dalla finestra.
Dopo alcuni istanti di stordimento, si rese conto che il suono che aveva sentito proveniva dal suo telefono, abbandonato sul mobiletto situato accanto al letto.
Facendo il possibile per non svegliare Magnus, che lo stava stringendo a mo' di peluche, cercò di liberarsi da quella presa stritolante.
Quando alla fine riuscì a sporgersi abbastanza da afferrare il cellulare, vide ben dieci messaggi e tre chiamate senza risposta di sua sorella.
Prima che potesse anche solo pensare di preoccuparsi - perfino per gli standard di Isabelle una cosa del genere era eccessiva - la suoneria partì nuovamente, annunciando l'ennesima chiamata.
Trattenendo appena un sospiro esasperato si affrettò a rispondere, prima di svegliare anche Magnus.
In realtà, come facesse il ragazzo a continuare a dormire con tutto quel baccano per lui era un mistero.
« Pronto? » mormorò, schiarendosi appena la voce.
Dall'altra parte del telefono si udì un'esclamazione decisamente colorita.
« Finalmente! E' un'ora che ti chiamo, si può sapere che fine avevi fatto? » esordì Izzy, con un tono decisamente irritato.
Alec si stropicciò gli occhi, sforzandosi di reprimere uno sbadiglio.
« Quello che fanno tutte le persone normali a quest'ora Iz, dormivo. » replicò poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Sua sorella restò in silenzio per alcuni istanti, quasi stesse cercando di recepire a pieno quello che aveva sentito.
« Alec, sono le tre del pomeriggio. Sei sicuro di sentirti bene? » replicò poi, riuscendo a far trasparire tutta la sua preoccupazione da ogni singola parola.
Alec sgranò gli occhi sconvolto, cercando con lo sguardo l'orologio appeso alla parete opposta.
Constatò con non poco stupore che Izzy aveva pienamente ragione: avevano davvero dormito fino a quell'ora indecente.
Certo, l'aver passato l'intera notte impegnato in ben altre attività poteva aver contribuito, ma non credeva di essere stanco fino a quel punto.
« Certo, tutto bene. Ho solo fatto un po' tardi ieri. » borbottò, sforzandosi di non crollare nuovamente a peso morto sul suo cuscino.
Si udì una risatina soffocata, mal camuffata da un leggero colpo di tosse.
« E dimmi fratellone, cosa ti ha tenuto così impegnato da farti fare le ore piccole? » ribatté sarcasticamente sua sorella subito dopo, mentre Alec si colpiva la fronte con una mano.
Come gli era venuto in mente di uscirsene con una frase del genere?
Ora Isabelle gli avrebbe dato il tormento, poco ma sicuro.
Riusciva quasi a sentirla ghignare maliziosamente fin da lì.
« Considerando tutti i messaggi e le chiamate che mi hai fatto presumo volessi dirmi qualcosa. » le rispose semplicemente, decidendo di ignorare bellamente quella sua insinuazione.
Negare sarebbe stato uno sforzo inutile: sua sorella avrebbe comunque continuato a pensare che se la stesse spassando con il suo ragazzo.
E aveva tutte le ragioni di farlo.
Alec si affrettò a scacciare dalla sua mente le immagini tutt'altro che caste di quanto era successo la sera prima, tornando a concentrarsi sulla conversazione.
« Sì. Ti aspetto al nostro solito bar tra 15 minuti. Non fare tardi o, parola mia, verrò a prenderti a casa e ti trascinerò di peso. » affermò la ragazza con la sua solita sicurezza, per poi riattaccare senza dargli neanche il tempo di replicare.
Alec sospirò per l'ennesima volta, rassegnato al fatto di doversi sbrigare a raggiungerla.
Non metteva in dubbio infatti, che Iz sarebbe stata più che capace di mettere in atto quella sua minaccia e, per quanto possibile, doveva tenerla lontana da Magnus.
Scoccando un'ultima occhiata al ragazzo, che sembrava ancora dormire profondamente, si alzò lentamente del letto.
Nel giro di pochi minuti fu pronto ad uscire per andare ad incontrare sua sorella.
Per un attimo valutò la possibilità di svegliare Magnus per avvisarlo, per poi scacciarla subito dopo.
Sapeva che gli avrebbe fatto delle storie inutili sulla pericolosità di andare in giro da solo, e francamente preferiva evitare l'ennesima discussione in cui lo invitava a rifugiarsi in un qualche paese sperduto.
Scrisse velocemente un biglietto con cui lo informava che sarebbe tornato presto, lasciandolo sul cuscino affianco a lui. Poi, lasciò la stanza da letto.
Prese le chiavi dal mobiletto all'ingresso ed uscì, scacciando uno strano senso d'inquietudine.

***

Alec camminava a passo spedito per le strade della città, stranamente deserte a quell'ora.
Aveva trascorso gli ultimi minuti cercando di spiegarsi perché mai Isabelle avesse voluto vederlo con tanta urgenza.
L'unica idea plausibile, era quella dell'intenzione della ragazza di sottoporlo ad un interrogatorio degno di questo nome su di Magnus.
Sperava vivamente di sbagliarsi: non sapeva davvero che cosa avrebbe potuto inventarsi in quel caso.
Era tutt'altro che bravo a mentire, sopratutto poi a quella piccola peste; avrebbe finito col coglierlo con le mani nel sacco nel giro di pochi istanti.
D'altra parte, però, non poteva certo permettersi di dirle la verità.
Non che credesse che in tal caso lei lo avrebbe tradito, confessando tutto a sua padre e facendo arrestare Magnus - sapeva che non ne sarebbe mai stata capace - ma non aveva nessuna intenzione di farla finire nei guai insieme a lui.
Perché di certo la forte e coraggiosa Isabelle non se ne sarebbe mai stata con le mani in mano, mentre qualcuno minacciava l'incolumità del suo fratellone.
Scosse appena la testa, intenerito da quel pensiero.
Sua sorella era sempre stata un vero e proprio vulcano di energia, tanto testarda quanto orgogliosa.
Sotto quel punto di vista sarebbe davvero andata d'amore e d'accordo con Magnus.
Svoltò velocemente nella stradina alla sua sinistra, troppo concentrato sulle sue riflessioni per rendersi conto dell'ambiente circostante.
Quello fu il più grave errore che potesse commettere: se solo si fosse preso la briga di guardarsi intorno con più attenzione, avrebbe notato le figure appostate dietro l'angolo.
« Ciao ragazzino. »
Alec congelò sul posto nell'udire quella voce, ormai sgraditamente familiare.
Russ.
Alec imprecò mentalmente, maledicendosi per la sua stupidità.
Come diavolo era possibile che continuasse ad imbattersi costantemente in quell'individuo?
Quella volta, però, c'era qualcosa che non gli tornava.
Quell'espressione rilassata, quasi strafottente, non lasciava presagire nulla di buono.
Come a voler confermare quei pensieri, altri tre uomini uscirono dall'ombra, affiancandosi a Russ con lo stesso aspetto tutt'altro che rassicurante.
Il moro valutò le sue possibilità di fuga, che divennero inesistenti quando udì degli altri passi avvicinarsi alle sue spalle.
Lo avevano appena circondato.
Maledizione.
« Allora, John, c'è forse qualcosa che ci vorresti dire? »
Alec si voltò a bocca aperta verso il proprietario di quella voce, che aveva già udito solo il giorno prima.
Subito si trovò di fronte ad un avvenente ragazzo ben piazzato, dai capelli biondi e penetranti occhi grigi.
Braxton.
E accanto a lui c'erano Camden e un altro uomo che il moro ricordava con chiarezza di aver visto nella base di Headley.
Che diavolo ci facevano quei tre lì? Da quando lavoravano con gli uomini di Ezekiel?
Quella considerazione passò in secondo piano alla vista delle pistole che gli stavano puntando contro.
Bene, così davvero non aveva alcuna possibilità di cercare di mettersi in salvo, non se voleva evitare di essere trivellato.
Prese un respiro profondo, cercando di mantenere la calma.
Molto probabilmente stava per morire lì in quella squallida stradina, ad appena ventiquattro anni e senza aver avuto la possibilità di dire addio alle persone che amava. Ma per nulla al mondo si sarebbe mostrato debole o spaventato davanti a quegli uomini.
« Cos'è, una riunione di cui non sono stato informato? Spiacente, ma non ho intenzione di entrare nel vostro gruppo di amici del cuore. » esclamò con un ghigno, usando il suo miglior tono sprezzante.
Assurdo come l'influenza di Jace potesse essergli utile in un momento del genere. Peccato che non avrebbe mai potuto ringraziarlo.
Braxton gli rivolse un'occhiata calcolatrice a dir poco inquietante, mentre avanzava verso di lui senza mai togliergli quella dannata pistola di dosso.
« Sai, John, avevo quasi creduto alla tua piccola recita. E come me anche Headley. Immagina la mia sorpresa quando quel ragazzone laggiù mi ha contatto chiedendomi informazioni su un nostro uomo che, a parer suo, si era intromesso nei loro affari. Sorpresa ancora più grande quando mi ha fornito proprio la tua descrizione. » esclamò sarcasticamente, mentre Camden gli girava intorno come a voler valutare ogni sua possibile mossa.
E così, alla fine Dixon aveva davvero cercato di capirne di più sulla sua identità, Magnus aveva ragione.
Se solo gli avesse dato ascolto, magari non si sarebbe trovato in quella situazione.
Ma chi vuoi prendere in giro?
Sarebbe comunque finita così prima o poi, ne era convito dal momento stesso in cui aveva deciso di uscire dal suo prezioso nascondiglio, intromettendosi per salvare la vita a Magnus.
Aveva capito fin dal primo istante che quelle non erano certo il tipo di persone a cui poter pestare i piedi sperando poi di sopravvivere ma, nonostante ciò, sperava di riuscire perlomeno a trovare la maniera di aiutare Magnus prima che lo uccidessero.
Come aveva fatto a restare invischiato con certa gente, dopo tutte le lezioni che suo padre gli aveva dato fin da piccolo?
Se lo avesse visto in quel momento, probabilmente il generale lo avrebbe preso a sberle per essere stato così sconsiderato.
Eppure, non aveva davvero potuto farne a meno.
Alec non era mai stato il tipo di persona che si faceva coinvolgere, soprattutto in quel genere di situazioni, ma di fronte a quegli occhi verdi, non aveva avuto alternative.
Per quanto si potesse pensare il contrario, non riusciva davvero a pentirsi di quella sua scelta.
Dopotutto, era servito a proteggere lui.
Anche in quel momento, ad un passo da morte certa, continuava a pensare che per Magnus ne era valsa la pena.
Se quello era il prezzo da pagare per aver potuto finalmente trascorrere alcuni giorni con la persona di cui era innamorato, non aveva proprio di che lamentarsi.
Già, perché a quel punto tanto valeva ammettere la verità: si era innamorato di Magnus.
Avrebbe solo voluto avere la possibilità di dirglielo, di fargli sapere che nonostante le cose orribili che pensava su sé stesso, qualcuno era riuscito a vederlo per quello che era davvero e lo amava per questo.
« Non hai nulla da aggiungere? »
Russ si avvicinò con un ghigno inquietante sul volto, evidentemente più che entusiasta di poter finalmente dare il benservito al moccioso che gli aveva creato così tanti problemi.
Alec si rifiutò di rispondergli, continuando a mantenere la sua espressione imperscrutabile.
« Non dici niente? Rispondi almeno a questa domanda: se non sei uno dei nostri uomini, né una spia di Dixon, chi accidenti sei? » lo interrogò Braxton, utilizzando quello che senza dubbio doveva essere il suo miglior tono inquisitorio.
Alec ghignò, rivolgendo all'altro un'occhiata sprezzante.
« Ti piacerebbe saperlo vero? Sta' tranquillo, prima o poi lo scoprirai, puoi starne certo. Peccato che allora sarà troppo tardi. Per tutti voi. » replicò poi con decisione, senza staccare gli occhi dagli individui davanti a sé.
La sua poteva sembrare una minaccia, e in un certo senso lo era: prima o poi suo padre e i suoi fratelli sarebbero riusciti a catturarli, e allora per loro sarebbe stata la fine.
Braxton ringhiò, puntando poi la pistola dritta verso il cuore di Alec.



Isabelle continuava a tamburellare nervosamente sulla superficie di legno del tavolo, rivolgendo continuamente delle occhiate preoccupate all'orologio appeso sul fondo della stanza.
Suo fratello era in ritardo di ben venti minuti, e per ogni secondo che passava, la sua ansia cresceva sempre di più.
Forse per chiunque altro una reazione del genere avrebbe potuto essere esagerata, ma non per lei: Alec non era mai in ritardo, per nessun motivo.
Il fatto poi che non si fosse neanche dato pena di avvisarla non faceva altro che insospettirla.
Afferrò bruscamente il cellulare, provando per l'ennesima volta a telefonargli, nel tentativo di capire dove si fosse andato a cacciare.
Continuava a squillare a vuoto, di nuovo.
No, decisamente c'era qualcosa che non andava.
Si alzò, lasciando alcuni dollari per il caffè che aveva preso mentre aspettava suo fratello, dirigendosi poi velocemente all'uscita del locale.
Facendo il possibile per scacciare la morsa d'inquietudine che le stringeva il petto ogni minuto di più, si avviò a grandi passi verso casa di Alec, decisa a verificare la situazione di persona.
Magari per uno strano scherzo del destino quella volta suo fratello era davvero semplicemente in ritardo e le sue paranoie si sarebbero verificate inutili.
Tuttavia, aveva imparato molto tempo fa a fidarsi ciecamente del suo innato istinto che non l'aveva mai abbandonata, e che in quel momento le stava gridando di fare il più in fretta possibile.
Era quasi giunta a destinazione, quando una figura attirò la sua attenzione.
Si avvicinò cautamente, pregando tutti i santi che le venissero in mente di far sì che quella fosse solo un'orrenda allucinazione.
Non può essere vero.
Davanti a lei, Alec era steso in una pozza di sangue.
« Oddio... Oh mio Dio, Alec... Cosa... » riuscì appena ad articolare in preda al panico più intenso che avesse mai provato in vita sua, mentre si lasciava cadere in ginocchio al fianco del fratello.
Lo voltò delicatamente, inorridendo nel posare gli occhi sul foro di un proiettile che lo aveva colpito a pochi centimetri dal cuore.
Respirando a fatica Isabelle poggiò due dita sul collo del ragazzo, rischiando seriamente di svenire quando sentì il suo battito sempre più lento e scostante.
Okay, mantieni il controllo, è ancora vivo. Lo puoi salvare.
« Pronto? »
La ragazza realizzò di aver tirato fuori il cellulare chiamando la base, solo quando udì la voce di Caleb provenire dall'altro lato della linea.
Il suo corpo aveva agito in automatico, facendo ciò che la sua mente annebbiata non era in grado di afferrare.
« Dovete mandare qualcuno immediatamente... Io non... Siamo all'imbocco di Richmond Road. » balbettò singhiozzando, sforzandosi di farsi capire dall'altro.
Si udì un vociare indistinto, e diverse frasi scambiate in tono concitato: evidentemente Caleb aveva fatto in modo di mettere anche gli altri in ascolto di quella telefonata.
Non che la cosa potesse sorprenderla di più di tanto.
Sentirla ridotta in quello stato doveva aver fatto giustamente pensare al soldato che fosse appena successo qualcosa di grave, di molto grave.
« Isabelle, cerca di calmarti e spiegami la situazione. » affermò con sicurezza un'altra voce, quella di Shane.
La ragazza prese un respiro profondo, cercando di riprendere il controllo sufficiente a formulare una frase di senso compiuto.
« Hanno sparato ad Alec. La ferita è a pochi centimetri dal cuore, le sue condizioni sono critiche. Inviate qualcuno, adesso. » articolò poi a fatica, facendo il possibile per controllare la sua voce rotta dal pianto.
A quell'affermazione proruppero delle imprecazioni oltremodo colorite, seguite da ordini gridati a piena voce per mettere tutti in azione.
« Pochi minuti e saremo lì. »
Isabelle lasciò cadere il telefono a terra, stringendo suo fratello a sé.
Gli scostò delicatamente i capelli dal viso, ignorando volutamente il suo colorito cinereo e il respiro affaticato.
« Alec gli aiuti stanno arrivando, starai bene vedrai. Cerca di resistere, ce la devi fare. Ti supplico fratellone non lasciarmi. »  mormorò, lasciandogli un leggero bacio sulla fronte, umido di lacrime.
Lui non poteva morire, non la poteva abbandonare.
Alec era la sua ancora, il suo protettore, la persona di cui si fidava di più al mondo e su cui poteva costantemente contare.
Fin da piccoli era sempre stato lui a prendersi cura di lei, supportandola e incoraggiandola; ogni volta che cadeva, Alec era lì pronto a prenderla, senza chiedere mai nulla in cambio.
Quando la loro madre era stata assassinata, era stato soltanto grazie a lui se era riuscita ad andare avanti: si era sforzato di essere forte per entrambi, dormendo insieme a lei ogni notte per settimane, perché solo stretta tra le braccia del fratello riusciva a mandare via gli incubi.
Non ce l'avrebbe mai fatta, non senza di lui.
Alec era la persona più leale, più forte e più buona che esistesse, e chiunque fosse stato a fargli una cosa del genere l'avrebbe pagata molto cara.
Spera per te che io non riesca mai a trovarti, perché se dovesse succedere ti farò a pezzi con le mie mani. Fosse l'ultima cosa che faccio.
Ma, in quel momento, l'unica cosa che contava era la vita di Alec.
Mancava poco all'arrivo dei soccorsi, sarebbe andato tutto bene. O almeno, questo era quello che continuava a ripetersi per evitare di crollare in mille pezzi.
A quel punto non poteva far altro che sperare, pregando seriamente per la prima volta in vita sua, con ancora il sangue di suo fratello sulle mani.




Magnus era intento a fare l'ennesimo pancake - ignorando volutamente il fatto che fossero quasi le sei del pomeriggio -, quando frustato lanciò con poca delicatezza la padella ancora bollente nel lavandino.
Senza pensarci due volte aprì l’acqua per farla raffreddare, ma si maledì subito dopo per non aver pensato alla fumata che avrebbe realizzato con quel gesto.
Tossendo, sventolò una mano per far dissolvere la nebbiolina che si era andata a creare, cercando nel contempo di chiudere il getto.
« Oh, al diavolo! » esclamò scocciato, afferrando poi il cellulare dal tavolo lì vicino.
Nessuna chiamata persa.
Nessun messaggio ricevuto.

Possibile che occhi blu si fosse dileguato improvvisamente?
Quando aveva aperto gli occhi a pomeriggio già inoltrato, aveva allungato una mano in direzione della parte di Alec, trovandola vuota. E fredda.
Confuso si era alzato a sedere, notando solo in un secondo momento un bigliettino sul cuscino. Magnus aveva dedotto che fosse la calligrafia di Alec, impeccabile come lo era lui.
Non c’era scritto dove fosse, solo che era in compagnia della sorella e che sarebbe tornato nel giro di un paio d’ore. E senz’altro quel paio d’ore erano sicuramente passate.
Ma allora dove cavolo era andato a finire?
Stanco di aspettare, digitò il tasto chiamata sul suo contatto, attendendo il familiare suono della voce del moro.
Il pensiero che stesse cercando di evitarlo dopo ciò che era successo, perché pentito, era sempre più vivido in lui, tuttavia cercava di non darci troppo peso. Insomma, come avrebbe potuto filarsela così lasciando solo un bigliettino con poche frasi scritte?
Scosse la testa, decidendo che di certo non era quella la spiegazione: Alec era abbastanza adulto da riuscire a chiarire una situazione del genere, non sarebbe mai scappato di fronte a un simile problema.
Non l’aveva fatto quando aveva saputo in che giro si era immischiato, figurarsi sepoteva farlo per quello.
"Segreteria telefonica, il cliente da lei chiama-"
Magnus riagganciò, fissando lo schermo con una certa ansia.
Appurato che Alec mai si sarebbe comportato in quel modo, l'unica ipotesi plausibile era che si fosse trattenuto più del previsto.
Ma se era solo questo il problema, per quale motivo non aveva risposto?
Dubitava seriamente del fatto che il suo telefono potesse essere in silenzioso, dopotutto doveva sempre essere raggiungibile per qualsiasi emergenza.
Quell’ultima parola gli fece scattare qualcosa nelle mente: e se stato fosse impegnato in una qualche missione, in bilico tra la vita e la morte? E se fosse stato messo con le spalle al muro? E se non l’avesse più rivisto?
Inghiottendo pesantemente e scacciando l’idea di un Alec completamente riverso a terra, morto, compose nuovamente il numero, battendo a terra un piede in preda al panico.
Se non gli avesse risposto neanche questa volta, si sarebbe recato senza esitazione dal paparino generale. Poco gli importava se l’avrebbero riconosciuto e arrestato, Alec aveva la priorità.
Quando però sentì rispondere, la rabbia prese il sopravvento e, quasi inconsciamente, si ritrovò a sbraitare.
« Brutto imbecille che non sei altro, perché non mi hai risposto?! Mi hai fatto preoccupare da morir- »
« Scusa, saresti? » una voce femminile giunse alle sue orecchie, e in un attimo si zittì.
Quella doveva senza dubbio essere Isabelle, la sorella di Alec.
Perché era lei a rispondergli? Ma soprattutto, perché sembrava avere la voce spezzata dal pianto?
« Alec..? » domandò, sentendo il cuore battergli in petto più velocemente del normale.
La sentì trattenere un singhiozzo, e l’ansia cominciò ad espandersi all’interno del suo corpo con una velocità disarmante.
« Alec è.. Non può rispondere al momento, lui è.. » sussurrò, tirando su con il naso.
A Magnus si ghiacciò il sangue nelle vene, mentre i peggiori scenari possibili andavano a crearsi nella sua mente.
Non poteva essere, non doveva, non..
« Dov’è adesso?! » quasi urlò, passandosi una mano tra i capelli e sperando con tutto il cuore che non fosse come pensava, che non fosse successo niente di quello che credeva.
Alec stava bene, doveva star bene per forza.
« E perché mai dovrei dirtelo, non so nemmeno chi sei! » ribatté Isabelle, alzando anche lei la voce ma sforzandosi chiaramente di trattenere le lacrime.
Magnus era certo che stesse piangendo, nonostante la ragazza sembrava fare il possibile per non apparire debole.
« Non sono nessuno, ma credimi, tuo fratello è molto importante per me. » rispose, mentre un nodo gli si formava in gola, impedendogli quasi di respirare.
Se gli fosse successo qualcosa, lui.. Non lo sapeva. Non ci stava più capendo niente, l’unica cosa che voleva era sapere come stava.
Voleva solo che Isabelle gli dicesse che era vivo.
« Come fai a sapere che sono.. Aspetta, tu sei il suo nuovo ragazzo? » gli chiese allora, cercando di darsi un contegno.
Sembra distrutta dal dolore.
Magnus non disse nulla, non voleva mentirle, ma doveva assolutamente sapere che cosa stava succedendo.
L’attesa lo stava logorando dentro, avvolgendolo sempre di più in una stretta quasi dolorosa.
« Qualcuno ha tentato di ucciderlo, ma non sappiamo ancora chi. »
Magnus cadde in un silenzio scioccato, momentaneamente incapace di eleborare quanto era appena giunto alle sue orecchie.  
Avevano cercato di ucciderlo..?
Tutte le sue paure più grandi sembravano aver preso vita in quell’esatto momento, trascinandolo in un oblio senza fine.
Li avevano scoperti.
« Cazzo, lo sapevo che non doveva immischiarsi così! - cominciò, mentre sentiva la voce scendere di un ottava - Sono stato un coglione! Ti prego dimmi come sta, dove siete, io.. »  si interruppe, mentre sentiva di star per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Tuttavia, non era certo il momento giusto per lasciarsi travolgere dalle emozioni.
Troppo preso dalla situazione, non si era nemmeno reso conto di ciò che era appena uscito dalla sua bocca.
« Mi stai dicendo che è colpa tua se adesso Alec è in coma? » il tono di Isabelle era fermo, glaciale.
Se solo lo avesse avuto di fronte molto probabilmente lo avrebbe ammazzato seduta stante.
Ma non si soffermò minimamente su quel pensiero, non dopo quello che aveva appena sentito.
In coma. Alec era in coma.
Sferrò un pugno al muro con violenza, mentre sentiva le lacrime spingere per uscire. Il dolore alla mano era quasi inesistente in confronto al dolore che il suo cuore stava provando in quel momento.
Era tutta colpa sua.
Era solo un mostro.

« Per favore dimmi dove siete, devo vederlo. » la pregò, cercando di calmare il suo respiro sempre più affannoso.
Si sentiva come se le forze lo avessero improvvisamente abbandonato, lasciandolo a crogiolarsi nel suo dolore.
« Stai lontano da mio fratello. » sibilò la ragazza, poi attaccò.
Magnus lasciò cadere il telefono a terra inconsciamente, mentre lo sguardo si perdeva in un punto indefinito.
Si sentiva come un contenitore vuoto, vecchio e inutile.
Avrebbe dovuto tagliare i rapporti con lui fin da subito, avrebbe dovuto essere più intelligente, avrebbe dovuto fermarlo.
Ma non l’aveva fatto perché, da egoista quale era, aveva finito con l’innamorarsi di Alec.
Con quel suo animo gentile e con quegli occhi blu come il mare, era stato capace di fargli credere che perfino lui potesse avere una seconda possibilità.
Si era sbagliato di grosso, e un ragazzo buono ed altruista che aveva fatto di tutto per proteggerlo, rischiava di morire per causa sua.
Una sola lacrima gli rigò la guancia, ma Magnus non si preocuppò minimamente di asciugarla.
Non si ricordava nemmeno più l’ultima volta che si era permesso di piangere, di lasciare emergere il suo dolore in quel modo.
Sapeva di dover dare ascolto ad Isabelle, di doversi allontare il più possibile da Alexander. Ma non poteva.
Egoista.
Doveva vederlo, accertarsi che stesse bene.
Poi, sarebbe sparito davvero dalla sua vita, senza lasciare traccia.
Strofinandosi leggermente gli occhi con le dita, si precipitò all’ingresso, deciso a cercarlo in tutti gli ospedali possibili pur di trovarlo.
Peccato che tutte le sue convinzioni vennero brutalmente calpestate nell'esatto momento in cui aprì la porta.
A solo pochi metri dall'abitazione del moro, difatti, si trovò circondato da un branco di energumeni dall'aria tutt'altro che rassicurante.
« Bane, sei accusato di traffico illegale d’armi. » esordì un ragazzo biondo e dalla corporatura massiccia, muovendo un passo nella sua direzione.
Merda.
Proprio in quel momento dovevano arrivare quei maledettissimi soldati?
Scattando in avanti cercò di farsi largo, ma due solide braccia lo trattennero per la maglia, inchiodandolo subito dopo contro il muro.
« Razza di gorilla che non sei altro, lasciami andare! » si ribellò, ma era praticamente immobilizzato.
Sentì il fastidioso rumore delle manette che si chiudevano e si sentì ancora più impotente di prima.
« Spiecente di ostacolare i tuoi programmi, ma dovrai seguirci in centrale. » riprese il biondo con un tono che grondava sarcasmo da ogni singola parola.
Magnus cercò inutilmente di ribattere, mentre veniva trascinato bruscamente verso la fine della strada.
La presa di quel tizio era tanto stretta da fargli vedere le stelle, ma non era certo quello il suo problema più grave.
« Vi prego, per favore ascoltatemi. Volete sbattermi in galera a vita? Perfetto. Anzi, vi dirò io stesso tutto quello che potrebbe servirvi per l'intento. Ma vi supplico, prima lasciatemi andare da lui. » farfugliò, mandando completamente al diavolo il suo orgoglio.
In quel momento non gli importava di niente che non fosse Alec: tutto il resto passava in secondo piano in confronto a lui.
« Shane, fallo stare zitto. » affermò duramente uno degli altri, rivolgendosi al ragazzo che lo stava tenendo.
Magnus riprese a divincolarsi, cercando di sottrarsi a quella presa mortale; loro dovevano dargli ascolto.
« Speravo davvero che lo dicessi, fratello. » sentì dire dal biondo dietro di lui, poi un dolore lancinante alla testa gli fece perdere i sensi, avvolgendolo nell’oscurità.




Ed ecco che l'angst ci assale.
Vi avevamo avvertite, quindi non fateci del male fisico(?) xD
A parte gli scherzi, non abbiamo molto da dire, dato che pensiamo che il capitolo parli da solo xD (sacchi di angst per voi e per noi ç-ç)
Unica cosa che possiamo anticiparvi è che vedrete un altro lato di Magnus, uno dei più nascosti, nonchè forse uno dei migliori :D (My babyy*-*)
Non aggiungiamo altro, semplicemente vi ringraziamo per seguire la storia e per recensirla! Siete delle persone meravigliose e my God, ci ispirate davvero tantissimo <3
Grazie, grazie, grazie! <3
Al solito vi lasciamo il link del gruppo facebook, semmai qualcuna di voi fosse interessata ad iscriversi! Dunque, cliccate qui nel caso -----> https://www.facebook.com/groups/1695283824068412/
Noi vi diamo appuntamento come sempre alla prossima settimana! <3
Bye! <3

   
 
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