Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Love Your Sin    29/10/2016    1 recensioni
Louis/Harry
Conteggio: ~5k
Questa storia partecipa al contest #UominiCheAmano di InsaneB ed ElenaGrimaldi. (CLASSIFICATA #1 POSTO DELLA CATEGORIA FANFICTION)
[In cui Harry è innamorato e scrive di Louis, che è una gamma intera di colori, ma alla fine, oggi e per sempre sarà blu.]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                     
 

FROM THIS DAY FORWARD
HE WILL BE BLUE

 
A chi non smette mai di credere nell'amore
e a chi non ha mai smesso di credere in me.
 

“Ti ricorderò in ogni gesto più imperfetto,
 ogni sogno perso e ritrovato in un cassetto,
in quelle giornate che passavano in un'ora.
E la tenerezza, i tuoi capelli e le lenzuola,
perché se sei felice, ogni sorriso è oro.”
(Tiziano Ferro, E fuori è buio)

 
 
Purple.

“Oggi Louis è entrato in negozio e mi ha sorriso. In quel momento mi è quasi sembrato che il mondo si fosse fermato, tutto girava intorno ai suoi occhi blu elettrico e alle scintille che mettevano ancora più in risalto il colore delle rose sulle sue guance. È così bello, è troppo bello, quanto le violette che in primavera popolano le distese di prato inglesi. Oggi, se Louis fosse un colore, sarebbe sicuramente viola.”

Aveva sistemato il vinile nell’apposito giradischi e posizionato con estrema cura la puntina sul bordo estremo e fragile del disco, poi le note di Bad Medicine avevano invaso l’aria spenta e viziata del negozio. Harry aveva cantato sottovoce le parole – non conosceva bene il testo e ogni tanto improvvisava dei mormorii che lo facevano ridere da solo –, mentre ondeggiava a ritmo di quelle note, ormai completamente perso nella melodia, seduto su uno sgabello dismesso posizionato dietro al bancone. Quella mattina, come spesso succedeva d’altronde, il negozio era vuoto e Jack, il vecchio proprietario, si era rintanato nel retrobottega con una bottiglia di Bourbon stagionato tra le mani callose. Harry lo conosceva da anni e sapeva che, nonostante le cattive abitudini, era un buon uomo – e già soltanto il fatto che gli avesse permesso di lavorare con lui lo dimostrava: Harry è piuttosto goffo e impacciato, sicuramente non il ragazzo più adatto per lavorare in un negozio di vecchi vinili.

Aveva sospirato e poi passato le mani tra i ricci folti e ribelli, raddrizzando velocemente e con gesti ormai consueti la bandana dal motivo americano con cui li teneva lontani dal viso. Non aveva nemmeno sentito il campanellino acuto tintinnare con forza quando la porta era stata aperta, e quasi era sobbalzato sul posto, rischiando di rovesciare a terra dalla sedia, nel vedere di fronte a sé il ragazzo che gli aveva occupato testa e cuore nelle ultime settimane. Si era ricomposto immediatamente, nascondendo l’imbarazzo con qualche colpo di tosse, e gli aveva sorriso con tanto di fossette. «Ciao. Come posso aiutarti?»

Le guance gli si erano arrossate e aveva cominciato a farsi aria con un volantino del corso di chitarra tenuto dal nipote di Jack. Aveva dato la colpa al caldo, ma nella campagna inglese le temperature erano piuttosto basse in estate, figuriamoci in pieno novembre. Aveva sentito Louis sbuffare una risata e aveva notato il modo in cui aveva stretto le labbra in una buffa linea sottile per cercare il più possibile di trattenersi di fronte all’ingenuità di Harry.

«Ciao Harry» lo aveva salutato, alzando leggermente una mano e stringendosi con forza il giubbotto sul petto a causa di una folata di vento entrata dalla finestra stranamente aperta. «Avete per caso la prima edizione di Heroes di Bowie? Lo cerco da tempo, ma tra un acquisto e l’altro è sempre rimasto accantonato in fondo alla lista.»

Il riccio si era limitato ad annuire, mantenendo lo sguardo incastrato in quello cristallino dell’altro. Poi gli aveva fatto cenno di seguirlo nel retrobottega – non che potesse portarci i clienti, ma Louis era pur sempre Louis. Gli scaffali erano impolverati e ricolmi di scatoloni, da cui fuoriuscivano vinili e dischi da tutti i lati; ogni volta Harry era costretto a coprirsi il naso e la bocca con la mano per evitare che tutta quella polvere gli causasse una reazione allergica e a farlo davanti a Louis si sentiva abbastanza stupido. Mentre controllava l’inventario, aveva notato il vecchio Jack seduto su una sedia di legno marcio al buio, con le labbra incollate al collo di una bottiglia mezza vuota – non aveva mai capito come riuscisse ad ingerire litri di alcool anche alle dieci di mattina, quando lui a malapena era in grado di trattenere un caffè. Louis si guardava attorno con gli occhi spalancati – quei fantastici occhi – e la mani piccole e curate strette attorno agli orli delle maniche del giubbotto invernale. Quel posto era davvero freddo, l’impianto di riscaldamento aveva smesso di funzionare ancora prima dell’arrivo di Harry un anno e mezzo prima e il ragazzo non poteva quindi biasimarlo – lui stesso sentiva il gelo penetrargli nelle ossa e lasciare un’impronta profonda del suo passaggio.

«Eccolo qui» aveva esordito, estraendo la custodia da uno scatolone taggato ‘BOWIE’ in pennarello indelebile e brandendola in aria. Lo spazio si era riempito di polvere e il riccio era stato colpito da un attacco di tosse infinto. Louis aveva ridacchiato, fermandosi al suo fianco e osservando rapito la catasta di vinile che li circondava: era sicuramente la definizione perfetta che un appassionato di musica come lui avrebbe dato al paradiso.

Quando avevano lasciato il retro ed erano tornati al bancone principale, una signora sulla cinquantina che stava guardando gli ultimi arrivi si era voltata circospetta verso di loro. Harry l’aveva salutata cordialmente, mostrandosi disponibile ad aiutarla nel caso ne avesse avuto bisogno. Dopodiché aveva infilato il disco di Bowie in una borsa di plastica trasparante su cui era stampato il nome del negozio e aveva abbandonato tutto sul bancone. «Sono sedici sterline» aveva affermato Harry, staccando lo scontrino e inserendolo nella busta, prima che Louis la raccogliesse.

«Grazie mille, Harry» lo aveva salutato il ragazzo prima di uscire, regalandogli un sorriso – ed era del tutto normale il fatto che Harry avesse pensato di volere che quel sorriso lo facesse soltanto a lui, con lui e per lui. «Ci vediamo!»

«Certo» aveva sussurrato in risposta il riccio, quando ormai Louis non avrebbe più potuto sentirlo. Sotto lo sguardo giudizioso della donna che continuava a vagare tra gli scaffali, si era lasciato cadere sullo sgabello e aveva sospirato sconfitto.

Louis lo faceva sentire sempre così piccolo e grande, al tempo stesso, che la cosa lo spaventava.
 
Yellow.

“Oggi Louis è passato di nuovo in negozio e mi ha chiesto se volessi prendere qualcosa da bere con lui. Aveva gli occhi lucidi e le guance chiazzate del colore dei papaveri, che spiccava sulla chiara pelle della medesima tonalità delle margherite in un modo estremamente dolce e pittoresco. In quel momento mi sarebbe piaciuto essere un pittore per poter incollare al foglio ogni singola sfumatura che gli giocava sul viso illuminato dai pallidi raggi del sole novembrino. Louis è così bello, così bello che più bello di lui non c’è nessun altro al mondo ai miei occhi, proprio come è bello il sole più di ogni stella che risplende nella notte. Se Louis fosse un colore, oggi sarebbe stato sicuramente giallo.”

Harry aveva lasciato cadere a terra i fogli del bilancio delle entrate dell’ultimo mese, quando Louis gli aveva fatto quella proposta. All’inizio, aveva persino pensato che lo stesse prendendo in giro o di esserselo immaginato perché, avanti, uno come Louis non potrebbe mai chiedere a uno come lui di bere qualcosa insieme. Louis lo aveva guardato con una scintilla divertita nelle elettriche iridi blu e Harry non ci aveva capito più nulla.

Venti minuti dopo, erano seduti entrambi al tavolino di una tavola calda sul lato opposto della strada e Harry aveva lo sguardo perso oltre il vetro della finestra, perché la cioccolata che aveva ordinato era ancora troppo bollente e guardare Louis lo avrebbe messo estremamente in imbarazzo. Non era bravo a cominciare le conversazioni, lui: finiva sempre per portare il discorso su argomenti inconcludenti e sconvenienti, arrossiva e le labbra gli si appiccicavano l’una all’altra.

Fortunatamente Louis doveva aver capito dal suo semplice sguardo quello che stava provando. Mentre prendeva un sorso del suo tea caldo alla cannella aveva richiamato la sua attenzione. «Come sei finito a lavorare in quel vecchio negozio?» gli aveva chiesto, appoggiando la tazza ed incrociando le braccia sul legno di mogano del tavolo. Sembrava davvero interessato ed Harry ne era rimasto piacevolmente sorpreso, sebbene la paura di deludere le sue aspettative lo avesse fatto rabbrividire nel profondo.

«Beh, Jack era una vecchia conoscenza e ho sempre amato qualsiasi cosa avesse a che fare con la musica» aveva cominciato, girando con estrema lentezza il cucchiaino dal manico intarsiato. «Ho pensato che sarebbe stata una bella occasione per fare ciò che mi piace e nel frattempo mettere da parte qualche risparmio per non pesare più sulle spalle dei miei genitori.» Non avrebbe mai pensato di essere in grado di parlare così a lungo senza perdere il filo del discorso e ingarbugliarsi nelle sue stesse parole, allo stesso modo in cui si ingarbugliavano i suoi maledetti auricolari tutte le sere, quando li riponeva nella tracolla consunta. Eppure ci era riuscito e Louis gli stava sorridendo, colpito da quella risposta.

«Anche a me piace molto la musica» si era animato Louis, sedendosi composto sulla sedia e raddrizzandosi contro lo schienale duro. «Suono il piano da quando ho undici anni e ho anche iniziato un corso di violoncello, quando ero piccolo. Mi hanno sempre detto che avevo del potenziale – sai, la solita cosa che si dice a tutti i bambini per incoraggiarli -, ma ho dovuto smettere quando è nata mia sorella.»  

E così Harry aveva scoperto che Louis aveva ventiquattro anni – cinque più di lui – e lavorava part-time in una piccola panetteria del centro, aveva ben sei fratelli – cinque femmine e un maschio – più piccoli, che amava con tutto se stesso, una madre per cui avrebbe dato la vita, un padre che non vedeva da quando ancora faticava ad allacciare le scarpe da sole, due patrigni che, pur non avendo alcun obbligo nei suoi confronti, gli erano sempre stati accanto. Amava il calcio e tifava per i Red Devils, le pareti della sua camera erano ancora rivestite di foto autografate e di posters del Manchester United, era stato il capitano della squadra del suo liceo e per questo tutti all’epoca lo consideravano di un gradino superiore a chiunque. Louis si era definito un ragazzo come tutti gli altri, niente di speciale – al che Harry aveva scosso la testa ridacchiando, perché Louis era la creatura più perfetta che lui avesse mai visto solcare le strade dell’intero paese – dalla mente brillante e curiosa. A detta sua, era estremamente testardo e lunatico, il classico ragazzo dal carattere difficile – come diceva sua madre alle amiche, ogni qual volta parlasse di lui. Amava prestare attenzione anche ai dettagli più insignificanti e ogni tanto scriveva canzoni, ma non era poi così bravo quindi finivano sempre segregate in un cassetto della scrivania, di modo che nessuno le trovasse. Harry aveva notato che spesso, mentre parlava, corrugava la fronte per la concentrazione o giocava con le unghie rovinate, quando doveva dire qualcosa che lo faceva sentire a disagio; quando sorrideva, invece, gli occhi si circondavano di tenere rughette che ricordavano le increspature delle acque del mare sotto la forza della brezza invernale.

Harry, al contrario, aveva raccontato poche cose di sé. «Davvero non c’è molto da dire.»

Louis lo aveva scrutato oltraggiato. «Avanti, Harry! C’è sempre fin troppo da dire riguardo a se stessi.»

Per cui, alla fine, gli aveva parlato della sua famiglia e di quanto bene volesse a sua madre, che lo aveva appoggiato in ogni sua scelta, e del bellissimo rapporto che aveva con sua sorella maggiore – una ragazza intelligente e coi capelli viola da cui sicuramente aveva eredito l’eccentricità, una donna con la D maiuscola. Gli aveva parlato della campagne inglesi in cui era cresciuto e dei litorali toscani dove passava le vacanze estive da bambino, della sua passione per la poesia e la lettura e del sogno di lasciare quel piccolo paesino di periferia per girare il mondo. Aveva spiegato a Louis che i risparmi che aveva guadagnato fin ad allora con il lavoro al negozio del vecchio Jack li avrebbe utilizzati per quello, un giorno, quando sarebbe stato pronto a lasciarsi alle spalle tutto quello che era la sua vita. Aveva affermato con un sorrisino sulle labbra che la cosa che più amava di sé erano i capelli e che li ornava sempre con una coroncina di fiori colorati o una bandana agli anni cinquanta per metterli ancora più in risalto.

Più tardi, quando il sole ormai aveva lasciato spazio alla prima oscurità del tardo pomeriggio autunnale, Louis lo aveva accompagnato a casa. Avevano camminato fianco a fianco negli stretti vicoli della periferia londinese illuminati da lampioni a schiera, stretti nei loro giubbotti per proteggersi dalla brezza e dal freddo. Louis gli aveva raccontato della barzellette che non avrebbero fatto ridere nessun altro – ma Harry era totalmente innamorato di qualsiasi cosa lo riguardasse e nient’altro aveva importanza. Ogni tanto Louis faceva oscillare le braccia per riscaldarsi ed evitare che si informicolassero e nel farlo sfiorava le mani lunghe e affusolate di Harry, che si ritrovava irrimediabilmente con il respiro corto e i brividi a risalirgli la schiena.

Green.

“Oggi sono stato a Londra con Louis e abbiamo girato per le vie del centro come fanno i turisti. Siamo andati ad Hyde Park e ci siamo sdraiati sull’erba ancora bagnata di fresca rugiada mattutina. La sua voce acuta e delicata si confondeva tra le urla dei bambini e le strida dei genitori, ma io riuscivo comunque a sentirla chiaramente, al di sopra di tutto il resto. Sentirei e riconoscerei la sua voce persino durante un concerto di una band rock, tra altre migliaia di voci che cantano insieme le medesime parole. Louis è bellissimo, è bello quanto la natura che oggi ha fatto da sfondo alle nostre parole. Ma che dico, Louis è assolutamente molto più bello. Se fosse un colore, oggi Louis sarebbe sicuramente verde.”

«Forza Harry!» lo aveva richiamato Louis, di almeno una decina di metri più avanti di lui. «Quelle papere moriranno di fame se non ti dai una mossa!»

Quando aveva visto dei bambini lanciare pezzi di mollica a delle papere che starnazzavano sul ciglio del lago, Louis si era messo in testa di volerlo fare. Aveva comprato un hot-dog dalle bancarelle ambulanti e ne aveva spezzettato una parte di pane. Harry era scoppiato a ridere, quando aveva capito che stesse facendo sul serio e che niente sarebbe riuscito a distoglierlo da quell’idea. Lo aveva raggiunto a passi lunghi e veloci, facilitato dalle gambe chilometriche che ogni due per tre lo facevano ondeggiare senza equilibrio.

In quel momento avrebbe voluto avere con sé una macchina fotografica per scattare una foto al ragazzo, ma la fortuna non girava dalla sua parte: persino il suo cellulare si era spento. Il vento gli accarezzava i capelli, più disordinati del solito, e un sorriso luminoso gli giocava sul viso pallido; ogni tanto chiudeva gli occhi, che si circondavano di piccole e quasi impercettibili rughette, e le ciglia lunghe e delicate fluttuavano sino ad appoggiarsi sugli zigomi arrossati e pronunciati; aveva le gambe corte e le spalle strette e leggermente ricurve in avanti – Harry avrebbe volentieri passato il resto della sua esistenza ad osservare la piega morbida dei suoi fianchi e il pensiero di stringere i polpastrelli su quella carne gli aveva offuscato la mente. Louis era così bello che Harry, a confronto, si sentiva un inutile parassita.

«Harry, prova anche tu!» lo aveva esortato Louis, porgendogli un po’ di mollica e invitandolo ad imitare i bambini di fianco a loro.
In quell’atto così infantile, Harry aveva ritrovato se stesso e quello che era stato e aveva capito che lui e Louis erano più simili di quanto entrambi non pensassero.
 

Più tardi, sdraiato a pancia in giù, con i gomiti a terra e la testa appoggiata sui palmi aperti della mani, Harry si era nuovamente perso ad osservare i lineamenti fini e docili di Louis, che stava giocherellando con dei fili d’erba e aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Scrivo di te» gli aveva detto senza pensare, prima di riuscire a fermarsi. Quando aveva realizzato di averlo detto veramente, si era maledetto – quello era esattamente uno di quei tanti momenti in cui avrebbe voluto prendersi a sberle da solo.

Louis aveva sollevato la testa di scatto e Harry, le guance colorate per l’imbarazzo, aveva fissato lo sguardo sull’erba che era rimasta schiacciata sotto il peso del corpo dell’altro. «Cosa?» gli aveva chiesto, come se non avesse realmente capito.

Per un attimo Harry aveva pensato di sviare il discorso e far finta di non aver mai detto quelle tre parole, poi però si era reso conto che vie d’uscita non ce n’erano davvero. «Una volta mi hai chiesto di cosa parlo quando scrivo» aveva cominciato quindi, sentendo improvvisamente caldo. Si era slacciato il giubbotto e aveva sospirato quando l’aria fredda gli aveva attraversato il maglione di lana che indossava, poi aveva cominciato a giocare con l’orlo della giacca per smaltire il nervosismo. Aveva alzato lo sguardo per incontrare il blu elettrico degli occhi spalancati e sorpresi di Louis e solo allora aveva continuato. «Scrivo di te, perché non voglio lasciar sfuggire nemmeno un secondo del tempo che passiamo insieme e di quello che condividiamo, quindi lo imprimo sulla carta. E lo faccio anche per dimostrare a me stesso che ti conosco e perché vali, vali tanto.»

Louis gli aveva sorriso e Harry aveva sentito il bisogno impellente e quasi doloroso di appoggiare le labbra secche e screpolate su quelle fini dell’altro. «Un giorno allora dovrai farmi leggere qualcosa» aveva affermato, rotolando sul fianco e avvicinandosi leggermente al suo corpo. Anche a quella distanza e nonostante le temperature quasi al di sotto dello zero, Harry era riuscito a percepire il calore che Louis emanava e in quel momento avrebbe soltanto voluto buttarsi tra le sua braccia e affondare il viso sul suo petto. «Non si sa mai, magari in realtà parli solo male di me!»

Harry era scoppiato a ridere e si era beato della risata genuina e cristallina dell’altro. «Non succederà mai, mi dispiace» aveva detto, alzando le mani al cielo.

«Beh, è un vero peccato. Sarebbe bello vedermi attraverso i tuoi occhi» aveva constato Louis, quasi come se stesse riflettendo ad alta voce.

«Semplicemente ti vedresti almeno mille volte migliore di quanto tu non sia già» gli aveva spiegato Harry, perché alla fine era la pura verità. Louis si era piegato verso di lui e gli aveva lasciato un bacio leggero sulla guancia e in quel momento Harry aveva capito che l’unica cosa che voleva dalla vita era la possibilità di conoscere quel contatto per tutti i giorni che gli erano rimasti.
 
Orange.

“La scorsa sera mi ha portato in cima ad una collina e, sdraiati sul cofano della sua macchina, abbiamo osservato il sole sorgere e il cielo dipingersi di arancione. Il panorama era bellissimo, la città si apriva ai nostri piedi e mi sentivo padrone del mondo. La luce si rifletteva sul suo viso e gli colorava le palpebre chiuse per l’estasi, le labbra leggermente aperte in un sospiro muto e le guance già arrossate per il freddo. Per quanto la vista da lì fosse magnifica, lui era una visione ancora più celestiale. Mi ha accarezzato la guancia gelida con le calde mani lunghe e callose e il contrasto tra le nostre temperature mi ha fatto impazzire. Poi mi ha baciato. Sentivo di poter piangere da un momento all’altro, era come toccare il cielo con un dito e scoprire il paradiso. In quel momento ho assaporato le stelle, ero un brivido unico. Se Louis fosse un colore, quella sera sarebbe stato sicuramente arancione.”

«Fa davvero freddo» aveva detto Harry, sfregando le mani insieme alla ricerca di calore. Il giubbotto nero di almeno una taglia più grande, con l’interno ricoperto di pelliccia, non era sufficiente a proteggerlo dal gelo invernale della tarda serata londinese. Dopo tutti quegli anni, ancora non si era abituato alle temperature inglesi.

Louis, seduto al suo fianco sul bordo del cofano, stava accendendo una sigaretta, con una mano chiusa a coppa di fronte al filtro per ripararlo dalla brezza, che soffiava con audacia ad ogni ora del giorno da qualche mese a quella parte. La fiamma dell’accendino gli aveva illuminato per pochi secondi il viso nascosto dal buio e si era riflessa con una scintilla nei suoi occhi azzurri, che poi, fragile come era comparsa, si era dissolta nel nulla. Harry ne era rimasto così affascinato da non riuscire più a distogliere lo sguardo dal volto dell’altro. Quando Louis si era girato verso di lui, con un sopracciglio alzato, e aveva soffiato una risata intenerita, le guance del riccio si erano accese come lucine di natale.

«Dio, che figura» aveva sussurrato, seppellendo il viso tra le mani grandi e nodose e sospirando pesantemente. Louis aveva accentuato la risata, come un acuto scappato al controllo durante una canzone, e aveva colpito la spalla di Harry con la propria, facendolo traballare sul posto.

Erano rimasti in silenzio per qualche secondo, la notte illuminata dalle luci dei lampioni e dalla scintilla incandescente della sigaretta che si stava consumando tra le dita di Louis.

«La vista da quassù è bellissima» aveva affermato Louis sussurrando, come se non volesse disturbare il silenzio delle stelle, che pronte ad essere sostituite da un sole bruciante, erano ormai sempre più rade. Harry aveva annuito in modo quasi impercettibile, sempre più stretto in quel giubbotto, nel quale sembrava quasi scomparire, lui che grande e impacciato e anticonformista quant’era era sempre sotto gli occhi di tutti. «Ci vengo sempre quando voglio stare da solo» aveva continuato, portando tra le labbra fini e screpolate la sigaretta e riempiendosi i polmoni di fumo.

«Come lo hai scoperto?» gli aveva chiesto a quel punto Harry, distogliendo lo sguardo dalle finestre inspiegabilmente illuminate di alcuni palazzi e poggiandolo sul viso pallido del ragazzo. «Questo posto, voglio dire.»

Louis aveva scrollato le spalle, come se una risposta vera e propria non ci fosse o come se, semplicemente, non riuscisse a ricordarselo. Harry si era domandato, per un attimo, se non avesse per caso posto una domanda indiscreta che avrebbe eretto muri non oltrepassabili in così poco tempo. Poi Louis aveva risposto e aveva quasi tirato un sospiro di sollievo. «Sono stato davvero male, quando la mia ultima storia è finita. Avevamo grandi progetti insieme, più di quelli da chiudere in un cassetto che di quelli veramente realizzabili. Volevamo andarcene entrambi da qui, come se ci sentissimo soffocare tra le strade di questo paese. Pensavamo di lasciare l’Inghilterra e di comprare una villa immensa sulla costa della California, di girare il mondo.» Aveva un tono così malinconico che Harry aveva sentito il cuore stringersi in una morsa dolorosa, che lo aveva fatto sussultare sorpreso. Non era mai stato particolarmente empatico, forse perché non aveva mai trovato qualcuno che valesse davvero la pena di essere compreso e conosciuto fino in fondo. «Stavamo pensando di sposarci» aveva poi affermato Louis, lo sguardo impassibile e fisso nel vuoto, la voce neutra e ferma, come se quel passato indelebile non lo colpisse affatto. Le mani, però, gli tremavano e Harry lo aveva notato subito; aveva tentennato per qualche secondo, prima di posare docilmente la propria mano su quella destra di Louis e stringerla con decisione e sicurezza, per trasmettergli fiducia e un coraggio che nemmeno lui sapeva da dove arrivasse.

«Che è successo poi?» gli aveva chiesto, accarezzandogli impercettibilmente le nocche con i polpastrelli tiepidi delle dita.

«L’ho trovato a letto con un altro» aveva spiegato, pieno di risentimento e rabbia repressa. «Andava avanti da mesi e io non me ne ero nemmeno accorto. Dovevo essere proprio un coglione a pensare che mi volesse veramente, che mi amasse. Il tipico cliché utopico da ventiquattrenne» aveva concluso, cercando di sbuffare una risata autoironica, ma fallendo miseramente.

«È lui il coglione, Lou. Non sa cosa si perde» gli aveva detto, rafforzando la presa sulla sua mano.

Louis aveva alzato gli occhi al cielo, poi aveva preso il pacchetto di sigarette dal taschino della giacca di jeans e ne aveva accesa una. «Mi aspettavo di meglio da te, Harry. Mi cadi in basso con queste frasi fatte.»

Harry aveva spalancato gli occhi, colto in fallo, e in un impeto di coraggio, rosso fuoco fino alla punta dei capelli, si era avvicinato di più al corpo del ragazzo. «Mettiamola così allora» aveva cominciato, sospirando nervoso e sperando di non rovinare tutto come suo solito. «Ringrazio quel coglione per averti rimesso sul campo e per avermi concesso di essere qui con te ora» aveva affermato, alzando le mani in aria con fare plateale, per mostrarsi più sicuro di quanto non fosse. Louis aveva lasciato che una risata leggera gli scappasse dalle labbra fini e violacee a causa del freddo e, stringendosi nelle spalle, aveva spostato gli occhi per incontrare lo sguardo smarrito ed estremamente sincero di Harry.

«Così va meglio» aveva proferito, stringendogli una guancia tra le dita come si fa con i bambini e pensando che lo sembra veramente un bambino, quando le gote gli si erano colorate di bordeaux.

Quando Louis aveva fatto scorrere dolcemente le dita gelide sulla sua guancia bollente, nel ricordo di una carezza, che aveva percepito con la stessa intensità di una brezza di vento mattutina, Harry era rabbrividito. Era da epoche che non si trovava in una situazione così intima con qualcuno, forse non ci si era nemmeno mai veramente trovato. E ora era paralizzato sul posto come un quindicenne e non aveva la minima idea di come muoversi. Troppo preso a trovare un modo per gestire lo stomaco in subbuglio e la mente annebbiata, si era a malapena accorto del corpo di Louis che si era avvicinato al suo, forse fin troppo. E quando aveva posato docilmente le labbra sulle sue, in un bacio inizialmente così casto da sembrare irreale, Harry si era definitivamente sentito andare a fuoco. Le sue labbra avevano poi cominciato a muoversi maldestre su quelle di Louis, vagamente amare e con un forte retrogusto di liquirizia. Gli era sembrato di fluttuare ad almeno cinque centimetri da terra e, mentre il più grande gli accarezzava la base del collo, avvolgendosi di tanto in tanto un ricciolo tra le dita, aveva pensato che baciare un angelo doveva essere esattamente così.

Blue.

Sai cosa mi piace di più del cielo? Che è così immenso da poter accogliere tutti i sospiri e le promesse degli innamorati, tutte le promesse che ci facciamo io e lui e i sospiri che ci sfuggono al controllo quando ci amiamo. Mi fido di lui così incredibilmente tanto che quella prima volta non gli ho donato soltanto il mio corpo, ma anche ogni singola piega della mia anima. E mai scelta al mondo fu migliore. Se Louis fosse un colore, oggi e per sempre sarebbe blu.”

Mentre era sdraiato al suo fianco, Harry si era preso del tempo per ammirarlo, come se, prima di quel momento, non si fosse mai soffermato a scandagliarne i più piccoli particolari. Avevano finito di fare l’amore già da un po’ di tempo, eppure riusciva ancora a scorgerne i segni sul viso stremato del ragazzo: aveva le guance imporporate e un leggero strato di sudore rendeva la pelle sotto gli occhi lucida, tanto che sembrava quasi brillare sotto le luci al neon della camera. Il pallore spettrale era sporcato dalle macchie scure delle occhiaie, un’imperfezione che probabilmente lo faceva apparire ancora più bello, sulle quasi si posavano come veli di seta delle ciglia lunghe ed eleganti, che erano forse ciò che Harry più amava di lui. Il ciuffo gli si era appiccicato alla fronte e i capelli madidi erano sparpagliati sul cuscino, schiacciato dalla testa pesante di sonno e di sogni e, si augurava il riccio, di speranze. Louis aveva l’aspetto e l’animo di un angelo e, per Harry, era stato una benedizione.

«Harry» aveva mugolato, la voce soffice e poco chiara, impastata di sonno. «Spegni la luce.» Louis si era girato, assumendo una posa scomposta e quasi innaturale, e il fruscio delle lenzuola ancora pregne del loro amore aveva spezzato il silenzio.

Harry aveva annuito, si era sbilanciato sul letto per arrivare all’interruttore e per poco non aveva perso l’equilibrio. Louis glielo diceva sempre che era più instabile di un bambino che compie i primi passi e lui non sapeva mai se ridere o se vergognarsene. «Buonanotte» gli aveva poi detto, schioccandogli un bacio sulla guancia e stendendosi con la testa appoggiata al suo petto.

«’Notte» aveva ricambiato Louis, mentre stringeva il corpo di Harry al suo con un braccio e pian piano si lasciava sopraffare di nuovo dal sonno.

Il ti amo di Harry, a quel punto, si era perso nell’aria; non che avesse importanza, perché l’unica cosa di cui poteva essere sicuro nella vita era che Louis sapesse benissimo che il suo amore sarebbe bastato a riempire i colori infiniti del cielo.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Love Your Sin