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Autore: Papillon_    31/10/2016    2 recensioni
“Come finirà?”, chiese Harry, ed era assurdo che lo stesse chiedendo mentre la sua voce era ancora stridula ed alterata per aver appena finito di ridere. [...]
“Cosa?”, chiese Louis.
“Questo.”, soffiò, indicando lo spazio che c’era tra di loro. Cercò gli occhi di Louis. “Noi. Come finirà?”
Louis non sapeva rispondere. La sua risata si spense definitivamente portandosi via anche il suo sorriso, e fu costretto a chiudersi nelle spalle, ma non sembrava spaventato. Il suo Louis non sembrava mai davvero spaventato. Era una di quelle poche persone che avevano una ferita scoperta e non avevano paura di mostrarla al mondo. Non disse niente; si limitò ad avvicinarsi a Harry e premere le labbra contro le sue, perché francamente non conosceva la risposta. Non la conosceva, nemmeno nei punti più intimi della sua anima. Avrebbe voluto conoscerla. Avrebbe voluto dire a Harry – Prendiamo le nostre cose e scappiamo da qui, scappiamo lontano, non importa dove; andiamo da qualche parte in cui a nessuno possa interessare delle nostre dita intrecciate.
(Larry!AU basata sulla canzone e il video "Into you" di Ariana Grande;
Bodyguard!Louis - Actor!Harry)
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa one-shot è davvero, davvero lunga: siamo sulle 31 mila parole, per circa 45 pagine di word. Non ne abbiate a male, ma non me la sono sentita di dividerla: è nata come one-shot e così volevo arrivasse a voi.
Come spiegavo sulla mia pagina autrice questa storia nasce per lo più come regalo alla mia sorellina, una promessa che dopo tantissimo tempo ho voluto mantenere: scriverle una Larry. Non so se mai mi ricapiterà, ma devo ammettere che è stata per me una bellissima esperienza e come autrice mi ha fatto bene scrivere su qualcosa di - diverso. Francamente non ero sicura di pubblicare, ma alla fine mi sono fatta coraggio. La lascio qui. Mi piacerebbe tanto le venisse data una possibilità: per quello che vale, io ho amato scrivere di Harry e Louis. 
Il video a cui la storia è ispirata lo trovate qui
Buona lettura e grazie a chiunque passerà! 





Into you

 
(I'm so into you
I can't barely breathe)


Il sole stava nascendo all’orizzonte ma i suoi raggi non riuscivano a passare attraverso la pelle del giubbino nero di Harry; sentiva freddo fin dentro le ossa. Forse anche un po’ per quello si spinse un pochino di più addosso a Louis che invece stava guidando la moto; ridusse gli occhi a una fessura cercando di fermare le lacrime.
Si chiese cosa ne sarebbe stato di loro.
Stava cercando di non pensare e di non piangere, soprattutto – Harry odiava quella cosa di se stesso, quella parte sensibile di lui che lo costringeva a piangere per ogni minima cosa, che gli tirava fuori le lacrime con la forza, nonostante a volte si sentisse forte come una roccia. Sentiva le ciglia umide, la parte appena sotto gli occhi ricoperta di un accenno di lacrime, ma sapeva che in qualche modo Louis lo avrebbe tenuto al sicuro. Lo sapeva – e basta. Non riusciva nemmeno a spiegarlo.
Arrivarono all’alba in un motel al lato della statale circondata da nient’altro che deserto; Harry rimase aggrappato al corpo di Louis fino a quando questo non fu costretto a scendere. Si tolse il casco. Harry non aveva voglia di fargli vedere che aveva pianto, ma dovette comunque togliersi il proprio; nel giro di qualche istante delle dita calde spazzarono via il residuo di umidità che era rimasto appena attorno ai suoi occhi.
“E’ tutto a posto.”, soffiò Louis, facendo passare un braccio al di là della sottile vita di Harry per aiutarlo a scendere dalla moto. “Ci sono io.”
Harry gli fu infinitamente grato per quelle parole, ma non riuscì a dire nulla comunque. Scese dalla moto scivolando dalla sella e aggrappandosi al corpo di Louis per il breve percorso che li separava dall’entrata del motel, continuando a guardarsi in giro con il costante terrore che qualcuno gli avesse seguiti. La notizia della loro fuga era ormai sicuramente su tutti i social, ed era probabilmente solo una questione di secondi, minuti – e li avrebbero trovati. Harry era assolutamente certo di quello. Anche se Louis durante il viaggio aveva continuato a ripetergli che erano al sicuro, Harry non poteva fare a meno di pensare che li avrebbero trovati. Erano stati sconsiderati, poco attenti. Si erano a malapena preoccupati di scegliere una strada che fosse meno trafficata rispetto alle altre, e quello era uno dei primi motel in cui sarebbero venuti a cercarli.
Harry lasciò che fosse Louis a parlare con il signore della reception – questione di sicurezza, Harry era troppo conosciuto per passare inosservato. Era riuscito a cambiarsi nel bagno pubblico di un centro commerciale con dei vestiti semplici e indossava ancora la giacca di pelle di Louis, ma – il suo viso. Il suo viso era ovunque, in quasi ogni copertina dei giornali, nei film che la gente vedeva la sera prima di andare a dormire. Evitò il contatto visivo con qualsiasi persona gli passasse di fianco, facendo finta di essere tremendamente interessato a quei pochi quadri appesi alle pareti, fino a quando la mano di Louis lo riportò alla realtà infiltrandosi dolcemente nella sua, e nel giro di qualche istante lo seguì nella piccola camera che era stata loro assegnata.
La stanza era buia; quel poco di luce penetrava dolcemente dalle tapparelle abbassate. C’erano due minuscoli lettini uniti al centro per formare quella che aveva l’aria di essere una stanza doppia; la televisione era una scatola minuscola che sembrava troppo vecchia anche solo per accendersi, e alla sinistra di Louis un corridoio conduceva al bagno. Harry si strinse nelle braccia; non capiva se l’arredamento di quel motel fosse volutamente ricercato in una sorta di imitazione dello stile vintage o se fosse stato lasciato al caso più totale. Era quasi certo che la seconda ipotesi fosse la più esatta.
Louis continuava a muoversi instancabilmente dietro di lui, sistemando quei pochi vestiti che erano riusciti a raccogliere in una pila sopra una sedia in legno vicino all’armadio. Harry guardò prima i propri piedi poi i lettini a qualche passo da lui: aveva paura. Per la prima volta da quando era arrivato aveva seriamente tanta, tantissima paura; non sapeva cosa pensare, cosa dire; erano scappati e adesso sarebbe stata quella la loro vita, fatta di fughe e motel malridotti?
Tutta la tensione che Harry sentiva di aver accumulato svanì in un istante nel momento in cui percepì le braccia di Louis circondargli il busto; Louis era molto più basso di lui ma quando voleva riusciva a dimostrare una forza disarmante e a inglobarlo. Lo avvolse con tutto il suo corpo, appoggiando la punta del naso nell’incavo del suo collo e respirando con cautela.
“Stai tremando.”, sussurrò appena sulla sua pelle.
Harry tentò di prendere un breve respiro e cercò le dita di Louis, chiudendo gli occhi per un breve istante. “Non so – cosa pensare. È successo tutto così in fretta – non abbiamo nulla con noi. Non ho documenti, pochissimi soldi. E se ci trovassero? Mi hanno visto mentre salivo sulla moto. Se ci – se ci separassero –”
“Non succederà.”
“Potrebbe succedere invece.”, mormorò Harry, deglutendo appena. Diede un calcio a qualcosa di invisibile, cercando di ignorare il bruciore costante che invadeva i suoi occhi ormai umidi; al diavolo lui e la sua sensibilità. “Ho paura, Lou.”
“Lo so che hai paura.”, sussurrò Louis, “Ma tu sei forte. Sei una roccia. E ci sono io qui. E sai qual è il mio lavoro?”
Un angolino delle labbra di Harry si alzò verso l’alto, tagliando in modo netto la sua guancia e formando una morbida fossetta. “Esatto. Proteggerti.”
Harry non riuscì ad aspettare un secondo di più; ruotò il capo per far scontrare la propria fronte a quella di Louis e cercò i suoi occhi tra le ciglia, leccandosi appena le labbra e facendo scomparire quel sorriso appena nato. Sentiva il cuore battere veloce nel proprio petto e non riusciva a spiegarsi il perché, visto che lui quel ragazzo lo aveva già baciato, lo aveva già avuto; ma nonostante quello, ogni volta che lo guardava negli occhi era come ricominciare tutto da capo.
“Mi sento così – dentro di te.”, soffiò Harry, e non conosceva nemmeno il significato di quella frase, non appieno, ma gli sembrava acquistasse senso quando la diceva a Louis. “Riesco a malapena a respirare.”
Louis gli sorrise sulle labbra prima di baciarlo; mantenne gli occhi aperti per i primi istanti ma poi gli chiuse, distendendo le labbra e schiudendole per permettere a Harry di baciarlo più a fondo. Le loro mani e braccia erano ancora fuse in un intreccio e per la prima volta in cui Harry aveva messo piede in quel motel si sentiva finalmente a casa, al sicuro.
Louis fece scorrere una mano fino al volto di Harry sfiorandolo con delicatezza, toccando quei punti spigolosi e poi improvvisamente morbidi e lo costrinse a voltarsi completamente. Harry circondò il busto di Louis come per abbracciarlo, permettendo ai loro corpi di diventare più vicini e così facendo il bacio si intensificò fino a confonderlo; sentiva sulle proprie labbra il sapore di Louis ovunque, ed era quasi intossicante.
“Non voglio che ti portino via da me.”
“Non succederà.”, ripetè Louis, raccogliendo il suo volto tra le mani, costretto a stare sulle punte perché era così piccolo, così piccolo in confronto a Harry, “Io rimango con te.”
Harry sorrise nel sentire il proprio cuore scartare l’ennesimo battito, e si lasciò baciare mentre il suo corpo e quello di Louis si rincorrevano fino a perdere l’equilibrio vicino a letto su cui caddero insieme, senza mai smettere di baciarsi. Louis raccolse i lunghi ricci di Harry tra le dita tirandoselo leggermente contro, facendolo mugolare dolcemente sulle proprie labbra e sorridendo al pensiero di essere in grado di fargli quello. Louis si distese completamente sul corpo di Harry, che spalancò le gambe per accoglierlo e avvolgerlo completamente in una morsa mentre spostava le mani per accarezzargli la schiena, sorpassando con la punta delle dita il bordo della sua maglietta. Louis lasciò andare le sue labbra giusto il tempo per fargli riprendere fiato, ma finì per lasciargli languidi baci sulla gola che strapparono a Harry qualche sgraziato gemito.
Quando Louis rialzò il volto, gli occhi di Harry praticamente luccicavano. Allungò una mano per accarezzargli parte della guancia destra e i suoi lunghi boccoli, sorridendogli e sentendo il cuore scaldarsi quando Harry ricambiò il gesto. No che non se ne sarebbe andato. Fino all’ultimo avrebbe lottato per avere quel ragazzo al suo fianco. Si sporse in avanti per rubargli un breve bacio mentre Harry lavorava con la sua maglietta per sfilarla; dopodichè Louis fece lo stesso con la camicetta chiara di Harry, che finì presto dimenticata sul pavimento.
“Se succedesse qualcosa –”
“Non succederà niente, Harry. Te lo prometto.”
“Ma se succedesse.”, soffiò Harry, mentre Louis gli sfiorava la gola con il naso, “Io voglio dirti una cosa, e voglio dirtela adesso, prima che succeda il finimondo.”
“Avremo tutto il tempo.” sussurrò Louis, rubandogli un bacio a tradimento e cominciando a lavorare con la zip dei jeans attillati di Harry per abbassarla. Harry sussultò leggermente aggrappandosi alle sue spalle, gli occhi che scivolavano nelle orbite. “Il tempo di una vita.”
Harry chiuse gli occhi definitivamente lasciando che il suo corpo scivolasse sul letto mentre Louis lavorava per sfilargli i jeans tra sorrisi e sbuffi di risate, perché se c’era una cosa che Louis non aveva imparato di Harry, era un modo più veloce di togliergli quei maledetti pantaloni attillati. Quando ci riuscì li lasciò scivolare lontano da loro, piegandosi per raccogliere nuovamente le labbra di Harry tra le sue, lasciando gli occhi aperti e tenendo le dita sulla sua gola. Da lì, riusciva a sentire il battito frenetico del suo cuore.
“Cosa volevi dirmi?”, mormorò, baciandogli l’angolo della bocca, una guancia, il sopracciglio sinistro. “Sono curioso adesso.”
Una piccola smorfia di disappunto spuntò sul volto di Harry che poi rise, sollevandosi appena sui gomiti per immergere le dita tra i capelli di Louis. Guardò i suoi occhi per un singolo istante, ricordando la prima volta che gli aveva intravisti tra le lacrime, e pensò che non avrebbe mai dimenticato quel momento, nemmeno in un milione di anni.
“Lou.”, soffiò, prendendo un profondo respiro e osservando ogni particolare del suo viso. “Lou, io – avrei voluto dirtelo così tanto tempo fa, dall’inizio, io…io ti –”
La porta della loro stanza si spalancò, mentre urla riempivano tutto lo spazio intorno a loro, facendo improvvisamente gelare il sangue di Harry. Ebbe a malapena il tempo di cercare gli occhi di Louis un’ultima volta prima che gli venisse strappato via dalle braccia – quattro uomini in smoking entrarono nella sua visuale e poi, appena dietro di loro, Harry riconobbe Gary, il suo manager.
“Portatelo via.”, ordinò a quei quattro energumeni, mentre strattonavano un Louis che non smetteva di lottare per cercare di tornare da Harry. Si mise a sedere meglio che poteva sui lettini, gli occhi spalancati che sembravano quelli di un animale ferito.
“Gary, no – non è stata una sua idea, non è stata una sua idea, è stata colpa mia, colpa mia –”
“Diremo che ha cercato di portarlo via.”, stava dicendo Gary al telefono, di cui Harry non si era minimamente accorto qualche istante prima. “Sì, lo riporto indietro. Farò in modo che ci resti.”
Braccia molto più delicate di quelle che gli avevano appena portato via Louis lo esortarono a scendere dal letto. Harry non si era mai sentito più – piccolo e vulnerabile di così, con solo un paio di boxer addosso mentre osservava Louis che veniva allontanato da lui, senza che potesse fare niente.
“Non – cosa avete intenzione di fargli?”, gridò Harry, mentre cercava di dimenarsi per poter raggiungere Louis. Intravide una delle guardie perdere l’equilibrio e dal suo volto sporco di sangue intuì che Louis doveva averla colpita. “Lasciatelo – lasciatelo andare –”
In qualche strano e complicato modo, fu Louis a liberarsi e fare qualche passo verso di lui. “Ti prometto che non è finita.”, soffiò avvicinandosi, ma proprio mentre stava per allungare una mano verso il suo viso venne trattenuto da uno di quegli uomini. “Ti verrò – ti verrò a prendere. Ti porterò via da questo inferno, te lo giuro Harry, te lo giuro –”
A Louis arrivò un pugno in faccia e Harry urlò con tutto il fiato che aveva nella gola. “No!”, gridò, cercando di dimenarsi con tutta la forza che aveva in corpo. “No, vi prego – Lou!”, vide le guardie rialzarlo da terra, ormai stordito, un singolo rivolo di sangue che scendeva dalla sua narice sinistra.
Nonostante quello, il suo Lou gli sorrise. Lo guardò dritto negli occhi e gli sorrise, come se non sentisse niente, come se valesse la pena subire tutto quello che per stare con lui. Harry tentò di raggiungerlo, di fare qualcosa, qualsiasi cosa
“Cosa volevi dirmi?”, chiese Louis in un sussurro, mentre lottava con le ultime forze che gli erano rimaste per non farsi trascinare via, “Prima, amore. Cosa volevi dirmi?”
Harry sentì una lacrima tagliargli la guancia a metà perché no, no no no no non era possibile che stesse succedendo quello, era ingiusto, Louis non meritava dolore eppure a Harry sembrava di aver portato solo quello nella sua vita e – si odiava. Semplicemente, si odiava. Aprì la bocca, l’istante prima di vedere Gary stesso dare un calcio allo stomaco di Louis. Harry gridò fino a perdere la voce. Gridò mentre gli portavano via l’unica cosa bella e accettabile della sua vita. Gridò e graffiò e pianse e chiuse gli occhi, mentre gli portavano via Louis.
Cadde in ginocchio qualche secondo dopo, i capelli sparsi ovunque e i polmoni avvolti in una morsa di dolore. Chiuse gli occhi e deglutì; la gola gli bruciava come se proprio a metà ci fosse incastrata una fiamma ardente.
“Ti amo.”, soffiò, anche se nessuno poteva sentirlo. “Ti amo, Lou.”, disse ormai distrutto; la voce non era altro che un filo debole che rimase a fare eco in quelle pareti spoglie. “Ecco cosa volevo dirti.”
 

4 mesi prima
 
Harry guardava dal finestrino della macchina il pigro susseguirsi di edifici sempre uguale, la palpebre che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro, ancora pesanti per essere stato sveglio fino a tardi a causa delle riprese. Era stanco. Non riusciva a trovare modo migliore per esprimere il suo attuale stato d’animo. In più, guardava fuori e perdendosi a osservare le svariate forme delle nuvole che minacciavano pioggia, e si sentiva ancora peggio. Persino il tempo sembrava capire perfettamente come si sentisse.
“…e ho dunque deciso di fare così…Harry, mi stai ascoltando?”
Harry sbadigliò, strofinandosi l’occhio destro con una parte del polso. Puntò gli occhi lontano, dove appena all’angolo della strada intravide una bambina che stava allungando la mano verso la madre, con molta probabilità, che aveva ben due borse della spesa in mano. Harry si chiese perché dovesse portare tutto quel peso da sola. Si chiese se in quel momento, in quel preciso momento, si sentisse sola, un po’ vuota, con la sensazione che la vita le stesse scivolando addosso senza che lei avesse la possibilità di afferrarla saldamente –
“Harry, mi stai ascoltando?”
Harry sbattè velocemente le palpebre, puntando gli occhi in quelli del suo manager, che aveva tutta l’aria di essere esasperato.
“Scusami, Gary.”, borbottò, passandosi una mano tra i ricci delicati e accavallando le gambe. “Ero distratto.”
“E’ mezz’ora che ti parlo, per l’amor del cielo. Smettila di sognare ad occhi aperti.”, lo esortò Gary con una punta di stizza, probabilmente combattendo per non sbuffare. “A meno che tu non stessi riflettendo su ciò di cui abbiamo discusso l’altra sera.”
Harry quasi ringhiò. “Ho già detto che non se ne parla.”
Le pupille di Gary si strinsero per qualche istante prima di allargarsi impercettibilmente; se c’era una cosa che Harry aveva capito da quei due anni in cui lavorava con lui, è che amava le sfide, oltre che il denaro. “E io ti ho già detto che hai firmato un contratto. Come faccio a fartelo entrare in quella testarda, bella testolina?”
Harry alzò gli occhi al cielo, ignorando completamente il suo fidato-non-che-odiatissimo agente. “Voglio del gelato. Possiamo fermarci e prendere del gelato?”, borbottò in modo annoiato, giocherellando con il foulard che aveva scelto di indossare quella mattina, perfettamente abbinato alla camicia che teneva sbottonata fino metà torace. Gary questa volta sbuffò sonoramente; picchiettò il vetro che separava loro due da quello del guidatore e parlò in tono conciso ed educato. “La principessa vuole del gelato, fermati appena puoi.”
L’autista mormorò un sì in direzione dello specchietto retrovisore e le labbra di Harry si incresparono in un sorriso che sapeva di vittoria. “E’ stato fin troppo facile convincerti.”
“O forse voglio solo che tu addolcisca quel tono acido che hai appena usato.”, quasi ringhiò Gary, puntando gli occhi colore del ghiaccio nei suoi. “E non credere che cambieremo discorso.”
Harry si leccò appena le labbra. Aspettò che il suo autista smettesse di fare manovra e uscisse per recuperargli del gelato – sperò che quell’idiota avesse almeno una vaga idea di quali fossero i suoi gusti preferiti.
“Non ho intenzione di avere una ragazza per finta.”, sbottò a quel punto Harry, senza mai interrompere il contatto visivo. “Va contro – tutto quello che ho sempre fatto per essere me stesso. Gary, cazzo, io – io ho combattuto un sacco per fare coming out con la mia famiglia. Non ho intenzione di fare un passo indietro. Non adesso.”
“Hai appena fatto un bel discorso, ma come al solito sembra sempre che tu dimentichi che c’è un contratto che devi rispettare. Un contratto che ha ancora la durata di sei mesi.”
“Che si fotta la Modest.”
“La Modest può toglierti ogni cosa che hai in un battito di ciglia, Harry.”, quello Gary lo disse sussurrando, nonostante ci fossero solo loro due nell’automobile. Forza di abitudine, temeva Harry. “Loro ti hanno portato dove sei adesso, loro possono buttarti in mezzo a una strada. Cosa vuoi che gliene importi. Possono trovarne un milione come te, con un bel faccino e i capelli lunghi.”
Roger, l’autista, sbatté delicatamente due dita contro il finestrino. Gary recuperò velocemente il gelato per porgerlo a Harry, che lo guardò storcendo il naso e aggrottando la fronte. “State cercando di avvelenarmi? A chi è mai piaciuto il puffo?”, borbottò, tastando con il piccolo cucchiaino di plastica la consistenza del gelato azzurro che gli era stato portato. Era a tanto così per gridare di frustrazione.
“Sei ancora in tempo per cambiare idea, la Modest sta chiudendo un occhio per quelle foto che sono uscite di te con quel ragazzo…”
“Mi è venuta voglia di pizza.”
Harry ebbre l’impressione che Gary stesse per diventare paonazzo per la rabbia, e la cosa lo fece sorridere. Richiamò Roger e ordinò lui di portarlo nella pizzeria più vicina – e sì, Harry adorava quello, adorava poter ordinare e ricevere, non tanto perché fosse una persona a cui piacesse avere tutto, ma perché non gli dispiaceva avere quel poco di potere su persone meschine come Gary. Lo faceva sentire qualcuno – di migliore.
“Dopo che avrai mangiato questa dannatissima pizza, sarai in grado di ascoltarmi?”
Harry fece ricadere un po’ di gelato che aveva raccolto con un cucchiaino nella coppetta insieme al resto, osservando la caduta con la bocca leggermente aperta. Un’altra cosa che gli piaceva fare era improvvisarsi un ragazzo stupido. Perché a volte i media sanno fare bene solo una cosa: farti apparire invincibile, o farti apparire completamente stupido. A Harry piaceva pensare di essere un po’ entrambe le cose. Fare finta di essere così, di fregarsene e rimanere un passo indietro, gli dava la sensazione di essere sempre un po’ bambino. Ma le cose le capiva. Le capiva meglio di quanto volesse dimostrare.
“Non ci ho scopato.”
Gary spalancò gli occhi. “Che -? Non…”
“Con quel ragazzo. Il ragazzo delle foto.”, borbottò Harry, allontanando quella poltiglia blu definitivamente da sé. “Non ci ho scopato. Era in quel locale, era carino, è scappato qualche bacio nei corridoi, ma sono stato attento. Non è successo altro.”
“Fammi essere totalmente franco con te, Harry – alla Modest non gliene frega un cazzo di chi ti porti a letto. Gli importa il modo in cui lo fai. Lì cominciano i problemi.”
“Questo vuol dire che, se quello dell’altra sera fosse stata una ragazza, non staremmo discutendo, vero?”
“Beh – diciamo – che è così. Più o meno.”
“Allora scusami, Gary, ma allora sì che gliene importa alla Modest chi mi porto a letto. Se mi scopassi mezzo mondo femminile e lo facessi in mezzo alla strada –”, Harry rabbrividì al solo pensiero, “Scommetto che mi accoglierebbero con grandi applausi.”
Gary sembrava nervoso da piccoli tic continui che lo tradivano, come lo sfiorarsi il colletto della camicia al sistemarsi i capelli fin troppo laccati sul capo.
“Firmando il contratto hai acconsentito a dare una certa immagine di te.”
Harry si avvolse nelle braccia. “Che non corrisponde a ciò che sono davvero.”, sbuffò, mordendosi appena il labbro inferiore. “Ero fottutamente ingenuo e giovane, mi hanno proposto una cifra spaventosa, cosa potevo saperne?”
“Devo ricordarti il motivo per cui hai firmato quel dannato contratto, Harry?”, la voce di Gary si fece più seria e scura, ed Harry chiuse la bocca. Certo che lo ricordava, non poteva fare a meno di non ricordare, visto che ogni giorno aveva a che fare con il motivo che lo costringeva a mentire su chi era a tutto il mondo. Chiuse gli occhi per qualche istante, appoggiando la fronte al finestrino.
“Hai bisogno di quel denaro.”, sussurrò Gary infrangendo il silenzio.
Quando Harry riaprì gli occhi, li percepì bordati di lacrime. Non riuscì a capire perché stesse al contempo sorridendo. “A tornare indietro –”, soffiò, scrollando appena le spalle, “Non so nemmeno se sceglierei di nuovo questa vita.”
Gary lasciò andare il fiato, guardandolo di sbieco. Nei suoi quarant’anni di vita non aveva visto nessuno di più effimero di quel ragazzo. Profondamente stanco, nonostante avesse appena ventidue anni appena compiuti. Un fantasma, qualcuno che poteva scomparire al minimo tocco.
“Harry –”
“Lo faccio.”, disse Harry alla fine, senza neanche guardarlo negli occhi. “Chiederò – a Cindy, lei è perfetta, è una mia amica, l’ho conosciuta prima di cominciare a fare l’attore, spero mi capisca. Ma solo per i mesi che restano fino alla fine del contratto. Io non sono così. Io non sono tutto questo buio.”
Raccolse dalla borsa gli auricolari che portava sempre con sé, rannicchiandosi più che poteva contro il finestrino e sperando di scomparire. Qualche istante dopo raggiunsero la pizzeria, e Gary gli fece segno con un cenno che erano arrivati. Harry scrollò le spalle.
“Non ho fame.”, soffiò annoiato, chiudendo gli occhi. “Svegliatemi quando arriviamo in albergo.”
 
 
Harry si martoriava con la punta delle unghie il labbro inferiore mentre aspettava che qualcuno dall’altra parte rispondesse alla sua chiamata – aveva semplicemente bisogno di sentire la sua voce, solo la sua voce, non chiedeva altro –
“Pronto?”
La voce di Alla era sempre bassa e docile, come se dovesse calmare un bambino agitato. “Alla, ciao, sono Harry.”
Dall’altra parte un piccolo sospiro. “Harry, tesoro…”, Harry deglutì, in qualche modo già preparato a incassare le parole, mentre sostituiva le unghie con i denti nella tortura del labbro inferiore, “Non è – non è una buona giornata, questa.”
“Ho solo bisogno di sentire la sua voce.”, disse piano Harry, scostando di poco le tende che aveva a pochi centimetri dal viso, per specchiarsi nella citta di Los Angeles. C’era buio, ma non perché era sera. Perché aveva piovuto tutta la notte, ed era come se la pioggia avesse appena consumato tutta la luce. “Anche solo per un istante – ti prego.”
“Se ti facessi richiamare quando sta meglio?”
“Alla.”, Harry dovette premere il pugno della sua mano contro la bocca per impedire a un minuscolo singhiozzo di fuoriuscire. Era stanco. Non aveva dormito bene quella notte; l’aveva passata principalmente a rigirarsi nel letto a riflettere su tutto come su niente. “Ne ho bisogno, okay?”
Alla non disse più niente. Harry percepì il fruscio dello spostamento del telefono e, da lontano, qualche voce smorzata. Aspettò diverso tempo, finchè –
“Pronto?”
Harry pensava che a volte essere emotivo lo avrebbe condotto a qualche guaio. Quel scoppiare a piangere dal nulla, mentre dentro di sé continuava a ripetersi di essere forte e di poter farcela, come in quel momento. Calde lacrime cominciarono a scorrere sulle sue guance lasciandosi dietro lunghe scie salate, che lo costrinsero a chiudere gli occhi. “Mamma.”, disse, piano e quasi paurosamente, come se da un momento all’altro qualcuno potesse strappargli via la voce. “Mamma sono io, Harry.”
Come si era aspettato, dall’altra parte non giunse alcuna risposta per un po’. Harry deglutì, raccogliendo profondi respiri e schiacciando la mano che non teneva sollevato il telefono contro il proprio stomaco.
“Non…”, la voce di Anne Selley era debole, pasticciata, come se si fosse svegliata da poco. “Non credo di capire. Io non ho figli.”
Harry si bloccò, ispirando dal naso per impedirsi di singhiozzare. Perché avrebbe solo peggiorato le cose, l’avrebbe solamente spaventata. “Sì, Anne, tu – hai figli. Sei mia madre.”
Un respiro profondo. Harry se la immaginava, immersa nel suo enorme cardigan preferito color sabbia, a giocherellare coi capelli mentre combatteva contro la sua malattia per ricordare – qualsiasi cosa. “No, io – non ho figli. Sono sola.”
Harry annuì a vuoto, troppo stanco per controbattere e infelice; si sentiva così debole da credere di potersi accartocciare da un momento all’altro, come un fragile foglio di carta. “Mi – manchi. So che non ti ricordi di me e che non capisci, ma so anche che da qualche parte ci sei ancora, mamma. E mi manchi.”
Dall’altra parte solo respiri regolari, nulla di più. “Vuoi che ti ripassi la dottoressa?”, ed era quello a ferire Harry di più, il fato che usasse quel tono distaccato, formale. Quasi come se avesse paura – di scottarsi. Harry riascoltò il solito fruscio, mentre si lasciava scivolare lungo la parete vicino alla finestra e diventava minuscolo al buio di quella stanza di albergo, netti e spezzanti singhiozzi che facevano sobbalzare il suo petto come se avesse appena smesso di correre.
“Oh, tesoro.”, quella era la voce di Alla, triste attraverso il telefono, come una canzone monotona imparata a memoria. “Te l’aveva detto che non era una giornata buona.”
 
I posti alti lo rassicuravano.
Il brivido di guardare giù, avere quella sensazione di insicurezza e pericolo, gli facevano credere di essere vivo. Era strano, ed Harry lo sapeva. Ma anche quando da piccolo doveva cercare un posto per riflettere e mettere a posto tutti i pensieri che affollavano la sua testa, si arrampicava su qualche ramo robusto di qualche albero, nei prati che circondavano Holmes Chapel; dall’alto, gli sembrava di poter riordinare le idee. Di controllare la sua prossima mossa, e quella degli altri.
Aveva scoperto una piccola scala anti-incendio che dal piano della propria camera portava fino alla terrazza dell’hotel – e aveva volutamente ignorato il cartello che chiedeva caldamente di non entrare. Aveva bisogno di stare da solo, anche perché odiava farsi vedere mentre piangeva: una gran bella rottura considerando il fatto che ogni scusa era buona perché Harry Styles piangesse. I bambini e i ragazzi un po’ più grandi di lui lo avevano sempre preso in giro per quello, mentre sua madre e Gemma – sua sorella maggiore – avevano sempre cercato di spronarlo con frasi come Devi imparare a tenerci un po’ di meno, Harry; è brutto da dire ma il mondo sa sempre ferirti e invece, quando deve curarti, si dimentica come si fa.
Harry sapeva di essere migliorato negli anni. Adesso non avrebbe mai pianto se qualcuno lo avesse spinto tra i corridoi della scuola urlandogli checca, o se avesse trovato il modo di sabotargli la bici per farlo cadere – adesso piangeva per le piccole cose, quelle che gli scavavano dentro e gli pungevano il cuore. La malattia di sua madre non era certo d’aiuto, e il fatto che Gemma fosse rimasta in Inghilterra lontano da loro aveva sempre la capacità di renderlo triste – la sua Gemma era speciale, e sapeva sempre come comportarsi quando tutto andava storto. Harry no.
Fu più o meno in quel momento che sentì la porta della terrazza spalancarsi; il rumore fu così forte da farlo sobbalzare. Ruotò il capo per scorgere la fonte di tutto quel disastro, e dovette assottigliare gli occhi per capire che quello che stava vedendo di fronte a se fosse effettivamente reale.
C’era un ragazzo, un ragazzo che non doveva avere più della sua età. Mingherlino, molto più basso di Harry, ma quelli non erano dettagli importanti. Ciò che colpì Harry fu il fuoco che brillava nei suoi occhi. Erano blu, di un blu brillante, aperti e pieni di luce, nonostante ci fossero ancora le nuvole a coprire il cielo quel mattino ed Harry fosse decisamente troppo lontano da lui per capire tutti quei dettagli. Era vestito elegantemente, fin troppo per essere un semplice ospite dell’hotel, e in mano teneva stretta una radiolina nera che era collegata alle sue orecchie tramite auricolari.
Harry arricciò il naso mentre corrugava la fronte – non riuscì a farne a meno, perché non capiva. Si sollevò da terra, dall’angolo in cui si era rannicchiato, per osservare meglio quel ragazzo, e nel farlo questo lo notò; il suo viso di riempì di sollievo, ma fu qualcosa di assolutamente fugace.
“L’ho trovato, è sulla terrazza. Passo.”, borbottò quel ragazzo direttamente alla sua radiolina, per poi puntare gli occhi in quelli di Harry. Rimasero immobili per una manciata di secondi, durante i quali Harry si rese conto di avere i capelli troppo disordinati, i vestiti troppo stropicciati – e per l’amor del cielo, stava ancora piangendo.
“Finalmente ti ho trovato.”, disse ad alta voce quel ragazzo, mentre si avvicinava. “Ti abbiamo cercato per tutto l’hotel –”
Harry fece un passo indietro. “Chi cavolo sei, tu?”, chiese borbottando, senza nemmeno molta grazia. Okay, quel ragazzo era carino – molto più che carino, ma non doveva importare – ma non lo aveva mai visto prima e lo stava vedendo piangere. Ed Harry odiava che gli altri vedessero quello, quanto era – maledettamente vulnerabile. “Avevo detto a Gary che volevo restare da solo.”
“Sì, esattamente cinque ore fa.”, rispose tranquillamente quel ragazzo, un mezzo sorriso che nasceva sul suo volto. Harry aggrottò la fronte, possibile che fosse rimasto sul terrazzo tutto quel tempo? Recuperò il telefono dalla propria tasca, che lo avvisò della batteria quasi scarica. Era pomeriggio.
“Ho l’ordine di portarti da Gary.”, disse piano quel ragazzo, facendo un passo verso di lui. Harry cercò di non soffermarsi troppo su quanto quel completo gli stesse bene. “Se vuoi seguirmi…”
“Non ho la più pallida idea di chi tu sia.”, sbottò Harry, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “Sbuchi fuori dal nulla, mi fai prendere un colpo e pretendi che esegua i tuoi ordini?”
Quel ragazzo sembrava – stordito. Interdetto. Ma allo stesso tempo, stranamente divertito. “Non te lo ha detto Gary…?”
Harry scrollò le spalle. “Dirmi cosa?”
Il ragazzo sbuffò una sorta di risata divertita, alzò lo sguardo per puntarlo in un punto imprecisato sopra di lui. “Poi vanno a dire in giro che il nostro è un bel mestiere.”, sbuffò, passandosi entrambe le mani sugli occhi. “Sono stato assunto da Gary per essere il tuo – bodyguard. Non – so se sei famigliare con la cosa. Ma oggi mancano esattamente quattro mesi all’anteprima del tuo nuovo film, giusto?”
Harry si coprì il petto con entrambe le braccia, stringendo la presa sul proprio stomaco. Sollevò un sopracciglio perfettamente curato. “Tu saresti il mio – cosa?”
“Bodyguard.”
“Non ho assolutamente bisogno di te!”, sbottò Harry, passandosi una mano tra i capelli e lasciandosi scappare una risata – per lo più isterica, temeva. “Gary deve essersi preso una bella botta in testa!”
Di nuovo, quel ragazzo fu costretto a bagnarsi le labbra per non ridacchiare. Harry lo vide prendere un bel respiro, mentre calciava qualcosa di invisibile sotto di lui. “Mi è stato detto che agli ultimi eventi ti è stato difficile - muoverti.”
Harry fu preso in contropiede. Era vero. Negli ultimi tempi doveva sempre spostarsi in macchina; gli era impossibile passeggiare perché veniva raggiunto in massimo pochi minuti da paparazzi e fan urlanti; ed Harry amava i suoi fan, davvero, ma alcuni di loro si erano mostrati più di una volta piuttosto molesti. Ricordava di aver raccontato a Gary che una delle sere della settimana precedente, un fan ubriaco lo aveva strattonato e accidentalmente gli aveva tirato i capelli. Harry era sempre riuscito a gestire bene la fama – Gary organizzava tutto quello che doveva fare a regola d’arte, ma doveva ammettere che, dopo quell’episodio, aveva avuto paura di uscire di nuovo da solo.
“Non capisco perché Gary non me ne abbia parlato.”
“Non è importante, no?”, disse piano quel ragazzo, cercando i suoi occhi. “Senti, so quanto può dar fastidio. Sono anni che faccio questo lavoro, e ho visto negli occhi delle persone che proteggevo tutta quanta – la rabbia. Lo so che la situazione fa schifo, il non potersi muovere senza avere qualcuno che ti sorveglia costantemente – ma pensa a cosa potrebbe succedere, se fossi di nuovo da solo. La prossima volta potrebbero non limitarsi nel tirarti i capelli.”
Harry si abbracciò più forte. “Gary te lo ha detto?”
“Mi ha fatto un rapporto piuttosto dettagliato su cosa è successo le ultime volte, sì.”, disse sbrigativamente quel ragazzo. Aveva i capelli castani, la barba leggermente incolta, e Harry pensò che non aveva mai visto nessuno a cui quei particolari donassero di più. Si impose di distogliere lo sguardo. “Per questo insieme abbiamo pensato che avessi – bisogno di protezione. Tre di noi che ti sorveglieranno ventiquattro ore su ventiquattro.”
Ad Harry si aprì la bocca per lo stupore. “Mi farete compagnia anche mentre faccio la pipì?”, borbottò, e quella fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso, perché quel ragazzo cedette e scoppiò a ridere, una risata genuina da far male alla pancia, e qualcosa dentro lo stomaco di Harry si mosse inesorabilmente.
Si rese conto che era stato bello farlo ridere. E immediatamente dopo, si diede dello stupido per aver avuto un pensiero così infantile.
“Scusami, è solo – Gary mi aveva parlato tanto di te, uhm – mi aveva fatto tanti di quei racconti su quanto Harry Styles fosse viziato, che quando Harry Styles vuole qualcosa il mondo si deve spezzare per riuscire a trovargliela, e niente – sei – tutta una sorpresa.”
Harry percepì le proprie guance andare in fiamme. “Gary crede di sapere tutto di me, ma si sbaglia.”, disse soltanto, distogliendo lo sguardo bruscamente. Con la coda dell’occhio riuscì comunque a percepire che il sorriso di quel ragazzo era sbiadito; adesso era serio, concentrato.
“Non avevo dubbi su questo.”, soffiò lui. Harry lo sentì avvicinarsi, e poco dopo un fazzoletto di stoffa entrò nella sua visuale. Aggrottò la fronte.
“Ho notato che stavi piangendo.”, gli disse semplicemente quel ragazzo, facendogli segno perché recuperasse il fazzoletto. “Ed è bene sempre asciugarle le lacrime.”
Harry cedette e lo guardò. “Perché?”, era una domanda stupida, ed era nata dal nulla, ma Harry non riuscì a fermarsi.
“Perché ogni volta che asciughiamo una lacrima diventiamo più forti, non lo sapevi?”, gli disse lui, mettendogli infine il fazzoletto nella mano. Harry lo accettò e si asciugò le lacrime un po’ in certo, puntando gli occhi in un punto impreciso dell’immensità della città di fronte a loro. Sospirò, tirando su col naso e sentendosi - meglio. Meno vulnerabile. Puntò gli occhi in quelli del ragazzo che per sua stessa ammissione intendeva proteggerlo, deglutì.
“Lo posso sapere il tuo nome?”
Lui gli offrì un sorriso così genuino da far male, un sorriso così grande da far credere ad Harry che potesse sostituire il sole quel giorno, che ancora non aveva il coraggio di farsi vedere, che gli provocò una fitta allo stomaco.
“Louis.”, disse piano, e qualcosa di melodico nella sua voce fece capire a Harry che, per quanto si fosse sforzato, non avrebbe dimenticato facilmente il modo in cui quegli occhi blu lo facevano sentire.
 
Harry seguì Louis lungo il corridoio che portava alla sua camera da letto; gli stava estremamente vicino nonostante lo avesse appena incontrato. Sentiva la rabbia ribollirgli sotto la pelle per il fatto che Gary non gli avesse parlato di aver preso una decisione così importante su una questione così delicata come la sua vita – ma allo stesso tempo, al pensiero di dover passare più tempo con quel ragazzo – con Louis – gli faceva provare qualcosa di importante al livello dello stomaco. Sapeva di non potere – sapeva di aver un contratto dietro le spalle a limitare le sue scelte, ma nonostante quello si ritrovava a pensare ripetutamente al sorriso enorme che Louis gli aveva rivolto poco prima, anche se si erano conosciuti da una manciata di minuti. Davanti alla porta della sua stanza, lo sguardo fisso in avanti e le spalle immobili, c’erano altri due ragazzi che Harry non aveva mai visto. Uno aveva la pelle abbronzata, i capelli neri come la pece e un filo di barba che lo rendevano uno dei ragazzi più belli che Harry avesse mai visto; l’altro aveva un viso più docile dai lineamenti morbidi, i capelli castani e la barba fatta. Quando entrarono nella loro visuale, entrambi ruotarono il corpo verso quello di Louis – come se dipendessero da ogni sua piccola parola.
“Harry – questi due ragazzi sono le altre due guardie.”, gli spiegò Louis con voce tranquilla. Harry si impose di non sembrare stupito o peggio, intristito da quell’informazione: per un attimo aveva sperato di poter aver a che fare solo con Louis. E non perché fosse egoista, ma perché quello significava dimostrarsi vulnerabile di fronte a due persone che a malapena conosceva.
“Questo è Liam.”, mormorò Louis, indicandogli il ragazzo castano dal viso dolce. Liam gli sorrise un po’ con timidezza, ma quando Harry gli strinse la mano ebbe una bella sensazione; gli sembrava essere una persona genuina, oltre che molto professionale. “Questo invece è Zayn.”, continuò Louis, indicandogli il ragazzo dai lineamenti impeccabili e spigolosi; Harry allungò una mano verso di lui e Zayn gliela strinse brevemente e forse con troppa forza, facendogli provare una sensazione di spiacevole imbarazzo. I suoi occhi ambra erano freddi come il ghiaccio e non trasparivano alcuna emozione. Prima che Harry potesse commentare quella cosa, Louis gli afferrò dolcemente un braccio per indicargli di seguirlo dentro la propria stanza vuota. Si chiuse la porta alle spalle e si schiarì la voce, un ciuffo di capelli biondo scuro che andò a coprirgli l’occhio destro. Harry si chiese che sensazione avrebbe provato nel sistemarglielo dietro l’orecchio.
“Non fare caso…a Zayn.”, borbottò Louis, agitando le mani nella direzione della porta, come per scacciare via un brutto pensiero. “Lui è fatto così.”
Harry si bagnò appena le labbra, passandosi una mano tra i lunghi riccioli. “Mi ha spaventato a morte.”
Louis sbuffò una leggere risata. “E’ molto – serio.”
“Avrà il cuore di ghiaccio.”
“E’ solo molto professionale.”
“O forse è un serial killer nasconde i cadaveri da qualche parte dove abita e…”, Harry vide il cipiglio divertito che stava nascendo sulle labbra di Louis, e sentì di nuovo quella morsa piacevole avvolgergli lo stomaco, quella sensazione di trionfo per averlo fatto sorridere. “Scusami.”
“E’ il nostro lavoro. Proteggere le persone…senza che si creino legami.”
Harry deglutì appena. “Tu non sei così.”, soffiò, non riuscì a frenarsi. Era vero, per quel poco che era riuscito a vedere Louis non era così, era una persona a cui importava. “A te…importa.”
Louis sembrò preso in contropiede. “Non sono così – come?”
“Non sei – freddo.”, disse lentamente Harry. “Prima quando mi hai dato il fazzoletto…non eri costretto. Potevi far finta di non averle viste le lacrime.”
Luois si grattò la punta del naso. “Che razza di persona potrebbe far finta di non vedere le lacrime di qualcuno –”, Harry ebbe la sensazione che la frase di Louis fosse stata interrotta bruscamente, come se si stesse trattenendo dall’andare oltre e dire qualcosa di - troppo. Lo vide deglutire, chiudere gli occhi e riaprirli di scatto. “Sei una persona. Per me. Beh, dovresti esserlo per chiunque altro, ma per me, ti sto dicendo – tu sei una persona. Prima di essere Harry Styles. E le persone – soffrono, sorridono, cadono e si rialzano. È normale.”
Harry annuì. “Anche tu.”
“Anch’io cosa?”
“Anche tu puoi – sai, essere una persona per me. Prima di essere il mio bodyguard. Se – se lo vuoi. È così stupido da chiedere –”, Harry si passò una mano tra i capelli stringendo qualche ciocca tra le dita sentendosi davvero, davvero stupido, ma quando alzò lo sguardo verso Louis lui stava sorridendo nella sua direzione.
“Mi farebbe molto piacere, Harry.”, sussurrò lui, le mani unite dietro la schiena e quell’aria da ragazzo sveglio, perché deve aver vissuto qualcosa di importante sulla pelle. Qualcosa che ti segna. Harry annuì trovandosi a sorridere come uno stupido, e solo dopo si rese conto dell’ora segnata dal suo orologio da polso. Alzò gli occhi al cielo.
“Vado – uhm. A farmi una doccia.”, mormorò balbettando, indicando grossolanamente il bagno. Louis sembrò capire senza che ci fosse bisogno di andare oltre, facendo qualche passo indietro, le guance arrossate.
“Certamente, uhm – ti aspetto appena qui fuori. Quando sei pronto ti accompagnerò all’incontro con Gary.”
 
Harry non seppe capire come riuscì ad abituarsi a quell’assolutamente – odiosa, stramba e interminabile routine. Non fu facile venire a patti con il fatto che ogni volta che doveva spostarsi aveva qualcuno accanto – qualcuno che si occupava della sua sicurezza accanto, pronto a intervenire in caso qualcuno si avvicinasse troppo. Gary continuò a insistere sulla questione della sicurezza, che non potevano più lasciare che le cose semplicemente accadessero, e che Harry aveva rischiato fin troppo più di una volta.
L’unica crepa positiva di quella routine spezzettata era – Louis, inspiegabilmente.
Louis che si comportava esattamente come – una persona, con lui. Accogliendolo con un sorriso al mattino e chiedendogli dove desiderasse fare colazione, anche se Harry preferiva rimanere a farla in hotel. Louis che gli chiedeva se volesse passeggiare, o visitare qualche libreria, fare qualsiasi cosa – ma Harry la maggior parte dei pomeriggi era costretto a rifiutare, perché Gary lo incastrava con futili interviste o incontri con importanti registi della zona.
Harry si sentiva – stanco, per lo più. Stanco di vivere come un fantasma ma in parte anche perché aveva cominciato a mentire su se stesso, proclamando una relazione con una ragazza; una relazione inesistente. Non aveva avuto il tempo materiale di chiamare la sua mamma, e ogni volta che ci pensava un peso grande come un macigno schiacciava il suo stomaco.
Forse voleva solo – avere la forza di combattere. La forza di aprire gli occhi e non aver paura.
Era solo che – Harry si guardava dentro, e non aveva idea di dove trovarla quella forza.
 
***
 
Successe una cosa, in un pomeriggio come tanti. Harry si era dovuto spostare dall’hotel per partecipare a un programma alla radio e, considerata la presenza di diversi fan appena fuori dal luogo che ospitava la trasmissione, Gary aveva espressamente chiesto che quel giorno fossero presenti tutte e tre le guardie. Harry non lo riteneva affatto necessario – per lo più avrebbe dovuto firmare autografi e accontentare qualche ragazza nel fare un po’ di foto, nulla di più.
Lasciò un edificio con un piccolo sorriso, affiancato da Louis mentre appena a qualche passo da lui camminavano Zayn e Liam, attenti e vicini. Harry non si curò di loro, ma prestò la massima attenzione alle persone che avevano rinunciato alla vita di tutti giorni per essere lì ad acclamarlo, quel pomeriggio. Alzò la mano verso un gruppetto di fan per salutarle e senza curarsi delle istruzioni di Gary si avvicinò a loro per firmare qualche autografo. Louis fu immediatamente dietro di lui, ed Harry fu internamente grato del fatto che non stesse aprendo bocca – non aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse costantemente cosa dovesse fare. Era ancora una persona, dopotutto.
Fu bruscamente distratto dalla voce improvvisamente alta ed irritata di Zayn. “No, signora, le ho più volte detto che non può avvicinarsi.”, ascoltò Harry, voltandosi immediatamente verso quello scenario. La signora con la quale Zayn stava discutendo non doveva avere più di quarant’anni; era bionda e sembrava molto dolce. Aggrappata al suo ginocchio, gli occhi umidi e gli angoli della bocca che si curvavano verso il basso, c’era un’adorabile bambina vestita di giallo che non faceva altro che spostare lo sguardo da sua madre ad Harry. Non ci volle un genio per capire che voleva avvicinarsi per salutarlo. Harry alzò gli occhi al cielo, scusandosi con la ragazza che aveva di fronte per poi camminare verso quel piccolo scenario.
“Che problemi ci sono?”
Zayn non lo guardò nemmeno quando rispose. “La madre di questa bambina mi chiede di farla passare perché vuole darle una cosa. Ho l’ordine di bloccare qualsiasi tipo di richiesta simile.”
Harry fu sul punto di alzare gli occhi al cielo per la seconda volta in appena venti secondi. “E’ una bambina.”, mormorò, non riuscendo a capire razionalmente perché Zayn si stesse comportando così. Fece un passo verso di lui. “Lasciala passare.”
“Gliel’ho detto, signor Styles, ho il preciso ordine di non –”
“Zayn.”, quella era la voce tagliente di Louis, che nel frattempo si era messo dietro di loro. “Harry ti ha chiesto una cosa. Lasciala passare. Adesso.”
Harry fu sul punto di credere che Zayn lo volesse colpire da un momento all’altro, quando gli riservò un’occhiataccia. Si spostò di lato con un gesto noncurante, sparendo dalla parte opposta del piazzale. Harry non riuscì a fare meno di cercare gli occhi di Louis per ringraziarlo tacitamente, prima di piegarsi verso la bambina, che nel frattempo stava cercando di combattere con tutte le sue forze per non piangere.
“Ma che cosa abbiamo qui.”, soffiò Harry, inginocchiandosi di fronte a lei e regalandole un sorriso di conforto. “Una bellissima principessa. Vestita tutta di giallo, poi! Lo sai che io adoro il giallo?”
La bimba finalmente sorrise, coprendosi immediatamente la bocca con la mano per nascondere il suo rossore. Harry rise di gioia.
“La deve scusare, uhm –”, intervenne la madre, che sembrava mortificata. “E’ un po’ timida.”
“Ma non c’è bisogno di essere timidi, principessa. Sei timida quando parli con i tuoi amici?”
La bambina scosse la testa per negare.
“E allora non devi essere timida nemmeno con me. Okay?”, mormorò Harry, allungando una mano verso di lei. Con incertezza, lei la afferrò saldamente, ed Harry se la portò vicino. “Allora, dimmi un po’. Come ti chiami?”
“Mary.”, soffiò lei parlando per la prima volta. Poi sorrise, un sorriso ampio e genuino. “Volevo dirti che sei – il mio attore preferito, Harry.”
“Oh, ma questo è un onore per me!”, le disse dolcemente, accarezzandole i capelli scuri. Adirava i bambini, non ci poteva fare niente; spesso quando camminava tra le gente si ritrovava a sorridere a qualsiasi neonato si trovasse davanti, o addirittura alle mamme con visibili pancioni. I bambini gli davano speranza, e la speranza in certi momenti era l’unica cosa di cui voleva fare tesoro. “Qual è il tuo sogno, Mary?”
“Il mio sogno?”
“Certo, quello che vuoi fare da grande. Tutti hanno un sogno.”
Mary rise sotto i baffi, allungando le dita verso il petto di Harry per afferrare un lembo della sua camicia e stringerlo, come se avesse bisogno di un supporto. “La ballerina.”
“La ballerina.”, ripetè Harry. “Ottima scelta. Promettimi che non rinuncerai mai al tuo sogno, va bene? Che lotterai con tutte le tue forze per far sì che si avveri.”
Mary lo guardava con un misto di stupore e ammirazione, con quella luce particolare negli occhi che solo i bambini della sua età sapevano custodire. “Promesso.”
A quel punto Harry le autografò l’adorabile diario di Barbie che la bambina le porse, e prima di andarsene, questa gli tirò la manica della camicia. “Per te.”, borbottò, offrendogli un fiorellino giallo che doveva aver raccolto nei paraggi; poi corse a nascondersi dietro le gambe della madre, che lo ringraziò da lontano per essere stato così disponibile. Harry sorrise in modo genuino e si mise il fiore giallo tra i capelli, non curandosi di quello che le persone avrebbero potuto dire.
Quando si voltò, Louis era ancora lì, a qualche metro da lui, a osservarlo con il petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare, gli occhi chiari spalancati e colmi di qualcosa a cui Harry non riusciva a dare un nome. Harry seppe solo che difficilmente avrebbe mai dimenticato quel momento.
“Louis?”, chiese piano, non sapendo se a conti fatti lui avrebbe mai potuto sentirlo in mezzo alle grida delle persone che lo acclamavano lì vicino. “Va tutto bene?”
Il tempo di un secondo, e la magia svanì nel momento in cui Louis distolse lo sguardo con un minuscolo sorriso. “Sì, sì – non è nulla, perdonami. È meglio che ti accompagni alla macchina.”, mormorò, assumendo quel tono distaccato che era costretto a fare suo in quei momenti. Harry annuì, mentre si voltava un ultima volta verso la bambina dal vestitino giallo, che lo stava salutando da lontano.
Per tutto il tempo, si sentì gli occhi di Louis addosso.
 
***
 
Harry odiava i pomeriggi in cui non era previsto che Louis fosse in servizio – cioè il pomeriggio del lunedì, e quello del venerdì. Quelli erano i pomeriggi in cui doveva stare in compagnia di Liam. Non aveva nulla contro quel ragazzo – era gentile e attento, cosa che Harry apprezzava - ma non era Louis. Per non parlare della domenica. La domenica era Zayn la sua guardia del corpo. E con Zayn nossignore, non potevi fare una parola che fosse una, perché Zayn preferiva rimanere fermo come un palo, tutto impettito mentre lo portava in giro come se Harry fosse il cagnolino, e non la persona da proteggere.
Harry non odiava le domeniche, no; voleva solo che improvvisamente sparissero dal calendario.
Quel pomeriggio si sentiva particolarmente giù, però; era venerdì, il giorno dopo Gary aveva avuto la meravigliosa idea di fissargli un’intervista alle otto del mattino con un giornalino di gossip che Harry aveva cercato di evitare come la peste; il suo manager aveva pensato bene che però fosse una buona idea quella di spiattellare in prima pagina di un giornale di ragazzine il fatto che Harry Styles avesse finalmente trovato l’amore.
Sbuffò sulla poltroncina della hall su cui era seduto dall’ora di pranzo, dopo aver bevuto quattro caffè che Liam gli aveva portato tra sbuffi di risate e corse contro il tempo – visto che Harry non prendeva il caffè se non era praticamente ustionante.
“Non sta tanto bene?”
Harry alzò lo sguardo dalle proprie gambe incrociate al viso di Liam. “Mi hai dato di nuovo del lei.”
Liam ridacchiò grattandosi la testa, visibilmente in imbarazzo. “M-mi dispiace. Hai ragione. È che impongono di dare del lei ai nostri clienti. Non – ti senti bene?”
Harry sbattè appena le palpebre. “In realtà sto bene.”, mormorò Harry. Respirava, aveva vestiti firmati, la pancia sempre piena e una quantità di denaro esorbitante per la sua età, più grande di quanto avrebbe mai potuto desiderare o immaginare di avere. Eppure –
“Ti capita mai – di sentirti vuoto. Dentro – non so come spiegarlo? Stai bene, non hai niente di rotto a livello fisico eppure – dentro stai male. Al livello dello stomaco. Proprio qui.”, Harry schiacciò un punto preciso della sua pancia, ispirando dal naso. “Proprio qui c’è qualcosa che non va.”
Liam lo guardava seriamente, ed Harry si rese conto che era la prima volta che si sentiva vicino a una persona che non fosse Louis. “Un po’ tutti i giorni.”, ammise Liam, scrollando le spalle. “Capisco come ti senti.”
Harry distolse lo sguardo, sprofondando ancora un pochino di più nella sua poltroncina. Liam attirò la sua attenzione qualche minuto più tardi, quando gli chiese il permesso di congedarsi per andare in bagno ed Harry annuì con un sorriso genuino – pensando che Liam fosse davvero una bella persona. Non era necessario conoscerlo a fondo per dirlo, bastava qualche occhiata ai suoi sorrisi o qualche parola lasciata in sospeso. Harry si rannicchiò meglio contro lo schienale chiudendo gli occhi nuovamente, pensando che fosse meglio chiedere a Liam di spostarsi nella propria camera – almeno lì avrebbe potuto dormire senza sembrare una sorta di senza tetto –
“Sembra che qualcuno abbia bisogno di un altro caffè.”, mormorò una voce calda, ed Harry scattò a sedere nel giro di qualche secondo. Il cuore gli salì nella gola quando si rese conto che davanti a lui c’era Louis – ma non era il solito Louis, il bodyguard vestito di tutto punto. Era un ragazzo come gli altri, vestito di jeans, maglietta e giacca di pelle nera. Harry si guardò attorno, alla ricerca di Liam.
“Non troverai Liam se è lui che stai cercando.”, borbottò Louis con un sorriso, immergendo entrambe le mani nelle tasche e dondolando avanti indietro. Harry lo trovò – così tremendamente semplice da rimanere senza fiato.
“Non credo di capire.”
Louis scrollò le spalle e si sedette sul bordo della poltrona su cui stava Harry. “Liam mi ha chiamato chiedendomi se potevo passare. Ti vedeva un po’ giù.”
Il cuore di Harry scartò un battito nel realizzare che Liam avesse fatto per lui una tale gentilezza – ma rimase ancora più sbalordito dal fatto che Louis, in uno dei suoi pochi pomeriggi liberi, fosse disponibile a stare con lui.
“Ma…”, Harry si morse leggermente il labbro inferiore. “E’ il tuo pomeriggio libero.”
Louis sorrise. “E allora?”, soffiò, guardandolo negli occhi. “Liam era preoccupato, e ha fatto preoccupare anche me. Volevo vedere come stavi.”
Harry avvolse le braccia attorno al proprio busto, abbozzando un minuscolo sorriso. “Sto un po’ meglio ora.”
Lo sguardo di Louis era attento e i suoi occhi brillanti; Harry non riusciva a smettere di guardarlo. Fu infatti Louis a distogliere lo sguardo per primo, sorridendo appena. “Ti va – non lo so, di fare un giro?”
Harry non ebbe motivo di pensarci: quel pomeriggio non aveva impegni, e tra il passarlo a letto ad autocommiserarsi ed andare da qualche parte con Louis, naturalmente avrebbe scelto la seconda opzione ad occhi chiusi. Annuì debolmente e, alzandosi dal divano, a così poca distanza dal corpo di Louis, provò l’irrefrenabile desiderio di abbracciarlo. Sentire il suo corpo caldo addosso, rifugiarsi in qualcosa che, inspiegabilmente, lo faceva sentire al sicuro.
Fece un passo indietro, però, impedendosi di fare qualcosa che avrebbe potuto mettere entrambi in una situazione dalla quale sarebbe stato impossibile uscirne senza farsi del male.
 
Harry a volte aveva paura dell’effetto che Louis aveva su di lui. Aveva paura di stargli accanto, perché quasi non riconosceva il suo corpo quando erano vicini – si sentiva costantemente teso, la pelle invasa da brividi, il respiro corto che lo tradiva.
Aveva paura della persona che diventava – o forse era quello, il vero Harry? L’Harry timido che arrossiva per un semplice sorriso, a cui batteva il cuore per una semplice attenzione. Doveva ammettere che era una versione di se stesso completamente nuova, a cui si sarebbe stato piacevole abituarsi.
Louis lo accompagnò in un piccolo caffè sulla via principale, di quelli semplici e spaziosi e tanto illuminati. Gli fece segno di sedersi dove preferiva, e poi gli chiese che tipo di caffè prendesse; Harry gli disse di prenderlo lungo, accompagnato da un paio di biscotti alla farina integrale. Louis tornò al massimo un minuto dopo, maneggiando abilmente i due caffè tra le mani; posò quello di Harry sul tavolino e gli sorrise, portando il proprio bicchiere di plastica alla bocca.
“Quanto ti devo?”, borbottò Harry, le dita della mano destra che scivolavano nella tasca per recuperare il portafogli. Louis gli gettò un’occhiataccia addosso.
“Non dire sciocchezze.”, disse piano, scrollando una singola spalla. “Ti ho proposto io di venire qui.”
Harry si sentì autorizzato a pensare se quello fosse – un appuntamento. Poi si rese conto di quanto ridicolo poteva sembrare quel pensiero: Louis era il suo bodyguard ed era effettivamente pagato per proteggerlo, eppure –
Era stato dolce, a venire lì quel pomeriggio nonostante fosse il suo giorno libero. E di nuovo, era stato dolce a portarlo lì e offrirgli il caffè con i biscotti. Harry abbassò lo sguardo sulla propria tazza. “Grazie.”, soffiò con un sorriso, e non ebbe il coraggio di raccogliere lo sguardo di Louis. Non credeva che il suo cuore avrebbe retto, e di sicuro si sarebbe tradito con qualche sciocchezza, come rovesciare un po’ del suo caffè.
Fu sbalordito dal modo in cui Louis fu in grado di intavolare la conversazione – nel giro di qualche minuto, Harry aveva scoperto che Louis veniva da Doncaster, nel sud dello Yorkshire – erano entrambi inglesi, quindi; avevano entrambi finito il liceo e si erano trasferiti in America per ampliare i loro orizzonti e per lavoro. Mentre i loro caffè scorrevano lentamente verso la fine, Harry smise di sentire quella paura che tanto lo aveva assillato mentre percorrevano il marciapiede che li aveva portati lì. Louis aveva la straordinaria capacità di farlo sentire – bene, sé stesso, senza che ci fosse il bisogno di sforzarsi. Non solo per il modo in cui gli parlava, ma anche – per come lo guardava. Era rassicurante.
“Quindi, tra thè e caffè, scegli il caffè.”, mormorò Louis. Non sembrava una domanda.
“Thè.”, lo corresse Harry, sentendosi in dovere di difendere le tanto famigerate tradizioni inglesi. “Ma ci sono dei giorni in cui senza caffè temo non andrei da nessuna parte, tipo oggi. Tu?”
“Cappuccino.”, borbottò Louis, un sorrisetto furbo che lo tradiva. “Tra caffè e thè, prendo il cappuccino mille volte. Con tutta quella schiuma.”
“La schiuma fa male, Louis.”, Harry deglutì. Gli piaceva pronunciare il suo nome; sapeva anche quanto quel pensiero fosse stupido e infantile, ma era bello potersi rivolgere a Louis come una persona e non come qualcuno che lavorava per lui.
“Un sacco di cose fanno male, Harry.”, borbottò Louis, un vago sorriso che gli increspava le labbra. “McDonald’s o cibo sano?”
Harry arricciò il naso al suono della parola che iniziava con la enne. “Ho preso dei biscotti alla farina integrale.”, borbottò. “Secondo te…?”
Louis spalancò gli occhi, passandosi una mano tra i capelli. Il suo sorriso si allargò inevitabilmente. “Non posso crederci.”, sbuffò, ridendo immediatamente dopo. “Sapevo che doveva esserci qualcosa che non andava.”
Harry aggrottò la fronte. “Qualcosa che non andava?”
“Ma sì! Occhi verdi, boccoli lunghi e castani, gambe infinite. E poi non ti piace andare da McDonald’s. E’ vero quello che dicono: nessuno è perfetto.”
Harry sapeva che avrebbe dovuto controbattere con qualcosa, qualsiasi cosa, ma era troppo occupato ad arrossire. Si mordicchiò appena il labbro inferiore, per mascherare un sorriso che stava nascendo. “Quella robaccia…”
“Robaccia? Robaccia?! Harry, a volte io darei la mia vita per un buon hamburger.”, qualcosa nello sguardo di Louis fece scoppiare Harry a ridere, e lui lo seguì. “Non sto scherzando. Dopo un lunga giornata di lavoro, l’unica soluzione è andare da McDonald’s. Non me ne faccio niente di uno yogurt dietetico.”
Harry si coprì entrambi gli occhi con le mani. “Ho smesso di ascoltarti quando hai cominciato a nominare gli hamburger.”
“Almeno lo hai mai assaggiato?”, lo incalzò Louis, sbattendo sul tavolo ripetutamente il suo bicchierone di plastica ormai vuoto. Al minimo accenno di no, Louis alzò gli occhi al cielo. “Ecco. Scommettiamo che se ne assaggi un pezzetto ti piace?”
Harry sbuffò. “Certamente, il famigerato, poco costoso, incredibile cibo spazzatura. L’unica cosa che potrei concedermi è una pizza. Naturalmente fatta come voglio io.”
Louis continuò a guardarlo; c’era un brillio vivace nei suoi occhi, forse dovuto alla recente risata. “Sei unico.”, disse piano, e quella minuscola frase squarciò il silenzio oltre al cuore già debole di Harry. “Sei unico, Harry Styles. E altezzoso. E, peggio ancora, salutista.”
Harry sbattè appena alle palpebre. “Ci tengo e basta – sai.”, soffiò appena. “Non sai mai…quello che potrebbe succedere. La vita a volte ti dà tutto poi te lo porta via e tu – non lo so. Combatti, credo.”
Harry sapeva di aver cambiato espressione e tono di voce, e si diede dello stupido un milione di volte, perché Louis stava semplicemente scherzando. Sentì un una mano calda posarsi proprio al centro della sua schiena.
“Ehy.”, soffiò piano Louis, che si era avvicinato nel frattempo. “Stavo…era uno stupido scherzo. A volte…lo so, fa parte di me. Sono stronzo.”
“Dire quello che pensi non ti rende stronzo, ti rende umano.”
Fu il turno di Louis sbattere le palpebre questa volta. “Sì. Ma non voglio dire qualcosa che possa ferirti. Non – non mi piace quando diventi triste.”
Harry immerse il proprio sguardo in quello di Louis, sentendo la sua mano premuta contro, tutto il calore che passava attraverso la stoffa e gli arrivava fin sotto la pelle. Alzò un angolino della bocca. “Tu mi fai sorridere.”, gli venne spontaneo dirgli. Era vero, ed era giusto che Louis lo sapesse. Gli occhi di Louis scivolarono per un singolo istante sulle sue labbra – o almeno fu la sensazione che ebbe Harry – ma, l’istante dopo, proprio come se si fosse scottato, fu proprio Louis a togliere la mano. Lo fece con gentilezza e un piccolo sorriso. Harry non riuscì a smettere di guardarlo, almeno fino a quando la sua attenzione fu catturata da una bambina che, dietro Louis, stava tirando la manica del cappotto della propria madre perché la ascoltasse. La mamma era impegnata a dire i propri ordini alla cameriera, ed Harry pensò che quello fosse un momento giusto da immortalare. Tirò fuori dalla tasca il suo telefonino e scattò una foto alla bambina, catturando in lei quell’espressione dolce ma al contempo triste, e fu soddisfatto del risultato.
“Fai fotografie?”, Louis sembrava piuttosto sorpreso mentre poneva la domanda. Harry gli rispose alzando gli occhi dallo schermo.
“Sì, uhm…non a livello professionale. Anche se mi piacerebbe. Ho fatto un corso prima di trasferirmi qui e diventare attore, ma non ho mai approfondito.”
Louis sembrava – rapito. Harry si sentì quasi schiacciato dal peso di quello sguardo, e decise di scorrere nella propria galleria per trovare alcune fotografie di cui andava particolarmente fiero. Scelse quella di una aquilone che aveva scattato in uno dei suoi pochissimi giorni liberi, quando aveva guidato fino a una spiaggia poco lontana da lì.
“Oh.”, si limitò a dire Louis, osservando la foto attentamente. C’era un piccolo sorriso che spuntava dalle sue labbra. “Solo – wow.”, mormorò, sfiorando con le dita lo schermo del cellulare. “E non hai – mai pensato che questa passione possa diventare qualcosa di più serio?”
Harry inspirò. “Non lo so. Ero – tremendamente giovane quando la Modest mi ha offerto un contratto, avevo bisogno di soldi, e non ci ho pensato due volte a dire di sì. Forse un giorno, chi lo sa. Mi piace fare l’attore.”
“Però sei innamorato della fotografia. Si vede.”, sussurrò Louis, ruotando il telefono verso Harry. Gli mostrò un’altra fotografia che aveva scattato qualche mese prima in una giornata di pioggia: era una foto di se stesso, i capelli bagnati, in bianco nero. Harry era sempre stato molto protettivo nei confronti di quella foto: per qualche motivo, però, il fatto che l’avesse vista Louis lo emozionava.
“Non ho nemmeno una macchina tutta mia.”, borbottò, passandosi una mano tra i capelli. Lui e Gemma ne condividevano una – che era però semplice e assolutamente funzionale, nulla di paragonabile ai modelli che Harry si ritrovava spesso a sbirciare dalle vetrine. Louis lasciò cadere il discorso, ed Harry non potè fare a meno di sentirsi sollevato. Raccolse un pezzetto di biscotto e improvvisamente, si rese conto che aveva una domanda da porre a Louis.
“Perché hai scelto di proteggere le persone?”, chiese piano, grattandosi la punta del naso distrattamente. “Voglio dire…è una grande responsabilità.”
Louis distolse lo sguardo, appoggiò il proprio viso alla colonna portante che c’era appena dietro la sua sedia. “Famiglia grande, immagino. Avevamo bisogno di soldi. In famiglia sono l’unico ragazzo, quindi ho sempre avuto, sai – questo senso di protezione.”, mormorò Louis, tendendo in avanti le mani. “Non lo so. Sono quelle cose che non ti aspetti di fare, ma poi ti ci ritrovi dentro, e non ti dispiace.”
Harry sorrise. “Qual è - la tua fotografia?”
Louis aggrottò la fronte.
“Io amo la fotografia, però faccio l’attore.”, spiegò Harry. “Qual è la tua fotografia?”
Louis sembrò capire. “Scrivo canzoni, ogni tanto.”, il modo in cui lo disse fece capire ad Harry che quell’ogni tanto in realtà significava Ogni volta che posso.
Harry annuì. “Mi piacerebbe tanto ascoltarle.”
Il tempo sembrava essersi sospeso. “Presto.”, lo rassicurò Louis.
 
Fu quasi spaventoso notare che, quando uscirono dal caffè che avevano scelto per passare il pomeriggio, il sole era ormai praticamente tramontato. Le strade erano illuminate artificialmente e sul marciapiede passeggiavano gruppi di ragazze con tacchi alti, enormi sorrisi che segnavano le loro labbra ricoperte di rossetto; Harry per un attimo si chiese cosa significasse per loro vivere così, libere. Senza costrizioni.
“Vuoi fare qualcos’altro?”, chiese Louis alle sue spalle, mentre si sistemava meglio il giacchino di pelle e gli offriva un debole, dolce sorriso. “Posso portarti dove vuoi.”
Harry scrollò le spalle, immergendo le dita nelle proprie tasche. “No, vorrei – tornare in hotel. Se non ti dispiace.”
“Certo che no.”, mormorò Louis. “Ti accompagno.”
Harry allungò una mano verso di lui, sfiorandogli il braccio. “Non sei – costretto a farlo. È il tuo giorno libero questo.”
“Non mi sento costretto.”, gli disse semplicemente Louis, cercando i suoi occhi per qualche breve secondo. “Sono solo – un ragazzo che ha passato un bel pomeriggio e che vuole accompagnarti a casa. Tutto qui.”
Harry si tradì con un minuscolo sorriso che cercò in qualche modo di nascondere mordendosi il labbro inferiore; lasciò cadere la mano che ancora indugiava sulla pelle di Louis. Si guardò attorno: le luci della città si facevano più intense col passare dei minuti, Harry era in una delle città più belle del mondo ed era dannatamente giovane, lì, con un ragazzo meraviglioso che non si sentiva costretto a fargli compagnia. Ma che voleva restare.
“In realtà avrei un po’ di fame.”, soffiò Harry. “Magari ti va se mangiamo qualcosa?”
Louis sembrava piuttosto soddisfatto di quel cambio di rotta. “Certo che mi va.”, disse semplicemente; si incamminarono fianco a fianco nella direzione opposta di quella dell’hotel, minuscoli sorrisi che increspavano le labbra di entrambi. Fu Louis a spezzare il silenzio.
“Allora, guardo dov’è il McDonald’s più vicino?”
Ed Harry – oh, Harry scoppiò a ridere, come da copione.
 
Riuscirono a trovare un locale messicano che era anche specializzato in molti piatti vegetariani – Louis ci aveva provato seriamente a convincere Harry a provare un panino da McDonald’s, ma senza successo. Avevano optato per quel locale perché era diverso dai soliti, illuminato soffusamente – no, Harry non poteva pensare a quanto fosse effettivamente perfetto per un appuntamento, lo sapeva – con delle piccole lanterne costruite in carta colorata; al bancone servivano cocktail coloratissimi e c’era una piccola zona che poteva essere usata per ballare, naturalmente ancora vuota.
Avevano dovuto sistemarsi in un tavolino nascosto rispetto al resto della sala – Harry si era sentito in colpa, ma purtroppo essere lui voleva dire non riuscire a mangiare o bere qualcosa senza che qualcuno lo riconoscesse. Faceva parte del prezzo di essere Harry Styles. Louis si era dimostrato dolce e disponibile per tutto il tempo della cena, ma quando fu ora di pagare questa volta fu Harry ad alzare la voce per sorpassare la sua, nel chiedere il conto al cameriere.
Fare qualcosa di così semplice – ma speciale – per qualcuno come Louis lo fece sentire invincibile. Era così facile per Harry sentirsi libero e spensierato quando alzava lo sguardo e incontrava quello di Louis – era sempre pronto a ridere di una sua battuta, scherzare a sua volta se necessario, oppure si faceva serio e lo ascoltava se la conversazione prendeva una piega diversa.
Quando lasciarono il locale passarono davanti al bancone di bevande ormai quasi pieno; Harry da un lato sapeva che sarebbe stato meglio per lui tornare nella stanza d’albergo perchè l’indomani avrebbe dovuto alzarsi molto presto, ma da un lato pensò che un cocktail non lo avrebbe sicuramente ucciso. Louis dovette rendersi conto che stava fissando con occhi curiosi un intruglio colorato che spiccava da un bicchiere di vetro posato sul bancone.
“Vuoi bere qualcosa?”
Harry si sistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “Solo se bevi qualcosa con me.”
Louis sembrava perplesso. “Non lo so, Harry.”, borbottò lui guardandosi in giro. Sembrava irrequieto, e naturalmente Harry ne aveva compreso il motivo: il locale si stava mano a mano riempiendo e c’erano sempre più persone che potevano rappresentare una minaccia per lui.
“Avevi detto di voler essere solo un ragazzo che intendeva farmi compagnia.”, soffiò Harry, e si odiò per la sfumatura di delusione che aveva assunto la sua voce. “Mentivi? O stai solo facendo il tuo lavoro, Louis?”
Louis lo guardò negli occhi. “Non ti ho mentito neanche per un secondo oggi pomeriggio, e non lo farei mai. Oggi – oggi non c’è stato un singolo momento in cui mi sia sentito la tua guardia del corpo. Ero solo – io.”, Harry lo vide deglutire, nello sforzo di dire quelle parole senza apparire troppo coinvolto, troppo poco professionale, troppo lui tutto insieme. Harry allungò una mano, sfiorando il suo braccio in un gesto casuale – aveva così tanti pensieri nella testa da non riuscire a formarne uno in modo coerente, ma era certo di non essersi mai sentito così per nessuno. Era come se Louis fosse riuscito a far sbocciare in lui sensazioni a cui Harry prima non avrebbe nemmeno saputo dare un nome o un senso.
“Allora puoi rimanere solo – tu, ancora per un po’?”, chiese in un soffio. “E bere qualcosa con me?”
“Se ti accadesse qualcosa –”
“Non succederà niente.”, mormorò Harry, e questa volta afferrò saldamente il suo polso, mentre si guardavano senza riuscire a sbattere le palpebre. Harry si avvicinò un po’ a Louis, abbassandosi in modo che le sue labbra fossero più vicine al suo orecchio, mentre i loro petti entravano in contatto e l’attore percepiva di aver scartato qualche battito. “Qui sono al sicuro.”, disse, e non seppe dire dove trovò tutto quel coraggio, ma ci riuscì. “Con te mi sento al sicuro.”
L’unica cosa a cui riuscì a pensare Harry quando poi si staccarono, è che aveva voglia di baciare Louis.
Non era paragonabile alle volte in cui aveva avuto voglia di baciare altri ragazzi: sapeva riconoscere la differenza, perché con gli altri era come qualcosa di prefissato, che doveva accadere e non si poteva fermare ma non perché lo volesse, ma perché era più semplice e scontato che il bacio ci fosse. Con Louis no. Perché baciare Louis non sarebbe stato semplice, e neppure scontato. Baciarlo sarebbe venuto dal cuore, un punto ancora più profondo e intimo del cuore, un punto che francamente Harry aveva paura di trovare. Baciarlo avrebbe cambiato tutto, non solo quello che significava la loro amicizia – avrebbe cambiato Harry stesso. Perché non sapeva dare un nome a tutto quello che provava.
O forse sapeva, ma non voleva crederci fino in fondo.
Perché - come fa una persona a capire se si sta innamorando se dentro sa già che in qualche modo è troppo tardi?
 
Un’ora e qualche cocktail più tardi, Harry si sentiva decisamente meglio – non ubriaco ma allegramente brillo; gli angoli della bocca erano sempre pronti a distendersi verso l’alto per qualsiasi cosa sentisse da chiunque e si era più volte allontanato dal bancone per muoversi al centro della pista, senza seguire un ritmo preciso o necessariamente il ballo che facevano gli altri. Per una volta, voleva sentirsi libero. Perché se non ci si sente liberi si invecchia prima, si marcisce dentro, ed Harry non voleva farlo – era stanco di essere quella persona triste che viveva della sua ombra. Voleva – sorridere. Sorridere di più.
Dopo aver ballato su una canzone che gli piaceva particolarmente andò verso il bancone e gridò al cameriere di portargli un altro shottino. Sentiva lo sguardo attento di Louis su di se che non lo lasciava un attimo, e decise di ruotare il capo per incrociare i suoi occhi.
“E’ già il quinto, Harry.”
Harry stava sorridendo. Forse troppo, forse troppo poco, non avrebbe saputo dirlo. “Io ho già perso il conto.”
Arrivò così il quinto shottino in men che non si dica; il colore variava da un verde menta a un azzurro chiaro. Louis lo guardava con apprensione, gli occhi che illuminati da tutte quelle luci avevano smesso di contenere un colore solo.
“Stai bene?”, chiese Louis, e nonostante Harry lo vedeva coi contorni sfocati e percepiva la sua voce come se provenisse da chilometri di distanza per i capogiri, distinse chiaramente il proprio cuore scartare un battito, perché Louis era una di quelle persone che si preoccupava veramente, e che quando ti chiedeva come stavi si interessava davvero della risposta.
“Mai stato meglio.”, borbottò Harry, prima di portare il bicchierino alle labbra e piegare il polso per bere la vodka tutto d’un fiato; il liquido gli bruciò la gola e per quello fu costretto a chiudere gli occhi. “Bevi con me.”, soffiò, avvicinandosi a Louis sorridendo, dovendosi aggrappare al suo polso per non perdere totalmente l’equilibrio. Louis lo ammonì con lo sguardo, sembrando divertito ma al contempo preoccupato per lui.
“Non posso.”
Harry alzò gli occhi al cielo scherzosamente, anche se aveva sperato di poter sembrare molto più arrabbiato. “Avevi promesso, Lou – solo tu. Solo per questa sera.”, Harry gli si avvicinò ulteriormente, sorridendo a pochi centimetri dalle sue labbra. Louis non riusciva a smettere di guardarlo; si perse a osservare la linea di pelle che andava dalla sua gola alla parte lasciata scoperta del suo petto, poi i suoi riccioli umidi di sudore che gli ricadevano morbidamente sulle spalle, alcuni sugli occhi. Alzò gli occhi al cielo mentre si leccava le labbra.
“Solo uno.”, sussurrò, ruotando il capo verso il cameriere e ordinando questa volta un bicchierino pieno fino all’orlo di un liquido rosso scuro. Louis lanciò un’occhiataccia a Harry mentre lo raccoglieva e se lo versava velocemente in bocca, lasciando che bruciasse lungo la sua gola. Un brivido percorse la sua spina dorsale mentre ricordava il sapore forte della vodka e, insieme a lei, tutti i momenti in cui da giovane si era lasciato andare in serate estremamente diverse da quella che stava vivendo in quel momento. Un Louis più ingenuo, che non aveva responsabilità.
Harry rise con leggerezza mentre osservava le espressioni di Louis; strinse più forte il suo polso e si passò una mano tra i capelli, sentendosi accaldato per quello che aveva bevuto e probabilmente per la presenza di tutta quella gente. Nello sfiorare la sua pelle, Harry si concentrò sui segni che poteva vedere.
“Adoro i tatuaggi.”, disse piano. Gli girava un po’ la testa, ma aveva l’impressione che aggrappandosi a Louis potesse stare meglio. “Ammiro chi ha il coraggio di segnarsi la pelle per sempre. Ci sono sempre tante storie dietro.”
Louis alzò un angolino della bocca. “Anche tu hai trovato quel coraggio.”
“Nah, io – sono un fifone, in realtà, ne ho il terrore, però sento anche il bisogno di scrivere qualcosa sulla mia pelle se è stato importante.”
“Entrambi abbiamo una grande storia alle spalle.”
“Sembra di sì.”, mormorò Harry, accarezzando con cautela la parte del suo braccio tatuata, tutti quei piccoli segni che col buio non riusciva a riconoscere. Sorrise all’improvviso. “Voglio ballare con te.”
Louis distolse lo sguardo, puntandolo sui propri piedi nel cercare di nascondere il proprio viso. Harry gli si avvicinò ulteriormente, aggrappandosi con le dita alla sua giacca di pelle. “Balliamo, Louis, freghiamocene di tutto.”
Questa volta Louis rise. “Sei ubriaco.”
“Non importa. A te importa?”, soffiò Harry ridendo, così vicino alle labbra di Louis da avere le vertigini, “Dio è tutta – tutta la sera che voglio sentirti vicino e mi sento stupido, così stupido perché se fossi un’altra persona, Louis, ti avrei già baciato. Se non mi chiamassi Harry Styles ti avrei già baciato.”
Gli occhi di Louis erano grandi e attenti; sembrava non avesse nemmeno bisogno di sbattere le palpebre. “Sei pazzo.”
Harry rise. “Perché?”
“Sei pazzo se pensi che io non voglia baciarti, anche se sei Harry Styles.”, mormorò Louis, premendo una mano al centro della sua schiena e inspirando piano, “Ma sai anche che non posso farlo.”
Harry spostò le dita della mano destra per posarle sul lato della sua mandibola; con il pollice sfiorava il suo mento mentre con l’indice riusciva a segnare le sue labbra. “Baciami.”
Louis chiuse gli occhi. “Sono stato sul punto di farlo così tante volte.”, mormorò, il sangue che scorreva frenetico nelle vene mentre il tempo scorreva tra di loro come a rallentatore, “Oggi, in caffetteria, o persino i primi giorni, perché tu sei così, Harry; tu entri nella vita delle persone e sei come un seme, all’inizio sei così dannatamente piccolo e fragile ma poi germogli e ti trasformi in questo bellissimo fiore e – sei bellissimo. Sei bellissimo, genuino, elegante, pieno di luce. E non posso baciarti.”
“Perché no?”
Louis riaprì gli occhi. “Perché ho paura che se ti bacio poi mi innamorerò di te.”, ammise, “E non va bene.”
Harry aggrottò la fronte, e Louis immerse una mano tra i suoi capelli, giocherellando con alcune ciocche in modo distratto. “Lo sai anche tu che non – funzionerebbe. Che non possiamo.”
Come se si fosse risvegliato dal tepore di un sogno, Harry fece un passo indietro, passandosi una mano tra i capelli per trascinare indietro tutti i boccoli che gli coprivano parte degli occhi, e prese un profondo respiro. Louis aveva ragione. Per quanto Harry lo volesse – perché lo voleva, faceva male ammetterlo ma era così, voleva quel ragazzo con ogni suo respiro, come non aveva mai voluto nessun altro in tutta la sua vita – non poteva averlo. Perché era Harry Styles, perché quella era la sua vita e non aveva scelta, non l’aveva mai davvero avuta. Si coprì lo stomaco con entrambe le braccia sentendo improvvisamente freddo; Louis lo vide immediatamente e fece un passo verso di lui, quando successe qualcosa di inaspettato e troppo veloce: un gruppo di ragazzi ballando spinse Harry tra la folla che lo inghiottì, trascinandolo lontano da Louis che vide i suoi occhi inondarsi di panico.
“Louis!”, gridò Harry, mentre troppe mani troppi corpi troppo tutto si faceva presente attorno a lui e non c’era aria, non si respirava, c’era troppa gente e ad Harry girava la testa – “Louis!”, urlò di nuovo, cercando di racimolare tutto l’ossigeno di cui era capace e sentendo gli occhi inondarsi di lacrime perché avrebbe dovuto fidarsi di lui quando gli aveva detto che stava bevendo troppo, che stava tirando troppo la corda –
“Harry!”, sentì gridare, e l’attore si voltò alla sua destra appena in tempo per vedere Louis spingere un ragazzo lontano da lui e nel giro di un secondo era tra le sue braccia calde, mentre senza nemmeno volerlo aveva cominciato a piangere per lo spavento. “Shhh.”, soffiò Louis, che era così incredibilmente piccolo in confronto a lui ma che nonostante questo riusciva a inglobarlo comunque nel suo abbraccio. “Shhh, ti tengo io, ci sono qui io.”, disse piano, sollevando una mano tra i suoi capelli e tenendola lì come per cullarlo.
Harry chiuse gli occhi, si accoccolò contro di lui come un bambino; a un certo punto ebbe la semplice sensazione di diventare leggero, quasi trasparente, come se non avesse più uno spessore.
Riprese conoscenza a tratti: prima era tra le braccia di Louis, che lo stava trasportando sulla strada come se non pesasse nulla. Poi un taxi, probabilmente, che li avrebbe riportati in hotel: il suo volto era appoggiato alle ginocchia di Louis, e le sue dita tracciavano cerchi distratti tra i suoi lunghi boccoli.
 
Quando Harry riprese conoscenza era chiaramente nella sua stanza d’hotel. L’unica fonte di luce proveniva dalle finestre che davano sulla città ormai quasi completamente addormentata. La camera era silenziosa, fatta eccezione per pochi rumori ripetitivi che provenivano dal bagno. Harry sbattè le palpebre diverse volte prima di mettersi a sedere; un potente capogiro lo costrinse a stringere gli occhi a una misera fessura. Si massaggiò le tempie, e solo dopo si rese conto che addosso, a fungere da coperta, c’era la giacca di pelle di Louis. Harry la sfiorò con le dita, questa volta mettendosi a sedere con molta più cautela. Aveva un profumo buonissimo, concentrato per lo più sulla parte del colletto. Harry se la strinse addosso come abbracciandola, leccandosi appena le labbra al pensiero che era stato così vicino dal poterlo baciare.
Louis uscì dal bagno qualche minuto dopo; addosso aveva una t-shirt e i pantaloni della tuta che lasciavano scoperta una striscia di pelle appena sopra il bacino che Harry si impose di non guardare. In mano sembrava avere un panno.
Harry lo osservò mentre gli si sedeva accanto. “Tremavi quando ti ho messo a letto. Ti ho – messo quella addosso.”, borbottò Louis, riferendosi a quella giacca. “Mi hai fatto spaventare.”
“Sto bene.”, mormorò Harry. “Grazie a te.”
“Già.”, sbuffò Louis, scrollando una singola spalla. “La tua resistenza all’alcool fa schifo.”
Harry questa volta scoppiò a ridere, smorzando la tensione. Le tempie gli pulsavano, aveva decisamente bisogno di dormire, ma Louis era riuscito comunque a strappargli una risata. Si portò una mano alle labbra, sfiorandosi appena la pelle che c’era attorno, poi allungò la stessa mano per sfiorare quella di Louis. La strinse, sentendone il calore. “Grazie.”
Le dita di Louis si aprirono completamente, accogliendolo. “Sarai sempre al sicuro con me.”, disse Louis spezzando il silenzio, ed Harry non potè fare a meno di sentire il proprio cuore precipitare nello stomaco.
I minuti scorrevano lentamente, e loro non fecero nulla per rovinare quel momento. A un certo punto Louis allungò il panno verso Harry; era fresco e bagnato, così il ricciolo se lo passò tra i capelli, sul collo e sul viso, aiutato da Louis. Bevve molta acqua, e quando ebbe finito, iniziò a togliersi i vestiti, con Louis con riusciva a togliere lo sguardo. Harry non provava imbarazzo, e nemmeno riuscì a chiedergli di lasciare la stanza. Gli sembrava giusto che rimanesse, e amava l’idea che Louis lo guardasse mentre si spogliava e diventava fragile. Solo Harry.
Si rannicchiò sul letto con solo i boxer addosso, non riuscendo a distogliere lo sguardo da Louis, che era rimasto vicino a letto per tutto il tempo, fermo ad osservarlo. Fu il bodyguard a spezzare il silenzio.
“Posso andare via –”
“No.”, soffiò Harry, allungando una mano sul lenzuolo verso di lui. “Resta.”
E Louis lo fece, restò. Si arrampicò sul letto e si sistemò dietro Harry, avvolgendolo con le braccia e intrecciando a lui le proprie gambe, come se si appartenessero da una vita intera. Forse un po’ era così.
Si addormentarono entrambi nel giro di pochi minuti, scivolando in un sogno tranquillo e senza incubi.
 
Louis fu svegliato da un tonfo leggero e da parole strascicate con rabbia. Strinse le palpebre e mosse le dita a contatto delle lenzuola sotto di sé; solo allora gli tornò in mente come aveva passato la notte precedente, piccoli flash di lui e Harry così vicini da far male a livello fisico, i loro respiri mescolati in una notte troppo breve. Si tirò su di scatto, mentre le voci si facevano estremamente chiare nella sua testa: appena fuori dalla stanza d’albergo, Harry stava discutendo animatamente con Gary. Louis sapeva di non dover ascoltare – come intimamente sapeva anche di non doversi trovare lì, avvolto dalle coperte del letto del proprio cliente. Si morse il labbro inferiore, imprecando a bassa voce.
“…ed è – esattamente questo, ciò che sei. Un ragazzino viziato –”
“Vaffanculo, Gary –”
“No, no, sei solo un ragazzino viziato e te ne freghi degli impegni, te ne freghi del fatto che hai firmato un contratto e che ci sono in ballo milioni; a te importa solo metterti in mostra ed avere i jeans all’ultima moda.”
“Per dio, ho saltato una dannata intervista!”, la voce di Harry era impestata, piena di rabbia. “Una dannatissima intervista in cui come al solito avrei dovuto dire al mondo intero che mi piacciono le tette – indovina un po’, invece. Mi piace il cazzo!”
A Louis venne da sorridere, anche se sapeva che non era esattamente il tipo di reazione da avere, non in quel momento, non in quel contesto.
“Abbassa la voce, Styles. Ecco cosa ti dicevo. Tu non rifletti. Tu non rifletti mai. Hai solo un bel faccino, ed è solo grazie a quello che non ti ritrovi in mezzo alla strada a raccattare i soldi come i barboni. Ricordati le mie parole.”
Dopo ci fu solo silenzio. Louis sentiva il suo stesso cuore battere all’impazzata, il sangue scorrere nelle vene sporgenti dei polsi coperti da qualche braccialetto in pelle. Scivolò fuori dal letto lentamente, facendo qualche passo verso la porta, quando sentì chiaramente un netto singhiozzo provenire da lì.
“Harry.”, lo chiamò Louis, allungando il passo e sentendo i singhiozzi trasformarsi in qualcosa di più forte; quando aprì la porta ebbe a malapena il tempo di vedere che Harry stava già correndo lontano dalla stanza; lo seguì lungo il corridoio e poi verso le scale anti-incendio che portavano alla terrazza dove si erano incontrati per la primissima volta. “Harry!”, gridò, dovendo ammettere a se stesso che quel ragazzo era dannatamente veloce, probabilmente grazie alle sue lunghissime gambe. Louis rimase a qualche metro da lui, osservandolo piangere tra la voglia di avvicinarsi e abbracciarlo da dietro – o andarsene, per lasciargli lo spazio di cui probabilmente aveva bisogno. Dopo la notte prima, francamente, non sapeva più nulla. Non avrebbe saputo dire cos’erano, come definire quella linea che si era creata tra loro due.
Poi pensò ai suoi occhi, a quei bellissimi occhi acquamarina. Ma non solo a quelli, perché era facile notare Harry per gli occhi; era più difficile notare le piccole cose, quelle che sfuggono, come le minuscole fossette che gli si formavano attorno alle labbra quando sorrideva, quel modo che aveva solo lui di avvolgersi tra le braccia quando era stanco.
Forse fu per quello, per le piccole cose, che decise di rimanere. Fece qualche passo verso di lui, lo sguardo basso e le spalle curve. Con la coda dell’occhio, vide Harry che cercava di trascinare via le proprie lacrime con gli angoli dei polsi.
“Vorrei davvero smetterla di prendere tutto così seriamente.”, soffiò Harry, e anche se non poteva vederlo, Louis sentiva in qualche modo il suo sorriso. “E invece sono così dannatamente emotivo e – stupido. Mi sento così stupido –”, un piccolo singhiozzo gli portò via la voce. Louis si leccò appena le labbra, osservando i suoi capelli muoversi per il vento. Harry si passò entrambe le mani tra i capelli e poi calciò qualcosa di invisibile, prima di sedersi accartocciato con le spalle appoggiate al cornicione che separava la terrazza dal vuoto. Era bello in modo indescrivibile, anche con le guance arrossate per il pianto e gli occhi irrimediabilmente umidi.
Louis si sedette proprio accanto a lui; le loro spalle si sfioravano appena, e a Louis venne da sorridere quando si rese conto che le sue gambe allungate lungo il pavimento arrivavano esattamente nello stesso punto in cui si fermavano quelle piegate di Harry. Era così piccolo in confronto a lui.
“Al liceo –”, borbottò Louis, guardando un punto impreciso sotto di lui, “Ero uno di quei ragazzetti invisibili che tutti credevano di poter prendere in giro. Gracile, troppo magro e sproporzionato. Ma sai qual è stato il mio errore più grande? Credere che avessero ragione. Dare troppo peso alle loro parole.”
Harry prese un profondo respiro. “Che cos’hai fatto?”, chiese in un soffio, senza nemmeno alzare lo sguardo. Louis rispose guardandolo, anche se Harry non lo guardava di rimando.
“Ho fatto capire loro che gracile non vuol dire debole, e che gentile non vuol dire stupido. Ho combattuto, Harry. E ho smesso – di ascoltarli. La gente parla perché crede di sapere tutto, ma non è vero. Tu devi imparare a smettere di credere che loro parlano perché ti conoscono.”
Harry alzò lo sguardo verso di lui, mentre calde lacrime segnavano le sue guance. Louis fece passare un braccio al di là della sua spalla e se lo trascinò vicino, permettendogli di appoggiare la testa nell’incavo della sua spalla. Per un po’ non dissero niente. Fu Louis a spezzare il silenzio.
“Non sei un ragazzino viziato.”, la voce di Louis era appesa a un filo, come se quello che stesse dicendo fosse un segreto solo loro, “Ne ho incontrati tanti di ragazzini viziati, ma tu non sei uno di loro, Harry Styles.”, mormorò, le labbra che gli sfioravano i capelli mentre diceva quelle parole. “Sei gentile, sei allegro, impacciato, fragile e speciale. Un po’ emotivo –”, quello strappò una piccola risata a entrambi. “Ma dentro, tu sei pieno di coraggio. Io lo vedo. Non potresti sopportare quello che sopporti ogni giorno, altrimenti.”
Nessuno dei due disse nulla per un po’, poi, come se insieme avessero deciso che andava bene non spezzare il silenzio; la mano di Louis si era spostata dalla spalla di Harry ai suoi capelli, disegnandoci in mezzo linee senza forma e raccogliendo di tanto in tanto ciocche di capelli per giocherellare con i suoi boccoli. A un certo punto ruotò il capo, e sorridendo appena appoggiò le labbra all’orecchio più vicino di Harry.
“Voglio provare a fare una cosa.”, gli disse, ed Harry si voltò guardandolo con un sopracciglio alzato che Louis ignorò volutamente; gli fece segno di dargli le spalle, non smettendo un secondo di ridere. Qualche istante dopo, Louis stava già lavorando con alcune ciocche di capelli di Harry – divise la chioma in due metà esatte e poi di nuovo raccolse le parti in tre ciocche più piccole, e iniziò a lavorare per formare delle trecce.
Harry strinse appena di più la stoffa dei jeans che aderiva alle sue ginocchia. “Che stai facendo?”, soffiò, le ciglia ancora fastidiosamente umide per aver pianto. Louis rise pianissimo, mordendosi appena il labbro inferiore.
“Le treccine.”
Harry rischiò di scoppiare a ridere in maniera davvero poco aggraziata. “Louis Tomlinson che fa le treccine.”, borbottò, sentendo qualcosa di intenso muoversi nel suo stomaco. “Chi lo avrebbe mai detto.”
In realtà, Harry non voleva affatto lamentarsi. Aveva sempre amato farsi toccare i capelli dalle persone che amava di più, come Gemma o sua madre; quel gesto intimo aveva la capacità di farlo sentire meno solo e al sicuro. Ma Louis gli dava delle sensazioni ancora più belle, mai provate prima – sfiorava i suoi capelli come se fosse fatto di vetro, era delicato e attento, come se il suo unico scopo fosse quello di farlo stare bene. Harry si schiarì la voce.
“Non…non credevo ne fossi capace.”
Louis scrollò le spalle. “Sono il maggiore di cinque sorelle.”, ammise, e quel particolare incuriosì Harry ancora di più, facendogli realizzare quanto poco esattamente conoscesse quel ragazzo e quanto quello gli dispiacesse. “E quando hai cinque sorelle, devi correre ai ripari e imparare come fare per lo meno le treccine.”
A Harry venne da sorridere. “Eri l’uomo di casa.”
“Ho dovuto diventarlo.”, disse piano Louis, cominciando a dedicarsi alla seconda tra le due trecce. “Mio padre e mia madre hanno divorziato quando ero piccolo – ero il più grande e mia madre era rimasta sola. In qualche modo – dovevo farmi valere.”, spiegò con calma. Harry sentì come uno sbuffo di risata. “In più, le mie sorelline più piccole dicono sempre che non c’è modo migliore di calmare una persona che toccarle i capelli.”
Harry ruotò il capo leggermente verso Louis, le mani ancora tra i suoi capelli mentre il loro sguardo si rincorreva. Era vero, Harry si sentiva meglio. “Hanno ragione.”, ammise Harry, e si sentiva così confuso in quel momento perché – un attimo prima si sentiva a terra e con il cuore spezzato, un attimo dopo Louis aveva trovato il modo per riaggiustare i pezzi.
Era pomeriggio quando si rialzarono da terra, grosse nuvole coprivano il sole i cui raggi cercavano debolmente di fare capolino per riscaldare le loro pelli. Harry sentiva ancora il calore delle mani di Louis che gli accarezzava i capelli, e pensò che non c’era nulla di più spaventoso dell’innamorarsi di qualcuno.
“Louis?”
Louis alzò lo sguardo verso di lui. “Mmmh?”
“Ci sarebbe un posto in cui vorrei andare.”, disse Harry ad alta voce, coprendosi lo stomaco con le braccia. Deglutì. “E vorrei che tu venissi con me.”
Louis non sembrò minimamente combattuto mentre un minuscolo, breve sorriso si impadroniva delle sue labbra. E di nuovo, non sembrò minimamente combattuto neanche dopo, quando allungò una mano verso Harry, e lo trascinò verso le scale anti-incendio, per condurlo lontano da lì.
 
Harry non poteva immaginare che Louis possedesse una moto, ma dovette ricredersi quando si ritrovò aggrappato al suo corpo mentre questo sfrecciava tra le vie di Los Angeles, un casco a scompigliargli i capelli. Raggiunsero la meta dopo poco più di quaranta minuti; Harry diede a Louis le ultime direzioni per aiutarlo a parcheggiare e poi insieme, si diressero verso l’ospedale psichiatrico St. Patrick. Louis non diceva una parola e francamente, almeno per il momento, Harry non aveva ancora il coraggio di parlargli.
Quando raggiunsero la reception vennero accolti, fortunatamente, da Alla: Harry non potè fare a meno di sciogliersi in un genuino sorriso quando vide l’infermiera venirgli incontro con le braccia aperte. Lo accolse con un enorme abbraccio in cui Harry rischiò di soffocare, e quando si separarono lei cominciò a giocherellare con le sue trecce.
“Oh, caro ragazzo.”, soffiò lei, gli occhi pieni di lacrime. “E’ passato così tanto tempo, siamo così felici di vederti –”
“Mi dispiace di non essere venuto più spesso.”, ammise Harry, le braccia aggrappate alle sue braccia salde. Alla doveva era una donna di mezza età, corpulenta e dal viso dolce e pieno di lentiggini, i capelli mori perennemente raccolti in una coda bassa. Ispirava simpatia, ed era la prima con cui Harry avesse fatto amicizia lì dentro. “E’ un giorno buono o un giorno cattivo?”
Alla lo guardò con il più grande dei sorrisi. “Credo che presto diventerà un giorno buono.”, lo rassicurò. Poi i suoi occhi caddero su Louis, che nel frattempo aveva osservato la scena in silenzio. “E chi è questo bel giovanotto?”
Louis fece un passo avanti per stringerle la mano mentre Harry si schiariva la voce. “Louis Tomlinson.”, disse con un piccolo sorriso. “E’ – mio amico.”
Non gli passò nemmeno per la testa di dire che fosse qualcuno che lavorava per lui – e Louis se ne accorse, perché i loro occhi si incontrarono a metà strada e Harry fu costretto presto a distogliere lo sguardo, per far impedire che il suo rossore non diventasse eccessivo.
Alla sembrava entusiasta. “E’ bello che tu abbia portato un amico. Seguitemi, da questa parte, Anne sarà davvero felice di vederti Harry, ci sono dei giorni in cui non smette di parlare di te.”
Harry sentiva il sangue pompargli sempre più veloce nelle vene mentre camminavano per raggiungere la stanza in cui sua madre si trovava. Quando ci arrivarono, Alla si scusò prima di entrare con la scusa di annunciare Harry.
“Puoi tornare alla moto.”, soffiò il ricciolo, voltandosi verso Louis con lo sguardo basso. “Non voglio costringerti a stare qui, forse è stata una stupidaggine; è solo che non volevo venire da solo –”
Louis alzò una singola mano per posarla contro la guancia destra di Harry, costringendolo a guardarlo negli occhi. Era estremamente serio, concentrato. “Non vado da nessuna parte.”, gli promise, ed Harry dovette sbattere le palpebre velocemente per impedirsi di piangere. Fece un passo indietro scivolando dalla presa di Louis, e dopo un breve sorriso fu pronto per entrare nella stanza di sua madre.
Anne sembrava davvero di buon umore; le sue guance erano rosse, indossava un maglione del colore dei girasoli e i suoi capelli erano lasciati sciolti, mentre ricadevano sulle spalle in dolci onde. Harry le sorrise, qualcosa di grande che gli bloccava lo stomaco, nel realizzare quanto esattamente gli fosse mancata. Alla si scusò e li lasciò presto soli.
“Mamma.”, mormorò Harry, facendo qualche incerto passo verso di lei. Anne aggrottò la fronte nella sua direzione, ed Harry sperò vivamente che quello non fosse un giorno cattivo. Perché nei giorni cattivi, sua madre gridava fino a farsi del male per la paura, chiedendo che Harry venisse portato via – e francamente, Harry non avrebbe saputo come sopportarlo. “Mamma s-sono io. Il tuo ragazzo.”
Anne si strinse nelle braccia, la fronte che si distendeva mentre si perdeva a osservare un punto impreciso della stanza. Poi, improvvisamente, i suoi occhi si riempirono di consapevolezza, e tornò ad osservarlo. “Harry.”, disse, un enorme sorriso che coinvolgeva ogni singolo muscolo del suo viso, “Il mio Harry, il mio ragazzo.”
Harry pensò che non ci fosse motivo di trattenersi; non c’era nessuno a cui doveva dimostrare di essere forte. Corse verso sua madre e l’abbracciò stretta, più stretta che poteva, sperando che il tempo che avrebbero pensato insieme fosse abbastanza.
 
Louis, per ammazzare l’attesa, si era allontanato per recuperare un po’ d’acqua. Non se l’era sentita però di lasciare la camera in cui Harry entrato, per cui vi tornò presto, affacciandosi per vedere cosa stava succedendo, e per poco non gli cadde l’acqua dalle mani.
Harry era stretto a una donna come se ne dipendesse; piangevano entrambi, e sembrano felici oltre che immensamente tristi. Louis sapeva che c’erano ancora tante, troppe cose che non sapeva di quel ragazzo, ma in quel momento realizzò che aveva il bisogno fisico di saperle tutte; doveva sapere quali erano le cose che lo facevano stare male, quelle che lo rendevano felice.
“Harry deve fidarsi molto di te.”, borbottò una voce che solo dopo Louis si accorse apparteneva ad Alla, l’infermiera che li aveva accolti. “Non porta mai nessuno qui.”
Quella donna sembrava amichevole ed era sempre molto sorridente, per questo Louis non riuscì a non sorriderle a sua volta. “Non me la sentivo di lasciarlo solo.”
Alla annuì. “Oh, il nostro dolce, coraggioso Harry. E’ sempre stato così forte. A un certo punto però ho temuto credesse che essere forti significasse rimanere soli.”
Louis lo guardò attraverso il vetro. “Non sarà mai solo.”, sussurrò, e non sapeva perché stava dicendo tutte quelle cose a una completa sconosciuta, ma non riuscì a fermarsi. “Quella è…”
“Sua madre.”, confermò per lui Alla, sorridendogli comprensiva. “Demenza senile. Più il tempo passa più si porta via ricordi. Harry era – decisamente ancora troppo giovane quando le è stata diagnosticata. Caro ragazzo, non so proprio come abbia fatto ad essere così forte.”
Louis aveva voglia di gridare – gridare di frustrazione, perché odiava che Harry avesse sofferto così tanto, odiava che per così tanto tempo fosse stato solo. Odiava non esserci stato prima, per lui.
Stava meglio, adesso. Le lacrime erano completamente scomparse dal suo viso mentre parlava con sua madre che sembrava concentratissima in qualsiasi cosa il giovane ragazzo le stesse dicendo. Il flusso dei pensieri di Harry fu comunque interrotto da una leggera pacca sulla spalla.
“So di non essere sua madre.”, mormorò Alla, osservando la scena attraverso il vetro insieme a lui. “Ma Harry è qualcuno di speciale che è entrato nelle nostre vite, quindi – ti chiedo solo di stargli vicino, se puoi. Dal modo in cui lo guardi – credo, sì, che queste mie parole siano superflue. Ma ti prego, ha davvero bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.”
Louis fece un leggero sorriso nella direzione di Alla. “Promesso.”, mormorò. Poco dopo l’infermiera lo lasciò ai suoi pensieri, fino a quando fu Harry stesso a interromperlo; aprì di poco la porta e cercò i suoi occhi timidamente. C’era l’ombra di un sorriso leggero sul suo volto finalmente rilassato.
“Ti andrebbe di entrare?”, gli chiese a bassa voce, e Louis annuì senza che ci fosse il bisogno di pensarci. Fece qualche passo verso la porta con le braccia incrociate e, quando entrò, la madre di Harry si voltò verso entrambi con un sorriso radioso.
“Mamma.”, soffiò Harry nella sua direzione, le mani intrecciati davanti al proprio grembo e un singolo ciuffo di capelli che gli ricadeva sull’occhio sinistro, che si premurò presto di sistemare. “Lui è Louis.”
“Louis.”, ripetè Anne, assaporandone il suono mentre il suo sorriso diventava ancora più grande. “Grazie di essere così premuroso con Harry, Louis.”
Louis sapeva che in un altro contesto, forse, si sarebbe sentito in imbarazzo, ma con Harry a una manciata di centimetri da lui non potè fare altro che sentirsi immensamente orgoglioso. “Non deve ringraziarmi, uhm –”, Louis a quel punto allungò una mano verso di lei, stringendo una delle sue con delicatezza. “Sono davvero tanto felice di fare la sua conoscenza.”
Louis finalmente riuscì a capire da chi Harry avesse preso tutta quella grazia, e naturalmente quel suo piccolo grande sorriso. Lei fece segno a entrambi di sedersi sulle due sedie che circondavano la poltrona sulla quale era seduta. Harry tacque per la maggior parte del tempo, mentre osservava sua madre parlare a Louis come se lo conoscesse da una vita; non riusciva a distogliere lo sguardo mentre il suo cuore correva a una velocità che pensava non fosse raggiungibile. Si sentiva sopraffatto, ed incredibilmente felice. Perché in qualche modo Alla aveva avuto ragione: tutto sommato, quella si era dimostrata una giornata buona.
 
Harry e Louis lasciarono l’ospedale mano della mano, dopo aver salutato Anne con lunghi abbracci e promesse che si sarebbero rivisti presto. Il parcheggio era molto buio, circondato da pineti che riempivano l’aria di un profumo pungente ma leggero; Harry sentì l’improvviso desiderio di immortalarci Louis nel mezzo, magari con indosso uno di quei maglioni chiari color panna. Sarebbe venuta una bella foto. Una foto da tenere per tutta la vita come ricordo di quel ragazzo che era riuscito a fargli battere il cuore.
Non seppe capire perché, a pochi metri dalla moto, Harry fu travolto dal pianto. Sentiva i suoi stessi singhiozzi e non riusciva a calmarsi; la sua mano tremava in quella di Louis mentre questo si voltava preoccupato, facendo un passo verso di lui.
“Harry…”
“Sto bene.”, lo rassicurò Harry, asciugandosi le lacrime coi polsi e immergendo una mano tra i capelli, cercando di tranquillizzarsi. “Non so perché – n-non so perché piango. È stato bellissimo. Bellissimo, Louis, vederla sorridere e scherzare con qualcuno, comportarsi come f-faceva una volta. E –”, un singhiozzo lo costrinse a piegarsi, e Louis annullò completamente la loro distanza facendo passare un braccio al di là dei suoi fianchi. “Non la vedevo da così tanto tempo e – volevo andare a trovarla così tante volte, non hai idea, ma non ne avevo il coraggio, Louis, sono stato un codardo, avevo paura che non si ricordasse di me e io avevo così tanto bisogno che si ricordasse di me –”
Louis chiuse le mani attorno al suo viso, immergendo poi le dita tra i suoi capelli per spingerlo verso la sua spalla e lasciare che si sfogasse lì, contro la pelle della propria gola. “Ehy, shhh.”, mormorò, mentre Harry piangeva contro la sua pelle, stringendo tra le dita la stoffa della sua maglietta. “E’ tutto apposto, tutto apposto, ci sono io. Shhh.”, sussurrò, anche se gli sembrò banale, anche se avrebbe tanto voluto che ci fossero altre parole, perché Harry aveva bisogno di stare bene, aveva bisogno di sicurezza e di tutto ciò che c’era di più bello al mondo. Accarezzò i suoi boccoli per un tempo che gli parve infinito mentre i singhiozzi si facevano sempre più radi e sporadici. Aspettarono insieme che la tempesta fosse finita, poi Harry alzò leggermente il capo per guardare Louis negli occhi, che gli offrì un minuscolo sorriso.
“Non sei un codardo, Harry.”, gli disse, e non c’era dubbio nei suoi occhi. “Sei umano, sei meravigliosamente umano, ed è legittimo aver paura di soffrire per ciò che si ama. Le cose che amiamo sono quelle che ci fanno soffrire di più, che ci rendono più fragili. Ma quando ami, non c’è niente che possa davvero scalfirti.”
Gli occhi di Harry erano spaventosamente limpidi mentre osservava ogni singolo millimetro del viso di lui. Quando lo vide piegare la testa di lato, Louis sapeva ormai di aver perso ogni battaglia, e semplicemente lasciò che accadesse: Harry si avvicinò a lui, ma sorprendentemente lasciò indugiare le sue labbra sull’angolo della bocca di Louis. L’ombra di un bacio che gli portò via ogni briciola di respiro. Rimasero a guardarsi per un po’ mentre la luce della luna riempiva il parcheggio attorno a loro, almeno finché Harry non lasciò cadere la propria testa sulla spalla di Louis, inspirando piano.
“Non voglio tornare in albergo.”, disse, conciso e diretto, sfiorando con le labbra la pelle del suo collo. “Ti prego, solo – portami da qualche parte. Andiamo da qualche parte dove possiamo essere solo io e te.”
Anche Louis si ritrovò inspirare, forte, inalando il profumo di Harry. Sapeva perfettamente cosa sarebbe successo, se ora lui ed Harry si fossero rifugiati da qualche parte, da soli. Ma in qualche modo, aveva al contempo bisogno che accadesse. Aveva bisogno di – avere quel ragazzo perché lo voleva, lo voleva da morire, come non aveva mai voluto nessuno prima e come sapeva già non avrebbe mai voluto nessun altro dopo di lui. Così allungò le dita, trascinò Harry sulla moto e gli porse il casco.
Non fece altro che guidare verso il motel più vicino nel cuore della notte, con il buio che li inghiottiva.
 
Il motel era qualcosa di assolutamente semplice, buio al lato di una strada infinita, e l’unica cosa che spezzava l’oscurità della struttura era il piccolo cartello colorato che spiccava vicino alla porta d’entrata. Harry e Louis non esitarono – nessuna esitazione, nessun rimpianto, almeno per quella notte. Quasi tutte le stanze erano vuote, occuparono la prima che venne loro nominata, e quando Harry si chiuse la porta alle spalle mentre Louis sistemava le tendine sulla finestra, finalmente seppero di poter essere solo loro due.
Niente riflettori, stupide preoccupazioni che ci fossero flash indesiderati nei paraggi. Solo loro due in quel motel a due stelle, una visione parcellizzata della realtà di entrambi, che il giorno dopo avrebbe irrimediabilmente rivisto il suo scorrere. Ma per adesso andava bene così. Era come ritrovarsi in un sogno, un sogno che entrambi stavano facendo nello stesso momento, in cui si permettevano di esplorarsi a vicenda. Al risveglio, tutto sarebbe tornato come prima.
Harry fece qualche passo incerto verso il centro della stanza. La luce era delle più fioche, perché i pallidi raggi di luna dovevano oltrepassare non solo il vetro ma anche le tende. Harry sapeva di avere gli occhi di Louis puntati addosso, e in parte ora i suoi occhi si stavano finalmente abituando alla sensazione di buio.
Forse più avanti, quando ci avrebbe pensato, avrebbe sorriso nel ricordare quel momento. Non poteva sapere se di imbarazzo o nostalgia o forse entrambi. Iniziò a spogliarsi senza che ci fosse una parola. Prima le scarpe, che spostò di lato perché non dessero fastidio, i calzini scuri, poi i jeans che lasciò scivolare lungo le gambe. Nel processo, non distolse mai lo guardo dagli occhi di Louis. Accartocciò le dita attorno al proprio maglioncino e tolse via anche quello, rimanendo solo in biancheria intima. Pur essendo ormai quasi completamente nudo, non si era mai sentito più al sicuro che in quel momento.
Louis lo guardava con calda, trepidante aspettativa, mentre i suoi occhi divoravano il suo corpo guizzando da una parte all’altra, cercando di immagazzinare ogni singolo dettaglio. Harry fece l’ultimo folle gesto; con un movimento fluido si spogliò anche dei boxer rimanendo con nient’altro che la sua pelle. Lasciò le dita a contatto con il proprio stomaco, mentre si beava dello sguardo di Louis: lo sentiva sulla pelle come una vera e propria carezza, la più reale che avesse mai ricevuto. Raccolse dal polso sinistro un nastro per capelli e fece per raccoglierseli in una coda, e fu in quel momento che Louis si avvicinò a lui, aggrappandosi alle sue braccia.
“No.”, disse pianissimo, guidando le sue mani lungo i fianchi, accarezzando poi i polsi, gli avambracci e sfiorando accidentalmente parte del suo petto. “Lasciali sciolti.”
Harry era certo che se ci fosse stata luce, Louis avrebbe di sicuro notato il rossore che si era impadronito delle sue guance. Deglutì, mentre Louis lasciava aderire le sue dita contro la sua gola, massaggiandogli la pelle come per cullarlo; un istante dopo, Louis si stava sollevando sulle punte per annullare la loro distanza e posare le proprie labbra su quelle incredibilmente calde di Harry.
Harry non sapeva cosa avrebbe dato per poter fermare il tempo in quell’istante. Avrebbe dato il proprio cuore pulsante, probabilmente. Si rese conto che aspettava quel momento da sempre, dall’istante in cui per la prima volta aveva scorto Louis tra le lacrime e aveva capito che c’era qualcosa di diverso, in lui, qualcosa di speciale, che lo spingeva a vederlo con come uno dei tanti che aveva conosciuto in quell’ambiente, ma una persona vera, assurdamente perfetta nella sua imperfezione. Lo voleva. Come non aveva mai voluto nessuno, e pensò si capisse dal modo in cui si stavano baciando, perché adesso i baci si erano fatti finalmente più intensi e crudi, famelici nella loro intensità. Harry gemette quando Louis schiuse leggermente le labbra per permettere alla lingua di Harry di guizzare all’interno e – prendere prendere prendere tutto quello che Louis gli avesse permesso. Le dita di Louis furono presto tra i suoi capelli, tirandoli dolcemente e giocherellando coi boccoli, a dimostrazione di quanto li preferisse quando non erano legati.
Harry sussultò quando le mani di Louis si spostarono dai suoi capelli alla sua lunghissima schiena e poi più giù, fino a coprire con le mani le due perfette rotondità delle sue natiche, mentre Harry mugolava di approvazione e stupore. Il ricciolo cominciò a far vagare le proprie dita sui vestiti di Louis, sperando che capisse che voleva venissero rimossi al più presto.
“Harry.”, soffiò Louis a un certo punto, separandosi da lui e sembrando contrariato, come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa che voleva fare disperatamente. Cercò i suoi occhi per breve tempo. “Lo vuoi veramente?”, chiese piano. “Perché poi – non si torna più indietro.”
Questa volta fu Harry a prendergli il volto tra le mani. “Certo che lo voglio.”, mormorò, rubandogli un bacio sull’angolo della bocca. “Certo che lo voglio, razza di stupido, lo voglio dal primo momento, non lo capisci? E questa volta non riuscirai a fermarmi.”
Louis rise sommessamente sulle sue labbra, un suono basso e roco. “Parli come se credessi che sia stato semplice per me riuscire a frenarmi.”, borbottò, chinando il capo per succhiargli un punto impreciso della pelle della gola. “E’ dal primo giorno che – oh, Harry.”, al discorso venne messo un punto fermo così, con Harry che gli strappava un bacio e cercava di muoversi, alla cieca, per spingerlo verso il letto dietro di loro. Louis si lasciò guidare fino a quando vi caddero sopra con un piccolo tonfo, le risate mascherate dai baci a volte rudi a volte di una semplicità disarmante, che lasciava un buco al posto dello stomaco di entrambi. Louis cercò di togliersi i vestiti velocemente con l’aiuto delle mani di Harry, che tremanti si sostituivano alle sue quando le cose diventavano tutto troppo da sopportare, e ben presto finalmente anche Louis era completamente nudo, mentre si muoveva sinuosamente contro Harry; così piccolo e leggero in confronto a lui, ma al contempo così forte da averne paura.
Non lasciarono nulla al caso. Si sforzarono di fare le cose con estrema calma, esplorandosi a vicenda nel tentativo di capire quali fossero le cose che a entrambi piacevano di più; Harry amava lasciare che Louis baciasse ogni singolo, insignificante centimetro del suo corpo; Louis amava passare le dita tra i boccoli di Harry quando tutto diventava così bello da essere insopportabile.
Quando Louis seppe che erano entrambi pronti, allungò alla cieca una mano verso il comodino per afferrare una bustina di bagnoschiuma che aveva intravisto con la coda dell’occhio mentre si era spogliato. Non avrebbe funzionato bene come un lubrificante, ma ora come ora aveva la sensazione che né Louis né Harry potessero aspettare, così strappò quella con i denti e fece del suo meglio per preparare Harry e sé stesso a quello che sarebbe presto successo. Rimase disteso e immobile, mentre Harry si chinava per pressare le labbra contro le sue, scavalcando il suo corpo agilmente e preparandosi per sprofondare sul suo membro. Louis lo accompagnò con le mani posate sui fianchi, delicate eppure presenti, e sospirò di bruciante sorpresa quando finalmente, finalmente Harry si lasciò scivolare sopra di lui, inarcandosi a livelli che Louis non credeva fossero possibili, mentre si portava una mano sulla gola e gridava qualcosa di spaventosamente simile al nome di Louis.
Gli diede tutto il tempo di abituarsi, nessuna fretta per entrambi. Poi Harry allungò le dita verso il petto di Louis, prese un bel respiro, rilasciò il fiato con un minuscolo sorriso mentre cercava i suoi occhi – annebbiati, così scuri da far paura, pieni di lui.
E solo dopo iniziò a muoversi.
 
Quando Harry si svegliò, il mattino dopo, realizzò in una manciata di secondi che doveva essere appena passata l’alba. Con un sospiro pesante si sollevò leggermente dal letto mentre stropicciava gli occhi nel tentativo di aprirli, immagini più o meno chiare che si distendevano nella sua mente, costringendolo a sorridere mentre ricordava anche i più piccoli ed insignificanti particolari della notte precedente.
Le labbra di Louis, calde e desiderose contro le sue. Il suo respiro sulla pelle, Harry che bramava il suo tocco e si inarcava sotto di lui per concedergli ogni piccola cosa potesse dargli; i sorrisi nascosti, le parole impossibili da non gridare.
Non lasciarmi.
Harry si passò una mano tra i capelli mentre si metteva a sedere, realizzando di essere solo non solo. La parte alle sua sinistra del letto era vuota anche se ancora calda, le lenzuola stropicciate a creare un disegno complicato; la stanza era illuminata dai pallidi raggi di sole di quel mattino, ed Harry si diede dell’idiota un milione di volte perché c’era dannatamente freddo, considerato il fatto che la notte prima avevano lasciato la finestra leggermente socchiusa.
Si ritrovò a sorridere comunque. Sollevò le dita per accarezzare le proprie labbra, ricordando il modo in cui Louis le aveva baciate la notte prima – con calore, premura, un po’ come se non volesse mai lasciarlo andare. Si rannicchiò meglio contro la testata del letto, mentre qualcosa di spiacevole cominciava a farsi largo nel suo stomaco. Non c’era nessun rumore, era chiaro che anche la doccia, a qualche metro da lui, non stesse funzionando. Louis aveva lasciato la stanza e, nonostante Harry avesse ancora tutti i ricordi della notte precedente impressi nella mente e sulla pelle, non poteva essere certo che Louis avesse scelto di rimanere. Era successo tutto così in fretta – Harry era rimasto sconvolto per l’incontro con la madre, Louis lo aveva abbracciato e tenuto stretto e poi erano capitati lì, guidati dalle strade buie e dall’istinto, ma non avevano sul serio parlato di ciò che da adesso potevano aspettarsi. Quella notte aveva cambiato tutto. Aveva dimostrato a entrambi quanto profondamente si erano sbagliati nel credere che sarebbero stati in grado di non tenere all’altro così tanto - e aveva segnato un punto netto di non ritorno.
Da un lato, Harry aveva la terribile sensazione di aver rovinato tutto – ma dall’altro, aveva la sensazione di non essersi mai sentito così vicino a una persona come quella notte si era sentito vicino a Louis Tomlinson. Li aveva accompagnati dal primo momento, quella linea indefinita eppure tortuosa che li univa, qualcosa di cui Harry aveva sempre avuto paura. Eppure – non poteva essere sbagliato. C’era qualcosa tra di loro che era tremendamente reale, e tremendamente spaventoso, e forse difficile da gestire – ma non sbagliato, quello mai.
“Louis?”, chiamò Harry, sperando in qualche modo che fosse proprio dietro la porta d’ingresso, o che avesse sbagliato nella sua deduzione – magari Louis era in bagno e stava cercando di fare meno rumore possibile per non svegliarlo. Ma nessuno rispose. “Louis?”, chiamò Harry ancora una volta, rabbrividendo appena per il freddo che stava avvolgendo la sua pelle. Forse avrebbe dovuto mettere il suo cuore al riparo. Non era detto che Louis tornasse, non era detto che avesse sentito anche solo la metà di quello che aveva sentito Harry mentre stavano facendo l’amore –
Proprio in quel momento, un Louis assolutamente fresco e sbarazzino spalancò la porta della loro stanza tenendo, appoggiata sulla spalla, quella che aveva tutta l’aria di essere una chitarra ben avvolta dalla sua custodia e due caffè d’asporto tra le mani. I suoi occhi si riempirono di luce quando si rese conto che Harry era sveglio. “Buongiorno, raggio di sole.”, ed Harry avrebbe sorriso e sarebbe arrossito, lo avrebbe fatto sicuramente se non fosse stato così scioccato dal fatto di aver appena pensato di aver effettivamente fatto l’amore con Louis, e non solo sesso, non qualcosa di cui avrebbe potuto facilmente fare a meno –
Louis sistemò la sua chitarra in un angolo e cercò i suoi occhi con un’espressione assolutamente smarrita. “Tutto bene?”, soffiò, avvicinandosi al letto. Si leccò appena le labbra, quando vide che Harry ancora non gli rispondeva.
Harry si impose per lo meno di sbattere le palpebre. “Uh – sì, sì. Certo.”, mormorò, passandosi una mano tra i capelli. Finalmente sentì la familiare sensazione del rossore invadergli la pelle della gola e delle guance. “Per un attimo ho pensato te la fossi data a gambe.”
Louis rise, deliberatamente e sollevando il volto verso l’alto. “Nah. Mi sarei perso il migliore degli spettacoli.”
“Che sarebbe?”
“Tu che ti alzi la mattina con solo un lenzuolo addosso.”, mormorò Louis, avvicinandosi piano al letto e finendo per sedersi sul bordo. Ignorò volontariamente Harry che si mordicchiava il labbro inferiore mentre lo guardava. “Ho fatto un salto in città, ho, uhm – recuperato un paio di cose. Spazzolini, vestiti puliti, la mia chitarra. Un caffè.”
“Caffè.”, mugolò Harry, recuperandolo dalle dita di Louis e avvicinando immediatamente il bicchiere di carta alla bocca, mentre sospirava di piacere e sorpresa. “Potrei seriamente venire.”
Di nuovo.”, lo punzecchiò Louis e no – questa volta Harry arrossì deliberatamente, alzando una mano per colpire Louis all’avambraccio che reagì lamentandosi. Per fortuna poi risero dolcemente, mentre Harry cercava gli occhi di Louis attraverso le lunghe ciglia.
“Allora.”, borbottò Louis, portandosi alla bocca un po’ del suo – probabilmente cappuccino, “Stanotte.”
“Stanotte.”, soffiò Harry, scrollando le spalle e smettendo immediatamente di guardarlo negli occhi. Sapeva perfettamente che quello non avrebbe mai dissuaso Louis dal parlarne.
“Non sto cercando di – rendere tutto assurdamente imbarazzante, hai presente. Fare tutti quei discorsi tipo – oh mio dio è successo, lo abbiamo fatto, perché non abbiamo quindici anni. E suppongo che se due persone si guardano negli occhi e sono d’accordo sul togliersi i vestiti, è perché c’è qualcosa di importante che – sta nascendo. Credo. Non lo so.”
“Lo stai facendo diventare imbarazzante.”
Louis spalancò gli occhi, l’ombra di un sorriso che giocava con le sue labbra. “Non – avanti, non è mia intenzione.”, borbottò ridacchiando. Poi si fece incredibilmente serio, la sua voce si fece appena più bassa e roca mentre gli occhi scivolavano sul petto di Harry. “Sto solo cercando di capire se – possa esserci qualsiasi tipo di rimpianto, sai. Perché francamente, Harry – io non ne ho. Non ne ho mai avuti, e non ne avrò mai in futuro. Voglio che tu lo sappia. Voglio anche che tu sappia che non sto facendo finta di niente perché non mi importa – lo so, lo so che questo è un completo disastro, so anche che ci sono un milione di altre cose che vorrei dirti in questo momento e invece mi sto rendendo ridicolo, e –”
“No.”, soffiò Harry interrompendolo, un sorriso giocoso che era comparso sulle sue labbra. Louis lo fissò per un secondo buono.
“No…?”
“No, Louis, non ci sono rimpianti.”, disse piano Harry, inclinando appena la testa per poterlo guardare meglio. “E’ stato…perfetto. Ieri notte è stato perfetto, Louis.”
“Oh.”, si limitò a dire Louis, per poi lasciare andare uno sbuffo di risata e tornare serio nel giro di qualche secondo. “Avevo paura.”, ammise senza guardarlo negli occhi. “Avevo così tanta paura di tornare questa mattina e di trovarti arrabbiato o peggio, di non trovarti proprio.”
“Perché?”
“Perché è più facile, sai – scappare. Quando si prova…non so cosa stai provando tu, ma io sto provando tante di quelle cose, e ieri notte – ieri notte si sono amplificate, Harry. Quando provi tutto questo, è facile scappare, lasciarsi tutto alle spalle. Quindi ho semplicemente pensato – sarà più facile per lui andarsene, o fingere che non sia successo niente.”
“Ma non sto scappando.”, mormorò Harry, allungando una mano per sfiorare quella più vicina di Louis. Finirono per intrecciare le loro dita in un modo assolutamente nuovo per entrambi. “Non sto andando proprio da nessuna parte.”
Louis alzò lo sguardo verso Harry, un angolino della bocca che si increspava verso l’alto, e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Le loro labbra si incontrarono proprio al centro, Harry che inclinava la testa per permettere a Louis di baciarlo più a fondo mentre allungava le dita per tenerle contro la sua guancia destra, in una tacita richiesta di rimanere lì. Harry pensò che non sarebbe mai più riuscito a vivere senza i baci di Louis appena sveglio, mentre realizzava che le sue labbra avevano il sapore di caffè – e forse, solo un po’, di quei sogni che aveva dimenticato. Quando si staccarono, Harry appoggiò una tempia alla spalla di Louis, e fu allora che ricordò un particolare che aveva messo da parte.
“Hai portato la chitarra.”
“Sì.”, disse Louis, la voce che fece vibrare la sua spalla. Harry lasciò che si alzasse per andare a recuperarla, e poi vide Louis risedersi, questa volta però all’angolo opposto in cui Harry si era sistemato. Lo vide pizzicare qualche nota, gli occhi chiusi e la bocca arricciata appena per la concentrazione, e dopo qualche secondo stava cantando; il silenzio della stanza attorno a loro improvvisamente cancellato dalla voce di Louis che lottava per essere forte abbastanza di prima mattina da sfiorare qualsiasi tipo di nota, mentre Harry si rendeva conto di stare inevitabilmente tremando. Louis aveva una voce bellissima. Particolarmente alta e melodica, diversa da qualsiasi voce avesse mai sentito, e le parole che stava cantando erano di puro, incondizionato amore – e per la prima volta in quasi ventitrè anni, Harry capì perché per i poeti fosse così importante trovare la parola perfetta quando scrivevano canzoni d’amore. Per la prima volta in quasi ventitrè anni, Harry si rese conto che con un piccolo sforzo, quelle parole d’amore avrebbero potuto acquisire un significato.
Scivolò fuori dal lenzuolo gattonando verso Louis, non premurandosi del fatto che fosse completamente nudo; si inginocchiò vicino a lui ed allungò le dita per accarezzargli parte di una guancia. “E’ decisamente la tua fotografia.”, mormorò Harry, mentre Louis alzava lo sguardo verso di lui, gli occhi limpidi come non erano mai stati prima di quel momento.
“Ti piace la canzone?”
“Mi piace la tua voce.”, sussurrò Harry, percorrendo il profilo del suo mento con le dita. Si ritrovò a sorridergli. “E credo mi piacerebbe qualsiasi canzone se cantata da te.”, soffiò, chinandosi in avanti questa volta per baciarlo, finalmente. Louis avvolse un braccio attorno alla sua vita mentre con l’altro lavorava per far scivolare la chitarra lontano da loro, ormai unico impedimento che separava i loro corpi. Harry aveva la pelle fredda e Louis bastò quello per capire che aveva bisogno di essere scaldato – trascinò indietro i suoi capelli e con una spinta si distese sopra di lui, mentre tra un sorriso e un sospiro Harry cominciava a togliergli i vestiti.
 
Louis stava segnando l’infinita schiena di Harry con le dita, disegnandoci sopra arabeschi che non avevano senso, perdendosi ad osservare la sua pelle a intermittenza con il suo sguardo, ed Harry – lui sorrideva, in bilico tra l’addormentarsi per l’ennesima volta o lamentarsi perché le dita di Louis erano così sottili e gli facevano il solletico. Non avevano fatto molto altro, quel pomeriggio, a parte fare l’amore. Solo adesso erano riusciti a mettere un punto di fine a quel reciproco desiderio e si erano rilassati, anche se non riuscivano a togliersi gli occhi di dosso. La chitarra giaceva ancora dimenticata ai piedi del letto e Louis si stupì del fatto che in quell’esatto momento non gli mancasse.
“Da quanto li fai crescere?”, chiese in un soffio Louis, afferrando un boccolo di Harry tra le dita per giocherellarci. Harry nascose un sorriso tra i cuscini.
“Qualche anno.”
“Ti piacciono lunghi?”
“Non sapevo che mi piacevano finchè non ho provato.”, mormorò Harry, sentendo il cuore scartare un battito nel vedere quanta tacita dedizione Louis ci stava mettendo nel sfiorarli. Sembrava gli piacessero, che gli piacessero tanto, a giudicare anche da quante volte vi ci si era aggrappato mentre affondava dentro di lui, e per quello Harry si fece una nota mentale di lasciargli crescere almeno ancora per un po’.
“Ti rendono diverso.”, borbottò Louis con la fronte aggrottata. Sembrava concentrato sulla scelta di parole che stava facendo. “Diverso – nella sfumatura più positiva del termine. E mi piace questo di te, che ti senti diverso e lo fai vedere, senza paura.”
Harry sbattè appena le palpebre. “Essere diversi non è una cosa così positiva.”
“Ti dico che lo è.”, mormorò Louis, lasciando che le proprie dita indugiassero tra il solco presente tra sue scapole. Si chinò in avanti per lasciare un bacio sulla spalla di Harry, scese in obliquo per premere le proprie labbra sulla parte alta della schiena, e poi un pochino più in basso, su un punto in cui nasceva qualche lentiggine che era visibile solo se si osservava con attenzione.
Harry si rese conto troppo tardi che stava parlando, parole ingarbugliate che finirono per lasciare la sua bocca senza che potesse fare nulla per rimangiarsele. “Vorrei stare qui per sempre.”, aveva appena detto, e Louis si era fermato interrompendo la scia di baci, sollevandosi per guardarlo meglio negli occhi. Era chiaro volesse dire qualcosa, così chiaro nel momento in cui allungò una mano verso il viso di Harry per scontrare le nocche contro la sua guancia esposta, ma proprio in quel momento il telefono di Louis segnalò l’arrivo dell’ennesimo messaggio. Il bodyguard alzò gli occhi al cielo, rotolando di lato per recuperare il cellulare ormai quasi scarico che aveva dimenticato sul bordo del comodino. Lo sbloccò con un rapido movimento del pollice.
“Merda.”, sibilò tra i denti, passandosi una mano tra i capelli e cercando di nascondere il sorriso che stava minacciando di colorare le sue labbra. Quella situazione aveva un non so che di ironico. “E’ Liam. Trentadue messaggi. Un record per questo ragazzo, te lo posso garantire.”
Harry si mise meglio a sedere, coprendosi come poteva con il lenzuolo stropicciato. “Cosa dice?”
“Che Gary sta dando di matto, fondamentalmente. Avevi degli impegni oggi...non rispondi al cellulare…le solite cose. Liam mi sta coprendo.”
“Liam sa che sei con me?”
Louis cercò gli occhi di Harry. “Uhm…sì. Sa solo…che ti sto tenendo compagnia.”
Harry non seppe capire il motivo del proprio rossore. “Che risposta evasiva.”
Louis si mordicchiò le labbra con veemenza. “Liam ha detto a Gary che io sono fuori a cercarti. Ma non so quanto ancora potrà resistere, il nostro povero piccolo.”
Harry finì per ridacchiare. Recuperò il proprio telefono dal comodino e digitò il numero di Gary, mentre già pregustava quello che gli avrebbe dovuto dire. Ignorò le imprecazioni che sentì chiaramente una volta che l’altro gli ebbe risposto.
“…sì, Gary, ricordati che incazzarsi alla tua età facilita gli infarti, e non credo che tua moglie adesso come adesso voglia occuparsi di un funerale. Non sta bene, che dici? Sono con Louis, comunque, quindi sono al sicuro, non mi sento molto bene e ho bisogno di alcuni giorni per staccare.”
“Alcuni giorni per – stai scherzando ragazzino, hai dei fottuti impegni ai quali non puoi mancare –”
“Sono sicuro che muori dalla voglia di trovare delle scuse che calzino a pennello per…quelli della radio? Vanity Fair?”, Louis a quel punto rise, mettendosi immediatamente una mano sulla bocca. “Credo di avere la febbre. Non sarebbe bello attaccarla a qualche povero giornalista che sta solo cercando di fare il suo lavoro.”
“Se non porti il tuo culo qui immediatamente, ragazzino, io ti giuro che –”
“Cosa? Che mi chiuderai in camera d’albergo perché mi sono comportato male? Prenditi dei giorni liberi, Gary, che cazzo ne so, scopa con la tua amante, vai alle terme. Ma lasciami in pace. Ho bisogno che mi lasci in pace. Chiaro? Buona giornata.”
Quando Harry pose fine alla chiamata, seguì qualche secondo di denso silenzio. Il ricciolo spense il cellulare senza pensarci un minuto di più quando vide lo schermo illuminarsi per una nuova chiamata da parte di Gary, poi lo gettò di nuovo sul comodino dietro di lui, con nessuna intenzione di raccoglierlo quando finì per rotolare disastrosamente a terra.
Louis cercò i suoi occhi – e nel giro di un istante scoppiarono a ridere. Guardandosi. Una sensazione strana e completamente nuova per entrambi. Quando ebbero finito, ormai senza fiato, Louis allungò una mano verso Harry per far sfiorare le loro dita in un groviglio indefinito.
“Ti porto a cena, ti va?”, soffiò piano, ancora un velo di risata che aleggiava nei suoi occhi. Harry si sentì preso in contropiede e, per la prima volta in tutta la sua vita, libero di fare quello che voleva.
“Sto morendo di fame.”, ammise piano.
 
Louis prese la moto e li portò lontano dalla città, lontano dal motel, e da qualsiasi cosa Harry associasse ai luoghi che conosceva di quella zona. Il sole stava tramontando quando scesero dalla moto, che Louis lasciò sul ciglio di una strada poco trafficata, a qualche metro da quello che aveva tutta l’aria di essere un venditore di cibo da strada.
Harry si fermò sui suoi passi, alzando un sopracciglio. “Lou, ti ricordi che ti ho detto che mangio solo cose sane, vero?”, chiese in un mormorio. Non se ne intendeva molto di street food, ma comunque abbastanza da sapere che in posti del genere avrebbe potuto permettersi al massimo un acqua minerale. Non poteva crederci che Louis lo avesse portato proprio lì – e forse anche un po’ per quello, non riusciva a smettere di sorridere per l’ironia di quella situazione.
“Non preoccuparti.”, disse Louis sorridendogli, guardando per un attimo verso il basso e scalciando qualche sassolino che intralciava i suoi passi. “Non me lo sono dimenticato.”
“Ed esattamente, cosa ci facciamo qui?”, chiese Harry, mantenendo un tono di voce basso, sperando che chiunque fosse il proprietario di quel furgoncino non lo sentisse. Louis sembrava sempre più divertito.
“Possiamo fidarci del proprietario.”, spiegò semplicemente Louis, scrollando le spalle. “In qualsiasi altro posto ti avrebbero riconosciuto. E avremmo avuto problemi.”
Harry si strinse nelle braccia, ormai rassegnato. Raggiunsero finalmente il bancone, al di là del quale Harry non vede proprio nessun proprietario di cui apparentemente si potevano fidare: il furgone era completamente vuoto. Come Harry aveva internamente temuto, dando una veloce sbirciata al menù, riconosceva cibi ai quali non si sarebbe mai avvicinato per nulla al mondo.
“Ma c’è almeno qualcuno?”, chiese Harry ad alta voce, avvicinandosi involontariamente a Louis. Non passò neanche un secondo: un ragazzo biondo e dal viso dolce sbucò improvvisamente da dietro il bancone, sfoderando uno dei sorrisi più grandi che Harry avesse mai visto; addosso aveva un grembiulino di colore azzurro con su scritto Sono il cuoco più bravo del mondo ma tranquilli, per tenermi in forma gioco a golf, uno di quei grembiuli che si fanno fare su misura per strappare una risata, e aveva il naso leggermente sporco di farina. Harry non seppe capire il perché – ma immediatamente, si rese conto che quel ragazzo gli sarebbe piaciuto.
“Oh – merda – Louis. Tu, stronzo, potevi dirmi che saresti venuto, figlio di –”, il ragazzo biondo scoppiò a ridere, sparendo in un attimo dietro una tenda e ricomparendo accanto a loro dopo aver fatto il giro attorno al furgoncino. Allargò le braccia e Louis ci si buttò dentro, praticamente; Harry fece automaticamente un passo indietro nel vederli, e nel leggere quella familiarità che solo due vecchi amici potevano avere. Avevano più o meno la stessa altezza e si inglobavano a vicenda come se facessero parte di una piccola famiglia. Quando si staccarono, il ragazzo biondo diede a Louis una leggera pacca sulla spalla.
“Quante volte ti dico vieni più spesso, stacca dal lavoro e vieni a trovare quell’imbecille del tuo migliore amico – cazzo, Louis, non mi chiami mai! L’ultima volta che ti ho visto eri ancora in fasce in pratica –”, il ragazzo fermò improvvisamente il flusso di parole, quando si rese conto che c’era qualcun altro. Harry era ancora leggermente separato da loro, le mani congiunte davanti al corpo e un sorrisino colpevole sulla faccia.
“Oh.”, borbottò il biondo. “Scusa, non avevo fatto caso…hai compagnia.”, mormorò – ed era quasi dolce, intenerito dalla presenza di un’altra persona, e apparentemente felice che fosse lì con Louis.
“Harry.”, lo chiamò Louis, con un piccolo sorriso a segnargli il volto, “Questo è Niall. Il mio migliore amico.”
Harry aveva la vaga sensazione di avere gli occhi che brillavano, perché – stava succedendo, alla fine; stava piano piano entrando in punta di piedi nella quotidianità di Louis, e quello era un piccolo grande passo verso di lui. “Ciao Niall.”, sussurrò, allungando una mano verso di lui. Niall gliela strinse con forza, gli occhi ridotti a una fessura mentre – Harry immaginava, visto che ormai aveva imparato a riconoscere quello sguardo in qualsiasi persona – cercava di ricordare dove lo avesse già visto.
“Oh porca – scusami, non volevo essere volgare. Scusami. Ma tu sei –”, Niall si portò una mano alla bocca. “Harry Styles – oh mio dio –”
Harry cercò l’approvazione di Louis, e questo gli concesse un dolce sorriso, come a dire – puoi fidarti, puoi farlo davvero.
“Sì. Sì – sono io.”
“Louis è la volta buona che ti cucino le palle, perché non mi hai detto che conosci Harry Styles – io ti ammazzo.”
“Abbassa quella voce, idiota.”
“Scusami.”, sussurrò Niall, per poi tirargli un pugnetto sulla spalla, “Ma la storia sulle palle non me la stavo inventando, te le cucino davvero.”
Fu più o meno in quel momento che furono interrotti da una voce femminile. “Oh, ecco che Niall si fa distrarre ancora una volta da Louis. Vecchia storia.”, borbottò alzando gli occhi contornati di mascara al cielo. Era una ragazza bellissima, dai capelli biondo chiari e la pelle abbronzata – ed Harry ebbe la strana, confusionale sensazione di averla già vista da qualche parte. “Ho una fame, quasi quasi stacco e faccio una pausa –”, le parole della ragazza le morirono nella gola, quando il suo sguardo si posò su Harry. Poi, molto, molto lentamente, spalancò le labbra. E solo dopo urlò.
“Harry Styles!”, al suono di quelle parole, Louis e Niall alzarono gli occhi al cielo. “Vaffanculo, c’è Harry Styles a un metro da me e io sono vestita con un misero grembiulino del cazzo e non mi sono neanche truccata come si deve! Oh mio dio, sto per vomitare. Oh. Mio. Dio.”
Harry ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli e coprendosi lo stomaco poi con le braccia. “Sei bellissima, invece.”
La ragazza si coprì le labbra con entrambe le mani, ammortizzando l’urlo che uscì poco dopo, che uscì muto ed incolore. Fece qualche passo indietro saltellando, colpendo accidentalmente con un fianco un pentolino vuoto che cadde per terra producendo un rumore atroce, e poi sparì anche lei dietro la tenda.
Harry si sentiva divertito quanto perplesso. “Ma lei…chi è?”, chiese piano. La vide ricomparire dal lato del furgoncino, mentre si avvicinava al gruppo cautamente e a piccoli passi, come se non volesse spaventare un gattino ferito.
“Lei è Lottie.”, mormorò Louis, allungando una mano verso di lei. La ragazza si affrettò ad afferrarla con forza, e Louis se la strinse vicino per baciarle la testa. “Mia sorella.”
Harry sentì il cuore scartare un battito a quella notizia – e finalmente capì perché qualche minuto prima aveva avuto la sensazione di conoscere già quella ragazza, perché in qualche modo, assomigliava a Louis veramente tanto.
“E sfortunatamente, la mia ragazza.”, aggiunse Niall, mentre guardava di traverso il modo in cui Lottie osservava Harry.
“Non per molto, tesoro, Harry Styles ha appena detto che sono bellissima.”
“Non credo proprio, tesoro, l’ho visto prima io, mettiti in fila.”
Harry a quel punto scoppiò a ridere, tenendosi una mano sulla pancia e lasciandosi andare come non faceva da tempo; quando si riprese, sia Lottie, Niall che Louis lo stavano guardando in silenzio, praticamente rapiti.
“Ho fatto ridere Harry Styles.”
“Taci, Niall, io ho fatto ridere Harry Styles.”
“Siete esilaranti.”, mormorò Harry, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Si avvicinò a Lottie per porgerle la mano. “Sono davvero – felicissimo di poter incontrarti. Louis mi ha parlato tanto di te.”
Lottie osservò la mano di Harry mezzo minuto prima di stringergliela con cautela, sciogliendosi in un enorme sorriso. Poi si voltò di scatto, e schioccò una sberla sul braccio più vicino di Louis. “Coglione, avresti dovuto dirmelo che lavoravi per Harry Styles. Mi fai fare di quelle figure –”, a quel punto, Lottie si coprì la bocca con una mano, e i suoi occhi corsero a cercare Harry. “Oh mio dio, non volevo essere così volgare. Di solito non sono così volgare –”
“No, sei anche peggio.”, borbottò Niall, che si beccò a sua volta uno schiaffo proprio dietro la testa. Harry finì per ridere ancora più di gusto, mentre Lottie lo osservava con gli occhi luminosi.
“Scommetto che Niall non ti ha chiesto nemmeno cosa vuoi mangiare. Vero?”, mormorò, lanciando un’occhiataccia al biondo. “Puoi dirlo a me. Qualsiasi cosa tu voglia.”
Harry le sorrise gentilmente. “Un piattino di verdure? Se ce le avete. Non – non vi preoccupate, se è un problema mangio qualcos’altro.”
“Nessun problema!”, esclamò Lottie, armeggiando per sistemarsi i capelli in una coda alta. “So che mangi solo cose sane, devo averlo letto da qualche parte, e non potrei mai permettermi di rovinarti la dieta, quindi sul serio – fidati di me.”
“Tesoro, così lo fai scappare.”, la prese in giro Niall, che con quelle parole fece ridacchiare anche Louis. Lottie gli pestò un piede, riservandogli una bella linguaccia.
“Tu invece stavi per farlo morire di fame, tu e il mio fratellino, bell’esempio che siete. Tranquillo Harry, ci penso io a te.”
Detto quello, Lottie si rifugiò nel furgoncino, armeggiando con almeno mille ingredienti contemporaneamente. Louis ridacchiò.
“E a me non chiedi che cosa voglio mangiare?”
“Per me puoi anche morire di fame!”, gridò Lottie girata di spalle, e Niall scoppiò a ridere. Louis aggrottò la fronte.
“Lo sai che sei la mia sorellina preferita!”
A quel punto, Lottie alzò un dito medio verso la sua direzione, senza che ci fosse il bisogno che si voltasse. Louis alzò gli occhi al cielo.
“Ti faccio il solito, amico?”, borbottò Niall nella sua direzione, e Louis annuì. Con un ultimo sorriso, Niall scappò sopra il furgoncino per raggiungere Lottie. Prima di avvicinarsi Harry vide il modo in cui la guardò; lo vide allungare una mano nella sua direzione per punzecchiarle un fianco e Lottie che si spostava per impedirglielo ma che alla fine cedeva per scoppiare a ridere.
Le dita di Louis si infilarono nelle sue. “Ci sono dei tavoli di legno appena qui, dove c’è il boschetto. Possiamo accendere le lanterne e ci sono coperte che possiamo tenere sopra le gambe.”
Harry finalmente lo guardò. “Sembra perfetto.”, disse piano, perdendosi ad osservare le loro dita per un lungo, denso istante. Poi lo seguì, senza mai lasciare andare la sua mano.
 
Harry faticava a vedere la fine di quel piatto di verdure, mentre Louis aveva ormai fatto in tempo a mangiare due panini e mezzo; la metà del terzo giaceva spezzettata nel suo piatto, dopo che Louis aveva dichiarato ad alta voce di essere pieno. Harry riusciva a togliergli gli occhi di dosso solo quando osservava il posto in cui erano capitati – erano circondati dal verde più totale di alberi altissimi e sempreverdi e, più in là, Louis gli aveva detto ci fosse un laghetto usato per la pesca.
Dal tavolo di legno in cui si erano seduti, era possibile scorgere da lontano il furgone in cui Lottie e Niall stavano lavorando. Sembravano felici. Ogni tanto si punzecchiavano e nell’istante dopo i loro sguardi si cercavano, complici; ed Harry provava una sorta di colpa nel guardare quei momenti, perché gli sembrava di violare qualcosa di inviolabile, qualcosa di dolcemente intimo. Erano adorabili; più per le cose non dette che quelle dette ad alta voce. Stava tutto in bellissimo gioco di sguardi, quell’allungare le dita al momento giusto, i sorrisi che pensavano di tenere nascosti per loro stessi quando l’altro non guardava.
“Va tutto bene?”, gli chiese Louis, nel notare che stava giocando almeno da qualche minuto con quello che aveva tutta l’aria di essere un pezzetto di peperone, mentre non riusciva a distogliere lo sguardo da Niall e Lottie. Innamorato dell’amore, e anche in modo piuttosto disperato. Harry si costrinse a distogliere lo sguardo e a cercare quello di Louis.
“Sì. Certo.”, mormorò, la voce bassa e calda. “Stavo solo…lascia perdere.”
C’era un debole sorriso che giocava con le labbra di Louis. “Adesso voglio saperlo.”
Harry soffiò una risata. “E’ stato inaspettato.”
“Cosa?”
“Che tu mi abbia portato qui.”, confessò Harry scrollando le spalle. Osservò Lottie al di là del bancone, e si rese conto che il suo sorriso assomigliava tremendamente tanto a quello del fratello. “Che tu mi abbia fatto conoscere due persone così importati per te.”
Louis cercò il contatto diretto con i suoi occhi. “Sono la mia famiglia.”, confessò, il tono di voce basso, come un filo che si distendeva creando milioni di minuscole crepe. “E ci tenevo tanto che ti conoscessero. Voglio dire – evidentemente ti conoscono già, solo  –”
“Credo di aver capito.”, soffiò Harry, un angolino della bocca che si alzava verso l’alto. Non riuscì a distogliere lo sguardo da Louis mentre gli si avvicinava, scivolando sulla superficie della panca di legno sulla quale erano seduti. “Porti qui tutti i tuoi clienti?”
Louis aveva voglia di scoppiare a ridere, ma dallo sguardo di Harry sotto le ciglia che sbattevano ripetutamente, capì che quella doveva essere una domanda importante per lui. Scossa la testa. “Sei la prima persona che porto qui.”, disse, ed era la verità. Sperò che Harry potesse capirlo dai suoi occhi, e lui lo fece. Accennò una breve risata divertita; sembrava un bambino colto in fragrante che aveva appena rubato una manciata di caramelle.
“Sono un’eccezione, allora.”
Gli occhi di Louis erano luminosi mentre formulava la sua risposta. “Non sei solo un’eccezione, tu sei molte cose, Harry.”, mormorò, ed Harry distinse chiaramente quei momenti; il momento subito prima stava giocherellando nervosamente con le proprie dita e il momento dopo stava fissando Louis a bocca aperta, completamente immobile. Gli riusciva impossibile anche pensare di muoversi. Non seppe capire quanto tempo era passato, ma a un certo punto si rese conto che – respirare, doveva respirare, e si ritrovò a ridere senza un motivo preciso. Il suono raddoppiò poco dopo, in segno che anche Louis stava ridendo insieme a lui, ed era – piacevole, piacevole e sconvolgente, anche perché non c’era niente da ridere. Al massimo, Harry avrebbe voluto piangere. Perché non era una cosa che poteva succederti tutti i giorni, essere l’eccezione di una vita. Essere il punto fermo di qualcuno. Insinuarti tra le sue crepe.
“Come finirà?”, chiese Harry, ed era assurdo che lo stesse chiedendo mentre la sua voce era ancora stridula ed alterata per aver appena finito di ridere. Assurdo che lo stesse chiedendo con il cuore sanguinante tra le dita, perché si stava innamorando, si stava innamorando di quel ragazzo e cazzo, forse lo amava già profondamente dal primo momento, e si sentiva male, fottutamente male, così tanto da riuscire ad ammettere a se stesso che aveva paura di come sarebbe finita.
“Cosa?”, chiese Louis. I suoi occhi lacrimavano per la risata che avevano appena condiviso. Fu più o meno in quel momento che Harry si fece incredibilmente serio.
“Questo.”, soffiò, indicando lo spazio che c’era tra di loro. Cercò gli occhi di Louis. “Noi. Come finirà?”
Louis non sapeva rispondere. La sua risata si spense definitivamente portandosi via anche il suo sorriso, e fu costretto a chiudersi nelle spalle, ma non sembrava spaventato. Il suo Louis non sembrava mai davvero spaventato. Era una di quelle poche persone che avevano una ferita scoperta e non avevano paura di mostrarla al mondo. Non disse niente; si limitò ad avvicinarsi a Harry e premere le labbra contro le sue, perché francamente non conosceva la risposta. Non la conosceva, nemmeno nei punti più intimi della sua anima. Avrebbe voluto conoscerla. Avrebbe voluto dire a Harry – Prendiamo le nostre cose e scappiamo da qui, scappiamo lontano, non importa dove; andiamo da qualche parte in cui a nessuno possa interessare delle nostre dita intrecciate.
Quando il bacio finì, Louis si rese conto di aver detto tutte quelle parole soltanto nella sua testa.
 
Il modo in cui Lottie si aggrappò a Louis – e il modo in cui Louis la strinse di rimando, immergendo le dita tra i suoi capelli chiari e infinitamente lunghi – fece capire ad Harry che c’era davvero qualcosa di enormemente speciale tra i due. Nessuno dei due forse lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma entrambi avrebbero dato la vita per l’altro senza battere ciglio. Harry non potè fare a meno di pensare a cosa stesse facendo Gemma in quel momento, e si appuntò mentalmente di chiamarla al più presto: le mancava.
“Sono davvero, davvero felice di averti conosciuto, Harry.”, mormorò Lottie, lasciando andare suo fratello e sporgendosi verso di lui per abbracciarlo con dolcezza. “Sei sicuro che ti siano piaciute le verdure?”
Harry tenne la mano salda sulla schiena, premendosela contro per un breve istante. “Sì, non devi preoccuparti.”
“Voi e il vostro mangiare sano.”, borbottò Louis in uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo. “Non avete idea di come siano i panini di Niall.”
Niall gli fece l’occhiolino mentre Lottie si faceva spazio tra le sue braccia, facendosi mille volte più piccola; lui le baciò la testa. “Cosa ci vuoi fare, Lou. Non tutti possono essere sani di mente come noi.”
Lottie si premurò di colpirgli lo stomaco con una mano aperta e Niall si lamentò ad alta voce, facendo scoppiare a ridere Harry e Louis all’unisono. Ci furono sguardi imbarazzati, poi Louis calciò qualcosa di invisibile di fronte a sé. “Beh –”
“In realtà.”, esordì Lottie, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Visto che per adesso non c’è nessuno. Uhm. Harry, ti va di farti una foto insieme a me?”
Harry le sorrise dolcemente. “Ci mancherebbe altro.”
Lottie praticamente gridò di gioia, facendo sobbalzare tutti e tre i ragazzi; allungò una mano verso Harry e lo invitò a seguirla verso il retro del furgone, dove teneva il cellulare. Sia Niall che Louis si voltarono verso di loro, osservandoli mentre cominciavano un vero e proprio servizio fotografico e ridevano allegramente dopo ogni scatto.
“Quando lo guardi hai quella strana luce negli occhi; sì, un luccichio che non ti avevo mai visto prima. Sembri diverso, ma non in modo negativo.”, mormorò Niall; Louis si rese conto dopo qualche secondo buono che non stava rispondendo. Si voltò verso di lui.
“Niall…”
“Sono le stesse, esatte parole che tu mi hai detto per Lottie. Quando la guardi hai quella strana luce negli occhi e – sembri diverso, Niall, ma è una bella cosa.”, citò, muovendo le dita per imitare delle virgolette. “Me lo ricordo ancora.”
“Te lo ricordi ancora.”, gli fece eco Louis, sorridendo leggermente. “Quella stessa sera mi avevi detto di essere innamorato di lei da quanto avevi otto anni.”
“Sette anni e mezzo.”, lo corresse Niall, distogliendo lo sguardo da Louis per cercare Lottie. “Era il suo primo giorno di scuola e mi aveva dato un pugno in faccia perché le avevo portato un fiorellino.”
“Lei è fatta così.”
“Già.”, soffiò Niall, immergendo le dita nelle tasche dei jeans scuri. “Amico, ci sei dentro fino al collo.”
“E’ così ovvio?”
“Sono le piccole cose.”, mormorò Niall scrollando le spalle, sorridendogli appena. “Il modo in cui lo guardi quando lui ti parla, la tua giacca di pelle preferita che sta indossando da quando ha cominciato a fare buio, il modo in cui ti preoccupi per lui. E vi ho visti per una decina di minuti in totale.”
Louis si morse appena il labbro inferiore, mentre sospirava piano. “Hai presente, Niall, andare a trecentocinquanta chilometri orari, la sensazione di non fermarsi mai; l’adrenalina, il cuore che ti pulsa nella gola, il sangue che scorre nelle vene, ti annebbia il cervello ma ti fa sentire vivo. Harry è questo, per me. Anzi, no: Harry è di più. Ancora di più.”
“Come una canzone ben riuscita nel cuore della notte?”
“Come una canzone ben riuscita nel cuore della notte. L’intrecciarsi delle note, e…la voce che non ti si spezza su una nota più alta. Harry non è solo le note, lui…è la composizione finale. E io…”
“Tu sei cotto a puntino.”, lo prese in giro Niall, dandogli una leggera pacca sulla spalla e facendolo ridere. “Diglielo. Portalo via di qui. Sul serio, Louis – andate via da questo ambiente di merda, trovate qualcosa che vi piace fare. Fatti amare, Louis. È tutta la vita che voglio qualcuno che ti ami, e da quello che ho visto sono certo che Harry possa essere quella persona.”
Niall annuì debolmente. “E’…è complicato.”, soffiò, una piccola smorfia di dolore che gli modificava il volto. Non ci fu tempo per dire altro che Lottie si gettò praticamente su Niall strappandogli un breve bacio; poi, con il suo entusiasmo e un enorme sorriso, gli fece vedere tutte le foto che avevano scattato lei ed Harry.
Harry guardava il modo in cui Lottie e Niall si stavano tenendo stretti: Louis guardava Harry, invece, incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi pieni di luce.
 
Quando Louis finì di fare la doccia e tornò nello spazio della camera del motel, trovò Harry parzialmente sdraiato sul letto con la schiena appoggiata al muro; aveva i capelli raccolti in un morbido chignon con qualche boccolo che ricadeva dolcemente qua e là; una maglietta nera e attillata gli fasciava il petto ed era senza pantaloni, le gambe lunghe e pallide distese sulla coperta sotto di lui.
Stava fissando il vuoto.
“Bella serata.”
Il commento fu talmente piatto e privo di entusiasmo che Louis sentì qualcosa di sgradevole muoversi al livello del suo stomaco; si passò l’asciugamano tra i capelli un’ultima volta prima di lanciarlo verso il lavandino e abbandonare il bagno definitivamente. “Non sembra dal tuo tono di voce.”
Un angolino della bocca di Harry si arricciò verso l’alto. “Dico sul serio. Era – cosa, una specie di piano, il tuo? Farmi vedere quanto potremmo essere felici? Spiattellarmi in faccia quello che hanno Lottie e Niall?”
Louis non riusciva a credere che a parlare fosse Harry; quello stesso Harry che fino a un’ora prima stava baciando sotto le stelle tra il profumo dei pini. Aggrottò la fronte, quando finalmente Harry ruotò il capo per sostenere il suo sguardo. I suoi occhi erano cupi, pieni di cose non dette, una tempesta di emozioni che in un primo momento spaventò Louis fino a farlo rabbrividire.
“Perché fai così, Harry? Non capisco.”
Harry sbuffò appena di rabbia. “Non lo so – cosa vuoi che ti dica, Louis, cosa? Stasera è stato bellissimo. Stasera ho scoperto cosa potremmo avere se solo lo volessimo. Poi, sai com’è, ho cominciato a pensare.”
“E a che cosa hai pensato?”
Harry si passò una mano tra i capelli intrappolati nello chignon, frustrato. “A qualsiasi – qualsiasi cosa, Louis. Ai sorrisi di Lottie e Niall, per lo più, alla loro libertà, a quella meravigliosa, incredibile intesa che c’è tra di loro. Li ho osservati. Come fai a non osservarli, loro – sono bellissimi, hanno tutto, ogni cosa. Ogni cosa che io non potrò mai avere.”
“Perché dici così?”, gli chiese Louis, il tono di voce ferito mentre si grattava la pelle all’altezza dell’avambraccio. Harry affondò le dita nella coperta: non riusciva a capire come Louis potesse essere così cieco.
“Louis, io ho un contratto con la Modest che mi impone di essere Harry Styles per ancora due fottuti mesi. E – cazzo, lo sai cosa vuol dire. Lo sai cosa significa essere me.”
“Credi che dopo questa notte e stamattina mi importi qualcosa di quel contratto?”
“A te potrà pure non importare, Louis, ma a me importa eccome!”, sbottò Harry, sentendo gli occhi cominciare a pizzicare. “Con i soldi che la Modest mi dà io ci pago l’alloggio di mia madre in quella casa di riposo, e – cazzo, lei ha bisogno di quelle dannate cure. Ne ha bisogno. L’hai vista.”
“E’ meschino da parte tua dare un peso del genere a tua madre.”
Questa volta fu Harry ad essere preso in contropiede. “Di che cosa parli?”
“Sappiamo tutti e due che potresti tirare fuori tua madre da quell’istituto in ogni momento, Harry. Lo puoi fare, hai soldi a sufficienza, ci sono milioni di strutture in tutta Europa che potrebbero essere mille volte meglio di quella in cui è adesso. Non dare la colpa a lei, dalla a te stesso.”
Harry ebbe la sensazione di essere appena stato pugnalato. “Tu non hai idea –”, ringhiò, alzandosi in piedi con un gesto brusco per fronteggiare Louis, “Tu non hai idea di quello che significhi, okay? Non hai idea di cosa voglia dire perdere tua madre a quindici anni, vederla scivolare via ma averla comunque lì, reale, guardarla negli occhi ma sapere che non può ricordarsi di te; non sai cosa voglia dire essere disperato, va bene? Così disperato da accettare qualsiasi cosa, da accettare di fare finta di essere innamorato di ragazze, di negare tutto quello che sei e tutte le battaglie che hai speso per capirlo. Non lo sai, Louis.”
“So cosa vuol dire combattere quando hai tutto il mondo contro, Harry.”
“Ma io non ti ho mai chiesto di combattere per me, Louis!”, gridò Harry, allargando le braccia e lasciando le lacrime scorrere. “Non ti ho mai chiesto di asciugarmi le lacrime o di accompagnarmi da mia madre o farmi conoscere la tua famiglia. Non ti ho chiesto di salvarmi.”
“No, non me lo hai chiesto!”, rispose Louis, alzando finalmente la voce. “L’ho voluto fare da solo, Harry. Eri lì ed eri vulnerabile ma allo stesso tempo così dannatamente forte e non ce l’ho fatta, okay? Non ce l’ho fatta a girarmi dall’altra parte e ignorarti. Anche se eri Harry Styles. Anche se tutto dentro di me mi stava gridando che mi sarei schiantato. Che mi avresti fatto male.”
“Non conosco altro modo.”, questa frase Harry la disse talmente piano che per un attimo temette che Louis non l’avesse nemmeno sentita. “Io sono questo, Louis. Sono un burattino nelle loro mani e mi dispiace, mi dispiace, ma non voglio darti il compito di tagliare i fili.”
Louis sospirò, leccandosi appena le labbra. “Non riesco a capire questo cos’abbia a che fare con Lottie e Niall.”
“Devo dirlo ad alta voce?”, chiese Harry con voce malinconica. “Hanno tutto quello che vorrei per me e te, Louis. Anche se ti conosco da così poco, so che sei la persona con cui vorrei che accadessero determinate cose. Rifugiarmi tra le tue braccia. Tu che mi baci i capelli. La complicità, l’intimità, tutto; io voglio tutto, Louis, so di volerlo e detesto il fatto che non potrò mai averlo perché sono bloccato in questa stupida vita.”
Louis a questo punto fece un passo avanti, chiudendo le mani attorno alle sue guance. “Io posso dartelo.”, disse semplicemente, sorridendo appena mentre un breve singhiozzo spezzava la voce di Harry. “Qualsiasi cosa tu provi per me, la sto provando anche io. Non aver paura.”
“Sono spaventato a morte, Louis.”
“Non esserlo.”, mormorò Louis, appoggiando insieme le loro fronti e respirando le sue labbra. “Lasciami essere quella persona – rifugiati tra le mie braccia e fatti baciare i capelli. Soffriamo insieme in questa cosa, anneghiamo, farà male all’inizio ma impareremo a smettere di farcene.”, Louis lo guardò dritto negli occhi. “Vieni via con me.”
“Lou…”
“No, sul serio. Andiamo via. Sistemeremo le cose con tua madre e il contratto, ce la faremo. Torniamo in Inghilterra. Io scriverò musica e tu potrai fare il fotografo. Qualcosa di nuovo, Harry. Qualcosa di vero.”
Harry pianse più forte, lì con Louis che gli teneva il viso tra le mani e non trovava la forza di staccarsi da lui. Pianse a lungo, le ginocchia molli e lo stomaco in subbuglio, finchè non trovò la forza di aprire gli occhi. La voce era debole e ridotta a un sussurro incolore.
“Non posso.”, disse piano. “Solo – non posso.”, ed Harry non riuscì nemmeno a capire perché lo stava dicendo, se era per la paura o per mancanza di coraggio, non aveva idea. Qualcosa di inesorabile si spezzò negli occhi di Louis; lasciò scivolare le mani lungo i fianchi senza smettere di osservare il volto di Harry. Forse le loro anime frastagliate non potevano combaciare. Forse erano stati stupidi a credere che si sarebbero potuti salvare a vicenda.
Louis fece passare una mano tra i capelli di Harry; si aggrappò al suo chignon con le dita, sorridendo appena senza capire nemmeno il perché. “Dormi.”, disse, senza trovare la forza di arrabbiarsi. “Domani mattina ti riaccompagno in albergo.”, continuò, poi lo lasciò andare.
Harry lo vide andare via, chiudersi la porta alle spalle senza dirgli niente o aggiungere una singola parola. Non riuscì nemmeno ad arrivare fino al letto: crollò prima, scivolando sul pavimento e rannicchiandosi in posizione fetale, piangendo come non faceva da una vita, e odiando se stesso profondamente per quello che stava facendo alla persona che aveva scoperto di amare.
 
Louis si rese conto ben presto di non star seguendo nessuna strada. Si sentiva vuoto dentro, quello sì. Svuotato e stordito per questo, perché non gli era mai capitato nella vita di sentire tutto quello per una persona; si era sempre imposto di rimanere distaccato, ma non perché non avesse particolarmente voglia di provare, ma perché così gli avevano detto. Per proteggersi. Il tipo di lavoro che faceva non implicava alcun coinvolgimento sentimentale. Harry – Harry aveva stravolto le carte in tavola, però. Dal primo momento. Louis si era fatto scombussolare, si era lasciato plasmare a suo piacimento ed era finito col scottarsi – aveva finito per toccare la fiamma a mano aperta.
Il suo telefono era morto da un pezzo quando riparcheggiò la moto al suo posto, al motel in cui stavano alloggiando in quei giorni lui ed Harry, ma a giudicare dalle macchine per la strada e il buio più totale non dovevano essere passate le due. Si tolse il casco, passandosi velocemente le dita sotto gli occhi e sospirando – la verità era che avrebbe voluto essere forte, abbastanza da strappare lui stesso ed Harry dalla vita in cui erano intrappolati, ma non aveva tutta quella forza.
Sentiva i suoi singhiozzi da appena dietro la porta, e il suo cuore si congelò nel percepire che c’era una sola cosa che Harry continuava a ripetere a intermittenza tra i singulti – una minuscola supplica che si accendeva e si spezzava di tanto in tanto.
“Lou.”
Louis deglutì ed aprì la porta – il cuore gli pompava sangue nella gola e sostanzialmente non gli importava avessero litigato, non gli importava proprio niente. Harry era rannicchiato sul letto in posizione fetale, i riccioli sparsi sul cuscino ormai quasi completamente scivolati fuori dallo chignon e le dita delle mani strette alla coperta sotto di loro, e agli occhi di Louis sembrò così – indifeso, smarrito. Non poteva lasciarlo. Per quanto le parole di prima lo avessero ferito Louis sapeva che non poteva andarsene. Non aveva scelta.
Louis non aspettò un secondo di più; si arrampicò sul letto dietro Harry e lo strinse tra le braccia, facendo in modo che il proprio petto aderisse alla sua schiena calda, e immerse la punta nel naso prima tra i suoi capelli e poi nell’incavo del suo collo, ispirando il suo profumo. Harry aveva un profumo tutto suo, qualcosa di particolare a metà tra i gigli, l’erba appena tagliata e la vaniglia. Louis sarebbe stato ore ad annusare la sua pelle, per poter ricordare quell’odore per sempre, anche quando sarebbero stati separati da chilometri di distanza.
“Shhhh. Non piangere. Sono qui.”, disse semplicemente, ed Harry per tutta risposta si aggrappò alle sue mani ora intrecciate davanti al suo stomaco; divenne forse ancora più piccolo su quel sudicio materasso e Louis lo strinse più forte, ancora più forte, il cuore che batteva praticamente come mille cuori. “Va bene, Harry, va bene così, non m’importa niente del contratto, mi importa di te. Non –”, Louis si leccò appena le labbra nel rendersi conto che anche la propria voce risultava spezzata nel buio di quella stanza. “Non ho intenzione di lasciarti.”
Louis ascoltò il pianto di Louis per buona parte della notte, vegliando su di lui e imparando ogni sfumatura del suo respiro, fino a che finalmente, quando ormai le prime luci del mattino gli fecero capire che era passata l’alba, Harry sembrava essersi calmato. Un bambino indifeso che si lasciava abbracciare fino a sentire dolore alle ossa.
“Lou.”
Non era una domanda, solo il suo nome, lasciato lì da un Harry praticamente sfinito.
“Sono qui.”, Louis gli baciò il retro della testa, i capelli morbidi. Dopo ogni bacio Louis sentiva Harry rilassarsi contro il suo corpo, ed era una cosa spaventosa, per quanto fosse – semplice. E bella.
“Vorrei un’altra vita, sai.”, soffiò Harry, la sua risata metteva i brividi per quanto fosse triste. “Una vita in cui sia semplice. In un’altra vita ti avrei reso così felice. Non hai idea.”
Louis gli baciò una tempia, sollevandosi leggermente: lo teneva ancora stretto tra le braccia. “Ci deve bastare questa.”
Harry annuì debolmente, finendo per sorridere. Questa volta sembrava genuinamente sollevato. Ruotò il capo leggermente, sollevando le dita di una mano per accarezzare una guancia di Louis e poi lo baciò, piano ed in modo lento, estremamente lento ed accurato. Quando si staccarono, le loro fronti rimasero a contatto.
“Se potessi stendere un filo di quella che è stata la mia vita…”, iniziò Louis in un mormorio, “Lo stenderei a cominciare da quando ho conosciuto te. Nulla aveva senso prima, ma inspiegabilmente tutto ha cominciato ad averne dopo.”
Harry chiuse gli occhi, il cuore che gli esplodeva nel petto.
Non riuscì a dire niente.
 
***
 
Per Harry fu così maledettamente gratificante, il giorno dopo, presentarsi davanti a Gary mentre stava facendo colazione. Così, come se non fosse sparito per due giorni interi. Gary stava bevendo il suo solito, piattissimo succo biologico, che presto finì per risputare nel proprio bicchiere quando lo vide presentarsi davanti a lui.
Harry fece quello che ormai diventato bravissimo a fare – finse.
Finse di non aver appena passato i giorni più belli, importanti e sconvolgenti della sua vita.
Finse di importarsi delle parole che Gary gli stava dicendo, delle accuse che stava lanciando; finse di non essere distratto dall’odore della propria pelle, che sapeva ancora di Louis, di loro, del sesso di quel mattino, dolce agonizzante e tremendamente perfetto. Finse di non pensare alla lingua di Louis attorno ai suoi capezzoli, alle dita affusolate che si aggrappavano ai suoi riccioli mentre Harry si muoveva sopra di lui alla disperata ricerca di qualcosa – qualcosa che forse, in fondo, sapeva di aver già trovato.
“Styles.”, ringhiò Gary a un certo punto, risvegliando Harry bruscamente. Aveva tantissimo sonno e stava tipo morendo di fame, ma più di tutto, voleva Louis. Rivoleva Louis. Ed era assordo pensarci in quel momento, ma era così.
“Non stavo ascoltando.”
“Lo avevo capito.”, sbottò il suo manager, aggiungendo una zolletta di zucchero al suo caffè. Quando tornarono su di lui, gli occhi di Gary erano glaciali. “Domani sera c’è anteprima internazionale del film. Niente scuse, niente cazzate. Ti farai vedere in dolce compagnia, e sarai fottutamente felice. Intesi?”
Harry a volte aveva così voglia di urlare. Una voglia primordiale di andare in un posto molto altro, chiudere gli occhi e urlare fino a sentire i polmoni bruciare.
Intesi?”
Quando Harry annuì in risposta sentì il suo cuore frantumarsi un pochino di più.
 
***
 
Mancavano poche ore alla presentazione del film. Quel mattino aveva piovuto, ma durante il pomeriggio il tempo si era finalmente sistemato, lasciando dietro di sé una temperatura piacevole. Ad Harry segretamente piaceva pensare che anche il cielo stesse soffrendo con lui. Rendeva tutto più poetico.
Era seduto su una seggiola di legno, di fronte allo specchio del bagno della sua stanza d’hotel. Louis gli passava le mani tra i capelli: erano ancora nudi dopo aver fatto la doccia insieme senza dire una parola durante tutto il processo. Si erano limitati a toccarsi e baciarsi, a fare l’amore un’ultima volta prima di uscire e affrontare quel mondo che li aveva contaminati; Harry era rimasto silenzioso per tutto il tempo, persino mentre Louis si era fatto spazio dentro di lui accarezzandogli la schiena con una dolcezza e una cura reverenziali; si era limitato a mordersi forte le labbra e a pensare che avrebbe ricordato quello, di loro. Quel loro riempire i vuoti con i silenzi. C’era una leggera patina di condensa che si era creata sullo specchio di fronte a loro, impedendo loro di vedersi.
Harry non riusciva nemmeno a sentirsi in imbarazzo. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi nudo insieme a un’altra persona e non provare nient’altro che sordo, puro dolore mischiato a quella dolcezza che lo sopraffaceva dopo essere venuto. La sua pelle sapeva di bagnoschiuma da soprattutto di Louis, ed era – rassicurante, in qualche modo. Significava che non sarebbe andato là fuori da solo.
“La mia offerta è ancora valida.”
Harry si era talmente abituato a quel silenzio confortante che, per un attimo quando sentì la voce di Louis, pensò di essersi immaginato tutto. Louis percorse le linee della suo gola, creando tutto quello che aveva l’idea di essere un fiore stilizzato. “Intendo di venire via con me. L’offerta è ancora valida. Possiamo andare via adesso. Prenotare un volo last-minute. Potremmo farlo.”
“Lo so che potremmo farlo.”
Harry si chiuse nelle proprie braccia. C’era ancora caldo per via della doccia appena terminata, un caldo atroce in quel bagno così piccolo, eppure sentiva freddo fin dentro le ossa. “Louis…”
“No, lo so. Ho capito.”, mormorò Louis, passandogli la mano tra i capelli un’ultima volta. Harry ricordò con una vena di nostalgia quando gli aveva fatto le treccine. Ormai sembrava una vita fa. “Vado a cambiarmi. Ci vediamo là.”
Gli diede un bacio proprio al centro della testa, poi lasciò il bagno senza mai voltarsi indietro. Se Harry avesse voluto, avrebbe pianto fino a non sentire più le forze di muoversi. Ma era quel punto: non voleva, non poteva, non adesso, perché non ne aveva il diritto, aveva spezzato il cuore di Louis troppe volte per averlo appena conosciuto.
Prese un profondo respiro, si alzò dalla sedia. Fece scontrare un singolo dito contro il vetro dello specchio, sorridendo mentre le sue dita scrivevano automaticamente il nome di Louis. Un piccolo scarabocchio stilizzato, niente di più.
Quando uscì dal bagno, Louis era già andato via.
 
Ad Harry sembrava mancasse il fiato; con le dita continuava a cercare i bordi della camicia che di tanto in tanto sembrava troppo stretta attorno al suo collo. E allora si allentava la cravatta, sperando che l’aria penetrasse più a fondo nei suoi polmoni, pungendoli piano piano e costringendolo a sentire l’ossigeno che combatteva per riempirli.
Cindy lo teneva per mano e non lo aveva mai lasciato andare, non dal momento in cui erano stati costretti a lasciare l’auto costosa che gli aveva portati fino al grande salone della prima internazionale. La coppia era sotto gli occhi di tutti. In ogni angolo del tappeto rosso, oltre alle transenne disposte in modo parallelo, milioni di flash colpivano Harry per la loro esagerata brillantezza, costringendolo a chiudere gli occhi in piccoli scatti. Sapeva di non avere una faccia convincente. Sapeva di avere gli occhi di Gary puntati addosso, ma soprattutto gli occhi di mezzo mondo puntati addosso. Si sentiva dolorosamente nudo, vulnerabile sotto gli occhi di tutti, ed era come se ognuna di quelle persone conoscesse perfettamente il modo di scalfirlo. Ogni scatto rubato a lui e a Cindy corrispondeva a una ferita diversa. Al petto, al torace, giù fin dentro alle ossa.
Gli sembrava di sanguinare.
E ogni volta che cercava gli occhi di Louis – e li trovava, perché non c’era alcun dubbio che li trovasse, Louis era sempre lì, sempre pronto ad accoglierlo – erano comunque troppo distanti, lontani anni luce, come se appartenessero a una galassia diversa. Ed era strano, visto che i due pianeti fino a due ore prima non erano riusciti a smettere di toccarsi.
La mano di Cindy si fece più salda e presente attorno alla sua. Il suo sorriso era dolce e rassicurante. “Harry, dobbiamo entrare.”
Harry annuì guardandola negli occhi, ma era come essere un ubriaco alla ricerca della strada giusta da prendere. Si sentiva stanco, svuotato. Smarrito nel suo stesso corpo.
 
Fu il fragore di un grande applauso a riportare Harry alla realtà: accanto a lui, Cindy sorrideva raggiante e gli teneva la mano mentre tutti in platea erano in piedi per battere loro le mani. Harry si sarebbe aspettato di sentire qualcosa, qualsiasi cosa – nonostante tutto, quello era il suo primo, vero film davvero importante. Quello in cui aveva lasciato un pezzetto di sé e per cui si era impegnato di più. Eppure, i suoi occhi continuavano a vagare all’interno della sala, alla ricerca di quelli di Louis.
Le luci vennero accese e ad Harry e Cindy venne chiesto di avvicinarsi al palcoscenico, perché lì l’attore avrebbe dovuto tenere un discorso di ringraziamento. Ad Harry sudavano le mani. Dal piccolo scorcio delle quinte, vedeva gli occhi di Gary puntati su di lui, il mento alto e gli occhi di una persona che sapeva finalmente di aver vinto. Harry era instancabile, però – continuava a cercare solo una persona in mezzo a tutti quei puntini infiniti del pubblico, solamente una
“Ed ora, qui per voi stasera in compagnia della sua adorabile fidanzata, il fantastico Harry Styles!”
Buffo, che proprio in quel momento Harry lo vedesse. Quarta fila sulla destra, mani dietro la schiena ed occhi chiari puntati su di lui, naturalmente. Un leggero sorriso sul volto a schernire tutto il male che avevano dovuto affrontare. Louis era lì e lo guardava, pronto a intervenire in caso fosse servito e con il cuore tra le dita, mentre si preparava a vedere Harry sul palcoscenico con un’altra persona che non fosse lui.
Cindy fu praticamente costretta a trascinarlo sul palco, il vociare degli spettatori che si era fatto sempre più alto mentre Harry rimaneva nascosto dietro le quinte. A piccoli passi, si diressero mano nella mano al centro del palco dove li attendeva un microfono pronto ad accogliere le parole di Harry.
Ma Harry non riusciva ad avvicinarsi.
Harry guardava Louis, in mezzo a tutti quei puntini insignificanti, e si chiedeva a cosa avrebbe portato mentire per tutta la vita. Si chiedeva come potesse essere sgusciare fuori da una vita che non credeva propria, per il solo desiderio di essere se stesso e combattere una volta per tutte per quello in cui credeva. Si chiese come sarebbe stato tornare nelle periferie di Londra, tra i prati verdi e le foglie colorate autunnali; si chiese di nuovo come sarebbe stato giocare con i capelli di Louis e le margherite, e scattare al tutto una foto con l’arrivo dell’imbrunire. Si chiese se con il tempo sarebbe stato in grado di apprezzare il cibo d’asporto: magari si sarebbe potuto abituare agli hamburger.
Magari poteva fare quello – crogiolarsi nella vita di un piccolo fotografo di campagna, avvolto da maglioni caldi color argento, e le dita di Louis a portata di mano.
Si sporse verso il microfono, ci picchiettò sopra un paio di volte le dita. “Mi auguro il film vi sia piaciuto. Dimenticatevi di me.”
Gli occhi di Cindy erano spalancati quando Harry la guardò. “Harry –”
“Non posso farlo.”, disse semplicemente lui, afferrandola per le braccia e accarezzandole i gomiti con le dita – era pur sempre la sua miglior amica, la persona che in tutti quei mesi era stata disposta ad aiutarlo. “Ci ho provato, Cindy, ma questo non sono io. Devo andarmene.”
C’era un sorriso sereno sul volto di lei. Si mise sulle punte per lasciargli un minuscolo bacio sull’angolo della bocca, poi lo lasciò andare. “Vai.”, gli disse soltanto, perché Cindy sapeva ogni cosa. Aveva sempre saputo ogni cosa. “Vattene via di qui, non devi dire altro, ti copro fin che posso. Sii felice.”
Un ultimo breve sorriso, ed Harry la lasciò andare. Corse verso le quinte a perdifiato: non aveva idea di poter essere così veloce se anche solo lo avesse voluto. Senza che ci fosse bisogno di dire nulla, senza un minimo cenno o sguardo, incontrò Louis a metà strada: stava arrivando proprio in quel momento dai corridoi laterali del teatro. Harry gli afferrò una mano e lo trascinò verso la prima uscita di sicurezza che trovò, e poi ancora corse e Louis fu costretto a seguirlo, almeno finchè non raggiunsero la saletta dedicata ai camerini, dove Harry si fermò per voltarsi verso Louis.
“Harry, cosa –”
Non gli lasciò il tempo.
Harry prese il suo viso tra le mani e lo baciò con irruenza, mettendo in quel bacio tutti quei sentimenti che aveva dovuto accantonare fino a quel momento; i capelli di Louis avevano la consistenza del grano tra le sue dita, le sue labbra erano fresche. I loro corpi dondolarono finchè la schiena di Louis toccò la porta di legno più vicina ed Harry lo baciò a fondo contro di essa, tenendo le dita ben salde attorno alle sue guance, la cornice di un quadro perfetto.
Louis sbattè le palpebre quattro volte di fila prima di riuscire a parlare. “Vieni via con me.”
Harry rise, praticamente sulle sua labbra. Segnò il loro profilo sfiorandole appena con la punta delle dita. “Sì.”, disse, e non aveva senso, era irrazionale e pericoloso, ma non importava. “.”
 
Non ci fu il tempo di riflettere: Harry abbandonò l’idea di tornare all’hotel dove teneva tutte le sue cose, seguendo Louis alla sua moto. Avevano due, massimo tre minuti prima che qualcuno li avvistasse per le strade, e si augurarono di ingannare Gary sperando che il primo posto in cui li avrebbe cercati sarebbe stato sicuramente l’hotel in cui alloggiavano. Le mani di Harry tremavano mentre Louis gli passava il casco e saliva sulla moto con cui aveva raggiunto il teatro. Qualcosa di remoto nella sua testa lo spinse a salire ed aggrapparsi al corpo di Louis mentre questo guidava la moto più lontano che poteva: attraversò il centro fregandosene della maggior parte delle regole della strada, conscio solo del fatto che doveva seminare chiunque li stesse già inseguendo.
Harry percepì la moto rallentare quando ormai dovevano aver abbandonato il teatro già da mezz’ora: Louis stava accostando per introdursi nel parcheggio di un centro commerciale che, inspiegabilmente e fortunatamente, era ancora aperto. Era un grande magazzino, e dalle poche macchine parcheggiate fuori si intuiva che si stesse avvicinando l’orario di chiusura. Louis parcheggiò vicino alle porte di entrata ed afferrò Harry per la mano, trascinandolo tra i corridoi. Harry non riusciva a muoversi, faceva tutto quanto Louis. Lo vide raccogliere alla bell’e meglio tutti i jeans e le t-shirt che riusciva a trovare e che, per intuizione, sperava andassero bene a entrambi. Recuperò anche delle paia di calzini, della biancheria intima, due batterie universali – per ricaricare il telefono, poteva immaginare Harry – e una bottiglia d’acqua. Solo quando si mise in fila per pagare Harry ebbe il coraggio di aprir bocca.
“Dove andremo?”, chiese in un soffio, gli occhi che minacciavano di tradirlo, ormai lucidi. Era convinto di aver fatto la scelta giusta lasciando quel palco e scappando con Louis, ma adesso che era nel bel mezzo della propria decisione non sapeva a cosa sarebbero andati incontro. Doveva essere realistico: in tasca aveva un cellulare, le chiavi di una camera d’albergo in cui non poteva mettere più piede e due banconote accartocciate da venti dollari. Non sapeva cosa pensare, ed aveva paura.
“Non al mio appartamento.”, rispose sbrigativamente Louis, continuando a guardarsi in giro per assicurarsi che non ci fosse qualcuno in arrivo. “Probabilmente, per esclusione, verrebbero a cercarti anche lì. Ho intenzione di passarci, non è molto lontano da qui, recupererò un paio di cose che mi servono e poi troveremo una stanza in qualche motel. Mi allontanerò più che posso.”
Harry si leccò le labbra secche per tutto il tempo durante il quale Louis pagò. Per fortuna, il commesso che li servì non sembrò accorgersi minimamente che uno tra i due ragazzi era Harry Styles, il che era una fortuna, perché non avevano tempo da perdere. Con la mano che non reggeva la borsa degli acquisti Louis raccolse la più vicina di Harry e corsero velocemente verso i bagni pubblici, dove entrambi si cambiarono velocemente, stropicciando i loro vestiti all’interno della borsa di plastica. Prima di uscire, Harry si aggrappò al corpo di Louis, non riuscendo più a tenersi tutto dentro.
“Non ho nemmeno avuto il tempo –”, il respiro di Harry si infranse sulle labbra di Louis prima che gli rubasse un bacio. Appoggiò le loro fronti insieme, respirando sulle sue labbra. “Avrei dovuto saperlo fin da subito che volevo venire via con te. Mi dispiace. Sto mettendo entrambi in pericolo, e mi odio per questo.”
Finalmente, Louis immerse una mano tra i suoi capelli e gli sorrise. Sembrava tranquillo. Come potesse esserlo, Harry non riusciva a spiegarselo.
“Ti terrò al sicuro.”, mormorò Louis, alzandosi sulle punte e baciandogli il centro della fronte. “Fosse l’ultima cosa che faccio ma ti terrò al sicuro, Harry Styles. E ti porterò via da qui. Promesso.”
 
Passarono dall’appartamento di Louis. Doveva essere ormai passata la mezzanotte da un pezzo. Le strade erano buie, il traffico inesistente, e gli unici rumori che si sentivano provenivano da qualche cane randagio che vagava per le strade. Ogni tanto lo scorrere delle ruote sull’asfalto.
La prima cosa che fece Louis una volta sceso dalle scale del proprio appartamento fu quella di posare sopra le spalle di Harry la propria giacca di pelle – e il ricciolo la mise senza pensarci, crogiolandosi nel profumo di Louis e lasciando che questo gli baciasse una tempia.
Era tremendamente stanco. Aveva dovuto staccare il cellulare per qualsiasi tentativo di rintracciamento. Era certo che Gary stesse facendo tutto ciò che era in suo potere per trovarlo.
Ma era stranamente felice.
Lì – con Louis che gli tendeva la mano appoggiato alla sua moto, con nient’altro addosso che paura e voglia di andare via da lì, scappare il più lontano possibile. Harry allungò le dita a sua volta, raccogliendo quelle di Louis.
“Sei pronto?”, gli chiese lui. I suoi erano inondati di pagliuzze verdi ed Harry ricordò la prima volta che li aveva visti, sulla terrazza dell’hotel, con il cielo a portata di dita.
“Sì.”, disse lui semplicemente, e si lasciò portare via.
 
***
 
“E’ tutto a posto.”, soffiò Louis, facendo passare un braccio al di là della sottile vita di Harry per aiutarlo a scendere dalla moto. “Ci sono io.”
 
“Ho paura, Lou.”
“Lo so che hai paura.”, sussurrò Louis, “Ma tu sei forte. Sei una roccia. E ci sono io qui. E sai qual è il mio lavoro?”
Un angolino delle labbra di Harry si alzò verso l’alto, tagliando in modo netto la sua guancia e formando una morbida fossetta. “Esatto. Proteggerti.”
 
“Se succedesse qualcosa –”
“Non succederà niente, Harry. Te lo prometto.”
“Ma se succedesse.”, soffiò Harry, mentre Louis gli sfiorava la gola con il naso, “Io voglio dirti una cosa, e voglio dirtela adesso, prima che succeda il finimondo.”
 
In qualche strano e complicato modo, fu Louis a liberarsi e fare qualche passo verso di lui. “Ti prometto che non è finita.”, soffiò avvicinandosi, ma proprio mentre stava per allungare una mano verso il suo viso venne trattenuto da uno di quei uomini. “Ti verrò – ti verrò a prendere. Ti porterò via da questo inferno, te lo giuro Harry, te lo giuro –”
 
“Cosa volevi dirmi?”, chiese Louis in un sussurro, mentre lottava con le ultime forze che gli erano rimaste per non farsi trascinare via, “Prima, amore. Cosa volevi dirmi?”
 
“Ti amo.”, soffiò, anche se nessuno poteva sentirlo. “Ti amo, Lou.”, disse ormai distrutto; la voce non era altro che un filo debole che rimase a fare eco in quelle pareti spoglie. “Ecco cosa volevo dirti.”
 
Un respiro affannoso –
I contorni tutto intorno a lui che si facevano imprecisi, mentre i colori si scioglievano in piccole macchie e tutto perdeva senso –
Un altro respiro, e poi –
 
La prima sensazione che ebbe Harry fu quella – di un brusco risveglio. Sentiva sé stesso ansimare alla ricerca di ossigeno, la gola ardere perché doveva sicuramente aver urlato; tentò in qualche modo di sbattere le palpebre e mettere a fuoco il mondo che lo circondava e c’era una voce, una voce così dolce e melodica che lo avvolgeva tutto e sembrava tenerlo al caldo, come una coperta, come un lenitivo. Due mani forti contornarono le sue guance, mentre delle dita lavoravano per accarezzarlo e una voce gli intimava – Shh, Shh, va tutto bene, va tutto bene –
Ma non andava tutto bene ed Harry lo sapeva. Ricordava cos’era successo, dopo – l’arrivo al motel, lui e Louis che si baciavano disperatamente e le promesse, tutte quelle promesse; e poi Harry che stava finalmente per dirgli che lo amava e Gary che glielo strappava via.
Non voleva aprire gli occhi, voleva solo scomparire, voleva solo –
“Harry.”, di nuovo quella voce bassa, roca e melodica. “Ti prego, solo – apri gli occhi. Fallo per me.”
Harry era stato troppo sconvolto dai propri ricordi per dare a quella voce una consistenza, ma il suo cuore gli gridava di conoscerla. Fu quando li aprì definitivamente che ogni suo piccolo dubbio sparì, perché il contorno sfocato del volto di Louis riempì la sua visuale, facendolo rabbrividire.
Qualcosa di enorme si inceppò all’altezza del cuore di Harry – per poi ricominciare a funzionare molto più forte di prima.
“…Louis?”, chiese in un soffio, sollevando le mani per accarezzargli i capelli. “Cosa –”, si guardò attorno, realizzando solo allora che era nella stessa stanza di hotel in cui era successo tutto: dove Gary era arrivato per portargli via Louis. Sentiva il cuore pompargli sangue nella gola, le sue orecchie ronzavano spiacevolmente. “Ti hanno portato via.”, si sentì mormorare, come se la sua voce appartenesse a qualcun altro. “Eravamo qui e ti hanno portato via, Gary ci ha trovati, e hanno cominciato a picchiarti e c’era – sangue, tanto di quel sangue, e io volevo solo tenerti al sicuro ma non ci riuscivo –”
“Harry.”, soffiò Louis, sfiorandogli le labbra con le dita. “Amore.”, disse piano, con il tono di voce ancora più basso. I suoi occhi erano così scuri da sembrare blu. “Hai fatto un incubo.”
Harry spalancò gli occhi, incredulo. “Non capisco.”, soffiò, aggrappandosi alle spalle di Louis come se dipendesse dal suo corpo: aveva il bisogno fisico di credere che non se ne sarebbe mai andato. “Eravamo qui e ci stavamo baciando e stavo per dirti una cosa, e poi loro sono arrivati.”
“E’ tutto corretto, eccetto la cosa in cui arrivano Gary e i suoi uomini.”, lo calmò Louis, accarezzandogli indietro i capelli. “Non possono trovarci qui. Gli ho condotti su una pista falsa prenotando un biglietto aereo a tuo nome per Toronto. Non chiedermi come mi è venuto in mente.”
Qualcosa di immensamente fragile si spezzò all’altezza del petto di Harry – e a macchia d’olio si espanse, togliendogli il respiro e facendolo sospirare di un sollievo che non aveva mai provato prima. “Siamo al sicuro.”, mormorò, sporgendosi verso Louis e raccogliendolo in un abbraccio. “Siamo al sicuro.”
“Lo siamo.”, disse piano Louis, stringendolo a sua volta e accarezzandogli la schiena in languidi tocchi. Poi, Harry cercò le sue labbra annegando in un bacio lento e senza fine.
“Sono ancora offeso per il fatto che ti sei addormentato mentre ci stavamo per togliere i vestiti.”, soffiò Louis, baciandogli l’angolo della bocca.
“Siamo stati svegli tutta la notte.”
“Ehy, lo so. Stavo scherzando.”, borbottò Louis, mentre un sorriso colorava le sue labbra. “Ero stanco anch’io.”
A quel punto, Harry si lasciò andare contro il petto di Louis, che prese ad accarezzargli i capelli, cullandolo nel buio.
“Credi che ci riusciremo?”, chiese in un soffio il ricciolo, guardando un punto impreciso della stanza. “A realizzare i nostri sogni.”
“Sì.”, disse Louis, senza il bisogno di pensarci. “Troveremo una scorciatoia per quanto riguarda il contratto. Mia madre conosce dei buoni avvocati. Non ti costringeranno a tornare in un ambiente che ti ha soffocato. Dovranno strapparti dalle mie braccia per farlo.”
Harry sorrise, accoccolandosi meglio contro di lui. “Non hai portato la chitarra con te.”
“Me la farò spedire da Niall.”, mormorò Louis scrollando le spalle. “C’è qualcosa che ho portato qui, per te.”
Harry a quel punto sollevò il viso e cercò gli occhi di Louis. Non riusciva a capire cosa avesse in mente, ed era ancora troppo scosso dall’incubo che aveva avuto per fare dei pensieri ragionevoli. Ci pensò Louis, in ogni caso, ad alzarsi dal letto per recuperare una scatola incolore che gli porse con un sorriso abbozzato. Harry la raccolse tra le dita senza dire nulla, il cuore che gli batteva frenetico nel petto, mentre lavorava per liberarsi dello scotch e aprire la scatola –
“Non me ne intendo molto, ma la proprietaria del negozio mi ha detto che è la migliore.”, mormorò Louis come spiegazione. Harry non poteva credere ai suoi occhi: aveva appena scartato un bellissimo modello di macchina fotografia. Sembrava che gli angoli del suo cuore potessero accartocciarsi su loro stessi da un momento all’altro: quel gesto gli tolse il respiro.
Louis chiuse entrambe le mani attorno ai suoi polsi. “Non ti piace?”, chiese in un sussurro, per poi essere zittito all’istante da un bacio sulle labbra. Harry si concentrò per baciarlo a fondo – un bacio lento e pieno di sospiri e oh, non si sarebbe mai stancato di quei baci, nemmeno in un milione di vite.
“E’ perfetta.”, soffiò Harry, soffiandogli un bacio sull’angolo della bocca, poi sul naso, sulla guancia. “Tu sei perfetto.”, gli baciò un sopracciglio, di nuovo le labbra. “Io non so cosa avrei fatto se non fossi inciampato nella mia vita, Louis Tomlinson. Ti proibisco di lasciarmi.”
Louis sorrise dolcemente sulle sue labbra, abbassando appena lo sguardo. “Non ho intenzione di andare da nessuna parte. Beh – eccetto adesso, ma la destinazione include avere te.”
Harry si sporse in avanti con una leggera spinta, mettendosi a cavalcioni sulle gambe di Louis e inglobando il suo viso tra le mani per un bacio sfiorato; recuperò la macchina fotografia e lavorò per sistemarla, allungò il braccio per puntarla verso di loro, mentre lasciava che le proprie labbra indugiassero su una guancia di Louis. Voleva fosse quella la prima foto.
Voleva fosse un ricordo di quel momento in cui si era sentito così dannatamente vivo.
“Louis?”, chiese pianissimo Harry, accoccolandosi meglio contro di lui e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, strofinando il naso contro la sua gola. “Che succede adesso?”
“Adesso viviamo.”, mormorò Louis, accarezzandogli la schiena in tocchi distratti.
“Louis?”
“Mmmh?”
Harry si leccò appena le labbra. Pensò che aveva avuto abbastanza tempo per avere paura: adesso – adesso era il momento di essere coraggiosi. “Nel sogno, volevo dirti una cosa ma alla fine non ci riuscivo. Per questo alla fine faceva così male: ti portavano via da me e io non ero riuscito a dirti una cosa che voglio dirti da tanto tempo.”
Harry sentì chiaramente il corpo di Louis congelarsi, poi le sue carezze ripresero normalmente. Aveva paura, ed andava bene così. Anche Harry ne aveva tanta, ma per una volta nella sua vita voleva essere in grado di accantonarla.
“Puoi dirmela, adesso.”
Harry cercò i suoi occhi tra le penombra della stanza, sorrise. “Volevo dirti che ti amo.”, soffiò, così, semplice; le parole impercettibili per quanto piano sussurrate ma perfettamente chiare alle orecchie di Louis.
Ed eccola lì, la paura, scivolare via.
Louis lo strinse appena più forte, e questa volta nei suoi occhi c’era quello che aveva tutta l’aria di essere un velo di lacrime.
“Oh, Harry.”, sospirò pianissimo, sorridendo immediatamente dopo. Un gesto di sollievo e gioia e puro, incontaminato affetto. “Anch’io ti amo.”
 
 
   
 
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