‡
Beautiful novel ‡
Il
pranzo andò a gonfie vele, fu un vero tripudio di
serenità.
Al
non scherzava quando diceva di avere la veranda: si trattava
di un ampio spazio coperto da una tettoia che dava su un lato della
collina,
proprio quello da cui passava il sentiero nascosto.
La vista di cui si godeva
, già bella così, piena di verde e natura, era
resa più suggestiva dalla
presenza del Porto di Atene come sfondo.
Mangiare
e chiacchierare in quell’angolo di Paradiso fu una
delle cose più rilassanti che feci durante la mia permanenza
al Santuario.
Prima
di iniziare a mangiare, mi riappacificai anche con
Aphrodite: anche lui era convinto che io lo ritenessi responsabile di
ciò che
era accaduto al synagein. Io,però, fui con lui sincera sin
dal primo momento,e
bastò un sorriso per fargli capire che in realtà
di quell’episodio mi ero quasi
scordata. Figurarsi!
Dal
canto suo, il Cavaliere dei Pesci si dimostrò ben
più leale
di Milo nel chiedere scusa, senza ricorrere ad infide trappole di
seduzione in
cui sarei inevitabilmente caduta.
-Milo,
Lily, vi siete messi d’accordo sui vestiti?-
trillò
Aiolia non appena ci vide entrare.
Effettivamente,
il Cavaliere di Scorpio era quasi più ridicolo
di me.
Indossava
una maglia nera con le cuciture e la stampa
fosforescenti ( dico, ma si potrà?), dei jeans a vita bassa
strappati in più
punti e delle scarpe grandi, anzi, enormi, con le stringhe di due
colori
diversi. Ovviamente fluo.
Sembrava
un ragazzino in piena fase “ribellione”.
Certo,
io, con il mio discretissimo vestito rosa shocking potevo
solo tacere, ma di sicuro, di noi due, quello ad avere un pessimo gusto
era
Milo.
Senza
dubbio.
Camus,
che mi era seduto a fianco, disse di condividere in pieno
l’occhiata di sdegno che rifilai al suo amico, ed io
approfittai dello spiraglio
che si era aperto tra le maglie della sua riservatezza per aprire un
dialogo
con lui.
In
realtà, fui io a parlare per tutto il tempo, mentre lui
interveniva solo di tanto in tanto, con brevi frasi e cenni
d’assenso quando
concordava con ciò che dicevo, o di diniego quando invece
esprimevo concetti
che non gli andavano a genio.
Così,
scoprii che Camus era appassionato d’arte e amava la
letteratura.
Non
l’avrei detto, perché da fuori il Cavaliere
dell’Acquario
sembrava la tipica persona interessata alla scienza e ai numeri,
insensibile e
freddo come mostrava di essere.
Invece,
si era rivelato quasi empatico.
Trovavo
straordinaria la sua capacità di riuscire ad
“assorbire”
tutto quello che gli stava intorno, fino all’ultimo
particolare, e,
contemporaneamente, di non lasciar trapelare nulla di sé
stesso agli altri.
Tuttora
so poco di Camus.
Conosco
solo ciò che l’enigmatico Maestro dei Ghiacci mi
ha
permesso di sapere, perché dai suoi gesti, dalle sue parole,
dai suoi oggetti,
della persona che è davvero traspare poco o nulla.
-Bianchina,
passami il vino!-
Una
voce poco armoniosa mi riportò alla realtà.
-Uh?
Dici a me?- chiesi a DeathMask, che mi guardava con un
cipiglio annoiato, la mano tesa ad indicare la brocca poco distante da
me.
-Sei
sorda? L’unica Bianchina qui sei te, direi…-
Mi
osservai le braccia, più incuriosita che offesa da
quell’insolita critica.
Era
vero, ero pallidissima! Se messa a confronto con la pelle
abbronzata della maggior parte dei Cavalieri, poi, la mia sembrava
quasi
trasparente…
Però
non c’era bisogno di offendere!
Mi
girai verso DeathMask, ripassando mentalmente tutti gli
insulti che conoscevo, pronta a lanciarglieli addosso alla prima
occasione.
Aphrodite, però, mi precedette:
-Sii
un po’ più garbato con la nostra Lily, Angelo.-
Il
Santo dei Pesci era insolitamente duro quando si rivolgeva a
DeathMask, e, nonostante il suo aspetto dolce, era chiaramente una
persona che
non amava farsi mettere i piedi in testa dal primo prepotente di turno.
-Chiamami
un’altra volta con il mio nome di battesimo e ti
soffoco con la tua stessa cipria!- fu l’acida risposta del
prepotente in
questione.
-Hey,
non parlare così ad Aphrodite! Ed ecco il tuo vino,
maleducato!-
Con
fare poco elegante, sollevai la brocca con uno strattone e
la sbattei con un tonfo davanti al muso del Cavaliere del Cancro. Parte
del
nettare cremisi fuoriuscì, creando sulla tavola una piccola
macchia che aveva
la vaga forma di una rosa. Fortuna che il vetro resistette
all’urto, altrimenti
avrei sicuramente combinato un bel danno!
Soddisfatta
del mio operato, rivolsi un sorriso a trentadue
denti a quello che ormai consideravo il mio alleato.
Aphrodite,
però, scosse la testa, in un’espressione che
esprimeva sia divertimento che disappunto.
-Una
signorina per bene non si abbassa mai a gesti del genere,
Lily. –
-Ma
io…- replicai, delusissima dalla reazione del Santo dei
Pesci.
-Ti
è andata male, carina! Ah ah! Aphrodite non approva i
maleducati!-
Rise
sguaiatamente, quel maleducato di DeathMask, fregandosene
del mio sguardo d’odio e dell’
“appunto” che Aphrodite mormorò tra i
denti.
Mi
stava antipatico, antipatico davvero.
Tutto
del Cavaliere della Quarta Casa mi dava la sensazione di
un qualcosa di disarmonico, cacofonico, spiacevole.
Come
se ogni sua singola
caratteristica si fosse trovata lì solo per caso, a dare
forma a quell’essere
spregevole che era.
Mah.
Aphrodite
era decisamente meglio, con la sua gentilezza antica e
un po’ distaccata.
Alle
volte, però, avevo l’impressione che volesse
nascondere,
con l’illusione della bellezza e dell’armonia,
qualcosa di sé che lo spaventava
e gli faceva ribrezzo.
Le
mie, però, erano semplici considerazioni basate
sull’osservazione, e non su dati oggettivi.
Solo
del passato di Milo conoscevo i dettagli, perché era stato
lui stesso a raccontarmeli. Delle esperienze che avevano segnato la
vita degli
altri Cavalieri, invece, non sapevo praticamente nulla, se non che le
loro
strade erano state quasi sicuramente tracciate nel dolore.
Decisi
di smetterla di scervellarmi su cose che non mi
riguardavano e che non dovevano riguardarmi, e mi concentrai su quel
che mi
stava accadendo intorno.
Presa
com’era a dialogare un po’ con tutti, non mi ero
accorta
dell’assenza di due Cavalieri. Me ne accorsi soltanto quando
cominciai a
contare i bicchieri, per distogliere la mia attenzione dalle
scempiaggini di
DeathMask; erano undici, e non tredici come avrebbero dovuto essere.
- Camus, manca qualcuno?-
Il
mio taciturno interlocutore annuì leggermente, poi ,
socchiudendo gli occhi, si portò un bicchiere alle labbra.
Bevve quel liquidi
zuccheroso con estrema lentezza, ed io rimasi estasiata a contemplare
un gesto
che era speciale solo perché compiuto da lui.
Com’era
elegante, anche nel movimento più banale e consueto!
Certo,
tutti quei ragazzi trasudavano fierezza e raffinatezza,
perfino Milo e DeathMask, che erano rispettivamente il più
solare e il più
rozzo dei Cavalieri. Però, in quanto a grazia, Camus non era
secondo nemmeno ad
Aphrodite, che pure aveva, nel modo di fare, un’innata
leggiadria.
Non
riuscii a reprimere un moto di ammirazione e di invidia.
-Doko
si è recato ai Cinque Picchi dal suo allievo. Mur, invece,
e nel Jamir, alla ricerca di un’acqua miracolosa.-
Aveva
parlato tenendo gli occhi chiusi e il bicchiere accostato
alle labbra; dopo qualche secondo di un silenzio che non osai spezzare,
posò il
calice e puntò le sue iridi ghiacciate nelle mie.
-Per
te- disse, con intensa naturalezza.
Arrossii
violentemente, ma, prima di voltare il capo per un
imbarazzo che, a dire il vero, era del tutto ingiustificato, riuscii a
scorgere,negli occhi del Cavaliere dell’Acquario, il guizzo
di un sorriso
divertito, nonostante il volto immobile.
“In
fondo, dev’esserci un po’ di caldo anche in
Siberia…”
-M-ma
perché avrei bisogno di un’acqua miracolosa?
Cos’ho che
non va, da aver così bisogno di un miracolo?-
Un
secondo.
Questa
volta, il guizzo divertito negli occhi di Camus durò solo
un secondo.
-La
tua gamba. Si ostina a non guarire.-
In
effetti, era vero.
Ero
al Santuario da ormai tre giorni, ma la mia caviglia continuava
ad essere livida e gonfia nonostante la medicassi ogni sera.
Però,
non me ne preoccupavo: tra i tacchi e le passeggiate,
avevo certamente sforzato il mio tendine oltre i limiti consigliabili.
Era
ovvio che, poi, la guarigione procedesse a rilento.
Ma
in fondo, andava bene anche così.
Se
Lady
Saori si ostinava a volermi tenere al Santuario, si apriva,
si lasciava andare con me e si preoccupava del mio benessere.
Tutto
questo, sommato alla conversazione che avevo avuto con lei
poco fa, mi mandava in confusione.
Se
non altro, la prigione in cui ero rinchiusa era piuttosto
amena. Magra consolazione!
Però,
la solita domanda mi tormentava con un’urgenza via via
crescente:
-Cosa
ci faccio qui? Durerà a lungo?-
Camus
non mi rispose, impegnato in uno scambio di sguardi con
Milo, seduto al suo fianco, che aveva udito anche lui la domanda.
-Toh,
è tornato Mur!- esclamò all’improvviso
Aiolia.
Mur
dell’Ariete doveva essere una persona molto amata: alla
notizia del suo ritorno, tutti avevano manifestato, in modo
più o meno palese,
allegria e sollievo.
Io,
dal canto mio, strizzai gli occhi per individuare il colore
del Cosmo del Cavaliere della Prima Casa.
Lo
trovai dopo pochi secondi: un rassicurante color lavanda,
come i suoi capelli.
E,
proprio in quel frangente, Mur entrò. Indossava
l’armatura
d’oro, con le lunghe corna dell’Ariete a cingergli
il collo; sotto braccio
reggeva l’elmo, e nella mano destra un’ampolla con
del liquido trasparente.
Il
mantello bianco che ondeggiava dietro di lui contribuiva a
rafforzare l’imponente regalità tipica, da quel
che avevo visto, di tutti i
Santi d’Oro.
Le
occhiaie e il sorriso stanco erano l’unica nota stonata in
una sinfonia i dettagli e particolari altrimenti perfetta.
Mur
salutò cordialmente i suoi compagni, che ricambiarono in
modo amichevole; poi il suo sguardo frugò un po’
per la sala, sino a posarsi su
di me.
Mi
sorrise, ed io cercai di non notare quanto sul suo volto la
stanchezza fosse sempre più evidente.
-Tieni,
Lily, è per te. Bevila tutta, mi raccomando.- mi disse,
porgendomi l’ampolla, una volta che si fu avvicinato.
-
Grazie, Mur.-
Nel
prendere l’ampolla, gli sfiorai le dita: erano calde.
Forse
mi sbagliavo, forse questi ragazzi erano più umani di quel
che pensavo; forse non era vero che avrei dovuto condividere me stessa
con
qualcuno di malvagio, e forse il Santuario non era davvero una prigione.
Forse,
forse…
Le
certezze erano diventate un lusso raro, ormai.
Però,
quel giorno c’era un gran sole, ed io riuscii a
convincermi che un futuro c’era, ed era roseo. Con
quell’idea in testa, mandai
giù tutto il liquido insapore dell’ampolla.
La
felicità?
Ci
credevo, ci credevo davvero.
…………………………………………………………………………………………………………
Frugai
nell’armadio di Saga alla ricerca di qualcosa di
più
comodo di quel dannato vestito.
Trovai
solo una maglia bianca e sformata e dei vecchi boxer.
Indossai ogni cosa in fretta e furia e mi legai i capelli con uno degli
elastici che portavo sempre al polso.
Sbuffai.
Non
appena avevo bevuto quella strana pozione magica, la mia
gamba aveva cominciato a guarire:
il colore
della pelle, bluastro a causa dell’ematoma, era tornato, a
poco a poco, della
tonalità della mia carnagione, mentre il gonfiore era
completamente scomparso.
Nel
giro di pochi minuti, la mia gamba era tornata come nuova.
I
ragazzi avevano assistito allo spettacolo con sorrisi ed
entusiaste parole d’incoraggiamento. Io avevo balbettato un
timido “grazie” nei
confronti di Mur ed ero scappata via, dicendo che dovevo andare in
bagno.
Invece,
ero uscita di corsa dalla Seconda Casa ed ero arrivata
alla Terza.
Ero
atterrita.
Non
volevo vedere nessuno di loro.
Fino
a quel momento si era parlato di Santi, di Cosmo e
Divinità, è vero; mi era stato presentato un
mondo fuori da ogni
razionalizzazione, sì, ed io vi avevo creduto senza batter
ciglio e senza pormi
troppe domande.
Ma
adesso, oh, adesso era diverso.
Quella
loro cosa magica
era entrata in contatto con me, aveva forzato le leggi della natura, mi aveva dato la prova
pratica di una realtà
che avevo accettato di riconoscere solo in teoria.
E
fa paura la realtà, fa paura davvero.
Quando
mi ero resa conto che, per quei ragazzi, una cosa così
comune era la normalità, mi ero sentita…sbagliata.
Io
non c’entravo nulla col loro mondo, nulla davvero, e non
avrei mai potuto farne parte.
Non
avrei mai voluto.
Il
Fato, però, doveva pensarla diversamente. Fino a quel
momento, la mia vita non era stata altro che il passaggio da una
prigione
all’altra. Non mi ero nemmeno mai concessa il lusso di
sognare la libertà.
Mai,
però, la mia prigionia era stata così
rassicurante e angosciante
al tempo stesso come lo era al Santuario.
Arrivata
nella Terza Casa, mi ero diretta verso le stanze di
Saga: c’ero già stata e sapevo dove si trovavano.
Avevo
raccattato da un cassettone quei vecchi indumenti, e li
avevo indossati buttando per terra il vestito fluo, in un gesto che
aveva
dell’isterico.
Avevo
bisogno di sentirmi.
Volevo
essere me stessa, Lily, senza tacchi, trucchi,
comportamenti da “signorina per bene” e finzioni
varie.
In
quel momento non volevo compiacere nessuno: cercavo solo di
trovare una traccia di me in un mondo che mi era completamente estraneo.
“Ti
sei
persa, Lily.”
Cominciai
a piangere come una bambina quando la verità mi
piombò
addosso, e a piedi nudi uscii dalla Casa di Gemini.
Cosa
volevo fare? Percorrere la gradinata?
No,
avrebbe solo aumentato il mio senso di smarrimento. Girai
lentamente su me stessa, descrivendo un giro completo, mentre con la
mente
indagavo le risorse di cui disponevo.
Riuscii
ad articolare un solo pensiero: mi trovavo su una
collina.
Incapace
di smettere di piangere, scavalcai la bassa balaustra
della gradinata, e mi ritrovai con i piedi a diretto contatto con
l’erba secca.
Mugolai,
un po’ perché il terreno scottava e un
po’ perché la
vegetazione secca e bassa mi provocava dolore a ogni passo. Mi
inginocchiai,
allora, e raggiunsi carponi quel lato di collina spoglio di templi ma
ricco di
arbusti e sterpaglie: prima
di
schiantarmi addosso a Milo, il giorno del nostro primo incontro, venivo
proprio
da lì.
Scrollai
le spalle e iniziai a salire, diretta alla vetta, dove
speravo ci fosse la libertà ad attendermi.
Non
volevo scappare, oh, no.
Ero
controllata da dodici ragazzi con una forza e un potere
sovrumani, capaci di chissà quali
trucchetti…Darsi alla fuga, per una come me,
sarebbe stata pura follia.
Nessuno
mi aveva seguita, però.
Magari
avevano intuito il mio stato d’animo, o, più
probabilmente, mi avevano letto nel pensiero e avevano capito che non
avevo la
minima intenzione di fuggire. Non lo sapevo.
La
sola cosa certa era che, comunque, mi avevano lasciata stare;
il resto non importava.
Giunta
a metà scalata, la pendenza divenne molto più
ripida,
tanto che fui costretta ad arrampicarmi sia con le gambe che con le
braccia, il
ventre a stretto contatto con la terra, come se stessi scalando
l’Everest e non
una normale collina.
Durante
la salita, le lacrime e i singhiozzi mi lasciarono in
pace; anche il dolore ai piedi era sparito, e la morsa che mi aveva
stretto il
cuore andava a poco a poco sciogliendosi.
Ricominciai
a respirare…
Attribuii
questa momentanea serenità alla terra: era
l’elemento
che più amavo, e mi sentivo legata a lei, sapevo di
appartenerle.
Il
tocco del terriccio, caldo per l’ora inclemente, con il mio ombelico, anche
attraverso la maglietta,
mi faceva ridere e sentire viva.
Ah,
la terra! Come l’amavo!
Era
una madre, la terra, e aveva miliardi di figli. Anch’io,
come lei, sarei stata una madre, un giorno? Questi erano gli
interrogativi che
mi ponevo da bambina, mentre mi rotolavo nel giardino della Clara Domus.
Mi
fecero sorridere questi ricordi, che io ormai considerava
perduti tra le pieghe della mia memoria.
Cullata
da questi pensieri antichi, ero arrivata in cima. Lo
spazio era davvero esiguo: non si trattava di una radura, era
semplicemente un
cucuzzolo ornato qua e là da piccoli cespugli di macchia
mediterranea.
La
cime della testa di un uomo già avanti con la calvizie, ecco
cosa sembrava quella collina.
Che
immagine sciocca, sciocca davvero!
Mi
lascia andare ad una risata, nonostante
l’assurdità dei miei
pensieri, perché sapevo di averne un dannato bisogno.
Poi,
subito dopo il riso, tornarono le lacrime, come fossi
schizofrenica, e assieme alle lacrime, l’asma.
L’asma.
Mi
ero dimenticata di citarlo, nell’elenco delle mie disgrazie.
Mi
distesi supina su quel giaciglio per niente soffice di spine
e scheletri di foglie, e aspettai, con il preciso intento di non
muovermi da lì
finchè la crisi respiratoria non fosse passata.
L’asma
doveva smettere di tormentarmi, era una questione di
principio ormai.
O
la spuntavo io, o sarei morta lì.
Questi
erano i miei assurdi pensieri, mentre mi lasciavo andare
ad una delle mie solite sciocchezze.
Ero
chiaramente confusa e frustrata, non capivo più nulla: di
solito ero una persona assennata. Ansimavo in maniera rumorosissima e i
miei
pensieri non la smettevano di correre.
Quando
ero ormai incerta che sarei impazzita, una sagoma azzurra
si disegnò, nitida, nella mia mente.
Conoscevo
quel Cosmo e quel colore.
Nonostante
la mia volontà di non vedere nessuno, non mi
dispiacque sapere che in quel momento Milo era accanto a me.
…………………………………………………………………………………………
Eravamo
rimasti supini per non so quanto tempo, io a consumare
in singhiozzi la mia frustrazione, Milo intento a masticare la spiga di
un’erbaccia che aveva trovato lì.
Gli
fui grata di aver rispettato il mio silenzio.
Mi
rizzai a sedere, e nel farlo avvertii un dolore ben noto.
Già
pronta a lamentarmi, sollevai la maglietta quel tanto che bastava per
constatare che, nonostante la stoffa, ero riuscita a scottarmi il petto.
Dannato
sole!
-
Succede
a chi ha la pelle così chiara! – rise Milo,
cercando con
gli occhi un lampo di stizza che brillasse nei miei. Non lo
trovò, e questo
sembrò rincuorarlo.
-
-Va
meglio?- mi chiese con dolcezza.
-Un
po’ – ammisi, lo sguardo
timido e le spalle basse.
-
Ti va di parlare un po’?-
domandò allora lui, mentre si sedeva a gambe incrociate.
Annuii.
Non mi serviva un
confidente, in realtà. Avevo solo bisogno di sentire il
suono della mia voce,
per capire se ancora mi apparteneva o se anche lei mi aveva tradito.
-Allora
racconta. Vediamo, mi
piacerebbe sapere qualcosa …mmm…sul tuo passato,
sì .-
Allora
anch’io mi sedetti a
gambe incrociate, e, guardandolo negli occhi, straripai come un fiume
in piena.
Gli
vomitai addosso una storia
che era come un caco acerbo: bella alla vista, ma tremendamente
difficile da
mandare giù.
Così,
come io conoscevo il suo
passato, anche Milo conobbe il mio.
Il
mio corner
Questo
capitolo è stato
partorito con dolore, tra il caldo asfissiante, la pigrizia e il tempo,
che è
sempre poco. Forse, Lily potrà sembrare pazza o esagerata in
queste righe, ma
io non credo che sia così. Chi si comporta razionalmente nel
momento in cui
scopre che il mondo in cui deve vivere non è fatto per lui?
Beh,
credo che per ora non ci
sia altro da aggiungere. Ho alcune considerazioni da fare, ma i tempi
non sono
ancora maturi.
Finalmente,
nel prossimo
capitolo , si scoprirà qualcosa sul passato di Lily (sempre
che interessi a
qualcuno, sigh…=_=)
E
ora, i ringraziamenti!
Ribrib20:
sei
sempre la prima a recensire, tu fai davvero la mia gioia! ^_^ sisi, ora
sto
bene. Ho avuto solo una banalissima (quanto pessima! D’oh!)
influenza allo
stomaco, ma ora sto benone! ^_- sono felice che questo storia ti
coinvolga a
tal punto, non sai che piacere. Comunque sì, ci ho
riflettuto un po’: Milo in
bianco e nero renderebbe proprio zero *_*. Vai di colori! xD
mmm… non sono
sicura di sapere esattamente come potresti pubblicare i disegni,
perché con la
tecnologia sono una frana! ( già il codice html mi ha
mandata in crisi *_*) ma
ho un amico che di queste cose se ne intende, chiedo a lui e in qualche
modo ti
farò sapere! ^_- cosa ne pensi di questo capitolo? Intanto,
grazie per aver
recensito, sei la migliore! Alla prossima! *1bacio*
Gufo_tave:
troppo
immatura, dici? In effetti, potrebbe essere, ma è anche
questione di come la si
vede. In fondo, se un giorno Saori avesse una reazione del genere, non
mi
stupirebbe ( tralasciando il discorso Saori = Atena). Per quanto
riguarda
l’ooc, ti confesso che avevo messo l’avvertimento
solo perché, essendo io
inesperta del mondo di Saint Seyia, ma trovandolo abbastanza
affascinante da
scriverci sopra, ero sicura che avrei in qualche modo storpiato il
carattere di
qualche personaggio. E, infatti, è stato così.
Chiedo venia, mi sto impegnando per
migliorare. Infine, sì, Lily è italiana da parte
di padre, ma la sua mamma è
inglese. ^-^ ops, scusa se ti ho scritto una
risposta così lunga…^_^ grazie per
la recensione e per non avermi
abbandonata! *1bacio*
HOPE87:
di cosa
ti scusi, non devi giustificarti di nulla!^_- mi rendo conto che, fino
ad ora,
“beautiful novel” segue uno stile narrativo
classico e per nulla originale: la
solita tipa che si ritrova senza sapere perché
nell’universo dei Cavalieri,
nasconde una forza che nemmeno conosce e si innamora del figo di turno.
Questa
è solo apparenza, però. La storia è
cominciata, si può dire, solo ora, e spero
che già dal prossimo capitolo possa apparirti in qualche
modo diversa dalle
“solite cose”. Forse la mia è
presunzione, forse solo illusione. Ti chiedo di
avere fede e pazienza ( pazienza soprattutto) , e vedrai che questa fic
ti
sembrerà un po’ particolare, se non per la trama,
almeno (spero!) per la
semplicità. Grazie per aver recensito, comunque, mi ha fatto
davvero tanto
piacere sapere cosa ne pensi! =) *1bacio*
Roxrox:hey,
Roxy, figurati, ti capisco benissimo! “ritardo”
è il mio secondo nome =) sì,
anch’io trovo che Lily sia un po’ troppo buona e
sulle nuvole per essere
ritenuta normale, ma che ci vuoi fare, l’ho voluta
così e adesso me la tengo!
xD e comunque, Deathy un po’ di dieta se la merita, in fondo
non gli fa certo
male! xD. Sono contenta che finora la storia ti piaccia. Cosa ne pensi
di
questo capitolo? Trovi che sia troppo introspettivo? Fammi sapere cosa
ne
pensi, ci tengo alla tua opinione! Grazie di tutto, e ancora auguri per
la
laurea! * 1bacio*
e
ora, vorrei ringraziare
infinitamente djibril88
che
ha aggiunto questa fic tra le sue preferite! Grazie *_*!
*1bacio* e un abbraccio.
Infine,
grazie anche a tutti
coloro che leggono in silenzio!
Enjoy!
stantuffo