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Autore: arsea    02/11/2016    3 recensioni
Lo vide sbiancare ancora di più se possibile, cereo: "Cosa vuoi fare?" domandò spaventato "Non è la prima volta, Charles. È sempre così: ci incontriamo, ci amiamo e io rovino tutto. Mi dispiace… mio Dio… mi dispiace" "Cosa stai dicendo?" gli prese la destra, così debole, oh, così morbida, e la incatenò alla sua "Fidati di me" disse "Ti troverò" lo baciò mentre teneva la sua mano, lo immobilizzò con quel bacio e prima che potesse fermarlo affondò il pugnale dritto nel suo cuore
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Emma Frost, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le persone mentono.
Il mondo non è composto da sorrisi gentili e dolci promesse.
Charles non era mai stato abbastanza ingenuo da crederlo, semplicemente era composto da questa scomoda e cristallina fiducia indistruttibile, nonostante i fatti, le situazioni, nonostante tutto ciò che l’esperienza gli aveva insegnato cercava comunque di pensare bene degli altri, di dare una possibilità.
Cosa aveva ottenuto?
Una paura fottuta dei legami, una faccia ipocrita e la totale incapacità di incassare le delusioni.
Puoi vedere il bene in chiunque, ma cosa fai quando smetti di vederlo in te stesso?
Si sollevò dal libro su cui si era addormentato la sera prima, tenendosi il capo con un gemito perché la luce dello schermo del suo pc lo accecò nell’oscurità della stanza, e si allungò per prendere una pillola dal contenitore poco lontano.
Per un momento pensò di essersi svegliato da solo, poi il bussare alla porta lo fece ricredere << Charles, apri la porta >> Raven non lo lasciava solo nemmeno per un momento.
Poteva sembrare asfissiante, ma anche lui non avrebbe fatto diversamente se l’avesse vista versare in stato catatonico per un’intera giornata << Sto bene >> mormorò << Non voglio sentirtelo dire, voglio vederti. Apri la porta o la distruggo. Sai che posso farlo, non costringermi >> sospirò ancora, si passò una mano sul volto stanco e si sollevò in piedi per trascinarsi alla porta.
Raven era ferma di fronte a lui, capelli stretti in una treccia e completo elegante.
Tenuta da Westchester, il che era strano << Mamma ha un appuntamento alla clinica. Dobbiamo andare con lei >> lui sbuffò, non si diede la pena nemmeno di risponderle, volgendosi invece per lasciarsi cadere sul letto << Charles, so che non condividi la sua decisione, ma siamo la sua famiglia. Dobbiamo stare al suo fianco adesso >> << La sua famiglia >> le fece eco lui ironico.
Raven per un po’ non parlò, restando ad osservare il relitto che era suo fratello senza saper che fare.
Non lo aveva mai visto così.
Quando era andata a prenderlo da Erik aveva pensato che fosse stato il suo potere a ridurlo così, che avesse bisogno solo dei suoi inibitori, ma poi era successa quella cosa orribile, lui si era come spento, lo sguardo fisso e assente, perso nel vuoto, insensibile a qualsiasi stimolo.
Aveva smesso di risponderle, di guardarla, per questo lo aveva portato a Westchester terrorizzata.
Era stato allora che Sharon le aveva raccontato tutto.
Del cancro, del suo rifiuto delle cure, di come Charles lo avesse scoperto.
Voleva bene alla donna, non poteva negarlo, ma quando aveva saputo l’unica cosa che aveva pensato era che suo fratello aveva tutte le ragioni di essere in quello stato.
Poi il giorno dopo si era come risvegliato, aveva sbattuto le palpebre e le aveva sorriso, come se nulla fosse successo, ma niente avrebbe cancellato dalla sua memoria l’immagine di lui immobile come una bambola.
Si avvicinò al letto e sedette al suo fianco, tirando indietro i capelli che gli nascondevano la faccia << Lo so che è dura >> << Noi non siamo la sua famiglia. Non ci avrebbe detto nulla se non l’avessi scoperta >> << Questo non puoi saperlo >> << Lo so perfettamente invece >> di tutte le emozioni che provava era la rabbia a prevalere, o almeno a quella lui permetteva di farlo giacché era l’unico modo per dimenticare il dolore << Vuoi essere arrabbiato con lei anche adesso? Potresti pentirtene per il resto della tua vita >> Charles si sollevò a sedere, fulminandola con lo sguardo << Ha rifiutato le cure, Raven. Sai cosa significa? Che ha smesso di lottare. Forse non ha mai nemmeno cominciato. Non vuole affrontare il suo cancro solo per il suo dannatissimo orgoglio. Non parlarmi di famiglia. Siamo il suo staff delle pubbliche relazioni, niente più >> << Non lo pensi davvero >> << Sei una telepate anche tu? >> nel dirlo si allungò verso la bottiglia abbandonata sul pavimento, ma prima che potesse berne lei gliela tolse di mano << Non posso aiutarti se non mi dici cosa sta succedendo >> << Cosa vuoi che ti dica esattamente? >> << Non ti stai comportando troppo diversamente da Sharon >> lui trasalì, lo vide impallidire, poi però sbuffò con amaro divertimento e tornò a sdraiarsi << Sarà una cosa di sangue allora. Sei fortunata >> per tutta risposta lei si sollevò in piedi, imprecò, e fece alcuni passi rabbiosi per la stanza prima di parlare ancora << Odio quando fai così. Non ti riconosco >> aveva gli occhi lucidi, ma ancora non si era arresa alle lacrime << Io ce la sto mettendo tutta, Charles. Davvero. Ma... ma... non ce la faccio da sola, lo capisci? Non mi dici cosa ti sta succedendo. Non mi dici cosa è successo con Erik. Non so nemmeno cosa ti sta capitando con il tuo potere! >> << Sto benissimo >> << Se devi mentire allora è meglio che tu stia zitto >> lo aggredì, e lui non era l’unico a preferire la rabbia al dolore << Sei un fottuto codardo, ecco la verità >> disse, vedendolo spalancare gli occhi di incredulità.
Per un lungo momento non successe nulla, si limitarono semplicemente a scambiarsi occhiate indecise tra furia e desiderio di pace, poi però qualcuno suonò alla porta, prendendo per entrambi la decisione di rimandare il conflitto.
Raven marciò fino alla porta d’ingresso con un sibilo a mezza voce, ma non era l’unica arrabbiata quando la aprì: davanti a lei c’era Emma, gli occhi azzurri taglienti come spade e il bellissimo volto stretto in un’espressione d’ira palese << Dov’è lui? >> azzannò, superando però l’amica subito dopo, senza attendere alcun permesso, e gettò la borsa sul divano per proseguire fino alla stanza di Charles, sorda a qualsiasi protesta.
Sotto lo sguardo attonito di Raven raggiunse il ragazzo e lo afferrò per le spalle, sollevandolo come fosse un fuscello con quelle esili braccia per poi sbatterlo contro la parete << Cosa gli hai fatto?! >> lo aggredì << Lascialo andare! >> gridò Raven entrando nella stanza << Dormi >> fu il semplice comando dell’avvocatessa, e sotto lo sguardo attonito di Charles sua sorella crollò al suolo subito dopo, in un sonno profondo << C-come...? >> << Rispondi alla mia domanda! >> intimò l’altra, strattonandolo furiosamente facendogli sbattere la nuca contro il muro.
Gemette, ma lei non si lasciò intenerire << Sei un telepate, non è così? >> << Come te a quanto pare >> lei diede in una risatina beffarda << Sei anche arrogante oltre che stupido allora. Cosa hai fatto ad Erik? >> << Gli ho cancellato la memoria >> << Perché? >> << Non credo sia cosa che ti riguardi. Lasciami andare adesso >> per tutta risposta lei rinsaldò la stretta sul suo bavero e di fronte all’incredulo inglese si trasformò in una figura vivente di puro diamante.
Non la sua pelle si ricoprì d’esso, niente di così superficiale: il suo intero corpo si trasformò in una gemma semovente, trasparente come vetro e intagliata in innumerevoli sfaccettature mutevoli ad ogni movimento << Per il Signore Onnipotente >> ansimò quello, poco prima che lei lo gettasse sul letto come pesasse nulla, immobilizzandolo con quelle mani adamantine e gravando con un ginocchio di cristallo contro il suo stomaco << Hai idea di quello che gli hai fatto? >> gli sibilò contro << Ho cancellato la mia presenza dalla sua memoria. Non è così grave: ci conosciamo da poche settimane, un vuoto facile da riempire >> << Razza di...! Poche settimane! >> Charles non si rese conto del suo attacco mentale finché non sentì la prima fitta lancinante perforargli il cranio.
Un grido gli spezzò le labbra, ogni sua protezione si infranse, ma invece di sentire il suo potere dilagare come accadeva di solito adesso gli inibitori lo tenevano ben imbrigliato e il risultato fu la completa incapacità di difendersi dall’intrusione della donna.
Raggiunse la sua biblioteca con facilità disarmante, si diresse senza indecisioni verso lo scaffale di Erik e con altrettanta incuria si appropriò dei ricordi che cercava.
Quando Charles riemerse nella realtà con lei, seguendola impotente così come l’aveva seguita nell’inconscio, aveva le guance bagnate e la gola che bruciava per le urla oltre che dolore straziante alla testa << Avete fatto sesso >> << Vai a farti fottere >> cercò di liberarsi della sua stretta, cercò di far presa su quel corpo adamantino, ma aveva rinunciato volontariamente alla sua unica arma, lo sapeva bene, e non poteva biasimare che se stesso se era completamente alla sua mercé adesso.
Fu lei a lasciarlo, con un passo indietro, e tornò l’innocua amica di sua sorella per cui l’aveva scambiata per tutto quel tempo, ma era abbastanza intelligente per non aggredirla nemmeno adesso visto con quanta facilità lo avesse contrastato << Tu non sai niente di lui >> sentenziò sprezzante << Fai bene a sentirti un verme. Non hai la più pallida idea di quello che hai fatto >> << Sono abbastanza sicuro che riuscirà a sopravvivere anche senza di me >> ribatté lui a tono, sotterrando la vergogna per non umiliarsi ancora di più di fronte a lei.
Sapeva benissimo di essere fuggito a quello che aveva fatto, non era stato abbastanza forte per affrontare Erik e il proprio tradimento, non lo era nemmeno adesso, ma non aveva messo in conto quanto sarebbe stato tormentoso affrontare con se stesso le conseguenze della sua scelta << Lui non può dimenticarti. Tutto ciò che hai fatto è stato tradirlo e ingannarlo. Quando lo scoprirà, e non ho detto se ma quando, te la farà pagare >> << Non ti facevo così sentimentale. Adesso mi dirai che il potere dell’amore può ogni cosa? Stiamo parlando di memoria, di dati mnemonici. Il nostro cervello non è troppo diverso da un computer >> << Curioso che tu abbia fatto proprio questa associazione. Mai sentito parlare di dati fantasma? Niente si cancella mai davvero >> di nuovo un’occhiata disgustata, lo fissò dall’alto in basso con sufficienza, quindi si voltò verso la scrivania e prese il suo flacone delle pillole, osservandolo con un sopracciglio sollevato << È così migliore la normalità? >> << Chi sei tu per entrare in casa mia e sputare sentenze sulla mia vita? >> << Non ti sei comportato troppo diversamente con colui che hai chiamato migliore amico o sbaglio? >> stappò il contenitore con il pollice dall’unghia perfettamente smaltata, afferrando una compressa bianca e anonima tra due dita, come potesse capirne la composizione solo guardandola.
Ne posò due sulla scrivania e prese il resto << Sai almeno che tutti i problemi che stai cercando di ignorare prima o poi busseranno di nuovo alla tua porta? Stai solo rimandando l’inevitabile >> << Ho proprio bisogno di una bionda che mi spieghi come affrontare... >> << Puoi fare di meglio >> lo zittì << Non so cosa Erik abbia visto in te, ma per un momento gli ho creduto, sai? Uno zaffiro, ho pensato, un diamante blu come quegli occhi immeritati che ti ritrovi. Invece a malapena sei uno zircone da quattro soldi. Buono per ingannare un occhio disattento, ma non cambia ciò che sei: bigiotteria da bancarella >> e con queste parole se ne andò sbattendo la porta.
 
*
Come ogni mattina si svegliò al suono della prima sveglia, il suo corpo troppo abituato ai ritmi lavorativi per indugiare ancora nel sonno, e sospirò mentre fissava il soffitto.
La prima cosa di cui fu cosciente fu il mal di testa, una sensazione pulsante all’altezza della tempia, e si maledisse perché aveva finito le aspirine la sera prima, ma si ripromise di fare una piccola sosta in farmacia prima di prendere la metro.
Scelse un completo grigio, il che gli ricordò anche che doveva passare in lavanderia, e lo stese sul letto rifatto con militaresca routine prima di infilarsi sotto la doccia.
Il mal di testa proseguiva da quattro giorni ormai, infastidendolo sul lavoro e sul resto della sua vita, facendolo arrivare in ritardo da sua madre ad esempio, e il venerdì prima, quando era appena iniziato, aveva perso il filo del discorso durante una riunione con Darkholme.
Aveva sperato che passasse con il riposo, il giorno prima aveva rinunciato anche alla sua corsa della domenica, ma non era servito a niente evidentemente.
Si vestì come faceva ogni mattina.
Pantaloni, camicia, cintura, cravatta, gemelli, scarpe, giacca.
Si versò il succo di frutta mentre con un pensiero manovrava il mestolo che cuoceva le uova e un altro gli allacciava l’orologio al polso.
Ripensò alla donna della sera prima, una certa Emma Frost, e il mal di testa si fece ancora più forte nel ricordare la sua espressione scioccata quando lo aveva visto.
Era stata lei a presentarsi a casa sua, quello scioccato sarebbe dovuto essere lui.
Come sapeva dove abitava?
Non ricordava di averla vista da nessuna parte, anche se lei gli aveva detto che era un’avvocatessa dello studio.
Non gli aveva detto perché si era presentata alla sua porta, quasi si fosse scordata perché aveva suonato il campanello, si era limitata ad andarsene sui suoi tacchi vertiginosi senza degnarlo della benché minima spiegazione.
Aveva cercato di fermarla, ma in qualche modo non era riuscito a muoversi di un passo per seguirla.
Avrebbe confermato la sua identità una volta raggiunta Margaret, su questo non c’era alcun dubbio, e questa volta sarebbe stato lui quello a presentarsi ad un campanello.
Afferrò un sacchetto di mirtilli sottovuoto mentre usciva, anche se non ricordava di averli comprati, e scese in strada.
Si fermò a prendere il caffè come faceva tutte le mattine, lasciò la solita mancia, comprò il giornale per abitudine anche se le notizie di cronaca gli interessavano ben poco.
Non aveva la più pallida idea del perché lo facesse.
Il mondo poteva anche bruciare per quel che lo riguardava, la notizia non lo avrebbe toccato minimante visto che se si escludeva sua madre non c’era nessun altro nella sua vita.
Un pensiero confortante, non c’è che dire.
La metropolitana era stracolma come al solito, fastidiosa ma sopportabile, soprattutto se si concentrava a bere il suo caffè e ignorare tutto il resto.
Arrivò puntuale, perciò non si affrettò nella calca, bevve l’ultimo sorso in tempo per gettare il bicchiere nello stesso cestino in cui lo faceva da anni e ripiegò il giornale per consegnarlo poi a Fred una volta raggiunto l’ufficio << È morto qualcuno d’importante oggi, signor Lehnsherr? >> fece quello ridacchiando, strappandogli un sorriso mentre andava all’ascensore << Nessuno che valga la prima pagina >> sentì la sua risata poco prima che si richiudessero le porte e tanto bastò a mantenere il suo buonumore.
Irrimediabilmente guastato una volta che si accorse di essersi scordato ancora le aspirine in qualche assurdo modo, persino con il mal di testa ancora a perforargli le tempie, e sperò con un sospiro che Margaret potesse aiutarlo mentre si dirigeva alla sua scrivania << Signor Lehnsherr >> lo richiamò proprio quella, prima che potesse parlare lui per primo, guardandolo con un misto di nervosismo e disagio pesante sulle spalle, il che lo mise istintivamente sul chi vive << La Frost è qui di primo mattino e si è piazzata nel suo ufficio. Non vuole andarsene, dice che deve parlarle assolutamente >> << Frost? Emma Frost? >> la segretaria parve un momento un po’ perplessa da quella specificazione, ma si assestò gli occhiali distrattamente e assentì << Esattamente >> << È davvero un’avvocatessa associata? >> di nuovo Margaret parve non capire quello che aveva detto.
Sollevò un sopracciglio << Mi ha chiesto di chiamarla più di una volta, signor Lehnsherr. Credevo... beh, credevo che usciste insieme >> fu come venir colpito da uno schiaffo in pieno volto.
Impallidì, non poté fare diversamente, chiedendosi se non fosse un brutto scherzo.
O un incubo.
Prima sua madre che gli chiedeva di un fantomatico amico e adesso scopriva anche che aveva una ragazza che non conosceva.
Non ricordava di aver battuto la testa << S-sì. Certo. Scusa, una brutta nottata >> lei sorrise da brava segretaria professionale e fece per tornare alla sua postazione << A questo proposito, posso chiederti un’aspirina? >> il sorriso di lei si allargò ancora << Certamente, signor Lehnsherr >> si mosse verso la caffetteria quindi, mentre lui andava nel suo ufficio.
La trovò seduta di fronte alla scrivania, molto bionda e molto bianca, capelli chiarissimi acconciati in uno chignon elegante, abito firmato di un candore niveo che le scopriva due paia di gambe lunghe e invitanti, occhi di un azzurro di diamante che quasi feriva lo sguardo nel riverberare il luccichio dei brillanti che portava al collo e ai polsi << Sei in ritardo >> dichiarò piccata nel guardarlo << Non sapevo avessimo un appuntamento >> non si lasciò intimidire né distrarre dalla bella confezione, togliendosi il cappotto con disinvoltura prima di prendere posto sulla sua poltrona << Normalmente non mi immischierei >> esordì, come se lui capisse a cosa si riferiva << Ma si da il caso che il legame che avevo istaurato con te sia stato intaccato in qualche modo. Quel ragazzino è più incapace di quel che pensassi >> << Legame? Ragazzino? >> << Oh, sta’ zitto e ascolta, non ho molto tempo. Tra un’ora devo essere da mio padre >> fece spazientita, ripassandosi un sopracciglio curato con un dito altrettanto curato.
Le unghie parevano di vetro tanto brillavano << So delle tue capacità. Puoi controllare i metalli >> buttò lì, senza preamboli, anche se Erik sentì il proprio cuore saltare un battito << C-come...? >> lo ignorò, come se non avesse visto la sua faccia incredula << Anche tu sai delle mie. Sapevi almeno. Non proprio tutto, ma qualcosa. Sono una telepate, posso leggere la tua mente. Mi hai detto che siamo una sorta di evoluzione della razza umana, dei mutanti, hai usato questa parola. Non sappiamo da cosa derivi la nostra mutazione. A me non importa, a te non del tutto >> << Chi sei? >> lei alzò gli occhi al cielo << Mi sono già presentata. Ti ho detto che non ho molto tempo. Devo farti un riassunto veloce >> << Io credo di volere quello lungo invece >> sibilò l’uomo, facendo scattare la serratura con un gesto della mano per far intendere che non l’avrebbe lasciata andare.
Non parve molto preoccupata dalla cosa << Se potessi ti ridarei tutto quello che hai perso, ma oltre che essere maldestro e stupido pare che la causa di tutto questo abbia anche un potere spropositato >> << Causa? È il ragazzino di cui parlavi? >> Emma sospirò, si appoggiò per un momento alla sedia, poi tese la mano << Dammi un attimo il tuo cellulare >> una richiesta del genere lo avrebbe lasciato interdetto in ogni caso se posta da una sconosciuta, ma in quel momento parve tanto assurda che non riuscì a far altro che assecondarla.
Lei lo posò sul ripiano di mogano tra loro, in modo che potesse guardare quel che stava facendo << Ti conosco abbastanza da sapere che non mi crederesti in ogni caso, quindi ecco le prove >> toccò l’icona della rubrica con l’indice sottile, digitò poche lettere perché i suoi contatti non erano così tanti e gli mostrò un nome e un numero che non aveva mai visto << Charles Xavier >> lesse per lui << Questo nome dovrebbe dirmi qualcosa? >> la apostrofò, anche se lui stesso si stupì della sua presenza.
Forse aveva semplicemente sbagliato a salvare il numero di un cliente, mettendolo nel gruppo dei personali invece che di quelli del lavoro << Direi di sì visto che avete fatto sesso non più di quattro giorni fa >> mentre parlava, con tutta la tranquillità di questo mondo per di più, selezionò l’archivio fotografico e cominciò a scorrere le sporadiche foto salvate, fino a fermarsi su una che non ricordava di aver scattato.
Era in un appartamento sconosciuto, non conosceva nemmeno una persona di quelle immortalate in un brindisi dimenticato, tantomeno riconobbe il ragazzo su cui lei attivò lo zoom << Lui >> sentenziò la Frost, lasciando infine il cellulare per tornare ad appoggiarsi alla sedia.
Erik stava per cominciare ad urlare subito dopo la parola “sesso”, era del tutto intenzionato a sollevare quella presuntuosa barbie e sbatterla fuori del suo ufficio, ma nel guardare la foto ogni parola o emozione gli morì in gola, lasciando solo una sensazione viscida e fredda lungo la schiena.
Paura.
Il suo cuore accelerò i battiti in maniera furiosa << Anche lui è un telepate, ma come ti ho detto, è stupido. Ha cancellato la tua memoria, ma non ha fatto nient’altro. Io avrei fatto un lavoro più pulito >> << Ha... ha fatto cosa? >> lei sospirò con una punta di esasperazione, guardando infine l’orologio << Posso raccontarti di lui per tutto il giorno, ma non cambierà nulla. Non puoi ricordartene. È stato così radicale che ha cancellato persino tutti coloro tra le sue conoscenze con cui sei entrato in contatto >> << Non... n-non è possibile >> << Cosa hai fatto per la vigilia di Natale, Erik? >> chiese lei invece, incrociando le braccia al petto.
Già, cosa aveva fatto?
Il mal di testa lo colpì con una martellata violenta mentre si concentrava, ma a parte il vago ricordo di un viaggio in macchina non riusciva a mettere a fuoco nient’altro.
La paura attivò la rabbia adesso, e come non gli accadeva da secoli il suo potere aggredì l’intorno facendo tremare ogni singolo oggetto di metallo.
Un fremito solo, ma fu impressionante, come un’onda d’urto che si propaga invisibile << Perché l’ha fatto? >> non dubitò più di lei, era chiaro che stava dicendo la verità, e se non si fidava per lo meno era certo che non mentisse << Mettiamola così: avete parecchie cose non dette >> << Ne parli come se fossimo una coppia >> << Cosa della parola “sesso” non ti è chiara? >> << Lui è un uomo! >> << A quanto ho capito non è mai stato un gran problema per te >> anche di questo non si ricordava.
Come fa un uomo a non ricordarsi di una parte così importante della sua vita?
C’era qualcosa di vago, sensazioni incomplete e residue, un tocco o una voce, ma non ricordava nemmeno uno dei volti del suo passato, come se in realtà non fosse mai stato con nessuno << Da... da quanto lo conosco? >> ansimò << Poche settimane >> << Come può aver influenzato così tanto della mia vita in poche settimane?! >> esclamò battendo un pugno sulla scrivania.
Emma guardò la sua mano, guardò lui, e per la prima volta Erik vide qualcosa di simile all’empatia in lei.
O per quella che credeva fosse la prima volta << Non credo che tu sia pronto per qualcosa di più. Speravo che a questo punto i ricordi tornassero, a dire il vero >> << Di più? Cosa ci può essere più di questo? >> << C’è parecchio di più, credimi. Ma non credo di essere la persona giusta per parlartene >> << E chi potrebbe? A quanto pare sei l’unica che abbia avuto la decenza di farlo in quattro giorni >> lei sospirò, lisciandosi le ciocche perfette con una mano, un gesto superfluo che però le diede il tempo di riflettere un poco << Hai bisogno di una fonte attendibile. Io non lo sono per te in questo momento. Qualcuno di cui ti fidi. Quel che posso dirti non ha prove, io stessa ti ho creduto solo perché ho verificato il tuo racconto leggendoti la mente >> accantonò la mostruosa violazione della privacy per amor di dialogo << Non c’è nessuno di cui mi fidi. Tantomeno in questo momento >> << Tua madre >> ribatté lei invece, lasciandolo spiazzato << Chiedi a tua madre di parlarti di Charles. Ti spiegherà quel che manca >> << Mia madre? Che c’entra mia madre? >> lei si strinse nelle spalle << Non posso dirti molto altro senza parlare io stessa >> il mal di testa era un trapano nel cranio ormai, ma Erik era troppo preoccupato dal resto di quel che stava accadendo per curarsene davvero.
Continuò a guardarla invece, e lei a ricambiarlo con tranquillità, finché non lanciò un’altra occhiata all’orologio << Noi siamo... amici? >> lei si strinse nelle spalle a quella domanda e raccolse la borsetta << Hai promesso di portarmi al Galà dei Darkholme per la fine dell’anno. Memoria o non memoria mi aspetto che rispetti il nostro patto >> che razza di risposta era quella?
Ma in qualche modo le si addiceva << Domani sono libera per pranzo. Dico a Margaret di prenotare al solito posto? >> continuò, quasi che la conversazione appena avvenuta fosse completamente passata in secondo piano.
Oppure era il suo strano modo di rispondergli in realtà.
Si guardarono ancora un momento, in verità non gli importava affatto che lei potesse vedere i suoi pensieri, e questo istinto lo sorprese vista la sfiducia che rivolgeva a tutto il resto.
Un segno più che chiaro del suo corpo di avvertirlo: quella donna non era il nemico << Perfetto >> le disse, lei capì, e ridacchiò prima di uscire.




NA: Ciao a tutti!
Prima di tutto mi dispiace tantissimo per il ritardo. Non ho scusanti, lo so, ma vi prego comunque di essere comprensivi: tra università e lavoro non ho davvero più molto tempo, spremere questo capitolo è stato davvero difficile, ma spero che vi piaccia.
Come sempre sono ansiosa di leggere le vostre impressioni, non fatevi problemi ad essere spietati!
Infine ringrazio dal profondo del cuore chiunque sia riuscito a leggere fin qui. Vi voglio bene <3
   
 
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