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Autore: Margaret24    02/11/2016    6 recensioni
Londra 1996. Un mago solitario a noi noto vaga per la città nel corso di una triste giornata straordinariamente ordinaria per i tempi che corrono. Finché un incontro ravvicinato alquanto spiacevole non mette a dura prova la sua tenacia...
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Trent'anni di solitudine
 
“E’ una questione di potere attraverso il controllo,
ci distruggono la volontà e ci stuprano l’anima,
ci prosciugano di ogni energia finché non ci rimane nulla,
Oh mio dio... oh mio dio... “
(We are – Ana Johnson)
 
 
 
Continuò a camminare, da solo, come faceva ormai da tutta la vita. Si rimise le mani in tasca, cercando di ignorare il tintinnio dei pochi spiccioli rimasti. Non voleva tornare subito a Grimmauld Place. Si rimproverò mentalmente per la sua rinnovata, inutile quanto pessima abitudine di rimuginare sui problemi, eppure non riuscì ad impedirsi di avanzare distrattamente lungo il marciapiede, col capo chino e lo sguardo assente. La vita gli aveva insegnato a suon di ceffoni a lasciarsi scivolare le ingiustizie addosso, al punto da doverle accettare fino a confonderle spesso con ciò che era giusto. Eppure a volte faticava a mettere a tacere quel minimo d’amor proprio, e si lasciava sopraffare dall’indignazione, dalla frustrazione, dalla tristezza, dalla rabbia... dal dolore. Una sera, spiegando a Ginny Weasley quanto era successo nella Stamberga Strillante quasi due anni prima, la ragazzina aveva guardato il pavimento  con occhi lucidi e davanti al suo sguardo interdetto gli aveva sussurrato:
“Come fa, professore, a sorridere sempre dopo tutto questo? Come fa a rialzarsi ogni volta dopo che un mostro la possiede?”
Già... come faceva?
Remus rabbrividì e si fermò di colpo, completamente ignorato dai passanti frettolosi che percorrevano la via assieme a lui. Il termometro che lampeggiava dall’insegna poco più avanti segnalava due gradi sopra lo zero a fine aprile. Nuvolette di condensa si levavano dalle bocche della gente, che accelerava il passo sfregandosi le mani. Si sentiva strano. Avvertiva un vuoto malsano dentro di sé. Strinse la mano destra attorno alla bacchetta, i nervi a fior di pelle, e riprese a camminare. Lo sguardo gli si era appena posato su una donna poco distante che si era fermata ad asciugarsi furtivamente le lacrime, quando udì delle grida strazianti. Sobbalzò allarmato sfoderando la bacchetta. Un’alta figura scura e ammantata svoltò l’angolo in fondo alla strada e scivolò lenta lungo l’asfalto, mentre due persone svennero al suo passaggio.
Le urla acute si fecero più forti.
Quel bambino nella sua testa gli stava perforando i timpani.
Remus strizzò le palpebre e scosse il capo per sgombrare la mente, cercando di tenere a bada il panico. Non poteva Smaterializzarsi: non con tutti quei Babbani in preda alla disperazione che non riuscivano a schiodarsi da lì, senza capire il perché. Alzò la bacchetta combattivo e si concentrò sull’unico ricordo che conservava ancora come un talismano dall’ultima volta che aveva incrociato un Dissennatore. Pensò a Harry, che aveva finalmente conosciuto e che aveva tutta la vita davanti, che era la loro speranza e che aveva un gran cuore nonostante tutto.
Expecto Pat...
La punta della sua bacchetta aveva a malapena sprigionato una fiamma argentea, quando il Dissennatore si voltò verso di lui e rantolò profondamente, cominciando ad assaporare i suoi ricordi mentre si avvicinava. Le urla del bambino aumentarono d’intensità, accompagnati dalla voce di un uomo che lo chiamava disperato...
Remus! Oddio... figlio mio... parlami, ti prego, svegliati!
Strinse di più la bacchetta e si sforzò di pensare a Harry, a Harry che cercava di convincerlo a restare a Hogwarts, che gli sorrideva eccitato dopo la partita di Quidditch... a Harry che non aveva saputo della sua esistenza per dodici anni, che gli urlava contro accusandolo di averlo tradito, che vedeva i Thestral per aver guardato un amico morire assassinato...
Assassinato da Peter.
Non andarci, ragazzo. Non troverai altro che macerie: James e Lily non sono più lì
C’era stato un tempo in cui gli bastava pensare ai suoi cari per evocare un Patronus.
Sii forte, amore mio... Tua madre sarà sempre qui...
Ora, mentre il gelo gli invadeva i polmoni, scosso da brividi incontrollabili e con gli occhi fissi sul Dissennatore che gli si avvicinava con malizia, quegli stessi bei ricordi facevano male. Più scavava freneticamente nella memoria, più si rendeva conto che non gli era rimasto niente. Non era niente, lui, in fondo. Era un fallito, un incapace, un bugiardo. Era solo. Una furia cieca si impadronì di lui quando ripensò a tutto quello che aveva perso, e ignorando altre voci che lo insultavano e lo accusavano, pensò a Sirius e alla gioia che lo aveva colto quando aveva abbracciato l’amico nella Stamberga Strillante. Ma anche quel volto portò con sé pugnalate nei reni, sapeva di diffidenza e di vita spezzata e di tradimento...
James potrà anche negare l’evidenza, ma Silente non sarà mica stupido. Mi capisci, Remus?
Sentiva nelle orecchie i battiti lenti del proprio cuore, le ginocchia cedere. Non riusciva, non riusciva ad aggrapparsi alla sua memoria senza pensare che i bei ricordi non sarebbero più tornati, che ogni piccola felicità aveva avuto il suo caro prezzo. E chissà, magari era per questo che evitava di parlare con Tonks – e l’immagine del viso allegro della strega gli causò una stilettata nel ventre. Forse non era solo il pensiero di trascinarla all’inferno insieme a lui. Forse Remus aveva paura di soffrire a sua volta per un suo rifiuto o magari per il suo abbandono. Temeva il giorno in cui si sarebbe sentito di nuovo solo anche tra coloro che amava. Aveva il terrore che quella parola rimbombante ora nella sua testa uscisse anche dalle labbra di Ninfadora un giorno...
Mostro
Lui era un mostro.
Il Dissennatore era sempre più vicino, e Remus aveva abbassato la bacchetta senza rendersene conto. Ed ecco insinuarsi attraverso la sua pelle la sofferenza che aveva cercato di scacciare con l’ultimo barlume di speranza, ormai divorata anch’essa dall’essere davanti a lui. I demoni che imprigionavano la sua coscienza ogni mese, quello stupro che si ripeteva senza tregua ormai da trent’anni, l’orrore e la ferocia che il suo povero e misero corpo sopportava plenilunio dopo plenilunio, l’odore della sua stessa paura...
Ibrido.
Tu non appartieni.
Il gemito con cui cadde in ginocchio fu quasi impercettibile. Non distingueva più il dolore fisico da quello emotivo.
Tu non meriti.
E’ colpa tua.
Si strinse nelle spalle e cominciò a sfregarsi gli avambracci, nel vano tentativo di placare il tremito violento che lo scuoteva da capo a piedi. Quell’essere abominevole torreggiava ormai su di lui, e Remus pensò confusamente che vi fosse una somiglianza maledettamente ironica tra la vittima e il carnefice, due Creature Oscure solitarie che prosciugavano la felicità altrui senza goderne mai davvero. Sentì il gelo soffocarlo ad ogni respiro del Dissennatore.
Perché lottare?
La sua sofferenza non avrebbe avuto mai fine. Non sarebbe stato mai più felice in tutta la sua vita. La gioia era un’illusione, tutte le cose belle erano una menzogna. La gente lo disprezzava e lui disprezzava se stesso.
“Che cosa gli hai detto?”
“Ti prego, Remus...”
“COSA GLI HAI DETTO?!”
“Che... che i licantropi... m-meritano di morire... Ma io non penso questo, Remus, te lo giuro, non penso davvero questo, ero arrabbiato... Perdonami...”
Nessuno gli voleva davvero bene per quello che era. Nessuno si sarebbe accorto dell’assenza di un’anima già mutilata. Una mano viscida, putrida e gelida gli accarezzò il mento e lo costrinse ad alzare lo sguardo...
Senza preavviso, il Dissennatore gli afferrò la gola e lo sbatté forte contro un muro. Il bambino nella sua testa urlò di terrore più forte che mai, e fu in quei due secondi che il suo istinto di sopravvivenza ebbe il sopravvento. Non era bello, né piacevole, né allegro. Era disperato. Lottando per respirare e dimenandosi contro la prepotenza del Dissennatore, strinse di nuovo la bacchetta.
Io non sono come te.
Io non voglio morire...
Expecto Patronum!” cercò di urlare con un filo di voce strozzata, ma fu sufficiente.
Un’accecante esplosione argentea si sprigionò dalla sua bacchetta, e il Dissennatore mollò la presa. Nello stesso istante Remus crollò a terra, boccheggiando e tossendo, mentre una calda luce a forma di lupo spinse la macabra figura lontano da lui, inducendola a tagliare la corda. Il viale cominciò a rischiararsi, la nebbia si dissolse insieme al gelo. Restando carponi a terra, sostenendosi con una mano appoggiata al muro, Remus avvertì il calore del proprio Patronus avvicinarsi. Lo squadrò in tralice. Era l’incanto più assurdo che avesse mai imparato in vita sua: la parte migliore di sé che gli aveva salvato la vita e che allo stesso tempo gli faceva risalire la bile in gola al solo guardarla. Lupo. La prima volta che aveva fissato quegli occhi animaleschi, beh... Non c’era bisogno di riportare di nuovo a galla quell’evento traumatico, non quando il proprio Patronus continuava a puntarlo quasi con rimprovero. Scosse il capo debolmente, incredulo per aver quasi umanizzato una mera proiezione in quella confusione che gli opprimeva ancora il cranio.
“V-va da loro...” gli ordinò con voce impastata, alzando il mento verso i Babbani a terra. “Si s-sentiranno m-meglio...”
Il Patronus obbedì e si voltò correndo verso gli esseri umani svenuti. Remus udì delle sirene, poi delle voci concitate. Con fatica, riuscì ad alzarsi ed appoggiò la schiena ai mattoni rossi, cercando di racimolare in fretta le energie per Smaterializzarsi. Si passò una mano sul viso, sentendolo umido e tiepido, e si massaggiò le palpebre. Gli girava la testa come se fosse su un tappeto volante.
“Signore...”
Udì la voce ferma di un ragazzo da molto lontano. Con la coda dell’occhio percepì una luce bluastra lampeggiante alla sua destra.
“Signore, riesce a sentirmi? Sa dirmi il suo nome?”
Sentì delle mani afferrarlo per le spalle, e l’ultima cosa che vide furono delle macchie rosse fluorescenti davanti a lui, prima di perdere i sensi. Nessuno notò il lupo argenteo che ululava mentre spariva.
 
 
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò a fissare un viso incorniciato da una chioma rosa stagliata contro un soffitto bianco e udì una squillante voce familiare sovrastare uno strano bip ritmico.
“Grazie al cielo, Remus, credevamo di non trovarti più! Andiamo, ti porto fuori da qui, sono tutti preoccupati...”
Sorrise, mentre si sentì pervadere da un calore molto simile al suo Patronus, ma di gran lunga più piacevole.

 
 
 
 
Angolo autrice:
Salve a tutti! Spero stiate tutti bene :)
Non è la cosa più bella che abbia mai scritto, me ne rendo conto. Per una volta che sono riuscita ad acciuffare Ispirazione, non potevo lasciarmela scappare di nuovo, pur facendo cominciare una fan fiction in media res (quanti tecnicismi!). Diciamo anche, parlandovi col cuore in mano, che questa è una delle rare volte in cui ho messo un bel po’ di me stessa in una fan fiction, molto più di quanto mi aspettassi. I Dissennatori, com’è ormai noto ai fan di Harry Potter, rappresentano la depressione, l’invadente ricordo dei peggiori momenti della nostra vita, la speranza che viene a mancare, i sentimenti negativi e la disillusione verso noi stessi e la realtà circostante, la perdita di una motivazione valida che spinga ad andare avanti. E Remus, beh, è il simbolo di ogni tipo di sofferenza del mondo reale, direi.
Vi ringrazio per la lettura, piacevole o meno, ma spero emozionante. A recensioni donate non si guarderà in bocca ;) Abbraccione!
Meg
  
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