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Autore: Apalapucian_HP    03/11/2016    2 recensioni
Prompt di Jilytober 2015: James, Lily, e Harry sopravvivono al 31 Ottobre 1981.
«Dire certi nomi ad alta voce fa ancora male, perciò non lo fanno.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Durante l'infanzia di Harry
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Green light
 
 
 
 
 
 
1982
 
Dire certi nomi ad alta voce fa ancora male, perciò non lo fanno.
Si svegliano presto. C’è uno strano silenzio che si aggira lungo i corridoi, quello che pensano se ne sia andato nell’ultimo anno, ma, be’, è il trentuno di ottobre. È destinato a tornare. Non a perseguitarli, non esattamente, forse solo per ricordare loro. Che sono destinati a commemorare. Che lo devono ai loro amici. A… Frank e Alice.
Frank e Alice. L’acqua picchia sulla schiena nuda di James e lui appoggia una mano contro alle piastrelle della parete in fronte a lui, l’altra che va a massaggiargli la nuca. Respira profondamente, respiri lenti con la bocca, guarda i rivoli d’acqua che si rincorrono l’un l’altro. Pensa, cosa ci vuole per lavare via tutto il senso di colpa? Frank e Alice, Frank e Alice…
Esce dalla doccia e fissa il proprio riflesso nello specchio del bagno. Frank e Alice. Già. Fa certamente ancora male.
Tiene la mano di Lily sotto al tavolo per tutta la colazione, e lei riesce a sogghignare ai suoi tentativi di mangiare con una mano sola. È ancora buio quando escono. Non lasciano Harry. Non possono. I vecchi cancelli arrugginiti appaiono davanti a loro dopo la nebbia della materializzazione e lui dorme ancora tra le braccia di suo padre, i piccoli pugnetti chiusi e che stringono la camicia di James. Sembra così calmo, il loro Harry, così felice nel sonno. James gli accarezza i capelli e gli bacia la testa. Gli dispiace per tutto il resto, davvero. Ma non gli dispiace che Harry sia qui, sia salvo e vicino e che respira contro il suo petto.
Le tombe sembrano nuove. Augusta, indovina James. Lily si abbassa per premere una mano contro il nome di Alice, scostando una foglia solitaria. Non dicono nulla. Lily tira su con il naso, e James avvolge il braccio libero attorno a lei.
La via del ritorno è migliore, più leggera. La mano di Lily non è più fredda. Harry si muove al suono dei cancelli che scricchiolano chiudendosi. Per un attimo, sembra che inizierà a piangere, ma il sole spunta all’orizzonte, e meravigliato guarda la luce rovesciarsi sul cimitero bagnato di rugiada da sopra la spalla di James.
 
1983
 
James dorme, e Lily si gira dall’altro lato per guardare la finestra. È una finestra più larga, e c’è un albero diverso che si staglia contro l’oscurità, un’immagine non familiare incorniciata dal legno bianco offuscato dalla notte. Gli insetti sono più silenziosi e le stelle sono… mmm. Più timide. Anche se potrebbe benissimo essere il tempo, ovviamente. La solitaria scrivania nella stanza è priva dei suoi libri di pozioni, dei suoi appunti. Niente poster del Quidditch fissati al muro. Niente oggetti di Grifondoro. Anche gli scaffali. La lista continua, una parata disordinata di elenchi puntati che vanno troppo veloci, così veloci che nemmeno i respiri calmi di James dietro di lei possono rimettersi al passo e calmarla, questa volta: il pavimento cigola in maniera diversa. La scala è più lunga, più ampia – non di tanto, non comparabile a quella della casa di famiglia di James, ma la differenza è comunque estrema. C’è una macchia di muffa in uno degli angoli del soffitto in cucina. Le credenze sono vuote, due stanze sono non ammobiliate, hanno bisogno di nuovi divani, forse un tavolino da caffè, rose gialle in giardino…
Lei chiude gli occhi e sospira. Per ora, si ricorda. Praticamente vuota per ora. E non c’è niente di male! Non c’è niente di male nell’essere venuti qua, nel lasciare Godric’s Hollow. Ne hanno bisogno. Lei, James, e Harry. Godric’s Hollow era casa, ma era casa durante la guerra, e per quanto abbiano provato tutti a spazzare via ciò che era rimasto della battaglia dai suo angoli, ciò era rimasto nell’aria e li derideva di ingolfarli nuovamente ogni volta che la casa diventava troppo ferma, troppo silenziosa. Eco delle terribili notizie di mezzanotte erano rimaste, e i costanti attacchi di… di incertezza, di terrore – dio, il terrore. Di essere rinchiusi per sempre. Di essere assassinati quando escono. Ne avevano bisogno. Questo è giusto. Sarà una casa migliore.
Un corto, tentennante cigolio rompe il silenzio, spaventando i pensieri di Lily. Prima che possa ragionare che il suono proviene dal corridoio – hanno lasciato la porta aperta così che possano sentire la casa, e Harry – loro figlio è sull’uscio, con le sopracciglia corrugate visibili attraverso gli scarsi residui dei lampioni che arrivano nella stanza dalla finestra.
Lily alza una mano per farlo entrare, ma prima che possa parlare, James esclama, “Hey, amico,” senza nessun segno di essere mai stato addormentato.
Lei si siede per osservare sorpresa suo marito, ma i suoi occhi strizzati dalla mancanza delle lenti sono fissi su Harry, che entra nella stanza a piedi nudi e occhiali storti, e i capelli uno specchio della stessa tempesta sulla testa del padre. Si ferma ai piedi del letto e dice nella sua sottile voce stanca, “Posso dormire qui?”
“Certo,” dice James, ora seduto anche lui, “Allora vuoi che andiamo noi nella tua stanza?”
“Papààààà,” geme Harry, e James ride, e lui e Lily si fanno da parte così che Harry possa rannicchiarsi in mezzo. I cuscini vengono aggiustati e le lenzuola tirate su fino al mento del bambino. I suoi occhiali vengono posati accanto a quelli di James sul comodino.
“Okay, ora penso di poter dormire,” commenta contento Harry, chiudendo già gli occhi.
Sono tutti zitti per qualche istante, James e Lily che si guardano nel buio sopra al figlio, lo stesso soddisfatto, preoccupato, felice, stanco – tutto quasi – sorriso fisso sui loro visi.
James cerca la mano di Lily, tracciando cerchi sopra le nocche con il pollice. Harry si muove appena sotto di loro, borbotta, “Tutto bene, mamma? Papà?”
E i quasi-sorrisi degli altri due diventano veri sospiri-sorrisi di sollievo, un soffio di felicità che non sapevano di aver tenuto dentro cautamente fino ad ora.
“Sì, tutto a posto.”
“Fai bei sogni, Harry.”
 
1984
 
Lei si sveglia tardi e James non è di fianco a lei. Il suo cuore perde un battito, ma il panico non dura più a lungo, e lei si sente più sicura dei suoi passi e del pavimento e della loro presenza qui più di quanto non abbia mai fatto.
Tre anni. Tre interi anni, ed è davvero, davvero passato, vero?
Ci sono delle rose gialle sul tavolo della cucina. Una tazza di caffè incantata per rimanere calda. Uno scribacchiato “Buongiorno! : ) James & Harry” su un pezzo di carta, il bordo strappato di uno scontrino per… il latte, scopre. E fragole. Può sentirli nell’altra stanza dove il progetto di James per il sedile sotto la finestra attende quasi terminato. Harry sta ridendo. Fa domande, prende in giro la trasandata opera del padre, fa cadere l’oggetto che gli è stato chiesto di passare.
Rose e caffè e risatine vicine. Questa è la sua vita ora. Lei sfiora i fiori, e sembrano gocce di luce sotto la sua mano.
 
1985
 
“Pensi che Moony stia bene?” domanda Sirius, seduto tutto pensoso e a gambe incrociate sul bancone, e James si chiede se si renda conto che non è la prima volta che glielo chiede. Nemmeno la seconda.
“Non lo so,” risponde, fingendo distrazione. La cosa buona è che non ci vuole molto ora. Guarda il foglio d’istruzioni per la ricetta numero tre, attaccato al muro, facendo fatica a capire la propria grafia. Cucinare senza la magia è una tale scocciatura. Ma tocca a lui quest’anno, e – visto che è uno scemo orgoglioso, un arrogante bullo – ha chiesto a Lily e Harry di uscire di casa mentre lui cucina la migliore cena della loro vita, così che nessuno degli interventi necessari di Lily o degli infiniti attacchi di “test di prova” di Harry la possano rovinare. Già, pensa, perché la sta già rovinando da solo, grazie mille. “Ehi, potresti passarmi quel barattolo – no, non quello – sì. Grazie.”
Silenzio. James lancia un’occhiata a Sirius senza muovere la testa, e viene riempito dall’esasperazione alla smorfia sul suo viso. “Senti, perché non gli mandi semplicemente un gufo?”
“Potrebbe essere ancora arrabbiato con me,” risponde Sirius, e l’immediatezza della sua risposta è prova, nuovamente, di quanto stia pensando alla questione.
Non che James non l’abbia fatto. È solo che – Moony ne ha bisogno. Ha bisogno di stare lontano e tenere il broncio o quel che è per ora. Ma tornerà. James è sicuro. E fino a quel momento non c’è da far altro che aspettare.
“Pensi che non avrei dovuto dire niente?”
James prende tempo sbarrando altri due passaggi delle istruzioni, probabilmente sbagliando le misure perché la sua mente è da un’altra parte, ma al diavolo. “Non lo so.”
Sirius alza gli occhi al cielo e sbuffa. “Sei davvero di aiuto, sei.” Si becca una spolverata di farina in faccia per quello. James non ha avuto bisogno di guardare per mirare. Sorride quando lo sente tossire e imprecare.
E poi, mentre aggiunge del sale (che è sicuramente troppo sale del richiesto “pizzico”), James dice, “No, non penso.”
“Cosa?”
Ho detto,” James ripete, abbandonando il suo lavoro sul lavello e voltandosi finalmente verso Sirius, ma è distratto da quanto l’amico sembri pulito in confronto al suo grembiule macchiato di marinata e i suoi occhiali pieni di farina. “Sai, non sei un aiuto migliore di Harry. Per niente. Almeno lui non fa domande stressanti mentre lavoro.”
“Per prima cosa: non stai lavorando. Stai… che ne so, cazzeggiando. Seconda cosa,” lo dice alzando una mano per zittire James, che stava per replicare riguardo il cazzeggiare, “quindi ti sta stressando. Lo sapevo. Stavi cercando di essere tranquillo, ma lo sapevo.”
“Oh, taci. Certo che mi stressa, Padfoot, tu mi stressi sempre. Sei una persona estremamente stressante. Ma come ho detto, non lo penso.”
“Non pensi cosa?”
“Che tu non avresti dovuto dire nulla. È un bene che tu gliel’abbia detto. Sarebbe stata questa grande divisione tra voi due. Non sarebbe piaciuto a nessuno.”
Sirius corruga la fronte. “Quindi ti piace che non ci parli?”
“Parla con me,” risponde James, “E Lily.”
Sirius alza un sopracciglio.
“D’accordo, non mi piace. Ma tu ovviamente ti senti ancora in colpa per l’averlo sospettato. Sei sempre così… cortese. Non pensi che lo notiamo? E sappiamo entrambi che non andrà mai via a meno che lui non ti perdoni, cosa che non succederebbe mai se non sapesse che tu avevi un’offesa per incominciare.”
“Già, beh, ora lo sa, e ci odia.”
“Solo te, amico.”
Grazie, Prongs.”
“Ma certo che avrebbe reagito così! Gli hai pur detto che non ti fidavi di lui. Che pensavi – ”
“ – pensavo fosse la spia, già. Ma quello era prima, lo sai.”
“Sì, lo so.”
“Ora lo so – per certo – che posso fidarmi di lui, potrei affidargli la mia –”
“La tua vita?” suggerisce James, quando Sirius lascia la frase in sospeso.
“Be’, no. Non lo so. La mia moto, forse.”
“Stessa cosa.”
“Vero.”
Si guardano l’un l’altro; Sirius sposta lo sguardo per primo per fare la smorfia da “dio, sono così stupido”. “Perché cazzo ho dovuto dirglielo. È passato così tanto. Stiamo tutti bene ora. Avrei dovuto tenermelo per me. Per sempre.”
“Smettila di biasimarti. Tu, ehm… guadagni un punto onestà da parte mia.”
“Non è nemmeno stata onestà. Non è che qualcuno abbia chiesto.”
“Eri ubriaco, lo eravamo tutti.”
“Ho scazzato.”
“Sì, esatto.”
Sirius sembra scandalizzato: “Wow. Non hai nemmeno esitato.”
“Ti ho già trovato due scuse e sono a tanto così dal rovesciarti questa casseruola in testa,” dice James, “Diamogli una settimana. No – tre giorni in più. Se allora ancora non ti parla, gli parlerò io. Ma lascialo bollire un po’ per ora, okay?”
Sirius sospira. Non dice di sì né annuisce, ma James sa quand’è rassegnato. Chiudono lì il discorso e Sirius inizia la sua attesa di tre giorni con finalmente il saltare giù dal bancone per aiutare. Osserva brevemente il piatto di James (o l’atrocità che è diventata), stringe gli occhi verso quell’orrenda grafia, e poi da una pacca sulla testa di James. “Ti sei dimenticato il numero quattro, master chef,” puntualizza, puntando un dito contro il foglio.
“Oh, ma dannazione.”
 
1986
 
Harry sparisce. Sirius va a prendere Remus ad Hogsmeade e vanno in moto dai Potter, Sirius che si lancia dentro prima che l’altro possa bussare.
“Quanto ci mettete a cambiarvi?” sgrida James e Lily, mentre tutti frugano nei nascondigli soliti di Harry, non trovando nulla “Vi siete fottutamente distratti, vero? Giuro su dio – ”
Gli piacerebbe,” Lily scatta, “Stava facendo l’idiota, come al solito.”
“Oh io sto facendo l’idiota –” incomincia James, ma Remus lo zittisce.
“Stavate litigando?” domanda, scambiandosi un’occhiata con Sirius intanto che entrambi scuotono la testa all’unisono.
Loro (ovvero Remus) trovano Harry nella piccola credenza del sottoscala. Si è addormentato. Con il mantello dell’invisibilità di James – che si è procurato senza la consapevolezza né il permesso dei genitori, come viene scoperto, e onestamente Sirius non sa se essere ammonitorio od orgoglioso a riguardo, ed è solamente contento che non sia comunque il suo compito.
“Vi avrei solo spaventati,” spiega Harry, con aria davvero colpevole. “Ma ci avete messo così tanto a scendere! Mi sono addormentato.”
“Be, ci sei sicuramente riuscito,” risponde Remus, “Eravamo tutti molto spaventati.”
“Non scomparire mai più così!” Lily sgrida Harry, ma lo sta stringendo così forte, e James si sta ancora passando le dita tra i capelli ma guarda anche la moglie e il figlio come se si sia dimenticato quale stupida litigata li abbia tenuti così tanto al piano di sopra. E dovrebbe, davvero.
James la bacia a lungo sull’uscio di casa prima che lei esca per incontrare qualche cretino importante per lavoro. Remus dovrebbe tornare a Hogwarts ora che il problema è risolto, e alza gli occhi al cielo dal gradino più alto delle scale del portico mentre aspetta che quella scenetta disgustosa finisca. Sirius, che invece rimane, riproduce i versi di un conato, facendo ridere Harry.
Più tardi, in salotto, Sirius e Harry si scambiano le figurine delle Cioccorane. James è in cucina a lavare i piatti. Nella seguente calma del tardo pomeriggio, Harry confida sottovoce a Sirius che mentre stava aspettando nella sua nicchia, prima di addormentarsi, gli è venuto in mente che i suoi genitori potessero non aver voglia di cercarlo più.
“Nah, ti troveranno sempre. Non li hai visti? Erano così –” fa delle esagerate smorfie di preoccupazione, e Harry ride di nuovo.
“Ma ero addormentato. E se non lo ero? E se mi sono solo perso?” (*)
“Ti troverebbero comunque.”
“Anche se ho il mantello?”
“Perché sei sperduto e con indosso il mantello?”
“Eeemmmm… non lo so.”
Sirius annuisce solennemente: “Anche se tu avessi il mantello.”
“Anche se sono sotto le scale di zia Petunia?”
Sirius ride: “Anche se tu fossi sotto le scale di mia madre.”
Harry fa una smorfia. E poi dice: “Mi ha trovato lo zio Moony però.”
“Importa?” chiede Sirius, arruffando i capelli del bambino. “Ha solamente fatto prima del tuo papà. E di me. E, be, della tua mamma. Ma uno di noi ti troverà sempre. Oh guarda,” alza una carta che ha appena catturato la sua attenzione, stringendola tra indice e medio e poi lanciandola verso la pila di Harry, “È tuo nonno!”
Più a lungo Harry la fissa, più la ruga tra le sue sopracciglia diventa profonda: “Perché… ehm, i miei capelli non saranno così quando crescerò, vero?”
 
1987
 
Lily si sposta sulla sedia così da poter guardare Miss Cole dritto negli occhi. Di fianco a lei, James le stringe la mano, ma lei non sa se sia solamente nervoso. “Semplicemente non credo che qualcuno possa far diventare i capelli di qualcun altro completamente blu,” spiega Lily, “Senza la, uhm, completa partecipazione dell’altro…”
“E le sopracciglia,” le ricorda James, dandole un colpetto nel fianco.
Lily annuisce: “E le sopracciglia, infatti. Grazie, James.”
“Di niente, Lily.”
Miss Cole appare decisamente afflitta dietro alla sua scrivania, con le labbra strette alla McGonagall e gli occhi piccoli che affondano sotto le rughe d’espressione. Ispeziona James, Lily e Harry, quest’ultimo in piedi dietro al padre e che ancora lancia occhiatacce di disprezzo all’altro ragazzino. E poi c’è Kevin, un bambino grosso e robusto che potrebbe benissimo essere il gemello di Dudley, se non fosse per i capelli – e le sopracciglia – della più vivida sfumatura di lapislazzulo che ci sia. I suoi genitori (schifosamente ricchi, per quanto ne sanno) non ci sono, e lui è invece accompagnato da una furiosa, sconvolta, assai frastornata tata chiamata (soprannominata?) Baby.
“Kevin dice che è stato lui,” esclama Baby, puntando un dito rugoso contro Harry. Lei parla in un rumoroso e sputato sibilo che è il suo tentativo di “rimanere calma” dopo essere stata ripresa molte volte per essere così dannatamente chiassosa. “Kevin non farebbe mai una cosa del genere a se stesso…”
“Oh, perché? Gli sta benissimo,” dice James, viso composto e meravigliata preoccupazione e tutto. L’occhiataccia di Harry si interrompe, ma almeno ha il senso di mordersi il labbro per trattenere la risata.
Harry non finisce troppo nei guai, grazie a Merlino, soprattutto per mancanza di prove. Lily non aveva del tutto torto, e Miss Cole è portata a concludere che i due ragazzi devono essersi messi d’accordo per trafficare e colorare i capelli di Kevin, con l’iniziale consenso di questi, ma ora sembra (ancora di più) ridicolo e non ne è felice.
(Ciò che è successo in realtà, se qualcuno vuole saperlo, è stato che Kevin voleva dare a Harry un taglio di capelli gratis, perché pensava che il suo compagno di classe “quattrocchi” sembrasse stupido con quella zazzera in testa. Nessuno sa perché diamine a Kevin importi di ciò. Che sia stato per il suo genuino interesse per i capelli altrui o semplicemente la sua naturale idiozia, tra la ricreazione e matematica Kevin ha rubato gli occhiali di Harry, lo ha spinto in un angolo e lo ha agguantato per il colletto incombendo trionfante su di lui con un paio di forbici in mano – poi Harry ha afferrato alla cieca la sua testa e i suoi capelli sono diventati. All’improvviso. Tutti. Blu.)
Harry e Kevin si borbottano scuse a vicenda, e Harry lancia occhiate con cautela ai suoi genitori quando Miss Cole chiede loro di stringersi la mano. Lily annuisce; James gli sorride, mette una mano sulle sue spalle e lo spinge in avanti. Harry deglutisce al luccichio negli occhi di Kevin quando questo gli prende la mano piccola tra le sue dita grosse, pronto a reagire – ma poi James piega la testa da un lato e – Lily non ha visto del tutto, era dietro, ma è quasi sicura che suo marito abbia appena lanciato a Kevin l’occhiata. Non lo sguardo truce, quello lo riserva ai suoi pari. È l’occhiata; quella calma, gelida, compiaciuta occhiata da James Potter che sa di non perdere. Ha fatto vacillare avversari ben cresciuti in passato, perciò Lily può solo immaginare quanto assolutamente terrificante possa essere per un bambino di sette anni.
Kevin lascia la mano di Harry in appena due secondi. È fuori dall’ufficio in cinque.
James guarda Lily per sorridere. Lei alza gli occhi al cielo – ma non può fare a meno di sorridergli di rimando.
 
1988
 
 La gelateria è affollata, ma riescono a trovare un tavolo libero per due nel patio, sotto l’ombra di un grande ombrellone rosa. A metà del suo gelato (cioccolato e lampone con scaglie di nocciola), Harry si aggiusta gli occhiali e apre la bocca per dire qualcosa, ma lo zio Moony lo batte: “La risposta è no, Harry.”
“Non stavo per chiedere ancora!”
“D’accordo. Cosa c’è?”
“Volevo solo dire… che prometto di non dirlo a nessuno. Prometto. Nemmeno a papà. O a mamma!”
Remus ride: “Pensi che non lo sappiano?”
Harry sgrana gli occhi, e fa cadere il cucchiaio in un gesto di disapprovazione. “Sanno qual è il tuo Molliccio? Perché non lo vuoi dire a me?”
“Perché non voglio mentirti. Ora sei grande, come continui a ricordarci – e siamo amici! Ma non voglio nemmeno dirti cosa sia… per ora.”
“Ma…”
“Andiamo, Harry.”
“Ma ora manchi nella lista.”
“Mi dispiace davvero tanto.”
Harry fa il muso, riprende a mangiare il gelato, e poi: “Okay, e il tuo Patronus invece?”
Remus ci pensa su un attimo. “Lupo,” risponde a bassa voce.
Figo.”
Remus sorride raggiante: “Sì, più figo di quello di tuo papà. E di quello di Padfoot.”
“Oh… mmmm, non lo so. Mi piacciono davvero i cervi. Hey, zio Moony.”
“Sì?”
“E zio Padfoot? Lo sa? Non glielo dico, se sei preoccupato di quello.”
Remus ride, sporgendosi per togliere il cioccolato dal naso di Harry: “Mi dispiace, lo sa. Ascolta, e se domenica prossima ti portassi ad Hogwarts? Ti porto alle cucine. Quello compenserà l’essere lo zio patetico, no?”
Harry s’illumina: “Davvero?”
“Sì.”
Sì! Sì, per favore.”
“D’accordo.”
“Possiamo andare sabato?”
“Ah, no. Il negozio di scherzi apre sabato.”
“Ah, già…”
Il gelato finisce e la passeggiata verso casa è calma, colorata d’autunno. Quando la folla si dirada in uno slargo della strada, Harry da un colpetto al fianco di Remus. “Hey, zio Moony.”
“Spero davvero che tu non me lo stia per chiedere di nuovo.”
Noooo!”
“Vai, allora.”
Harry gli sorride: “Non penso che tu sia pietoso.”
 
1989
 
“State scherzando”, esclama James, riverente e sgomento, e Lily sa di aver fatto la scelta giusta.
“Invece no,” risponde canticchiando.
“Ma questa è… è l’ultima Comet,” fa scorrere la mano lungo il liscio nuovo manico di scopa, la bocca ancora aperta per la meraviglia. “Come…”
“Abbiamo contribuito tutti. Sirius, Remus, e…”
“E io!” esclama Harry, saltando e abbracciando quello che riesce a raggiungere di James. Stava scoppiando da quando hanno avuto quest’idea, ed è un miracolo, davvero, che sia riuscito a mantenere il segreto fino a ora. “Ho contribuito! Ho rotto Mister Jupiter!”
“Hai rotto Mister Jupiter?” chiede James, strappato in un attimo dal suo momento. “Ma stavi risparmiando Mister Jupiter per la tua scopa! E tu adori Mister Jupiter!”
“Mamma me ne ha comprato un altro. E’ un salvadanaio TARDIS! È più grande all’interno. E zio Moony dice che Hogwarts ha delle scope con cui posso allenarmi, papà, e zio Padfoot ha detto che mi comprerà lui un manico quando sarò davvero, davvero bravo a volare. E, papà, hanno detto – che giocherai nella Coppa del Mondo.
“Oh. Io… chi l’ha detto?”
“Tutti noi,” risponde Lily, sorridendo.
“La… Coppa del Mondo. Huh.”
“Sì!” esclama Harry, ora quasi urlando, praticamente saltando dall’eccitazione. “Giocherai per il Puddlemere United, vero? Voglio dire, le Vespe vanno bene, però…”
“Calma, Harry,” dice Lily. Il sorriso le va da un orecchio all’altro.
James alza una mano. “D’accordo, torniamo indietro un secondo – ma, Lily, il tuo lavoro…”
“Mi hanno dato il permesso di lavorare sulle pozioni a casa. Posso usare la camera in più al piano di sopra – non ti preoccupare, io e Harry abbiamo tutto sotto controllo. Vero, Harry?”
“Sì, infatti,” Harry alza il palmo per un cinque, e James sorride dolcemente a entrambi.
“C’è anche la rubrica al Profeta,” continua Lily, “E i ragazzi hanno già detto che Tom riuscirà benissimo a gestire il negozio di scherzi da solo. Ho solo pensato… non ti sei scordato, vero? So che mi dici sempre che è tutto okay, ma ti vedo quando giochi con Harry, e… è sempre stato il tuo sogno. Ora puoi, James. Perciò, ecco qua. Lanciati.”
James esala un fremente sospiro di incredulità, sopraffatto. E poi, scuotendo la testa a… loro, alla sensazione di essere lì con loro, ora, caro Merlino – lascia cadere la scopa e prende il viso di sua moglie tra le mani. Le labbra di lei hanno il sapore del volo, della vittoria, di Lily Evans sotto il faggio al lago quella prima volta, e molto, molto, molto di più –
“Meno male che zio Padfoot non è qui,” dice Harry, prendendo la scopa da terra e guardando i suoi genitori in altrettanta euforia.
 
1990
 
Kingsley Shacklebolt è Ministro della Magia, e James non deve (ri)provare il suo Patronus, perché è un Auror alto e con le sopracciglia folte che lo accompagna lungo il corridoio buio, e non un nugolo di barbarie incappucciate che vogliono succhiargli l’anima. L’Auror lo lascia alla penultima cella a sinistra, e dapprima non c’è nulla, solo diverse sfumature di oscurità ovunque James si volti, gli echeggianti battiti di acqua che sgocciola, lo smorzato furore delle onde molto sotto di loro. Pensa di sentire delle risate da qualche parte lì vicino; una fredda, stridula voce di donna che ride, e lui pensa di uscire semplicemente perché, dio, questo posto è pazzo. Ma poi c’è un movimento dall’angolo, dietro le sbarre ovviamente, e poi lui gli sta davanti, e James… non sa. Vuole tirargli un pugno.
“Prongs,” dice Wormtail. No – Peter. La sua voce è un sussurro stridulo, il volto è affossato, i capelli un lungo disastro a ciuffetti morti. È più magro di quanto James l’abbia mai visto.
“Taci,” esclama James, a voce bassa. Sente il bisogno di indietreggiare di un passo, non aspettandosi che Peter si attacchi alle sbarre per vederlo.
“Io – che cosa stai…” sta scrutando James dall’alto in basso, assorbendo voracemente qualunque cosa possa al di fuori di Azkaban. “Prongs, dannazione, sono così felice che tu sia qui…”
“Ho detto taci. Non sono venuto qui per te.”
Peter appare sorpreso, poi ferito, poi la sua presa sul metallo si allenta mentre un sorriso maniacale si allarga sulle sue labbra. “Chiaramente, lo sei. Non puoi evitarlo. Merlino. Non posso credere di aver quasi mollato.”
James sbatte le palpebre, incredulo: “Cosa?”
Mi dispiace, Prongs. Davvero. E sapevo che tu lo sapevi, sapevo che saresti tornato per me, ma è passato così tanto…”
James inizia a ridere: “Sei impazzito?”
Peter tace.
James lo guarda, lo guarda davvero, e la rabbia minaccia di ribollire di nuovo verso la superficie. Ma si trattiene, tiene i pugni chiusi lungo i fianchi. Prende un respiro profondo, si lecca le labbra, e poi: “Siamo felici.”
“Scusami?”
Ecco. Ecco perché è qua. Non per sfogarsi, ma per… per lasciar cadere tutto ciò che ha pesato su di lui. E ora che l’ha detto – non sapeva che quello fosse ciò che doveva dire, è praticamente venuto fuori da solo – si sente come se finalmente l’abbia fatto. Le mani si allentano. Pensa alla sua prima partita mondiale tra un mese, Sirius e Regulus che hanno ripreso a parlarsi, Remus a Hogwarts, Lily e Harry che preparano pozioni nella stanza in più. Serate pigre nella piazza del paese. Il primo anniversario del negozio di scherzi. Quella volta che hanno ballato la nuova canzone delle Sorelle Stravagarie sotto la pioggia…
“Siamo felici,” ripete, “Io, Lily, e Harry. Sirius. Remus. Tutti quelli che sono rimasti sono felici, Pete. Tutti vivi.”
Peter apre la bocca, ma non ne esce nulla.
“E non so se ti ho perdonato. Forse l’ho fatto, o forse… non so, forse ho solo smesso di tornare indietro. Non ho certamente dimenticato, ma fidati, lo farò.”
“Io…” ma ora non c’è niente che Peter possa dire. Forse davvero gli dispiace, e forse non sarà mai abbastanza, ma a James non importa. E sa che Peter sa ciò, lo vede sul suo viso, perché il suo ex amico taglia corta la frase. “Prongs…” 
“Ho finito con te,” replica James. “Addio, Wormtail. Da tutti noi.”
E in quel momento è sicuro che non è più arrabbiato, che è okay, davvero e finalmente, perché il nome non fa più così male come anni prima.
Nello stesso modo, pensa mentre cammina lungo i corridoi del posto più desolato sulla Terra, sentendosi così strano per essere così… così pieno di luce, in un posto così nello stesso modo in cui Frank e Alice (e Marlene e Dorcas e Benjy e Gideon e Fabian e tutti gli altri) non feriscono da un po’.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Nota di traduzione: so che ci sarebbe stato più correttamente un “E se non lo fossi stato?” al posto di “E se non lo ero?”, ma Harry qua ha cinque anni, dubito sarebbe capace di esprimere un congiuntivo trapassato.
  
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