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Autore: ClaireOwen    03/11/2016    3 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sapevo che prima o poi sarebbe successo,
sono in ritardo, un clamoroso ed imperdonabile ritardo ma è stata una settimana delirante e ho avuto davvero pochissimo tempo per cui perdonatemi...
(ovvero sentitevi liberi di prendermi a parolacce o robe simili ahah)
A mia discolpa posso solo dire che anche questo capitolo è venuto fuori un po' più lungo rispetto ai precedenti ed è anche vero che scriverlo è stata un'impresa direi piuttosto ardua, avevo paura di non rendere bene con le parole ciò che avevo in testa ma spero che non sia un totale fallimento, proprio per questo mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, se avete voglia di lasciare un semplice commento/suggerimento o una critica fatelo senza alcun rimorso!
Io vi mando un abbraccio affettuoso e vi lascio alla lettura.
C.



X
 
 
Se non fosse stato per Bellamy non avrebbe mai messo piede in quella chiesa si ritrovò a pensare mentre tutti aspettavano ordinatamente il loro turno per uscire.
E ancora, se lo stesso ragazzo non le avesse tenuto nuovamente la mano mentre Abby e Marcus si stavano scambiando la promessa, chissà quale sarebbe potuta essere la sua reazione, per non parlare del momento in cui il prete recitò la classica formula
“Se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione parli ora o taccia per sempre.”
In quel momento la stretta di Bell si fece via, via più forte, tanto che solo per un attimo, Clarke sentì la sua mano indolenzirsi eppure, ancora una volta, non disse nulla.
Più quel contatto era forte, meno avvertiva quella fitta al petto che le faceva venir voglia di urlare a squarciagola e di darsela a gambe.
 
Furono gli ultimi ad uscire.
C’era riso dappertutto, vide molte persone che non conosceva ridere.
Osservò da lontano il vestito di sua madre, classico e sobrio, diverso da quello che aveva visto nelle fotografie che la ritraevano con suo padre durante il grande giorno.
Abby era stretta in un abito panna e teneva ancora in mano un bouquet di rose bianche, era lontana da lei come forse non lo era mai stata, sovrastata dalla folla che si congratulava e abbracciava i neosposi.
Incontrò il viso di Marcus per un istante, l’uomo le rivolse un sorriso radioso che tentò di ricambiare nel modo più naturale possibile, non era lui il cattivo della storia, era solo una conseguenza… proprio come lei lo era stata per Finn e Raven.
Jasper li raggiunse con il fiatone, seguito a distanza da Monty.
“Pensavamo di avviarci, tua madre e Marcus per il ricevimento hanno affittato una villa sul mare, verso sud e ci vorrà un po’ per arrivare.”
“Mhh, va bene.”
Bofonchiò lei con un filo di voce e d’istinto si tirò Bellamy dietro quasi avesse paura di perderlo in mezzo a tutte quelle persone.
Non credeva potesse vedere così tanti volti sconosciuti ad un evento simile, sua madre si era data un bel da fare e di nuvo quel pensiero fu accompagnato da un filo di amarezza che sentì scorrere nel sangue delle vene sin dentro al cuore.
 
-
 
A Bell il mare non piaceva, gli faceva lontanamente tornare in mente suo padre, ovvio, erano ormai ricordi sfocati, non era che un bambino quando quell’uomo di cui non riusciva a pronunciare nemmeno il nome, lo portava in spiaggia nei pomeriggi d’estate.
Mentre lui sguazzava felicemente nell’acqua fredda dell’oceano, l’adulto se ne stava seduto sul suo asciugamano con il giornale davanti gli occhi scuri e la pipa che pendeva dalle labbra sottili e severe.
Vedeva gli altri bambini giocare con i propri genitori: costruivano castelli di sabbia bellissimi, giocavano con palloni colorati, facevano volare aquiloni e si rincorrevano sulla spiaggia.
Bellamy non aveva mai osato nemmeno chiedere nulla di simile al padre, conosceva già la risposta, così nuotava solo nel manto blu ed inventava buffi giochi solitari per passare il tempo, non amava la compagnia degli altri bambini, se non riusciva ad ottenere quella del suo papà per quale motivo avrebbe dovuto desiderare quella di altri?
 
Perciò quando arrivarono, la tipica brezza che gli scompigliò ulteriormente i capelli, gli fece provare un dolore che cercò di scacciare cercando gli occhi acquamarina di Clarke, il solo oceano in cui riusciva a perdersi senza voler trovare via d’uscita, privo di pena.
La spiaggia era ornata da fiori e lanterne, il sole era quasi tramontato del tutto ed i ragazzi si trovano con i piedi che affondavano nella sabbia fina.
“Non ho capito molto bene l’idea del ricevimento in spiaggia… non siamo un po’ fuori stagione?”
Osservò Monty
“Credo sia stata un’idea di Marcus.”
Disse Clarke ottenendo in pochi secondi l’attenzione di tutti e tre i ragazzi.
“Che c’è? La prima volta che l’ho conosciuto mi ha detto di amare l’oceano più di ogni altra cosa. E poi Abby non è tipo da mare, odia la sabbia e la salsedine…”
Lo disse con un tono soddisfatto come se avesse svelato la prima incrinatura di quel matrimonio appena celebrato.
Annuirono all’unisono, senza aggiungere nulla al riguardo.
Jasper tentò maldestramente di cambiare discorso facendo banali osservazioni sull’abbigliamento dei vari invitati.
Raggiunsero una sorta di gazebo a vetri dentro al quale c’erano i tavoli per il buffet ed una piccola orchestra che già si prodigava a diffondere una melodia blues.
Bellamy notò che ancora nessuno si era seduto, tutte quelle persone che per lui non erano che comuni volti di completi sconosciuti non facevano altro che scambiarsi calorosi saluti, sorrisetti e superficiali osservazioni.
Esattamente in quell’istante si sentì toccare la spalla, quando si voltò non pensava di trovarsi davanti proprio a quella persona.
Abigail gli stava rivolgendo un sorriso smagliante:
“Tu devi essere Bellamy!”
Già durante la cerimonia il giovane Blake si era stupito: Clarke e la madre non si assomigliavano per nulla. Le morbide linee della giovane Griffin erano secche e rigide sul corpo della donna, la seconda poi invece di una chioma bionda e lucente aveva dei lunghi capelli castani e gli occhi scuri sembravano essere così diversi da quelli così blu della figlia. L’unica cosa che sembrava accumunare le due era l’identica espressione seria e compita che però in quella giornata Abigail aveva mostrato decisamente molto meno della figlia.
“Salve signora Gr… Kane. E’ un piacere conoscerla.”
Gli porse la mano, non era molto pratico di situazioni così dannatamente formali e lontane dal suo quotidiano.
Con stupore, si ritrovò avvolto da un abbraccio.
“Chiamami Abby.”
A quanto pare la donna era anche molto più calorosa della figlia.
Lui annuì ed aggiunse
“Le faccio i miei più cari auguri, spero possiate passare una piacevole vacanza, Clarke mi ha detto che partirete stasera stessa.”
“Grazie caro, sì abbiamo l’aereo stanotte alle due. A proposito l’hai vista? Ancora non siamo riuscite ad incrociarci se non da lontano… Sai com’è con tutta questa confusione.”
Era convinto che la bionda fosse rimasta al suo fianco mentre erano entrati nella sala a vetri ma si rese subito conto che la ragazza mancava all’appello.
“Potrebbe essere al bagno?”
“Proverò a vedere…”
Fece per andarsene, poi parve ripensarci mentre prendeva da un vassoio che un cameriere le aveva premurosamente avvicinato due bicchieri di prosecco, riprese la parola porgendo l’alcolico a Bell.
“Come ti è sembrata?”
“La cerimonia? Stupenda signora, è tutto molto gradevole.”
La donna abbozzò una smorfia soddisfatta sul suo volto poi però decise di correggerlo
“In realtà parlavo di mia figlia… Siete in buoni rapporti, no?
“Beh sì…”
Sentì poca enfasi nella sua risposta, non capiva davvero come affrontare quel discorso così spinoso. Clarke non stava bene ma non era suo il compito di comunicarlo alla madre o almeno non del tutto
“Credo non sia facile per lei accettare tutto questo. Ma sicuramente non è nulla che non si possa risolvere o quantomeno chiarire con una genuina chiacchierata.”
Lei tirò fuori un perfetto sorriso materno che il ragazzo faticò a digerire, era pieno di quella tenerezza che solo una madre è capace di esprimere, una di quelle espressioni che non ricordava di aver mai visto sul viso di Aurora.
“Mi piaci Bellamy.”
Poi venne accalappiata da una coppia di signore ben vestite e si ritrovò solo nel bel mezzo della stanza, cominciò a guardarsi intorno, senza pensare molto alla conversazione appena terminata con Abigail i suoi occhi cercavano quella ormai familiare chioma bionda e quando finalmente la individuarono, il suo stomaco si chiuse come i pugni lungo il suo profilo snello ed elegante.
 
-
 
Si era allontanata appena aveva potuto rifugiandosi in bagno, sua madre era finalmente a piede libero e il solo pensare di poterle parlare guardandola negli occhi dopo una giornata simile la spaventava a morte. Non avrebbe saputo cosa dirle e soprattutto era terrorizzata dal non essere più in grado di tenersi e continuare a mentirle, un conto era farlo per telefono, un altro era fissarla dritta nelle pupille marroni e cercare di reprimere l’istinto di sbraitarle contro tutte le sue domande e le sue perplessità.
Così si era sbattuta velocemente la porta alle spalle e si era sciacquata la faccia con l’acqua gelida, si guardò per un attimo allo specchio, avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto mantenere uno sguardo impassibile ancora per qualche ora poi sarebbe finito tutto.
Sentiva la testa pulsarle, era come se tutta la rabbia e le incomprensioni rivolte alla madre fossero esplose in quel momento.
Pensò a Bellamy.
Lo aveva lasciato solo nel bel mezzo del ricevimento senza nemmeno avvertirlo e si sentì in colpa, lui era stato capace di starle vicino come nessuno prima e lei era scappata come una vigliacca.
Si costrinse a trovare la forza necessaria per varcare nuovamente quella soglia che la divideva da una miriade di invitati che avrebbe dovuto far finta di riconoscere e dalla nuova vita senza imperfezioni che la madre era riuscita a ricostruirsi in quattro e quattr’otto.
Doveva farcela.
Mentre tra la folla tentava di riconoscere Bellamy, la ragazza venne intercettata da vari personaggi: una coppia di lontani zii di cui non ricordava assolutamente nulla, la mamma di Marcus che a sua detta aveva sentito parlare così tanto e bene di lei e qualche cugino più grande che adesso si ritrovava con mogli e pargoli al seguito.
Facevano tutti le stesse domande, le chiedevano dell’università, di Boston meravigliandosi e complimentandosi per la borsa di studio ed il tirocinio, le chiedevano degli amici e soprattutto facevano domande ambigue alludendo al suo accompagnatore.
Clarke dal suo canto fu brava a mantenere la calma, non solo fornì tutte le risposte adeguate ed articolate in modo tale da sembrare interessata alla conversazione ma cercò di fare qualche domanda di circostanza per non risultare sbrigativa e maleducata.
Dopo i primi ormai le era venuto meccanico e si ritrovò a pensare che alla fine non era poi così difficile.
Quando finalmente aveva soddisfatto la curiosità dell’ultimo parente più o meno lontano che aveva incrociato il suo sguardo, la ragazza cercò nuovamente di mettere a fuoco la chioma ribelle del maggiore dei Blake ma ancora una volta venne interrotta
“Qualcosa mi dice che la più bella del ricevimento ha decisamente bisogno di un bicchiere colmo di prosecco.”
Il sangue nelle sue vene raggelò in fretta.
Mentre un’imprevista tachicardia fece capolino nel suo petto.
Avrebbe riconosciuto quella voce calda e sicura di sé in qualunque situazione.
Cercò di voltarsi lentamente e quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri di lui fece di tutto per evitare che si bagnassero di lacrime che non meritava, non dopo tutto quel tempo, non in quel maledettissimo giorno.
Finn Collins se ne stava lì davanti a lei con un’insolenza che non credeva possibile, fasciato nella divisa da cameriere che comprendeva un papillon di dubbio gusto; con una sola mano teneva un vassoio sul quale c’erano almeno una trentina di bicchieri mentre con l’altra gliene porgeva uno.
Clarke si avventò sulla bevanda, sperando che un po’ di alcol in corpo potesse aiutarla a far fronte a quella inaspettata situazione.
“Finn… cosa diamine ci fai qui?”
“Lavoro Clarke. Nulla di più.”
Lei gli lanciò un’occhiata torva di tutta risposta, per un attimo le saltò in testa il pensiero che trovarlo lì non fosse un caso. E lui che dopo il tempo trascorso insieme aveva imparato a decifrare le sue espressioni si giustificò velocemente
“Lavoro presso un catering, è tutta gavetta, sai… non avevo idea che il matrimonio di oggi fosse di tua madre, la prenotazione era a nome Kane, non credevo potesse avere a che fare con Abby.”
“Non ho detto nulla.”
“Ma l’hai pensato.”
Touché e adesso? Cosa avrebbe dovuto fare?
“E’ buffo incontrati qui non credi? Un po’ come la prima volta, sembra che il destino continui a farci scontrare… Ho aspettato per così tanto tempo una risposta a quella mail, o anche solo di poterti rivedere.”
Alla ragazza balenò in mente il primo incontro tra i due effettivamente molto cinematografico: entrambi, contemporaneamente, avevano messo le mani sullo stesso libro in biblioteca e così stettero per almeno cinque minuti a discutere, alla fine avevano trovato una banale quanto efficace soluzione, avrebbero studiato insieme.
Il resto preferì non rievocarlo.
Cos’è che aveva detto esattamente?
Non riusciva ancora a credere che oltre il matrimonio di sua madre doveva starsene lì a gestire anche questa faccenda lasciata irrisolta forse da troppo tempo.
“Finiscila, sai che non avrai mai una risposta a quelle scuse campate in aria, hai ferito noncurante delle persone che un tempo dicevi di amare, cosa ti aspetti?”
Aveva alzato il tono della voce per fare in modo che ogni singola parola lasciasse un marchio nella mente contorta del ragazzo che un tempo aveva amato più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
“Dio, non sei cambiata di una virgola, sai che ho adorato fin dal primo momento questa tua aggressività innata e poi… sei sempre bellissima.”
Sentì un senso di rabbia montarle dentro, non poteva credere che dopo tutto quello che era successo Finn potesse ancora essere così sfrontato.
Perché si comportava come se non fosse accaduto nulla?
 
“Chiudi quella bocca Collins.”
Avrebbe voluto essere lei a pronunciare quella frase ma si stupì quando si rese conto che quelle parole appartenevano a Bellamy Blake in persona.
“Blake?”
Finn spalancò la bocca e strizzò gli occhi, non riusciva a capire cosa diavolo ci facesse il maggiore dei Blake al matrimonio della madre di Clarke.
“Faresti meglio a riprendere il tuo giro invece di importunare gli invitati, dovresti prendere il lavoro più seriamente, non vorrai che i clienti si vadano a lamentare dal direttore, no?”
“Brutto figlio di p…”
Clarke vide Bell digrignare i denti e lo tirò per un braccio prima che potesse finire di udire la frase, lanciò poi uno sguardo velenoso e fulminio all’altro, aveva paura che il ragazzo potesse rispondere con la violenza, dopotutto Finn aveva tirato in ballo sua madre, una ferita ancora aperta e troppo dolente.
“Brava Clarke, sempre saggia e responsabile, lo fai tirare indietro eh? Interessante, non credevo che saresti arrivata a fartela con Bellamy Blake.”
Non ne fu sicura ma pensò di sentire il moretto che teneva ancora stretto per un braccio ringhiare.
“Se pure fosse, non sono più affari tuoi.” Gli voltò lo spalle e si allontanò con Bell grondante di rabbia mentre lei cominciò a sentire un buco nello stomaco come se le avessero dato un pugno troppo forte. Stava succedendo tutto insieme e non era sicura di essere in grado di reggere il colpo e rimanere impassibile come si era ripromessa poco prima davanti allo specchio.
“Usciamo da qui.”
Sussurrò in un orecchio a Bell.
Poi si avvicinò al tavolo del buffet e si avventò su una bottiglia di spumante ancora piena, prese due bicchieri e invitò il moretto a svignarsela.
Camminarono senza dire nulla per qualche minuto, fino a quando furono costretti a fermarsi perché l’acqua salata era quasi arrivata a bagnargli i piedi.
“Stai bene?”
Il ragazzo parlò per primo.
Clarke dimenticò di aver preso con sé i calici e trangugiò un ampio sorso direttamente dalla bottiglia che stringeva tra le mani.
“Credo di si.”
“Non volevo intromettermi, so che saresti stata in grado anche da sola di gestire un simile idiota.”
Non era vero.
Non in quel momento.
Non era mai stata capace di gestire Finn Collins, dal primo momento che l’aveva visto qualcosa dentro lei aveva ceduto. Se avesse saputo come fare a contrastarlo probabilmente sarebbe riuscita a strappargli quel libro dalle mani, se fosse stata abbastanza forte non avrebbe permesso al suo cuore di sanguinare, una cosa aveva imparato innamorandosi di quel ragazzo: l’amore è debolezza e adesso lei ne stava pagando tutte le conseguenze.
C’era stato un periodo della sua vita in cui Clarke si era sentita invincibile, inscalfibile, capace di realizzare qualsiasi sogno, qualsiasi idea, era pronta a tutto, sapeva come lottare, come affrontare a testa alta qualsiasi ostacolo. Cos’era cambiato? Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter ritrovare quella sicurezza ma troppe cose erano accadute attorno a lei senza che avesse il tempo di rendersene conto, l’avevano sovrastata e l’avevano privata di quel coraggio e di quello spirito forte che un tempo la distinguevano da chiunque.
“Grazie” Sussurrò rivolgendo l’attenzione alle onde che si disperdevano sul bagnasciuga “Per tutto.”
 
-
 
Bellamy la osservò senza aggiungere nulla, non c’era bisogno, lo sapeva bene, la luce della luna la investiva delicatamente donandole un aspetto angelico.
C’era un’inquieta fierezza nella sua sofferenza, Clarke sembrava una guerriera reduce da una battaglia che aveva perso, era una sopravvissuta certo, ma si vedeva come con onore aveva combattuto fino all’ultimo. Si chiese però chi è che avesse il compito di rimediare a tutte quelle ferite perché nessuno finora si era preoccupato di lei? Finn le aveva spezzato il cuore come se nulla fosse, la madre aveva voltato pagina senza preoccuparsi di vederla pronta ad affrontare un nuovo capitolo delle loro vite ed i suoi amici si comportavano come spettatori inermi. Sentiva un senso di protezione innata nei suoi confronti, era diverso da quello che provava per sua sorella, era qualcosa di viscerale, gli bruciava dentro facendolo confondere, l’unica cosa che riusciva a desiderare era vederla sorridere.
Le parole di sua sorella gli rimbombarono nella testa assorta nei pensieri “Se ti sta bene così, se non riesci nemmeno a dirlo a te stesso e ti senti in pace, amen. Io però non me la bevo Bell, sei sangue del mio sangue, ti conosco troppo bene, spero che troverai il coraggio di essere felice un giorno.”
Si trattava della felicità della principessa o della sua? Cos’era quel peso che percepiva nel petto ogni volta che si perdeva nei suoi lineamenti?
Erano vicini, due o tre passi li separavano, nulla più.
Se avesse colmato le distanze cosa sarebbe successo? Se i suoi occhi avessero indugiato solo qualche secondo in più sulle labbra di lei, se la sua mano non si fosse trattenuta dal delineare le forme del suo viso, lo avrebbe ammesso? Avrebbe trovato il coraggio di innamorarsi, di essere felice?
Fece un passo solo verso la ragazza che si voltò incrociando il suo sguardo denso.
 
“Ragazzi vi abbiamo cercato dappertutto!”
La voce di Monty riecheggiò sulla spiaggia deserta, destandoli da quel clima incerto che li aveva sopraffatti. Dietro di lui Jasper e Wells chiacchieravano animosamente.
“Arriviamo!”
Fu Clarke a rispondere con tono acuto mentre velocemente, come se nulla fosse, diede le spalle a lui e al mare, allungando il passo verso gli amici, i pensieri di Bell s’infransero come l’ultima onda che vide accasciarsi sulla sabbia già umida.
“Stavate forse facendo festa senza di noi?” Disse Jasper indicando la bottiglia che Clarke teneva ancora tra le mani infreddolite.
“Dovremmo finirla prima di rientrare.”
Propose il maggiore dei Blake raccogliendo reazioni favorevoli da tutto il gruppetto. A differenza dei ragazzi, non gli interessava poi molto di farsi vedere da una mandria di sconosciuti a scolare una bottiglia di champagne ma sentì egoisticamente di averne bisogno, riepilogò tutto ciò che gli era saltato in mente pochi istanti prima e decise di provare a dimenticarlo in quell’istante con l’ausilio di qualche bollicina.
Rientrarono dopo pochi minuti, il freddo e i pensieri li avevano spinti a finire il contenuto del recipiente in vetro in fretta e furia.
Non seppe dire quanto tempo lui e Clarke avessero passato fuori ma dentro un po’ di cose erano cambiate, al banchetto il cibo era quasi finito e solo in quel momento il ragazzo realizzò di non averne toccato nemmeno un briciolo, una torta si stagliava sul tavolo centrale ed Abby e Marcus erano intenti a tagliarne insieme la prima fetta, degli uomini in smoking su di un lato stavano suonando una melodia altisonante che poco dopo venne accompagnata da un applauso fragoroso. Il suo sguardo si posò istantaneamente sulle mani di Clarke, poco distante da lui, non seguivano la folla, se ne stavano lungo i fianchi chiuse in un pugno.
La coppia aprì le danze, seguita a ruota dagli invitati mentre i camerieri si occupavano di servire il dolce al resto degli invitati, si ritrovò con un piatto tra le mani e ne approfittò, mentre sentiva attorno a lui i commenti degli altri tre ragazzi che si erano avventati sulla torta ed ora ne acclamavano  la bontà.
Cercò di nuovo la giovane Griffin e la trovò poco dopo dall’altro lato della sala, nuovamente Collins le si era avvicinato con la scusa della torta, li vedeva gesticolare e cercava in tutti i modi di capire cosa volesse da lei quel cretino. Le sue gambe si mossero ancor prima dei suoi pensieri proprio in quella direzione ma quando vide Abigail raggiungerli si fermarono di botto.
 
-
 
Mentre le labbra di Finn si muovevano, la testa di Clarke pulsava, quando era arrivata, era talmente agitata che il suo stomaco si era rifiutato di accogliere qualsiasi tipo di alimento, per l’alcol però non era stata la stessa cosa e adesso la ragazza ne stava pagando le conseguenze. Non riusciva a concentrarsi sulla voce del ragazzo e forse era meglio così, osservava l’atmosfera intorno a lei confusa e frastornante, avrebbe voluto poter mettere la testa sotto ad un cuscino, dentro non sentiva nulla, solo un turbine caotico di idee ed immagini. La passeggiata in riva al mare con Bell, aveva sgombrato la sua mente o forse era stato lo champagne…
“Mi stai ascoltando?”
Scosse la testa.
“A che gioco stai giocando? Avrò passato almeno cinque minuti a parlarti.”
“Vuoi sapere come conosco Bellamy, giusto?”
“No voglio sapere per quale cazzo di motivo è qui con te adesso, come se foste una coppia o che so io.”
“Te l’ho già detto, non ti riguarda.”
Sentiva la bocca impastata e per mettere in fila una frase di senso compiuto ci aveva impiegato più del previsto.
“Avresti potuto avere di meglio e sei finita con un Blake, non è da te Griffin.”
“Avresti potuto dirmi la verità, almeno di lui posso fidarmi.”
Gli occhi del ragazzo andarono fuori dalle orbite
“Allora state insieme.
Clarke fece spallucce. Le risposte che aveva dato, i gesti che le avevano accompagnate erano fuori dal suo controllo, per la prima volta dava fiato alla sua bocca senza rimuginarci su, per la prima volta non le importava delle reazioni altrui, non era così che aveva desiderato sentirsi? Quindi bastava bere qualche bicchiere di prosecco in più ed attaccarsi avidamente ad una bottiglia di champagne? Si rimproverò mentalmente per non essersi mai lasciata andare prima, mentre da un vassoio raccoglieva un altro bicchiere.
“Vi interrompo?”
La voce di Abby non la fece sussultare come aveva immaginato, la sua presenza non la scalfì minimamente.
“Affatto.”
Disse quasi euforica.
La donna al suo fianco storse il naso ed alzò un sopracciglio mentre il giovane passandole accanto le intimò
“Vai al diavolo Clarke.”
La ragazza scoppiò in una risata sguaiata.
Gli occhi rapidi di Abigail si posarono sul bicchiere colmo che la figlia teneva tra le mani, poi sulle sue gote troppo rosse ed accaldate, uno sguardo severo e amareggiato si dipinse sul suo volto.
“Sei ubriaca.”
La ragazza le rimandò un’occhiata colpevole e divertita al tempo stesso.
“Non posso crederci, ti credevo diversa, ho sempre pensato che fossi una ragazza brillante e matura e guarda come ti sei conciata.”
“E’ colpa tua.”
“Cosa vorresti dire?”
Era arrivato più in fretta del previsto il momento della resa dei conti, i pensieri repressi si riversarono sulle labbra della biondina in un attimo
“Non hai pensato a me nemmeno per un minuto, ti sei mai chiesta cosa potessi pensare io di tutta questa faccenda? Di te e Marcus, della casa nuova, del matrimonio, del fatto che nemmeno per un secondo ti sei voltata indietro? L’hai abbandonato sul letto di morte. Ci hai lasciati prima che finisse tutto davvero e non ti sei sentita in colpa nemmeno un po’. Io ci ho provato, ho tentato di trovare una spiegazione ragionevole, di giustificarti in qualche modo e sai che c’è? Non ho trovato un singolo motivo che ti autorizzasse a comportarti come hai fatto e adesso, dopo tutto questo, hai anche il coraggio di venirmi a fare la predica? Fanculo Abby, tu, insieme al giorno più bello della tua vita, sei stata bravissima a tirare su questo teatrino, non c’è che dire, ci hai messo tutto l’impegno di cui c’era bisogno, se solo la metà lo avessi usato per aiutare papà forse adesso non staremo qui.”
Due lacrime rigarono le guance rosse della ragazza che senza rendersene conto aveva urlato con tutta la voce che il suo diaframma riuscisse a tirar fuori, facendo ammutolire in un attimo l’intera sala.
Abigail si morse un labbro, se sua figlia non avesse avuto un briciolo di ragione e fosse stata più piccola di qualche anno le avrebbe dato uno schiaffo, si trattenne invece.
Guardò Bellamy, Jasper e Monty e gli intimò come se l’altra non potesse udirla “Portatela a casa.”
 
-
 
Quando i ragazzi le si erano riversati addosso Clarke non aveva fiatato, ancora rovente ed incredula si era lasciata trascinare fuori come se fosse un sacco di farina, nessuno a dirla tutta aveva osato proferire parola, avevano raggiunto la macchina in pochi minuti prendendo la via del ritorno in men che non si dica.
Ora dormiva, la testa appoggiata sul finestrino e il cappotto di Bell sulle gambe, il ragazzo la osservò per qualche secondo: le labbra socchiuse, il trucco rovinato dalle lacrime le aveva sporcato il viso, e la pettinatura scomposta le ricadeva disordinatamente sul capo chino sul vetro, rimaneva bellissima ai suoi occhi, la sua fragilità le regalava un aspetto delicato anche in quel momento ed il cuore di Bellamy si strinse.
“Si riprenderà” Mormorò Jasper non appena si accertò che la ragazza stesse dormendo e mentre cambiava la frequenza della stazione radio, in cerca di una canzone adatta a tenerli vigili.
“Certo, lo ha sempre fatto.” Disse l’altro quasi per convincersi.
“E’ molto più forte di quello che possa sembrare.”
Ecco perché nemmeno una persona si era mai preoccupata per lei, Bell si spiegò finalmente il motivo per cui nessuno aveva provato a prendersi cura del suo cuore infranto o delle sue ferite, tutti erano convinti che potesse riuscirci da sola e si convinse del fatto che dal suo canto Clarke non si sarebbe mai piegata al punto tale da chiedere aiuto, non era nel suo stile.
“Direi che quella sfuriata lo dimostra.” Disse ancora Monty.
“Non avrei mai il coraggio di uscirmene così davanti a tutte quelle persone.”
Bellamy tacque e sospirò, si maledisse per non esserle stato accanto nel modo adatto, avrebbe dovuto fermarla mentre prendeva la bottiglia di champagne dal tavolo o afferrava l’ennesimo bicchiere dal vassoio, invece era troppo preso dalle sue impossibili domande esistenziali.
 
“Ti serve una mano per portarla dentro?”
Chiese cauto Jasper.
“No, tranquillo, posso gestirla io.”
Accennò un sorriso.
Monty prese la pochette della ragazza e tirò fuori un mazzo di chiavi, ne afferrò una colorata di rosso con lo smalto “Tieni, questa apre la porta.”
Il moro accettò l’aiuto e poi prese tra le braccia il corpo dormiente di Clarke, avviandosi verso la casa.
Una volta dentro s’interrogò velocemente sul da farsi e decise di portare la principessa nella sua stanza, aveva difficoltà nel ricordarsi dove fossero gli interruttori della luce e ci mise più del previsto a raggiungere la camera.
Finalmente adagiò delicatamente Clarke sul letto, ancora una volta si sorprese a non riuscire a toglierle gli occhi di dosso.
Si sedette accanto a lei e restò come ipnotizzato, dormiva profondamente e sperò in cuor suo che quel sonno potesse distoglierla da ciò che aveva appena passato, la smorfia sul viso di lei sembrava serena, nonostante gli occhi fossero gonfi e il viso ancora sporco.
Scosse il capo e si alzò, un tempo si sarebbe dato dell’idiota, non avrebbe mai fatto tutto questo per una ragazza che per giunta lo aveva tormentato con la sua sbadataggine. Ripensò velocemente al primo giorno che l’aveva vista, al loro scontro casuale, l’aveva trattata con strafottenza eppure non si era persa d’animo, era stato scontroso per giorni ma lei non si era scomposta minimamente, non avrebbe mai potuto immaginare cosa si celasse dietro il suo sguardo sofferente la prima volta che per sbaglio si era intromesso nel suo sonno tormentato.
Decise di levarle le scarpe e cercare una coperta. Le sfilò velocemente le calzature eleganti facendo scivolare fuori i piedi freddi dalla pelle nera, qualche granello di sabbia finì sul pavimento, le posò poi ai bordi del letto attento a non fare rumore. Si guardò intorno, sforzandosi per non far ricadere nuovamente la vista su di lei.
Aprì l’anta dell’armadio che si trovava proprio parallelo al letto maledicendo il cigolio che produsse, si stupì quando lo trovò pieno di cianfrusaglie, c’erano album fotografici, pastelli, pennelli, tavole, tutto tranne che indumenti o biancheria per il letto.
“Bell?”
“Mh?” Rispose concentrato, senza avere il tempo di realizzare che la voce che lo stava chiamando confusamente era quella della principessa.
“Che stai facendo?”
Si voltò leggermente per accertarsi che la ragazza stesse bene, doveva essersi svegliata per il  trambusto che quel vecchio armadio faceva.
Deglutì quando la vide intenta a liberarsi dal vestito, Clarke si era seduta dandogli le spalle, i suoi lunghi capelli le ricadevano sulla schiena nuda leggermente inarcata, seguì con lo sguardo la spina dorsale sino a quando la pelle chiara lasciava spazio alla stoffa dell’intimo, poi la ragazza alzò il cuscino tirando fuori una maglietta extralarge che si infilò velocemente.
Accaldato, Bellamy riprese fiato e si ricordò della domanda che poco prima la ragazza gli aveva fatto
“Io, io, sto… cercando una coperta.”
Lei si lasciò cadere sul materasso con un tonfo e gli suggerì
“Guarda nel secondo cassetto, nella vecchia stanza erano lì.”
Il ragazzo richiuse l’armadio e si spostò verso la cassettiera. Clarke aveva ragione, prese due coperte e ne porse una alla ragazza che faticava a tenere gli occhi aperti, l’afferrò e con qualche movimento maldestro e probabilmente ancora offuscato dall’alcol vi si raggomitolò, il maggiore dei Blake non poté far a meno di sorridere teneramente e disse quasi sussurrando per paura che si stesse nuovamente per addormentare
“Vado in bagno a cambiarmi, se vuoi posso ripassare prima di andare di là per vedere se è tutto okay.”
La risposta della principessa fu un mugugno incomprensibile che il ragazzo decise arbitrariamente di interpretare come un sì.
Accostò la porta, posò la coperta sul letto nella camera degli ospiti e prese dalla valigia una tuta felpata nera che avrebbe utilizzato come pigiama, era abituato a dormire in maglietta e boxer e se non fosse stato per Jasper ed il suo consiglio di prendere una tuta dall’armadio, insieme all’abito elegante si sarebbe ritrovato a comprare persino un pigiama.
In bagno si spogliò velocemente, allontanando dallo specchio la sua figura elegante, voleva assicurarsi che Clarke stesse bene e avesse ripreso sonno, si lavò i denti in fretta e si precipitò di nuovo nella stanza di lei, aveva ancora il completo da cerimonia in mano, aprì la porta che aveva accostato precedentemente ed un fascio di luce proveniente dal corridoio si proiettò sul pavimento, accanto al lato del letto in cui dormiva Clarke.
“Bellamy?”
Forse avrebbe fatto meglio a tirare dritto e a non disturbarla.
“Si? Va tutto bene?”
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Potresti dormire qui? Non riesco a riaddormentarmi.”
Non c’era malizia nella sua voce che denotava ancora poca lucidità, in realtà Clarke sembrava più una bambina svegliata da un brutto sogno ed in preda al panico ed ancora una volta il più grande dei Blake non riuscì a dirle di no.
“Okay.”
Disse Bell incerto e confuso da quella richiesta tanto semplice quanto strana ed intima, posò i vestiti sulla scrivania e lentamente raggiunse il letto, stando attento a non inciampare nel buio. Si sdraiò al suo fianco col cuore che batteva all’impazzata e sperò che la principessina fosse ancora abbastanza ubriaca da non farci caso, la ragazza posò la testa sul suo petto mentre lui la cingeva con le braccia, posò una mano sul capo di lei e cominciò ad accarezzarle i capelli.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, avrebbe voluto sapersi districare in quel momento così assurdo e bellissimo al tempo stesso, ma tacque inspirando il suo profumo e stringendola come se tutto potesse svanire da un momento all’altro.
Si ritrovò a far qualsiasi cosa meno che prendere sonno, non aveva mai dormito con una ragazza in quel senso, c’era sempre stato di mezzo il sesso e spesso non bastava nemmeno quello per convincerlo a rimanere.
Ma poi qual era il senso di tutto ciò? C’era davvero? Cosa avrebbe dovuto fare l’indomani una volta sveglio?
Bellamy Blake tremava e fremeva mentre al suo fianco Clarke, avvinghiata a lui, finalmente cadeva in un sonno profondo e lontano dalle complicazioni.
   
 
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