Blue
Blood
Prologo
Correva,
correva da cosi
tanto che aveva perso la cognizione del tempo. L’unica cosa
certa era che fosse
notte. Lo confermava il buio che ormai da ore le faceva compagnia.
Nemmeno la
luna, riusciva a penetrare nel fitto di quella foresta. Strinse le
braccia al
petto, rabbrividendo. Era inverno, faceva freddo e lei indossava una
misera
veste bianca di cotone, che già in origine la copriva a
malapena, e ora che era
strappata e logorata serviva davvero a poco per coprire la sua pelle
pallida. I
piccoli piedi nudi, lasciavano le loro impronte sul terreno umido e
freddo. Sapeva
che cosi rischiava di lasciare una pista dietro di se, ma non aveva
tempo di fermarsi
a cancellare le sue impronte, se lo avesse fatto loro
l’avrebbero trovata e
riportata indietro. Dopo una vita passata dietro le mura, senza poter
mai
uscire, dieci anni senza un padre e una madre, dieci anni senza amici,
dieci
anni senza una vita.
Ricordava
ancora il giorno in
cui l’avevano rapita e portata li. Le avevano cancellato la
memoria perché lei
non ricordasse nulla del suo passato. Non le avevano spiegato subito
cosa ci
facesse li, capì solo che centrava qualcosa il suo sangue.
Poi
una sera, uno di loro
venne da lei e le fece un prelievo di sangue. Versò il suo
sangue in un calice
di vetro e lo bevve, gustandolo come fosse ottimo vino. Allora aveva
solo
dodici anni, ma associò immediatamente quel immagine ad una
parola: vampiri. Era
difficile da credere anche per lei che lo aveva visto, ma i vampiri
esistevano
e lei era finita nel loro covo. Perché però
avevano preso lei? Non era forse
solo una ragazzina?. Quando aveva rivolto questa domanda a uno di loro,
questi
era scoppiato a ridere, e se ne era andato lasciandola ancora
più confusa. A
parte il fatto che non la lasciavano uscire, l’avevano sempre
trattata bene, i
vampiri non erano essere terribili come le avevano insegnato o come
leggeva nei
libri. Qualche volta però sentiva urla straziate invadere
l’aria del palazzo in
alcune sere. In quei momenti si tappava le orecchie e certe volte
smetteva di
respirare con il naso perché l’odore del sangue
fresco arrivava fino nella sua
stanza e impregnava i muri. La vista del sangue non le creava problemi,
era l’odore
che le dava fastidio. Non si trovava male li, almeno finché
non le era tornata
la memoria, era successo all’improvviso, si era ricordata
tutto, chi era, e
dove viveva prima di essere portata li. Lo aveva tenuto nascosto ai
vampiri,
altrimenti era sicura le avrebbero fatto un nuovo lavaggio del
cervello. Finse
per otto anni, ma quando divenne maggiorenne, quelle quattro mura
iniziarono a
starle strette. Aveva pensato di scappare diverse volte. Poi finalmente
si
erano venuta a creare le condizioni più favorevoli e lei
aveva messo in atto la
sua fuga. Sapeva che l’avrebbero seguita ancora prima di
uscire dal palazzo, ma
non voleva tornare li dentro ora che era fuori, l’unica cosa
che poteva fare
era correre più che poteva. L’esili braccia
scansavano i rami che le ostruivano
il passaggio, si voltò un attimo indietro il buio della
foresta non le
permetteva di vedere nulla, tese l’orecchio ma
l’unica cosa che sentì fu il
silenzio assoluto. Dubitava che avessero rinunciato a seguirla,
più
probabilmente si stavano divertendo con lei, le stavano dando del tempo
per illuderla
di essere libera, se avessero voluto avrebbero potuto riacciuffarla da
un
momento all’altro. Scansò i capelli bruni dal
volto e saltò evitando un tronco
posto sul suo cammino. Perse però l’equilibrio e
rotolò lungo il sentiero che
all’improvviso era diventato un pendio in discesa. Si
riparò la testa con le
braccia. Continuava a rotolare, graffiandosi le braccia e le gambe
scoperte,
fino a quando non si scontrò con qualcosa di duro, simile al
marmo che arrestò
la sua discesa.