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Autore: Carme93    04/11/2016    0 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventunesimo

Natale in famiglia
 
«Quindi siete rimasti sotto la neve per ore?» ripeté per l’ennesima volta Robert, beccandosi un calcio nello stinco da James, che subito dopo starnutì sonoramente.
«Una mezz’oretta» specificò Benedetta imbarazzatissima.
«E smettila di chiedere la stessa cosa» bofonchiò James.
«Avete cominciato bene le vacanze beccandovi un raffreddore» commentò Demetra.
«Le abbiamo iniziate benissimo» replicò James tentando di sorridere, ma una serie di starnuti glielo impedirono. Benedetta, che per ora non mostrava conseguenze della loro serata, era seduta accanto a lui ed ogni tanto gli spostava i capelli dalla fronte.
«Quindi ora state insieme?».
La domanda a bruciapelo di Demetra fece scendere il silenzio nello scompartimento. James e Benedetta erano rimasti senza parole e Robert attendeva la risposta con la stessa curiosità di Demetra.
«E… noi ancora non…» cominciò il ragazzo.
«…non ne abbiamo parlato…» continuò Benedetta.
Furono salvati da ulteriori domande dal treno che rallentava e si fermava.
«Siamo arrivati!» saltò su Benedetta.
«Papà ha detto che sarebbe venuto lui a prenderci ed andremo direttamente alla Tana» comunicò James a Robert. «Ragazze» aggiunse, mentre scendevano dal treno, «Siete le benvenute alla Tana, quando vorrete venire. E comunque io e Robert organizzeremo qualcosa quando torneremo a casa mia».

*

«Briaaaaaan!»
Il ragazzino riconobbe immediatamente la voce, ma non poté fare a meno di cadere seduto a terra, quando la sua sorellina gli saltò in braccio, suscitando così le risatine degli studenti più vicini. Sentì anche una risata poco distante e poi finalmente due braccia lo liberarono dal pestifero peso. «Così schiacci tuo fratello» disse suo padre divertito.
«Ciao, papà» disse Brian con un sorriso, mentre si rimetteva in piedi.
«Ciao, soldatino» replicò l’uomo dandogli un bacio sulla fronte, dopo aver rimesso a terra la piccola Sophie, senza però mollarle la mano perché in caso contrario sarebbe scappata in mezzo alla folla. «Andato bene il viaggio?».
«Sì, grazie».
«Brian!» strillò Annika, avvicinandosi. «Buonasera, signor Carter. Io mi chiamo Annika» aggiunse poi porgendo la mano a Gregory Carter.
«Piacere di conoscerti, Annika. Non trovi i tuoi genitori?».
«Non proprio. Non sono sicura che i miei possano superare la barriera senza di me».
«Se sono babbani, direi proprio che non possono».
«Ah, ok. Posso uscire con voi? Qui c’è un sacco di confusione».
«Certo, tranquilla» assentì Gregory. «Andiamo».
«Io sono Sophie, sua sorella» disse la bambina puntando un dito su Brian.
«Lo so, mi ha parlato di te!».
«Sul serio?» chiese la bambina guardando Annika con tanto d’occhi.
«Sì, tantissimo!».
«Pronti?» chiese Gregory, quando giunsero alla barriera del binario 9 e ¾ interrompendo gli sproloqui della figlioletta.
«Sììììììììì» strillò la piccola.
Brian trattenne il fiato mentre attraversava la barriera, faticava a credere che fossero trascorsi quasi quattro mesi dalla prima volta.
«Mamma! Papà!» esclamò Annika correndo incontro ad una giovane coppia poco distante.
Dopo le presentazioni tra i genitori e l’abbraccio stritola costole di Annika, Brian uscì dalla stazione insieme al padre ed alla sorellina.
«Abbiamo trovato parcheggio qui vicino, per fortuna».
«Papà è sempre in ritardo» trillò Sophie.
«Non sono sempre in ritardo, abbiamo dovuto fare un controllo a Notturn Alley e ci abbiamo impiegato più tempo del previsto» ribatté Gregory, tenendo con una mano Sophie e con l’altro braccio circondando le spalle del figlio maggiore.
«Dov’è la macchina?» chiese Brian.
«Stanco?» replicò Gregory con un ghigno.
«Sì».
«Alla macchina siamo quasi arrivati, ma lo sai ci metteremo almeno una quarantina di minuti per arrivare a casa».
«Voliamo?» chiese Sophie tirando il padre per la manica del cappotto.
«Assolutamente, no! Sophie, te l’ho spiegato un milione di volte: i Babbani non devono vederci quando usiamo la magia» ribatté Gregory, mentre riponeva il baule di Brian nel portabagagli.
«Secondo me, si divertirebbero» bofonchiò testarda la bambina, Gregory la ignorò, mentre Brian ridacchiò.
Il tragitto in macchina fu abbastanza leggero per Brian cui la sorellina chiacchierona era mancata parecchio.
«E tu sai volare? Voglio volare anche io» sussurrò la bimba con occhi sgranati, mentre scendevano nel vialetto della loro viletta.
«Mmm insomma» gettò un’occhiata al padre, che gli sorrise divertito.
«Perché? Perché non giochi a Quidditch?».
«Non lo torturare, non è che piaccia a tutti» intervenne Gregory.
«Non me la cavo molto bene con la scopa» mormorò Brian imbarazzato.
«Quindi non sai volare!» s’imbronciò Sophie. «E a me chi me lo insegna?».
«Io, magari?» le rispose divertito Gregory.
«Ma la tua scopa è schifosa» si lamentò ancora.
Brian entrò in casa e si guardò intorno. La cucina ed il salottino formavano un’unica stanza, in fondo alla quale vi era una rampa di scale che portava al piano superiore. Era completamente disordinata: vestiti lavati, vestiti già usati riempivano una poltrona e qualche sedia; i giocattoli di Sophie erano sparsi dappertutto. Suo padre gli rivolse uno sguardo colpevole. Il ragazzino non disse nulla, ma un po’ si sentì in colpa: sapeva che suo padre era un disastro con gli incantesimi domestici e poi gli Auror facevano gli straordinari da mesi. Non doveva essere facile occuparsi della casa e di Sophie. Nessuno dei due era morto di fame, per cui immaginava che la signora Scott avesse provveduto a far loro mangiare qualcosa di commestibile.
«La mia scopa non è schifosa. Te l’ho detto un sacco di volte di non dire questa parola. La mia Nimbus 2010 funziona perfettamente. Andate a lavarvi le mani. La signora Scott ha preparato la cena per noi, o meglio sapeva che Brian sarebbe stato affamato».
«Comunque non volo bene, non riesco a controllare bene la scopa ed ho paura di alzarmi troppo in alto…» mormorò Brian, appena la sorellina corse al piano di sopra.
Gregory scrollò le spalle. «Se vuoi posso darti una mano, ma non ti preoccupare. Non ascoltare Sophie, nessuno ti obbliga ad usare la scopa. Abbiamo molti altri mezzi di trasporto».
«Ma la mamma sapeva volare?» chiese senza pensare. Sul volto del padre si dipinse un sorriso dolceamaro, come sempre quando gli faceva domande del genere. I suoi occhi si velarono appena, persi in un tempo che non sarebbe più tornato.
«Durante le lezioni di Volo noi Grifondoro eravamo insieme ai Tassorosso» iniziò lentamente. «Naturalmente c’era anche Sophie. Io quel giorno ero un po’ seccato, perché aspettavo da tanto quella lezione ed avrei voluto essere con i Corvonero e sfidare Maxi. Invece no. Sono sempre stato… diciamo esuberante… quindi non ci misi molto a distrarmi infastidendo i Tassorosso e soprattutto lei».
«Non volava bene?».
«Era terrorizzata dalla sola idea di cadere dalla scopa e non riusciva nemmeno a tenerla ferma».
«L’hai presa in giro?».
«Parecchio. In realtà volevo solo attaccar briga, ma lei non era quel tipo di persona. Dopo un po’ che la punzecchiavo si è messa a piangere. È stato il momento più imbarazzante della mia vita. Mi sono sentito in colpa, indipendentemente dal rimprovero di Madama Bumb, che all’epoca era l’insegnante di Volo. Così per farmi perdonare ho iniziato a darle una mano».
«E lei ha imparato?».
«Oh, sì, ma non ha mai fatto i provini per giocare con i Tassorosso. Ogni tanto giocava a Quidditch con me e Maxi, ma solo per divertimento. Non era molto portata per gli sport, ma ci provava sempre».
Brian sorrise, mentre la nostalgia s’insinuava in lui. «Insegni anche a me? La professoressa è antipatica e non dice nulla a quelli che prendono in giro me e Louis, soprattutto lui. Non riesce ad alzarsi da terra nemmeno di pochi centimetri».
«La Jones è stata un’ottima giocatrice, ma ho sentito dire che ha un pessimo carattere. Troppo piena di sé» disse Gregory con un lieve sorriso. «Non ti preoccupare, ci alleneremo insieme. Però, Brian, promettimi che in mia assenza tu e Sophie non toccherete una scopa, che non sia quella con cui si spazza il pavimento».
«Tranquillo, promesso».
«Vieni o no?!» strillò la sorellina dalla cima delle scale, con le braccia incrociate.
«Ti conviene andare, prima che si arrabbi» gli suggerì Gregory.

*

«Comunque non è giusto!» ripeté per la milionesima volta Dominique.
«La smetti di lamentarti? Perché non trovi una soluzione?» chiese Bill sbuffando.
Erano tutti riuniti alla Tana come ogni anno ed avevano appena finito di cenare. Nonna Molly stava sparecchiando con l’aiuto di Angelina ed Audrey; nonno Arthur era immerso in una conversazione-interrogatorio sul mondo babbano con Albus, che non solo studiava ed aveva voti alti in Babbanologia ma era anche l’unico che aveva la pazienza di assecondarlo; Ginny stava convincendo James a misurarsi la febbre; Roxi stava finendo l’ennesima fetta di torta, mentre gli altri ragazzi avevano già abbondonato la cucina chi con una scusa chi con un’altra.
«Trovala tu visto che sei così bravo!» sbottò Dominique.
«Invita Matthew e la sua famiglia a trascorrere qui le vacanze così i suoi genitori potranno vedere con i loro occhi che dopotutto i maghi non sono così diversi dai Babbani».
«A parte la magia» ci tenne a specificare Ron, beccandosi uno scappellotto da un’agguerrita ed irata Hermione. Il marito si era defilato quando aveva tentato di parlare con Rose del suo scarso rendimento scolastico e specialmente della sua pessima condotta.
«Dici davvero?» domandò Dominique, ignorando lo zio.
«Sì. Mamma, papà non avete nulla in contrario, vero?».
«Babbani a casa nostra?» chiese Arthur ponendo attenzione al figlio maggiore con gli occhi che gli luccicavano come un bambino davanti ad un enorme lecca lecca. «Certo, che no. Saranno i benvenuti. E poi ci saranno anche i genitori di Angelina e di Hermione, giusto care?».
«Sì, Arthur. I miei sono molto felici di trascorrere il Natale con tutti voi» replicò la donna, che fino a qualche attimo prima discuteva a bassa voce con George, che approfittò per filarsela. Hermione si limitò ad annuire.
«Il problema è che non entriamo tutti» mormorò pensierosa Molly. «Per dormire non è un problema, ora che abbiamo comprato dei letti a castello, c’è molto più spazio, ma in cucina non entreremo mai tutti».
«A me non piace questa soluzione dei letti a castello, comunque» disse Dominique. «Non voglio stare in stanza con Roxi, macchia sempre tutto con i suoi colori!».
«Non è vero!» replicò la ragazzina indignata.
«La mia felpa blu cobalto?» ribatté acida Dominique.
«Blu cobalto» le fece il verso Roxi. «Quello era voluto. Così impari a toccare i miei disegni! Se tu non li avessi fatti vedere a Fred, non avremmo litigato!».
«Hai messo in ridicolo la nostra squadra con le tue vignette! E quella felpa mi è costata ben venti galeoni! Ora chi me li restituirà?» guardando eloquentemente la zia Angelina.
Bill si affogò con il vino elfico che stava sorseggiando. «Venti galeoni?» ripeté con voce strozzata.
«Non è colpa di Roxi se compri solo vestiti firmati» intervenne Albus.
«Tu. Stanne. Fuori» scandì Dominique minacciosa. «È colpa sua, però, se ha usato colori indelebili! Me l’ha rovinata intenzionalmente!».
«Roxanne Weasley» sibilò minacciosa Angelina. «Non l’hai fatto davvero?».
Roxi sbuffò. «Stai infrangendo il Codice».
«Sto cercando di recuperare i miei venti galeoni».
«Tecnicamente i galeoni erano di zio Bill. Non avevi detto che hai usato i soldi che ti aveva mandato per comprare dei libri?» replicò angelica Roxi.
Le due ragazze si osservarono in cagnesco finché non intervenne nonna Molly: «Le stanze sono già decise. È inutile che discutiate. Domi tieni in ordine i tuoi vestiti così nessuno li rovinerà. Roxi non lasciare in giro i tuoi colori. L’ultima volta ci ho messo una vita a lavare il piumone dei Cannoni di Chudley di tuo zio Ron. Ed ora non è più nemmeno arancione».
«Che cosa?!» strillò Ron.
«Non fare il bambino» lo minacciò Hermione.
«Allora nonna, Matthew può venire?» chiese Dominique, prima che scoppiasse il putiferio.
«Sì, cara».
«Benissimo, allora vado a scrivergli» disse Dominique, ma Bill scosse la testa e la bloccò: «Non ti muoverai da qui, finché non mi avrai spiegato la storia dei venti galeoni».
«Zia Angelina!» disse Dominique, voltandosi verso la donna.
«Io sono stanca» disse la donna contrariata, guardando malissimo Roxi. «I soldi te li darà Roxi di tasca sua» aggiunse alzandosi e dopo aver augurato la buonanotte a tutti si recò al piano di sopra.
«Zio Bill, ti prego. Mica ce li ho tutti quei galeoni!» disse Roxi mettendo su la sua espressione più supplichevole, per poi abbracciarlo. L’abbracciò fu sincero e Roxi nascose il volto sulla sua spalla. Il ritorno a casa non era stato come previsto. Sua madre era particolarmente irritata con lei perché quel traditore di Fred le aveva raccontato dei suoi disastri a Scuola ed adesso ci si stava mettendo anche Dominique. Per tutta la sera non avevano fatto altro che sgridarla per una cosa o per l’altra, non era rimasta nemmeno cinque minuti da sola con suo padre ed i cugini non facevano che stuzzicarla. Si sentì meglio quando lo zio ricambiò la stretta.
«Sei tu che hai rovinato la felpa!» insisté Dominique.
«Dacci un taglio» la redarguì Bill. «Vai a scrivere a Matthew. Poi ci penseremo io e tua madre a parlare con i suoi genitori. E di questa storia ne riparleremo. Io e te. Con Roxi me la vedo io».
Roxi si liberò dalla sua stretta e senza dire nulla uscì fuori, lasciandosi andare su una panchina, messa lì da qualche anno dai nonni.
«Così gelerai» disse Bill, appoggiandole sulle spalle un mantello, per poi sedersi accanto a lei.
«Grazie» mormorò lei.
«Perché sei triste?».
Roxi scrollò le spalle. Allora Bill l’abbracciò di nuovo e finalmente Roxi pianse quelle lacrime che aveva trattenuto da quella mattina in treno, quando aveva litigato con suo fratello.

*

«Spero che la stanza sia di tuo gradimento».
«Oh, sì, signora non si preoccupi» rispose Jack. «Lei e suo marito siete già abbastanza gentili ad ospitarmi. Dubito che qualcuno altro avrebbe fatto altrettanto».
«Oh, caro non ti devi preoccupare. Nessuno meglio di noi ha imparato che i pregiudizi portano solo guai. E Sammy sembra che si sia veramente affezionato a te» disse con voce velata di tristezza e malinconia la signora Vance. «Ora è tardi, siete stanchi. Buonanotte».
«Buonanotte» dissero in coro Jack e Samuel.
«Hai visto che i miei nonni sono contenti che tu sia qui?» chiese Samuel con un sorriso.
Jack scrollò le spalle e non rispose. Samuel si avvicinò al ragazzo più grande che aveva appoggiato la fronte al vetro della finestra.
«Sei triste per tuo padre?».
Jack sbuffò e scosse la testa. «Non è una novità. Ha sempre problemi con la legge. Anche se stavolta penso che lo sbatteranno ad Azkaban, si è fatto beccare con dei sospettati di attività oscure. Andiamo a letto, dai».
«Ma Jackie…».
«Jackie?» lo interruppe Jack fissandolo.
«Non ti piace?».
«Mi è indifferente» rispose lui sedendosi sul letto, dopo un momento di titubanza: la signora Vance aveva scostato le coperte e gli aveva anche appoggiato un bicchiere d’acqua sul comodino. S’incupì per un istante e poi si accorse che Samuel lo scrutava preoccupato. «Hai una foto di tua madre?».
Il ragazzino annuì e si avvicinò al suo baule ai piedi del letto, dopo aver rovistato per qualche secondo tirò fuori il diario. «La tengo sempre con me» mormorò porgendogli una fotografia. Jack la prese con un groppo in gola: era magica. Una giovane donna con un bimbo di circa un anno salutava con una mano sorridendo all’obiettivo. «Il nonno dice che l’ha scattata mio padre».
«Io non so nemmeno chi sia» sospirò Jack, non comprendendo perché avesse tirato in ballo un simile argomento, perché si trovava in quella casa e non in giro per Diagon Alley. Si alzò smanioso. Quello non era il suo posto.
«Nevica di nuovo» sussurrò Samuel, lievemente turbato dal suo comportamento. Jack si voltò verso la finestra: era buio, e fuori doveva fare molto freddo. Tornò ad osservare il ragazzino, che era rimasto in piedi in attesa di un suo qualunque gesto. «Stai male? Vuoi che chieda alla nonna di portarti un po’ di latte caldo? O un thè?».
«I-io non sono fatto per queste cose» mormorò «Sono cresciuto per strada e…». Non sapeva neanche lui che cosa dire.
«Tu devi proteggermi. Sei qui per questo» esclamò Samuel.
«Direi di no. Il Capitano mi ha chiesto di darti un’occhiata a Scuola. Non sono un Auror. Questa casa ha tutte le protezioni possibili. Io non conto nulla. Te l’ho già spiegato».
«I-io mi fido solo di te, ok?».
«Non credo che tu dovresti. Sono il figlio di un ladro».
«Tu non sei un ladro».
«Falso. Finché non mi hanno bloccato Mcmillan e la McGranitt rubacchiavo in continuazione».
«Uffa, ma che vuoi?» sbottò Samuel. «Mio padre è chiuso ad Azkaban da anni».
Jack si sentì in colpa per quei discorsi che aveva tirato fuori e per il suo viso triste. Provò a fare qualche passo verso la porta, ma si fermò. Dopotutto che cosa avrebbe fatto lì fuori? «Sono uno stupido, scusami».
«Rimani?».
«Certo, andiamo a dormire».
Samuel sorrise e lo abbracciò. Jack si irrigidì per un attimo, poi gli scompigliò i capelli. «Buonanotte, folletto».
Il ragazzino rise, mentre si sdraiava. «Fra qualche anno sarò più alto».
«Allora fra qualche anno smetterò di chiamarti folletto».

*

Virginia aveva rinunciato da un pezzo a leggere ed aveva riposto il libro sul tavolino, gli occhi si chiudevano da soli e vi erano dei momenti in cui si assopiva completamente. Lo scatto della serratura, però, la fece sobbalzare. Saltò dalla poltrona mentre un uomo sui trentacinque anni entrava.
«Papà!» strillò, abbracciandolo. S’irrigidì lievemente quando colse frammisto al sudore anche l’odore di sangue. «Sei ferito?» chiese staccandosi e squadrandolo dalla testa ai piedi. La divisa scarlatta era sporca, ma non sembrava strappata in nessun punto.
 «Non è mio» replicò piatto, quando gli occhi della ragazzina videro diverse macchie rosse sparse sulla casacca.
«C’è stato uno scontro. Non avresti dovuto aspettarmi» disse l’uomo togliendosi il mantello ed appoggiandolo su una sedia.
«Ero preoccupata e poi mi sei mancato».
Sul volto del giovane Auror si aprì un lieve sorriso. «Anche tu mi sei mancata. Mi dispiace di non essere venuto alla stazione».
«Non fa niente. Hai fame?» replicò subito Virginia. «Con Lauren abbiamo fatto pollo e patatine al forno».
«Bene. Ho bisogno di una doccia, prima» disse lui schioccandole un bacio sulla fronte.
«Te lo scaldo nel frattempo».
«Grazie, ma se vuoi puoi andare a letto. Hai un faccino così piccolo. Si vede che sei stanca».
«Ti aspetto».
«Ho capito» sospirò Adrian Wilson. «Faccio in fretta, promesso».
Virginia lo ringraziò con lo sguardo. Accese il forno e preparò la tavola per il padre, poi tornò ad accoccolarsi sulla poltrona vicino al fuoco.
«Ehi, tesoro» la svegliò dopo un po’ Adrian soffiandole delicatamente sul volto. «Meno male che il forno era basso o probabilmente avrei mangiato pollo carbonizzato».
«Oh, mi dispiace!» disse la ragazzina, raddrizzandosi.
«Tranquilla, è ancora buono» disse lui facendole l’occhiolino e dirigendosi verso la tavola. Virginia, assonnata, si sollevò e lo raggiunse, sedendosi accanto a lui.
«Che cosa mi devi dire di così importante?» chiese a bruciapelo Adrian. Virginia avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo, adorava suo padre, comprendeva sempre i suoi stati d’animo. «Ero veramente preoccupata. Non ti ho aspettato solo per parlarti» ci tenne a sottolineare.
«Lo so, tesoro. Una volta constatate le mie condizioni, avresti potuto andare a letto, invece hai insistito per rimanere. Cosa ti turba?».
Virginia lo osservò per un attimo addentare una coscia di pollo, poi sospirò e disse: «Sono insufficiente in Divinazione ed il professore dice che non supererò mai l’esame di fine anno».
Adrian con una calma, che la ragazzina trovò esasperante, prima di parlare sorseggiò del vino elfico, poi giochicchiò con il bicchiere per qualche secondo. «Tu odi Divinazione» sospirò alla fine, prima di tornare alla sua coscia di pollo.
«Sì, ma… che c’entra… tu hai sempre detto che bisogna studiare anche se non ci piace qualcosa e…».
«La divinazione è una branca incerta della magia, molto incerta. Poche persone hanno il dono della Vista. Tu sicuramente non ce l’hai. E comunque mi riferivo alle materie importanti, che per me sono tutte tranne Divinazione. Credo sia sbagliato tentare di conoscere il nostro destino prima del tempo, non porterebbe a nulla di buono. Ma il problema è lo studio? Rischi di essere bocciata perché non studi?».
«No, no, ti giuro che lo faccio. Ho provato ha imparare a memoria quelle definizioni… non hanno senso… non lo so… papà, ti giuro…».
«Alle volte io non so cosa fare con te, Virginia. Ho parlato con una mia ex compagna di Scuola. Adesso è una psicomaga del San Mungo. Ti va di fare due chiacchiere con lei?» disse a bruciapelo Adrian.
Virginia sentì le lacrime premere per uscire e distolse lo sguardo dal padre. Non poteva certo gridargli che non capiva un tubo come faceva la maggior parte delle adolescenti, lui capiva fin troppo alle volte. «N-no i-io lo so cosa dovrei fare… non voglio studiare Divinazione. D-dovrei parlare con il professor Williams e dirgli che non voglio più seguirla. Giusto? E questo che mi vuoi dire?» chiese senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
«Non c’è bisogno di piangere, tesoro. Voglio solo aiutarti. Sappiamo entrambi perché hai scelto quella materia. Così come le altre quattro a scelta. Virginia, io mi preoccupo per te! Parliamoci chiaro, non sei preoccupata della mia reazione per i tuoi voti in Divinazione, ma per tua madre. Io ti ho sempre chiesto di impegnarti e di comportarti bene, non ti ho mai chiesto di essere perfetta. Non mollerai Divinazione, lo so. Ma almeno promettimi di non starci male, anche se alla fine non dovessi superare l’esame non fa niente, ok?».
«I-io voglio mollarla, ma ho paura della reazione di mamma. Il nuovo professore mi terrorizza, me lo sogno pure la notte. Vorrei fare come Cassandra Cooman».
Una scintilla di curiosità si accese negli occhi spenti e preoccupati di Adrian. «Cassandra Cooman, la nipote di Sibilla Cooman? La ragazzina che ha la Vista? Il Capitano mi aveva detto che la Preside aveva concordato delle lezioni extra con il nuovo professore proprio per aiutarla. E poi che fa per spaventarti?».
«È una persona gelida, non sorride mai. Ti sta addosso mentre fai le esercitazioni e ti umilia davanti a tutti come se non valessi nulla solo perché non vedi niente all’interno di una stupidissima sfera di cristallo. E comunque Cassandra Cooman si gioca sempre le lezioni di Divinazione con Rose Weasley. Lo odiano tutti. È stato sopranominato Solo-io-so-l ’ovvio. Perché la Preside ha assunto proprio lui?».
Adrian scrollò le spalle. «Probabilmente perché era l’unico candidato. Non va bene che Cassandra salti le lezioni, è possibile che nessuno le abbia detto nulla?».
«E io che ne so? Non è mica una Corvonero. Comunque non dirai nulla, vero? Nessuno vuole mettersi contro la Weasley e la Cooman».
«Mettersi contro? Ma dai, che discorsi sono? Siete solo ragazzi! Ti hanno mai dato fastidio? E sì, lo dirò al Capitano. Quella ragazzina deve imparare a controllare il suo dono o sarà un pericolo per se stessa».
«Sono tra quelle che mi prendono in giro» borbottò.
Adrian sospirò: «Senti, ne abbiamo già parlato: io non posso combattere le tue battaglie, ma se i tuoi compagni dovessero esagerare, dimmelo o parlane tu stessa con un insegnante, ok? Sono sicuro che Maxi Williams ti aiuterà».
«Va bene. Domani come faccio con mamma?».
Adrian si alzò e pose i piatti sporchi nel lavandino alle sue spalle. «Lo sai che non approvo il comportamento di Lauren con vostra madre, ma tu esageri al contrario. Tua madre è… rigida, diciamo… ma tu non puoi farti condizionare sempre da lei… Ora hai quattordici anni, ma quando ti diplomerai che farai? Sarai in grado di far valere i tuoi desideri, come ha fatto Lauren o lascerai che tua madre scelga anche il tuo futuro? Io e tua sorella siamo qui per aiutarti, Virginia».
La ragazzina lo abbracciò forte e disse piangendo: «Non mi farà andare ad Hogsmeade!».
Adrian sospirò, le sue parole non erano servite a nulla. Virginia non era ancora pronta ad opporsi alla madre. «Non pensavo ti interessasse» disse ripensando alla lettera sinceramente preoccupata che gli aveva inviato il professor Vitious l’anno precedente e le poche parole che era riuscito a scambiare con Maxi Williams negli ultimi tempi. Virginia non andava mai al villaggio, nonostante le avesse firmato il permesso. La motivazione che la ragazzina gli aveva dato è che non riusciva a stare a passo con i compiti e che poi non aveva voglia di andarci da sola. Parlando anche con altri suoi professori aveva toccato con mano le sue preoccupazioni e ciò che anche Lauren gli diceva spesso: Virginia tendeva sempre ad isolarsi. «Da quand’è che ti interessa?».
Virginia si irrigidì e sciolse l’abbraccio. Era arrossita. «Al mi ha detto che se mi va posso andare con lui ed i suoi amici la prossima volta e non voglio perdere quest’occasione».
«Al?» chiese circospetto Adrian, voleva che la sua bambina facesse amicizia ma era preoccupato che qualcuno le potesse fare del male.
«Albus Potter. Mi ha detto che posso chiamarlo Al» mormorò in risposta. «Ci siamo fatti compagnia ieri sera. Nemmeno lui aveva voglia di andare al Ballo del Ceppo e rimanere in Sala Comune. Siamo stati per ore in biblioteca. È stato fantastico perché c’eravamo solo noi ed abbiamo un sacco di cose in comune. Anche ad Al piace un sacco Antiche Rune, addirittura mi ha fatto vedere che sta traducendo un libro molto antico e difficile».
«In biblioteca di notte?» chiese Adrian basito.
«Sì, ma avevamo il permesso del signor Bennett, il nuovo bibliotecario. Ti giuro, papà, avevamo il permesso!».
Adrian sorrise lievemente. «Tranquilla, tranquilla mi fido di te. Facciamo così. Tu con mamma comportati come sempre. Non metterti a discutere quando ti rimprovera. Sappiamo entrambi che lo farà. Che non ti venga in mente di risponderle come fa Lauren o non ti aiuterò. Voglio che le portiate rispetto, lo sai. Ti prometto che non ti verrà vietato di andare ad Hogsmeade».
«Ma lei non accetterà mai, lo sai che vorrà punirmi!».
«Virginia, ogni tanto dimentichi che tu sei sotto la mia custodia» sbottò bruscamente Adrian. «Per il Wizengamot tocca a me decidere cosa è giusto o sbagliato per te. Permetto che tua madre si intrometta solo perché ritengo sia giusto, specialmente per te che sei una ragazza. L’ultima parola, però, spetta a me. Decido io se e quando punirti, è chiaro?».
«Sì» sussurrò Virginia.
«Guarda che lo so perché fai così. Vuoi l’approvazione di tua madre e posso comprenderlo un po’, ma non lascerò che tu ti faccia male da sola» aggiunse Adrian. Virginia scoppiò in lacrime e si lasciò stringere e cullare tra le sue braccia. Era vero, voleva solo che sua madre fosse contenta di lei, invece aveva sempre qualcosa da ridire. Faceva tutto quello che le diceva, ma questo sembrava non bastare mai. E ciò che la faceva soffrire di più è che si sentiva sempre meglio quando sua madre se ne stava a Berlino con la sua nuova famiglia.
«Non mi lasciare almeno tu» sussurrò senza pensare.
«Non ci penso nemmeno» replicò Adrian.

*

«Mamma». Brian sorridente chiamò la donna chinata per odorare alcune magnolie. Il giardino era un tripudio di colori e fiori uno più bello dell’altro. Gli sembrava quasi di sentirne l’odore. Garofani, violette, primule, peonie, narcisi, anemoni e soprattutto le magnolie che la mamma tanto adorava. «È bellissimo mamma, vero? Ma com’è possibile che sia primavera? Non doveva essere la Vigilia di Natale? Buffo che ne sia convinto, no?».
La donna non diede segno di averlo sentito e si spostò verso aiuola un po’ vuota. Lì un bambino stava piantando alcuni bulbi. Quel bambino era lui. Brian si irrigidì. Non era primavera. La mamma non era lì. Sentì le lacrime calde scendere sulle guance e la mamma e lui da piccolo iniziarono a sparire. Fiocchi di neve gli offuscarono la vista e quando riuscì a vedere di nuovo si ritrovò sprofondato a metà nella neve. Le aiuole non erano più fiorite, rimaneva qualche rametto secco di rosa qua e là e qualche cespuglietto di dragoncello, ormai secco. La mamma, però, era ancora lì e piangeva, stringendo tra le mani dei petali bianchi. Stavolta sembrò notarlo: «Perché Brian? Perché le mie povere magnolie?».
E piangeva. Brian tentò in tutti i modi di raggiungerla, ma la neve glielo impediva. Si sentiva piccolo e debole. «No, no. Mi dispiace!» quasi urlò.
Si svegliò di soprassalto. Ansimante si rese conto di essere nel suo letto. Una tenue luce penetrava dalla finestra, gettò un’occhiata alla sveglia sul comodino e vide che erano sì e no le sette e mezza. Scostò le coperte e scese dal letto di scatto in preda ad una strana inquietudine. Si mise le pantofole e corse al piano di sotto, qui inciampò nelle costruzioni lasciate in giro da Sophie facendo rumore ed evitò per un pelo un pattino. Riprese fiato solo quando uscì in giardino. Fu scosso dai brividi. Aveva nevicato realmente durante la notte e le sue pantofole sprofondarono nella neve, ma riuscì comunque ad avvicinarsi ad una delle aiuole ed accucciarsi accanto ad essa. Non era rimasto nulla. Come aveva potuto dimenticarsene? Si sentiva uno schifo, era per colpa sua se la mamma piangeva. Cercò di riportare alla mente le spiegazioni di Paciock su come si stabilisce se una pianta è viva o meno, era il primo della classe in Erbologia ma non riusciva minimamente a ragionare in quel momento. Non si era salvato nulla: la terra era ghiacciata e sembrava morta. E c’era d’aspettarselo: Paciock lo ripeteva sempre, seppure i suoi compagni lo prendessero sempre in giro, le piante vanno curate ed amate. E lui non l’aveva fatto. Non seppe per quanto tempo rimase lì in ginocchio sulla neve a singhiozzare, ma ad un certo punto sentì due forti mani che lo sollevavano ed una coperta calda che lo avvolgeva.
«Ma sei impazzito, Brian? Mi è preso un colpo quando non ti ho trovato a letto!» disse irritato Gregory. «Ti stavi congelando, diamine!».
Brian si lasciò trascinare in casa e poi vicino al caminetto, incurante dei rimproveri paterni. Il calore del fuoco, però, lo fece sentire decisamente meglio. Pochi secondi dopo il padre gli mise tra le mani un bicchiere di latte caldo. Non si era neanche accorto che avesse smesso di parlare.
«Brian, per Merlino, che stavi facendo lì fuori alle otto meno un quarto del mattino? In pigiama, per giunta! Oggi ci saranno almeno cinque gradi sotto zero! Ma spiegami, vuoi trascorrere le vacanze a letto?».
«Mi sono dimenticato della mamma» disse piangendo sempre più forte.
«Ma che dici?» chiese Gregory, guardandolo mentre si stringeva forte le gambe con le braccia al petto e affondava il volto sulle ginocchia. Sedette sul tappeto con lui e gli chiese: «Cosa ti sei dimenticato? Cosa vuoi sapere di lei?».
«Abbiamo dimenticato i suoi fiori. Abbiamo dimenticato lei» continuò Brian senza smettere di piangere.
Gregory si sentì stringere il cuore, abbandonò ogni tentativo di consolarlo. Non solo non aveva avuto tempo di prendersi cura del giardino in quegli anni, ma non aveva voluto trovarlo. Brian aveva ragione, avevano dimenticato. L’avevano fatto sperando che facesse meno male, invece ora ne faceva di più. Rimase lì accanto a lui senza dire nulla, il fuoco non riusciva a scaldarlo dentro e non si preoccupò neanche quando si accorse di essere in ritardo. In quel momento non aveva importanza la sua carriera. Brian non s’immaginava quanti ritardi avesse accumulato in quel periodo e quanti richiami, dopo i disordini della sera prima probabilmente si sarebbe beccato la nota disciplinare che il sotto vice-Capitano Lewis gli minacciava da un pezzo. Sospirò stringendo a sé Brian. Aveva bisogno di Maxi. Il suo migliore amico aveva ragione: lui per primo aveva finto che tutto andasse bene, senza accorgersi, o meglio accettare, che suo figlio stesse facendo lo stesso.

*

«Buonasera, signori Fergusson» disse educatamente Al, mentre il nonno fremeva accanto a lui.
«Matthew!» strillò Dominique, gettando le braccia al collo al suo ragazzo che la prese al volo. Albus non poté fare a meno di notare che in sua cugina convivessero due personalità opposte: la Grifondoro impulsiva e con slanci di affetto improvvisi e la Serpeverde acida, fredda, incostante e vendicativa.
Il nonno strinse con calore la mano ai Fergusson e fece una carezza al più piccolo della famiglia, Jeremiah.
«Prego, prego entrate».
Nonna Molly, che era intenta a cucinare, si avvicinò a salutare un attimo e poi tornò ai fornelli. Quel giorno aveva cercato l’aiuto dei nipoti, ma non era stata molto fortunata: Dominique era stata fuori tutta la giornata con le sue amiche ed era tornata a casa solo per prepararsi all’arrivo di Matthew; Fred aveva fatto lo stesso ed ancora non era rientrato; Molly… beh Molly era un’incognita per tutti, non sapevano neanche se avrebbe festeggiato con loro, visto e considerato che non si faceva sentire con nessuno da quando se ne era andata di casa; Vic, che era sempre la più disponibile, non si era fatta vedere per tutto il giorno e la sera prima lei e Teddy avevano cenato da nonna Andromeda e Lily e Louis non l’avevano presa per nulla bene; James era stato costretto a letto da loro madre e dalla nonna, anche se Al lo sapeva: il fratello più che riposarsi si stava scervellando su come dovesse comportarsi adesso con Benedetta, Robert era di sopra con lui e probabilmente non l’aveva affatturato solo perché era minorenne. Al era stato felicissimo quando James la mattina prima gli aveva raccontato rapidamente che cosa aveva fatto con Benedetta. Sospirò mentre aiutava gli ospiti con le valige. Praticamente l’avevano mollato da solo. Rose era uscita di nascosto per andare da Cassy e non era ancora tornata con preoccupazione dei nonni. Zia Hermione l’avrebbe uccisa. Lily ed Hugo erano andati da Alice; Louis si era chiuso in camera sua a leggere ed era uscito solo per pranzare; Gideon ed Arthur erano stati portati a far compere da zia Jane. Erano rimasti lui, Roxi, Lucy e Fabiana ad aiutare la nonna. Ad aumentare il caos in casa quell’anno, però ci avrebbero pensato anche gli ospiti stranieri. I Flamel erano stati invitati da Fleur e Bill, anche se per fortuna avrebbero dormito in una villetta che avevano acquistato anni prima i nonni Delacour, che a loro volta sarebbero stati presenti. Apolline aveva deciso di portare a casa anche due suoi compagni della delegazione di Beauxbatons, Eugene Martin e Paul Leroy. Senza contare che Arthur aveva invitato la Cercatrice di Durmstrang, Anne Müller. Infatti altra idea brillante della McGranitt, o chi per lei, era stata quella di far invitare gli studenti stranieri dalle famiglie inglesi.  Per farli ambientare meglio, era stata la scusa. Qualcuno tra i ragazzi pensava che la Preside volesse meno gente possibile tra i piedi per almeno due settimane.
«Ecco, questa è la vostra stanza» annunciò ai coniugi Fergusson aprendo la porta di una camera al primo piano. «Potete sistemarvi, mentre accompagno Jeremiah di sopra». Matthew era stato rapito da Dominique.
«Questa casa è pazzesca» commentò il ragazzino, quando rimasero soli. «Escono camere dappertutto, ma come fate?».
«Magia» replicò sorridendo Albus.
«Anche io il prossimo anno verrò ad Hogwarts e spero di essere smistato nella stessa Casa di Matthew, peccato che lui si diplomi quest’anno».
«Te lo auguro… vieni siamo arrivati… questa è anche la mia stanza… ehm scusa per il disordine, ti spiacerebbe non dirlo agli adulti? Sai, la nonna ci aveva intimato di ordinare stamattina… È assurdo come in meno di ventiquattro ore le nostre cose si siano sparse in giro».
«Oh, stai tranquillo. Non dirò nulla».
In effetti la camera non aveva un aspetto particolarmente invitante quando entrarono. «Attento a dove metti i piedi» lo avvertì Albus, fermandolo prima che calpestasse la scopa di Fred.
«Il tuo letto è quello in basso vicino alla finestra» aggiunse Albus, indicando l’unico letto sgombro di vestiti e libri.
«Ciao» borbottò James, facendoli sobbalzare.
«Mi eri dimenticato che eri qui».
«Molto gentile, fratellino» disse James, saltando giù da uno dei letti. «Direi che ho riposato abbastanza. Vado a vedere se la nonna mi fa fare un assaggino».
«Io non lo farei se fossi in te…» iniziò Albus, ma James non gli diede minimamente ascolto.
«Perché?» chiese sorpreso Jeremiah.
«Oh, niente di che… quando la nonna lo vedrà in piedi, lo riterrà abbastanza in forze da dare una mano… Immagino che gli farà apparecchiare la tavola… Ah, beh io ho provato ad avvertirlo… Fa’ pure con comodo, io scendo ad aiutarlo…».
Albus si sorprese nell’incontrare il padre sul pianerottolo del primo piano.
«Sei tornato!».
Harry annuì. Era pallido ed aveva occhiaie particolarmente evidenti. Alla fine il giorno prima non era neanche andato a prenderli alla stazione ed era la prima volta da quando James aveva iniziato Hogwarts, anzi Teddy gli aveva assicurato che non era mai accaduto nemmeno con lui. In più quella notte non l’aveva sentito rientrare e quando si era svegliato, era già uscito. Sua madre si era limitata a rassicurarli sul fatto che stesse bene, ma era palese che lei stessa non aveva dormito quasi per nulla. 
«Tutto ok, papà?» gli chiese Albus.
«Mmm… spero solo che i Neomangiamorte vogliano trascorrere il Natale con le loro famiglie, così almeno staremo tranquilli per qualche ora… Scusami, Albus, sono stanchissimo. Dov’è mamma?».
«Finnigan l’ha chiamata stamattina, perché a quanto pare c’era qualche problema con la nuova rivista di Quidditch che stanno realizzando. Ha mandato un gufo per dire che non sarebbe tornata per pranzo. Penso che a momenti sarà qui».
Harry annuì e senza aggiungere altro lo superò per dirigersi ai piani superiori.
«Papà» lo bloccò. Harry si girò e lo fissò interrogativo. «Nei prossimi giorni posso andare a casa di un’amica, è bravissima in Antiche Rune e…».
«Al, credevo che tua mamma fosse stata chiara ieri sera. Da soli non andrete da nessuna parte. È troppo pericoloso. Questa casa e la nostra sono protette nel migliore dei modi possibili» replicò Harry irritato.
«Ma…».
«Insomma Al!» sbottò Harry. «Non sono in vena di polemiche! Credevo che avremmo dovuto affrontare i capricci di Lily in merito, non certo i tuoi!».
«Ma la casa della mia amica è protetta» insisté.
«Sto parlando di una protezione seria, Albus!».
«Le protezioni messe da uno dei tuoi sotto ufficiali non sono abbastanza serie per te?».
«Di chi Merlino stai parlando?».
«Virginia Wilson».
«La figlia di Adrian?».
«Sì, allora posso? Le ho chiesto di venire lei da noi, ma si vergogna e poi non va molto d’accordo con Rose… ma me l’hai detto mille volte che non devo fare sempre quello che dice Rose…».
«Sì, va bene, ma prima parlo con Adrian. Se dovete incontrarvi voglio che lo facciate quando lui non è di turno e poi se riterremo opportuno dovrai usare la Metropolvere. Ora, vado a farmi una doccia però».
Albus sospirò. Da una parte era contento che il padre avesse accettato, gli mancavano un po’ di pagine da tradurre di quel libro che aveva trovato in biblioteca, che aveva alcune delle risposte di cui necessitavano, e con l’aiuto di Virginia avrebbe fatto sicuramente più in fretta; dall’altra provava pena per il fratello che per andare a trovare Benedetta avrebbe avuto ben poche possibilità.
Zio George aveva allestito un gazebo coperto in giardino perché entrassero tutti. Naturalmente era riscaldato e anche lì, come in soggiorno, vi era un albero di Natale, anche se non imponente quanto l’altro, ed era pieno di decorazioni colorate che avevano sistemato insieme quella mattina.
La cena preparata dalla nonna, zia Angelina, zia Fleur fu abbondante e buona come sempre. 

*

«Frank! Non ti avevo detto di mettere quella benedetta camicia nei pantaloni?» sibilò Hannah Paciock, fulminando con un’occhiata il suo primogenito.
Il ragazzino sospirò e fece per obbedire, ma Amy lo bloccò. «La smetti di fare il bravo bambino? La camicia ti sta meglio di fuori e se ti togliessi quel maglione, sembreresti più figo e faresti più colpo sulle ragazze».
«Insomma, quando ti dico una cosa dev’essere quella!» sbottò Hannah, Frank non si oppose quando la donna gli sistemò la camicia come voleva lei sotto lo sguardo divertito dei suoi cugini.
«Contenta?» sospirò, totalmente rosso in volto, ad Amy, quando la madre si fu allontanata, lanciando un’occhiataccia ad entrambi.
«Sei un caso disperato» dichiarò lei.
«Anche tu, però. Sai essere peggio di Alice!».
«È mezzanotte» annunciò nonno Albert.
«Ed allora?» chiese Amy a Frank.
«È tradizione che ci consegni i suoi regali adesso. Avviciniamoci» replicò il ragazzino alzandosi.
«Ma il divano era comodo!» si lamentò Amy.
Nonno Albert era un uomo incredibilmente gioviale ed alla mano, come ogni buon Tassorosso in fondo, ed amava essere circondato dai suoi nipoti. Come ogni anno era seduto in una poltrona vicino al maestoso abete che occupava un angolo del salotto ed i ragazzi si sedettero intorno a lui. «Allora ho cercato di accontentarvi tutti» disse facendo loro l’occhiolino. Frank sorrise al nonno, che ogni anno li scriveva di nascosto ai genitori per sapere che cosa volessero in regalo. Nonostante gli adulti fossero contrari, i ragazzi ne approfittavano per chiedergli quello che loro non li avrebbero mai comprato. Il tutto senza troppi sensi di colpa visto e considerato che il nonno era ricco e per quello che avevano compreso aveva già provveduto a dividere equamente il suo patrimonio tra i tre figli, quello che si era tenuto per sé era proprio per i nipoti. Non per niente lo adoravano.
«Papà, che cosa li hai comprato?» chiese esasperato zio Charles, probabilmente non aveva dimenticato lo stage presso i Cannoni di Chudley che aveva regalato ad Albert l’anno precedente.
«I ragazzi ne saranno felici» replicò il nonno, come se fosse una risposta esauriente. Poi con un gesto della bacchetta fece sollevare otto pacchi, alcuni parecchio voluminosi, e li fece volare tra le braccia dei rispettivi proprietari. Hannah gemette in sottofondo e Charles trattenne a stento un’imprecazione quando riconobbero dalla forma i regali che Alice ed Albert fissavano rapiti. Frank intuì che non tirava bella aria e gettò un’occhiata al padre, che, però, era rimasto tranquillamente stravaccato su una poltrona. Scartò curioso il suo regalo, come al solito probabilmente era stato l’unico a non fare richieste, alle volte pensava che fosse una fregatura ascoltare sempre i genitori ma nel caso del nonno non ci perdeva nulla di solito. Infatti rimase colpito quando scoprì i due libri che gli aveva regalato, ignorando le urla di giubilo e di vittoria di Alice ed Albert. Uno era una copia antica delle Fiabe di Beda il Bardo, illustrato con delle bellissime miniature che osservò sempre più euforico. Quel genere di libri non li vendevano di certo al Ghirigoro. Anche l’altro libro era molto antico e si intitolava Storia della magia celtica, perfettamente rifinito, con la copertina in pelle di drago ed il titolo scritto in lettere dorate.
«Allora Frank, non dici nulla? Ti piacciono?».
Frank si riscosse e vide che il nonno lo fissava con un sorriso benevolo.
«Sì tantissimo, grazie mille» mormorò alzandosi e dandogli un bacio sulla guancia.
«Papà» chiamò Hannah con una punta di isterismo nella voce. «Perché Merlino hai regalato una scopa ad Alice?  Sai perfettamente che io e Neville non volevamo!».
«E tu sai perfettamente che Alice adora il Quidditch ed è stato meschino da parte vostra vietarle anche di presentarsi ai provini per Grifondoro».
«Perfino lei ha capito e non si è lamentata!» replicò Hannah.
«Non mi sono lamentata perché io e Lily vogliamo fare le battitrici ed i posti erano già occupati, ma appena Fred si diploma…» intervenne Alice, prima di abbracciare con foga il nonno con un braccio e con l’altra mano tenere stretta la nuovissima Nimbus 2030.
«È bellissima nonno!» gridò eccitato Albert, brandendo la sua sotto l’occhiata di disapprovazione dei suoi genitori. «Ti prometto che annienteremo gli stranieri!».
«In teoria non dovresti usare certe espressioni» provò Neville, ma suo suocero coprì la sua voce: «Sì, grandi onori per Tassorosso quest’anno! Non sai quanto sono fiero di te! Quando sarai in nazionale vorrò i biglietti per la tribuna!».
«Sicuro, nonno!».
Anche Amy aveva ricevuto una Nimbus 2030, ma zia Elisabeth non aveva detto nulla.
«Albert, non giocherà in nazionale! Si impegnerà per avere dei buoni M.A.G.O. ed entrerà al Ministero» esclamò minaccioso zio Charles, per un attimo le sue parole azzittirono i ragazzi ma poi Albert stesso scoppiò a ridere e disse: «Appena compio diciassette anni me ne vado di casa, decido io il mio futuro e senz’altro non entrerò al Ministero».
«Tu non andrai da nessuna parte, finché vivo questa sarà casa mia e tu potrai stare qui» intervenne il nonno serio. «E voi tutti smettetela, lasciate che i ragazzi seguano la loro strada. Io ho rischiato di perdere una figlia. Permettete che vi guidi visto che ho più esperienza». Alle sue parole si irrigidirono tutti e poi zia Elisabeth si alzò e lo abbracciò. «Ti voglio bene, papà. Ti prometto che non scapperò più».
«Questo non significa che dobbiamo lasciar fare ai ragazzi ciò che vogliono» borbottò zio Charles.
«E soprattutto Albert, lei non dovrebbe comprare ai ragazzi ciò che noi li abbiamo vietato. Non è educativo. Ne abbiamo discusso molte volte» intervenne zia Clarisse.
«Ha ragione, papà» provò Hannah.
«Ma cara, non mi sembra che Neville si stia lamentando, o sbaglio? Neville, che cosa ne pensi?» replicò il nonno, tirando in ballo il genero.
«È un bellissimo regalo, grazie Albert».
«Neville?!» dissero in coro Charles ed Hannah.
«Papà sul serio sei d’accordo?» chiese Alice altrettanto sorpresa.
«Sì, l’anno prossimo potrai provare ad entrare in squadra, se lo desideri, ma» e quel ma bloccò Alice che già gli stava saltando addosso per la felicità, «fino ad allora la scopa la terremo io e la mamma».
Alice spalancò la bocca, mentre Hannah assunse un’aria soddisfatta. «Così va meglio» commentò.
«Nonno!» si lamentò Alice voltandosi verso di lui, l’uomo le fece cenno di avvicinarsi e le sussurrò qualcosa nell’orecchio. La ragazzina non sembrò molto felice, ma alla fine annuì. «Va bene, ma almeno quando sono a casa di nonno posso usarla in giardino? Nessun babbano potrebbe vedermi».
«Solo a casa di nonno» concesse Neville ed Alice tornò a sorridere ed a saltellare.
Frank sorrise quando nel suo entusiasmo Alice abbracciò anche lui. Gli altri sembravano altrettanto soddisfatti: Augusta ed Emmy avevano ricevuto dei graziosi vestiti ed erano andate subito a provarli. Così almeno l’attenzione della mamma e della zia Clarisse era puntato su di loro e quel regalo l’avevano gradito molto di più. Martin, invece, aveva ricevuto un libro, ma molto diverso dai suoi.
«E questa che roba è?» chiese zio Charles prendendoglielo dalle mani.
«È un libro che parla della costruzione di automobili magiche. L’ha pubblicato la stessa Fox» mormorò in risposta Martin senza guardarlo negli occhi.
Se Frank, come ripeteva fino alla nausea Amy, si comportava sempre da bravo bambino, Martin non aveva il coraggio nemmeno di apri bocca davanti ai genitori. Amy aveva rinunciato in principio con lui.
«E che importanza hanno queste cose?» chiese zio Charles. «Sono tutte stupidaggini!».
«Hai mai chiesto a tuo figlio quale sia il suo sogno?» replicò il nonno.
«I sogni sono solo sogni. Roba da ragazzi, che poi viene messa da parte una volta che si cresce!».
«Figlio mio, io non so proprio come abbiamo fatto a farti crescere in questo modo» esclamò il nonno scuotendo la testa.
«A me piacerebbe lavorare per la Fox» mormorò Martin, sorprendendo tutti.
«Tu che cosa?» sibilò zio Charles.
«Non è il caso di discuterne stasera» intervenne zia Clarisse con voce ferma, per evitare un litigio tra il suocero ed il marito.
«Certo!» sbottò zio Charles. «Incoraggiamoli a seguire sogni assurdi e non la concretezza! Avanti visto che ci siamo, tu che vuoi fare Frank?».
Il ragazzino sobbalzò nel sentirsi tirare in causa, dopo un attimo di riflessione rispose: «Vorrei fare lo storico della magia».
Il nonno rise. «Eh, sì lo sapevo. Io azzecco sempre i regali».
«Un altro sogno concreto! E voi cosa dite?» chiese zio Charles, rivolto ad Hannah e Neville.
«Non ha mica detto di voler fare l’artista di strada» replicò Neville, che aveva trovato divertente scartare uno dei regali di Aurora ed aveva fatto suonare il piccolo carillon vicino alla carrozzina dove la bimba dormiva. «E comunque ha ragione Albert, è bene che i ragazzi seguano la loro strada».
Zio Charles fece per replicare a tono, ma fu interrotto da uno degli elfi di casa.
«Padroni, c’è un signore alla porta. Dice di chiamarsi Damian Mitchell e di essere stato invitato».
«Papà!» strillò Amy, sotto lo sguardo sconvolto di Elisabeth. Corse verso la porta, ma sulla soglia si fermò e si voltò: «Grazie, nonno».

*

«Potter».
James non si mosse e continuò a fissare la campagna innevata intorno alla casa dei nonni.
«Vuoi fare un tiro?».
«Guarda che ti beccano. Mio padre una volta mi ha fatto il terzo grado solo perché credeva che avessi fumato».
«E non l’avevi fatto?».
«No, era estate ed eravamo in vacanza a Dover. Alcuni ragazzi avevano acceso un falò in spiaggia ed io mi ero intrattenuto con loro. Poi puzzavo di fumo».
«Tuo padre, comunque, sta dormendo sulla spalla di tua madre. E comunque non credo che abbia gran fiuto. La tua cara Rosie fuma ogni tanto, non lo sai?».
«Sì, ma non in mia presenza e con un gruppo di sue amiche babbane» replicò James.
«Allora ha ragione Domi, quando dice che sei diventato un Prefetto-Perfetto».
James finalmente si voltò ed ha denti stretti disse: «Il fumo fa male. A me piacciono le cose che fanno ridere. Non è questione di regole. Ora lasciami in pace».
«Guarda che io avrei voluto avvertirti. Anzi ero sicura che lo sapessi, finché non ho visto la tua faccia quando hai scoperto che avremmo dovuto affrontare un serpente marino».
«Non fammi ridere, Apolline» sbottò James. «Tu e quel cretino di Durmstrang siete stati sleali».
«Il Torneo Tremaghi è sempre stato così. E non è colpa mia».
«Che cosa non è colpa tua?» chiese stizzito James.
«Avevo detto a Domi di dirti in cosa sarebbe consistita la prova, non sapevo che ce l’avesse con te fino a questo punto».
James rimase scioccato a quelle parole. Fin da quando erano piccoli lui e i suoi cugini si erano aiutati a vicenda ed un gesto simile non se lo sarebbe mai aspettato. Sentì la rabbia montare e si diresse a passi pesanti verso il gazebo. «Aspetta!» lo fermò la ragazza, tenendolo per un braccio. «Hai scoperto come aprire la bottiglia?».
«No e non ho bisogno del tuo cazzo di aiuto» sbottò James, liberandosi bruscamente dalla sua stretta. A passi svelti raggiunse il gazebo e senza guardare nessuno in faccia si avvicinò a Dominique, seduta accanto a Matthew, che stava chiacchierando con la signora Fergusson.
«SEI UNA STRONZA! DA OGGI IN POI SEI MORTA PER ME!» ruggì, facendo svegliare di soprassalto suo padre ed attirando l’attenzione di tutti su di lui. Vide sua madre che stava per parlare e disse subito: «Vado a letto».
«Aspetta solo un attimo, Jamie».
La voce di Teddy lo fermò.
«Dobbiamo dare una notizia a tutti. Abbiamo pensato sarebbe stato bello aspettare la mezzanotte e quindi che arrivasse Natale» aggiunse Victoire, raggiungendolo e circondandolo con un braccio. «Solo un attimo Jamie, per favore» gli sussurrò a voce bassa. James smise di fare resistenza. Si avvicinò anche Teddy. «Vogliamo approfittare di questo momento in cui la famiglia è tutta riunita per dirvi che…» iniziò il ragazzo, mentre i suoi capelli diventavano rosso fuoco.
«…presto ci sarà un piccolo Lupin» terminò Victoire, le cui guance si erano tinte di rosso.
«E vorremmo che Jamie fosse il padrino. Naturalmente la scelta sarà ufficiale solo quando diverrà maggiorenne».
James, colto alla sprovvista, ci mise qualche secondo a riscuotersi e capire che stavano aspettando che dicesse qualcosa. «È fantastico, grazie» disse sinceramente.
I festeggiamenti che si erano acquietati, ripresero nuovo vigore e furono stappate diverse bottiglie di spumante, mentre tutti i presenti si congratulavano a turno con i futuri genitori.

*

«Ma io non voglio venire!» ripeté forse per la milionesima volte quella sera. Emmanuel Shafiq era forse uno ragazzino abbastanza maturo per la sua età, ma quando si intestardiva era un problema.
«Che sono tutti questi capricci? Darnell, sei troppo permissivo con tuo figlio, se fosse stato per me gli avrei già tirato uno schiaffo» intervenne Alton Shafiq, nonno di Emmanuel, ma soprattutto il capofamiglia.
«Sì, padre. Lo so per esperienza» replicò Darnell Shafiq, un noto magiavvocato e membro del Wizengamot. «Perché non inizi ad andare?».
Il più anziano sbuffò e lasciò il salotto dove si trovavano.
«Allora Emmanuel, facciamola finita. Non è possibile che ogni anno si ripeta la stessa storia».
«Amore,» intervenne Emily, la madre di Emmanuel, per calmare gli animi. «sono solo un paio d’ore».
«Più di un paio d’ore» sbuffò Emmanuel. «Il problema è che non capisco il senso! Voi dite sempre che il sangue non conta e poi andiamo a questi raduni da Purosangue».
«Il sangue non conta, ma ci sono delle tradizioni da rispettare. E tuo nonno ci tiene» replicò Darnell, seccato.
«Non mi piace. Zia Callie e zia Charis non sono invitate».
«A loro non dispiace esserne escluse».
«Nemmeno a me! Non posso dormire da loro?» provò Emmanuel speranzoso.
«No» rispose seccamente suo padre.
«È pur sempre la sera di Natale, vogliamo stare con te» tentò Emily.
«Vengono escluse perché non hanno sposato dei Purosangue!» si intestardì Emmanuel.
«Sì, è così. Nessuno ne ha mai fatto un mistero. Al ricevimento di Natale dei Purosangue non sono ammesse. Tuo nonno non si è mai opposto ai loro matrimoni. Non è lui ad organizzare la festa. Te l’ho già spiegato».
«Però partecipando sembra che noi approviamo questo genere di discriminazioni. So che la pensi come me, papà» insisté il ragazzino.
Darnell annuì. «Odio questo genere di mezzi, ma tu non mi lasci scelta».
Emmanuel lo fissò preoccupato, voleva davvero prenderlo a schiaffi come aveva suggerito il nonno? Non aveva mai alzato un dito su di lui in tredici anni. Suo padre, però, mise la mano nella tasca del mantello e tirò fuori quattro biglietti. Il ragazzino impiegò qualche istante per capire cosa fossero. «Sono per la prossima partita degli Appleby Arrows?» chiese stupito.
«Già. Sono per me, te, Selene e zio Caspar. Hai ragione tu, ma quando crescerai capirai che alle volte i gesti plateali di ribellione non servono a molto. La nostra partecipazione a questo ricevimento non c’è ancora alcun motivo perché debba essere considerata un gesto indegno».
«In che senso?».
«Sai benissimo quello che sta succedendo, sei un ragazzino sveglio. Se la mia partecipazione a certi eventi in futuro significherà scegliere da che parte stare, sta sicuro che darò una ferma risposta. Non ti allontanare da me e tua madre, ci saranno dei soggetti che non mi piacciono».
«Credo di aver capito, papà» replicò serio Emmanuel.
Darnell annuì. «Su, andiamo».
Emmanuel non apprezzava quelle serate in cui era costretto a mostrarsi perfetto. Erano molto noiose. Il ricevimento di Natale, poi, è una tradizione inaugurata dopo il 1930, anno in cui è stato pubblicato anonimo l’elenco delle ventotto famiglie purosangue. Le Sacre Ventotto. Per lo più ormai si ritiene che l’autore sia stato Cantankerus Nott. Infatti per anni era stata la famiglia Nott ad organizzare il ricevimento, poi la guerra aveva cambiato ogni cosa. Per quello che gli aveva raccontato suo padre in quegli anni non festeggiarono mai, perché le stesse famiglie purosangue erano divise tra loro e vi era un clima di sospetto e paura. Emmanuel rimuginò per tutto il percorso in macchina, ormai le Fox andavano di moda: le parole del padre erano state chiare, temeva che si sarebbe ripresentata la stessa situazione. Non voleva un’altra guerra, pensò spaventato. Comunque adesso erano i Burke ad organizzarla, poiché i Nott, dopo che il capofamiglia era stato condannato a vita ad Azkaban, e l’unico erede, Theodore, aveva sposato una babbana, erano caduti in disgrazia. Erano anni che sentiva il nonno e gli zii parlare di modifiche dell’elenco delle Sacre Ventotto; ormai delle vecchie famiglie rimaneva ben poco e ve ne erano altre che il nonno definiva dispregiativamente parvenu.
Il maniero dei Burke era cupo ed Emmanuel si sentì inquietò, nonostante vi fosse stato parecchie volte. Phineas Burke attuale capofamiglia aveva sposato Katrine Bulstrode, ed avevano due figli Edward e Sarah. Emmanuel non vi aveva mai fatto amicizia, da una parte a causa della differenza d’età, dall’altra perché erano due ragazzi schivi che non davano mai molta confidenza. Entrando nel vasto salone si rincuorò un po’ riconoscendo Scorpius Malfoy.
«Buon Natale, Scorpius» disse subito con un sorriso.
«Sì, auguri» replicò Scorpius sarcastico.
«Che succede?» gli domandò sorpreso.
«E me lo chiedi? Questo è il trionfo dell’ipocrisia!» disse a voce un po’ troppo alta, tanto che qualcuno vicino lo sentì e lo fulminò con lo sguardo.
«È meglio se abbassi la voce» sussurrò.
«Di che hai paura? Loro non valgono niente da soli!» sibilò Scorpius.
«Con chi ce l’hai?».
«Mio padre mi ha deluso. Si è unito ai Neomangiamorte. Sono una massa di corrotti qui dentro!».
«No, aspetta. Mio padre e mio zio Caspar non lo sono. Ne sono sicuro!».
«Te lo auguro. Comunque stanotte non tornerò a casa».
«Che vuoi dire?».
«Appena i miei saranno distratti da chiacchiere inutili, me ne vado da Al».
«Non puoi scappare in eterno».
«Io non scappo. Metto le distanze tra me e loro».
Emmanuel scosse la testa incredulo di fronte alla risoluzione dell’amico e trascorse il resto della serata in compagnia di sua cugina Selene.
All’improvviso la sala cadde nel buio. Varie urla si susseguirono. Emmanuel si sentì stringere la mano con forza.
«Che succede?» gli chiese Selene.
«Non lo so. Dov’erano i nostri genitori?».
«Vicino al tavolo del buffet, parlavano con i Lumacorno».
Il ragazzino fece per muoversi verso quella che riteneva la direzione giusta, ma il salone tornò ad illuminarsi. Trattenne il respiro: erano circondati. Uomini in veste nera e maschera argentata avevano creato una specie di cordone e tutti gli invitati erano stati spinti verso il centro. Selene era rimasta paralizzata, ma Emmanuel con gesto secco la tirò per il braccio per portarla verso suo padre, il primo volto familiare che aveva visto, ma il panico aveva preso il sopravvento e furono spintonati, ritrovandosi ancora più lontani.
«Silenzio!» gridò una voce gelida. I presenti cercarono la persona che aveva parlato ed a mano a mano che la identificavano un mormorio spaventato o in alcuni casi eccitato si levava da più punti del salone. Emmanuel per conto suo aveva la visuale coperta dai maghi adulti.
 «Sei un ricercato, Rabastan Lestrange. Abbassa la bacchetta e consegnati» disse con voce ferma un ragazzo sui vent’anni.
La risata fredda e priva di emozioni di Lestrange fece rabbrividire Emmanuel, che istintivamente estrasse la bacchetta e vide che Selene faceva lo stesso. «Sei solo un ragazzino, Greengrass».
«Non ha importanza. In quanto Allievi Auror abbiamo in casi estremi l’autorizzazione a procedere con un arresto».
Stavolta Emmanuel riconobbe il ragazzo che aveva parlato: Raphael Fawley. I due ragazzi erano ora fianco a fianco e la folla aveva creato il vuoto intorno a loro. «Soprattutto se in presenza di un Auror» sibilò Greengrass fissando minaccioso Edward Burke, che si affrettò ad avvicinarsi e disse: «Ti dichiaro in arresto».
«Basta così» disse una donna, rimasta in disparte fino a quel momento. Bellatrix Selwyn si tolse il cappuccio del mantello che le copriva il volto, rivelandosi ai presenti. Con un gesto della mano disarmò tutti, poi con voce tagliente ordinò: «Rabastan, mostra ai futuri Auror che stanno sbagliando strada».
Emmanuel emise un urlo strozzato, mentre Lestrange ad un paio di uomini corpulenti si gettavano su Greengrass e Fawley. Una barriera magica separava il terribile spettacolo dal resto degli invitati. Erano nelle loro mani. Il ragazzino tentò di riflettere ed ignorare le grida dei due ragazzi, che erano stati presto sopraffatti. Possibile che non ci fosse un modo per chiamare aiuto? «Lo specchio, Emma».
Le parole di sua cugina impiegarono qualche minuto a fare breccia nella sua mente stordita, ma poi afferrò lo specchietto verde smeraldo che i suoi genitori gli avevano regalato quel giorno. Non aveva idea, però, come chiamare gli Auror: il maniero dei Burke era lontano da Londra. «Scorpius Malfoy» esclamò, sperando che l’amico, sparito già da un po’, non si fosse lamentato molto.
«Shafiq?» fu la risposta perplessa del compagno.
«Malfoy! Dove sei?».
«Alla stazione babbana, ho avuto paura che i miei mi avrebbero beccato prima se avessi preso il Nottetempo, ma qui non ci capisco nulla. Finch-Fletchley ha ragione quando dice che io e Rose dovremmo ascoltarlo anziché fare gli stupidi. Ora me ne pent-».
«Chiama gli Auror, ci hanno attaccato» replicò in fretta Emmanuel interrompendolo. Il volto di Scorpius sembrò divenire più pallido anche attraverso lo specchio.
«Ascoltatemi tutti» iniziò la Selwyn. «Sono qui per invitarvi a fare la scelta giusta. Unitevi a me e preservate la razza pura!».
Emmanuel a malapena ascoltò il suo discorso, ma non capì più nulla quando all’improvviso il salone si riempì del rumore della smaterializzazione degli Auror e subito dopo si accese lo scontro tra questi ultimi e i Neomangiamorte che non erano riusciti a scappare al loro arrivo con la loro padrona.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Come va? Mi dispiace essere sparita per un mese, ma prima ho avuto qualche problema a scrivere il capitolo (come avrete visto è molto lungo) e poi con il computer (e la connessione ad internet).
In questo capitolo ho approfondito diversi personaggi.
Ditemi un po’ che cosa ne pensate ;-)
Vi auguro un buon week end,
Carme93
 
   
 
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