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Autore: Northeast    04/11/2016    5 recensioni
Loro non stavano insieme, non si possedevano, non si appartenevano. Loro non si amavano.
Questi erano i patti: nessuna implicazione sentimentale. Ma Will c’era caduto con tutte le scarpe, i pantaloni, la maglietta e quel cappellino nero che aveva rubato a Nico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Nico/Will, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Esordisco anche in questo fandom perchè questa storia è stata così tanto tempo nel mio pc che valeva almeno un tentativo. Anche se è così clichè che quasi mi vergogno. 
Dato che io e l'ansia siamo un sinolo inscindibile come anima e corpo, nutella e olio di palma, Patrocolo e Achille and so on; mi sembra superfluo dir che, ovviamente sto friggendo d'ansia perchè ho paura che la storia sia scritta male/faccia schifo/non vi piaccia (e anche perchè ho un'interrogazione di fisica domani per la quale non ho studiato ma WHO CARES?.... T.T)
Comunque la storia, in teoria, dovrebbe essere corretta ma in pratica la ricoreggerò (e fu così che finì ad impazzire come Tasso) Spero, comuqnue che eventuali errori non rendano difficoltosa e poco scorrevole la lettura. 
Mi piacerebbe davvero molto sapere cosa pensate di questa cosa quì - pomodori compresi. Quindi ad ogni recensione vi regalo un biscottino blu perchè ci sono davvero pochi bisoctti blu nel mondo. 
(Tra l'altro ci tengo TANTISSIMO a specificare che amo teen wolf, ma tipo tanto e ho una cotta vegognosa per Stiles. Capirete il motivo di questa precisazione leggendo :P)
Vi abbraccio, 
Nordest












I'm always tired but never of you. 
 
Loro non stavano insieme, non si possedevano, non si appartenevano. Loro non si amavano.
Questi erano i patti: nessuna implicazione sentimentale. Ma Will c’era caduto con tutte le scarpe, i pantaloni, la maglietta e quel cappellino nero che aveva rubato a Nico.
Cecil gli ripeteva sempre che si stava facendo del male, che doveva smetterla, che non poteva andare avanti così. In fondo, lui non doveva essere l’oggetto di nessuno.
Will ci aveva provato. Aveva smesso di presentarsi alla sua porta quando aveva voglia di vederlo, aveva smesso di mandargli messaggi e aveva smesso di chiamarlo. Aveva cominciato ad evitarlo, faceva male ma anche lui era consapevole che fosse l’unica soluzione possibile.
Se solo fosse riuscito a resistere completamente.
Perché c’erano anche le volte in cui era Nico a mandargli messaggi: “Ho bisogno di te,” scriveva, il che di solito - sempre - significava che aveva voglia di un orgasmo. C’erano le volte in cui lo chiamava “vengo al tuo appartamento tra dici minuti, manda via Cecil, ci divertiamo.” Will ci provava a dire di no, davvero. Ma delle volte era più difficile di altre. Soprattutto quando Nico si presentava senza preavviso alla porta del suo appartamento, con il suo mezzo sorriso, i capelli neri disordinati che facevano contrasto con la sua pelle d’alabastro, gli occhi scuri che lo fissavano come se volessero scavargli dentro. E le labbra, oh, Will avrebbe mosso tutti i sette mari, i monti e anche la muraglia cinese per quelle labbra: rosee, carnose, il labbro superiore, leggermente più sporgente di quello inferiore, che Will amava mordere nelle rare volte in cui si baciavano. Le labbra che aveva visto screpolate, rotte, rosse e gonfie ma che si rivelavano essere il suo punto debole, sempre.
Quelle volte, dirgli di no era semplicemente impossibile.

Poi era arrivato Seth.
Cecil glielo aveva presentato, amici di amici, aveva detto. Il fatto era che Seth gli piaceva davvero, era entrato nella sua vita in punta di piedi con i suoi capelli biondo sporco e gli occhi color giada. Quando cominciarono a frequentarsi Will aveva pensato di aver trovato la sua ancora di salvezza, qualcuno che lo guardasse come se fosse la cosa più bella del mondo.

Era uscito con Seth qualche volta, quando Nico si ripresentò alla sua porta buttandosi a capofitto sulle sue labbra.

Dopo qualche ora la stanza di Will era impregnata di un odore di sesso e sudore. Nico si stava rivestendo, recuperando i suoi vestiti dal pavimento.
“Non possiamo più vederci” disse Will, prendendo coraggio. Nico si bloccò con la felpa nera a mezz’aria, guardandolo curioso.
“Come, scusa?”
“Non possiamo più vederci” ripeté Will più deciso. Era la cosa più giusta, continuava a ripetersi. Non aveva bisogno di Nico, aveva Seth, continuava a ripetersi.
“Perché?”
“Sto vedendo qualcuno.”
“Qualcuno?”
“Sì e mi piace tanto, anche. Penso possa essere una cosa duratura.”
“Okay” disse il moro, ricominciando a rivestirsi. Will fu colpito dalla freddezza con cui il moro aveva accettato la situazione, come fosse stato un coltello affilato piantato tra le costole. Era davvero così poco importante?
Quando si fu risistemato Nico si voltò a fissarlo, a Will parve di scorgere un lampo di indecisione nei suoi occhi, poi scrollò le spalle “Addio, raggio di sole” e chiuse la porta dietro di se.

All’inizio le cose con Seth andarono bene.
Poi, semplicemente, non andarono più.
Il pensiero di Nico era semplicemente troppo ingombrante per essere ignorato. Non andava mai via completamente. C’erano dei momenti in cui era sopportabile ed altri in cui semplicemente gli riempiva il cervello e il resto del mondo smetteva di esistere.
NicoNicoNicoNicoNicoNico

Erano passati due mesi da quando aveva lasciato Seth, sei da quando lui e Nico si erano visti l’ultima volta.
Will era seduto ad un tavolo nel ber del college: quello vicino alla finestra più grande, perché era primavera e gli piaceva sentire il calore del sole – seppur filtrato dallo strato di vetro – sulla pelle. Lo rilassava, semplicemente.
“Il tuo caffè macchiato” disse una voce che conosceva bene, sin troppo, distraendolo dalla lettura di quel paragrafo di anatomia che proprio non gli entrava in testa.
Will alzò la testa di scatto, come una molla, poteva quasi sentire i muscoli del suo collo piangere aiuto.
Nico era lì, davanti ai suoi occhi, il suo solito sguardo nero, la sua solita pelle pallida, le sue solite labbra – oh, quelle labbra – distese in un mezzo sorriso. I capelli neri erano raccolti in una mezza coda alta, Will avrebbe voluto scioglierla per lasciare che i capelli ricadessero disordinati sulle spalle e poi passarci una mano dentro, accarezzarlo gentilmente e poi ancora, ancora, ancora. A coprire i suoi vestiti neri c’era il grembiule arancione, che costituiva la divisa del bar.
“Non sapevo lavorassi qui.”
Nico scrollò le spalle e “non ti vedo da un po’ – disse – come stai?”
Will si schiarì la gola “bene – sussurrò – bene – disse con più convinzione – e tu?”
Nico scrollò le spalle. Era una cosa che lui faceva sempre, quando credeva che non valesse la pena parlare di qualcosa.
Nico si guardò intorno per qualche secondo. Non c’erano molte persone nel bar e Percy poteva benissimo gestirle tutte, pensò.
Allontanò una delle sedie dal tavolo, quella alla destra di Will, e si sedette su di essa.
“Non hai nulla da raccontarmi?” chiese il moro alzando un sopracciglio.
Will lo guardò un po’ stranito: loro non avevano mai parlato molto, avevano un contatto molto più fisico.
“No davvero. Solite cose, sai” disse facendo un vago gesto con la mano, come se Nico sapesse davvero.
Il ragazzo al suo fianco ridacchiò e lo osservò per qualche secondo, come se stesse cercando qualcosa in lui.
“I capelli ti sono un po’ cresciuti – disse – ma continuano ad arricciarsi qui”1 e accompagnò queste parole con un lieve gesto, quasi una carezza, sull’ orecchio di Will. Prima che Will potesse dire qualcosa “mi sono sempre piaciuti i tuoi capelli – continuò – mi ricordano il colore dei girasoli. In Italia c’erano tantissimi campi di girasoli” disse quest’ultima affermazione con un sorriso leggermente nostalgico, ma poi si riscosse.
Will poteva sentire il rossore sul collo, salire su, su, su, fino alle guance.
Nico ridacchiò “certe abitudini sono rare a morire, eh?”
“Non dirlo a me” mormorò Will. Che continuo a pensare a te, che continuo ad amarti, che continuo a volerti. Sei tu la vera abitudine dura a morire avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
“Come sta la tua metà?” sembrava leggermente imbarazzato mentre pronunciava queste parole.
A Will tornò in mente la sera piovosa in cui aveva lasciato Seth, i ‘mi dispiace’ che gli aveva sussurrato mentre lo abbracciava.
“Oh, uhm – Will si passò una mano sul collo – non è più la mia metà.”
“Oh” fece Nico.
“Già.”
“Mi dispiace?” disse, ma alle orecchie di Will suonò come una domanda.
Dovrebbe dispiacerti davvero – pensò – è tutta colpa tua, dei tuoi mezzi sorrisi, dei tuoi capelli neri, delle tue labbra e del fatto che hai deciso di accamparti nella mia testa, nel mio cuore e sotto la mia pelle.
Will scrollò le spalle.
 “Certe cose non sono destinate a durare.”
Ci furono diversi secondi di silenzio in cui evitarono di guardarsi negli occhi.
“Torno a lavoro” mormorò il moro alzandosi dalla sedia, che strusciando sul pavimento emise il rumore delle unghia che raschiavano su una lavagna.
Will annuì distrattamente e posò di nuovo lo sguardo sul suo libro. Se prima le nozioni di anatomia faticavano ad entrargli nel cervello, adesso era praticamente impossibile, visto che era già pieno. (NicoNicoNicoNicoNicoNico)

Will era stravaccato sul divano nella sua tenuta da casa: un pantalone della tuta grigio e una canotta, bucherellata qui e lì. Cecil era andato a trovare i suoi e sarebbe ritornato solo dopo due giorni, ciò significava totale relax ed appropriamento degli spazi. Stava guardando una puntata di Teen Wolf, cosa che non faceva da mesi perché quando Cecil si appropriava della tv – sempre – non faceva altro che ripetere che dei ragazzini che si trasformavano in lupo erano da film horror di serie B e lui non avrebbe guardato quello schifo, giammai.
Però a Will piaceva, anche se era una serie tv per ragazzine, era il suo Guilty pleasure. Inoltre aveva una cotta per Derek Hale che era quasi imbarazzante. E proprio mentre quest’ultimo era tutto sudato e a torso nudo – ma va?! Che novità – il campanello suonò.
Will sbuffò e imprecò a mezza voce prima di aprire la porta con mala grazia “chi diavol –“ la sua affermazione si bloccò a metà. Davanti a se c’era un Nico con un’aria trafelata, sembrava avesse corso.
Will inarcò un sopracciglio e stava per chiedergli perché sembrava avesse corso una maratona ma soprattutto che ci faceva lì quando il moro poggiò le labbra sulle sue, spingendolo all’indietro e chiudendosi la porta alle spalle una volta entrato nel suo appartamento.
All’inizio tutto ciò che Will pensò fu che Nico lo stava baciando e che era bellissimo, e che non c’era cosa più giusta al mondo che assaporare quelle labbra che, in un modo o nell’altro, sapevano sempre di melograno. Ma poi si riscosse perché, semplicemente, non poteva farsi questo ancora. Si staccò, allontanando il corpo del moro dal suo.
Nico lo guardò curioso e anche lievemente imbarazzato.
“Cosa diavolo stai facendo?”
Nico lo guardò per qualche secondo, catturando i suoi occhi azzurri nel suo sguardo carbone.
“Perché non sei tornato da me?”
Will si morse il labbro inferiore con forza.
“Perché avrei dovuto?”
“Io avrei voluto che tu tornassi.”
“Perché” e doveva essere una domanda, ma venne fuori più come un ordine. Will doveva sapere, perché in quel momento non aveva idea di come sentirsi, di cosa fare, di cosa dire.
Nico si fissò le punta di quelle vans nere e un po’ consumate che avevano calpestato quel pavimento così tante volte, che gli sembra quasi normale vederne il contrasto con il pavimento color panna. Si ritrovò a fissare Will, e a realizzare quanto fosse casa più di quanto si aspettasse e avrebbe voluto dirglielo, davvero, ma non sapeva come fare e non sapeva se Will provasse lo stesso. Quando si trattava solo di sesso era tutto così semplice, non doveva neanche preoccuparsi di piacere all’altro. E Nico, in questo, era bravo. Ma quando si parlava di sentimenti ed emozioni e di tutte quelle cose che ti fanno sentire quelle cose strane nella pancia – come quando bevi troppo e devi vomitare, ma molto peggio perché non devi davvero vomitare e non puoi liberartene - proprio non ci sapeva fare e, in realtà, non gli era mai interessato imparare. Prima di Will. Perché si stancava sempre degli altri, ma mai di lui. E glielo disse.
“Perché non mi stanco mai di te,”
Will sentì i suoi occhi spalancarsi leggermente. Oh.
“Perché mi stanco ad ascoltare la voce del professore di letteratura inglese ma mai la tua. Perché sono così stanco del sapore dell’alcol che non fa più nessun effetto; ma del sapore delle tue labbra non mi stanco mai e quando ti bacio mi sento come se avessi svuotato tutto il mobiletto degli alcolici di zio D. Perché mi stanco anche di guardare la Venere di Botticelli ma di guardare te non mi stanco mai. Perché sono sempre stanco, ma mai di te.”
E Will davvero non sapeva cosa dire. Sentiva il cuore battere così forte contro la cassa toracica da pensare che volesse uscire per posarsi tra le mani di Nico, che si stavano torturando e Will non era davvero neanche tanto sicuro di aver capito appieno il suo discorso affannoso e affrettato ma si slanciò verso di lui e gli circondò il viso con le mani e poggiò le labbra sulle sue con delicatezza ma con decisione.2 E in quel bacio c’era così tanto: i mesi passati separati, i mesi passati a farsi inconsapevolmente del male, la voglia di rimediare agli errori, la voglia di recuperare tutto il tempo perso. E la voglia di amarsi, di appartenersi, di possedersi. 


 

I cant' see the end of this, just wanna feel your kiss against my lips.








[0] il titolo è preso dalla canzone i hate u, i love u - gnash perchè sono clichè 

[1] riferimento letterario al libro che ha preso la mia anima, l'ha distrutta, poi rimessa insieme e poi distrutta ripetutamente per poi lasciarla a pezzi sul ciglio di una strada. Ed è "La canzone di Achille " di Madaline Miller, che io vi consiglio tanto. 


 

[2] Lo stile prevalentemente paratattico e affannosso è voluto, mi sentivo di specificarlo perchè sono una patata ansiosa :V
  
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