3.
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e
persone sapienti sono curiose. Conoscono i più disparati argomenti e riescono a
risolvere i problemi più complessi, eppure non sanno come interagire con i loro
simili. Preferiscono osservare la vita, piuttosto che viverla e Alexander non
era da meno. Appollaiata come un grosso uccello del malaugurio ammantato di
rosso accanto a uno dei tavolini ai margini della sala, scrutava annoiata gli
altri, trattenendo appena l’impulso di trovare una lettura interessante con la
quale passare il tempo. Da un paio di ore, infatti, l’atmosfera tesa che aveva
avvolto la strampalata combriccola sembrava essersi sciolta, sostituita da un
chiassoso vociare.
E tanti saluti all’idea di tornarsene a casa in tempo
per la maratona notturna del caro vecchio Freddy¹.
Alex sospirò, appoggiando il viso su una mano. Chiuse
gli occhi per qualche istante nella speranza di alleviare il principio di
emicrania che aveva iniziato a martellarle le tempie, ma un’inaspettata risata
stridula la fece sussultare sulla sedia. Raddrizzandosi, lanciò un’occhiata di
fuoco verso il divano.
Leyla e Dakota e ci stavano dando dentro con una
bottiglia di liquore comparsa come per magia tra di loro, sfidandosi a chi si
copriva maggiormente di ridicolo. Nonostante le loro divergenze e le diverse
filosofie di vita, la comune passione per il coma etilico sembrava averle unite
contro ogni pronostico. Ai loro piedi, Emily e gli altri si raccontavano
aneddoti ridendo scompostamente sul tappeto, circondati da cartine di snack e
lattine vuote. Ogni tanto il flash di un cellulare illuminava l’ambiente come
un lampo.
Solo Ren si ostinava ancora a lanciare occhiate di
scherno nella sua direzione, occhiate che venivano puntualmente ignorate.
Keiran aveva rinunciato ormai da tempo ad attirare la sua attenzione.
Raccontata in questo modo, la festa sembrava procedere
a gonfie vele, almeno per gli altri, ma fortunatamente il punto di non ritorno
si era spento sul nascere già da qualche tempo. Dopotutto, è verità
universalmente conosciuta che, in una festa colma di adolescenti, qualcuno a un
certo punto proporrà il gioco della bottiglia nel tentativo di scambiarsi
fluidi corporei con il soggetto dei propri sogni bagnati. E, infatti, tale
proposta avvenne.
Non era durato nemmeno tre giri, giusto il tempo
perché Sarah baciasse Emily, Emily baciasse Keiran e Keiran desse un misero
bacetto sulla guancia a Gregory. Ma quando fu il turno del giovane, la
bottiglia puntò malauguratamente su Ren il quale, ignorando le lamentele
femminili che avevano incominciato a citare la pornografia, si rifiutò
categoricamente di continuare il gioco. Fu così che il biglietto di sola andata
per la mononucleosi fu interrotto e le labbra velenose di Alex rimasero al
sicuro.
Ma non la sua pace interiore.
Accorgendosi del suo isolamento, Emily l’aveva
raggiunta diverse volte nel corso della serata. Le sue visite erano state
gradite, alcune volte sinceramente, fino al momento in cui aveva interrotto
quelle piacevoli chiacchierate per scattarle foto, pregandola di togliersi il
cappuccio che le copriva ancora il capo malgrado fossero al chiuso. Purtroppo,
se esisteva qualcuno più cocciuto della bionda, era proprio lei. Ogni tentativo
di Emily di levarglielo, anche a tradimento, fallì miseramente e alla fine
l’amica si arrese, ritornando a sedersi con gli altri. Da allora continuavano a
scambiarsi silenziosi sguardi di sfida.
Nota mentale: la prossima volta sarebbe andata dritta
verso il cimitero a festeggiare con i morti, ospiti davvero deliziosi e
silenziosi, per nulla molesti.
Gemendo, Alex si abbandonò contro lo schienale della
sedia sulla quale si era rannicchiata. Stava per controllare per l’ennesima
volta l’ora sul suo orologio da polso, quando il suo stomaco reclamò le dovute
attenzioni. Si posò una mano sul ventre borbottante, constatando che in effetti
non mangiava da ore e, anche se il suo malcontento le aveva sciupato
l’appetito, il suo corpo aveva comunque bisogno del dovuto nutrimento. Sollevò
un lembo della mantella e aprì la borsa, frugando per un momento finché non
trovò ciò che cercava. Ne estrasse un involucro di carta e mentre incominciava
a scartarlo, ebbe la sensazione di essere osservata. Nuovamente. Intensamente.
Alzò lo sguardo e gli occhi plumbei di Ren catturarono
la sua attenzione con la stessa grazia di un deragliamento ferroviario. Seduto
svogliatamente su un lato del divano con le lunghe gambe accavallate, come se
cercasse di mettere un po' di spazio tra lui e una rumorosa Dakota, teneva in
una mano una sigaretta rollata e nell’altra la bottiglia di alcool che aveva
sequestrato alle due ragazze; più per divertimento che per senso civico e
preoccupazione verso i loro fegati provati. Sembrava rilassato, ma non per
questo vulnerabile.
Si scrutarono in silenzio per qualche istante e, a
malincuore, Alex dovette ammettere che in un’altra vita molto, ma molto
lontana, avrebbe potuto trovarlo attraente. Specialmente con il gioco di ombre
della penombra e la luce soffusa del focolare che gli baciava un lato del viso.
Ma fortunatamente lei non era Jack Dawson² ed era più incline alla sterilizzazione di massa che
alla riproduzione.
«Noti qualcosa che ti piace?» le chiese a un certo
punto, sorridendo come un gatto che si era appena mangiato il topo nel notare
che non accennava a distogliere lo sguardo.
Alex si concesse tutto il tempo che le serviva per
squadrarlo meglio, ignorando le occhiate curiose degli altri. «Non
particolarmente» rispose innocentemente, dando un morso al panino che
finalmente era uscito allo scoperto, mentre continuava a fissarlo. Poi si
concentrò sul camino, ignorando il ragazzo.
Della cenere gli cadde sui jeans neri, ma Ren non
sembrò farci caso. Sembrava sconcertato.
Mark scoppiò a ridere. «Non l’avrei mai detto. Il tuo
potere seduttivo non ha effetto su di lei.»
«Ren è confuso. Ren si colpisce da solo» gli fece eco
John, che si teneva le mani sulla pancia dal ridere.
Entrambi si misero sull’attenti non appena il loro
boss si voltò con uno sguardo omicida da provetto serial killer. Bevve un sorso
dalla bottiglia, per poi lanciarla a John. Si passò una mano sui capelli.
«Ma non mi dire… E voi…»
«Questo ti serve?»
Ren si voltò, come tutti gli altri. Alex aveva
finalmente deciso di sgranchirsi un po' le gambe e si era alzata. In mano
reggeva l’attizzatoio rovente con il quale Mark aveva riavviato il fuoco.
Uno sguardo dubbioso comparve sul volto del ragazzo.
«E che cosa ci devi fare?»
«Oh, allora non ti serve.» Senza troppi complimenti,
Alex infilzò il panino e lo mise sospeso sopra le esili fiamme, ammutolendo i
presenti.
La prima a riprendersi fu Emily, che ridacchiò. «Alex…
ti avevo detto di portarti dietro qualcosa di semplice.»
Alex non si voltò neppure, rispondendole con un’alzata
di spalle, mentre rigirava il cibo per ottenere una cottura uniforme. «Perché
non approfittarne?»
Emily scosse il capo, senza smettere di sorridere.
Quando decretò che fu pronto, Alex sfilò il panino dal
ferro e corse sul tavolino dove aveva fatto il nido, facendo saltellare il suo
spuntino tra le mani per evitare di scottarsi. Lo appoggiò sulla carta che
aveva deposto in precedenza e, dopo aver agitato le dita per raffreddarsi i
polpastrelli indolenziti, lo sollevò. L’osservò attentamente per un attimo e
poi gli diede un nuovo morso.
S’illuminò d’immenso.
«A quanto pare il cibo le piace più del resto»
sentenziò contrito Kieran, sospirando.
«E puoi contestarla? Con il formaggio fuso, le uova e
il bacon nulla può reggere il confronto.» Emily dovette sforzarsi di non
scoppiare nuovamente a ridere nel vedere l’espressione delusa dell’irlandese.
«Come uccidere un vegano» ridacchiò John.
«Parliamone, quando venite nel ristorante dei miei si
fa sempre fuori mezza dispensa» s’intromise Sarah. Se il suo reale intento era
quello di pubblicizzare l’attività di famiglia, rimase un mistero.
«Dimmi che non è per questo che le hanno vietato
l’accesso per un mese!» esclamò Gregory, come se avesse avuto una folgorazione.
Sarah si limitò a far spallucce.
«Incredibile» mormorò Ren,
esterrefatto. Non riusciva a staccare gli occhi da Alex che, felice e
spensierata, dondolava le gambe mentre divorava il suo panino, ignorando
totalmente le occhiate che la trapassavano. Data la sua ciclopica statura di
nemmeno un metro e sessanta per un peso indefinito a causa degli abiti sformati
e troppo grandi per lei che si ostinava a indossare, il fatto che riuscisse a
mangiare come una squadra di lottatori di sumo senza essere a sua volta una
montagna era un mistero della scienza.
«Ma come fai a mangiare
certa roba?» le chiese Leyla con disgusto, facendo mentalmente il calcolo delle
calorie. «Per non parlare del glutine!»
Come se fosse rinvenuta
dall’overdose calorica, Alex scrollò le spalle. «Con la bocca» sentenziò lei in
risposta, buttando giù in un sol boccone l’ultimo assaggio per poi annaffiare
il tutto con un po' d’acqua.
«So cos’altro potrebbe fare
con la bocca» mormorò piano Mark, ma non abbastanza per non farsi sentire.
Prima che Gregory potesse intervenire e ammonire il giovane, Ren prese la briga
di sporgersi e rifilare una sberla sulla nuca all’amico, seduto sul tappeto non
molto lontano da lui.
«Ma che ho detto di male?»
borbottò lui, massaggiandosi la testa.
«Non chiedere» fu la sua
unica risposta. Poi Ren si voltò verso Emily. «Allora, vogliamo dare un senso
alla serata? Incominciò ad annoiarmi e non vorrei che le venisse di nuovo fame.
In quel caso nulla le impedirebbe di ucciderci tutti per trasformarci in
roastbeef.»
Emily rimase per un attimo
imbambolata al centro della stanza, spostando lo sguardo tra lui e Alex, per
poi ricomporsi.
«Ma certo!» Corse a cercare
qualcosa nella borsa che aveva lasciato a terra, per poi sventolare in aria un
sacchetto colmo di quelli che sembravano dadi. Ma, invece di svelarne il
contenuto, lo nascose dietro la schiena. «Prima, però, bisognerebbe spiegare la
storia di questa casa.»
Ren sospirò e roteò gli
occhi, esasperato, ma Dakota sembrò di tutt’altro avviso. «Lo faccio io! Lo
faccio io!»
«Accomodati.»
«Che storia? Mi avevi
assicurato che era solo una casa abbandonata!» Il tono accusatorio di Alex era
del tutto voluto.
«E infatti non ti ho
mentito. È abbandonata.»
«Sssh! Zitte che
incomincio!» le rimbeccò Dakota.
Nonostante la reazione
annoiata di Ren e dei suoi tirapiedi, gli altri si avvicinarono curiosi, pronti
a sentire quel racconto, seppur biascicato.
Dakota chiuse gli occhi e fece un respiro profondo,
come se dovesse preparare se stessa all’interpretazione di un ruolo. Quando li
riaprì, scoccò uno sguardo intenso ai presenti, mentre una nota greve e
maliziosa le illuminava il viso. Si schiarì la voce e incominciò a narrare.
Molti anni
fa, l’istituto privato di Mrs. Pennington era uno
dei più rinomati della zona.
La giovane donna, rimasta prematuramente vedova e
senza figli, aveva deciso di allestire nella casa ereditata dal marito un posto
dove i giovani rampolli delle famiglie abbienti potessero ricevere
un’istruzione adeguata senza attraversare il Paese. Lei stessa si occupava di
accudire e istruire i bambini che le venivano affidati con le migliori cure possibili,
aiutata da una governante e due cameriere.
Tutti in città l’adoravano per il suo cuore gentile e
caritatevole e infatti nessuno si meravigliò quando decise di adottare due
gemelli, rimasti da poco orfani, per impedire che venissero separati.
Nonostante fosse sola ad occuparsi interamente della
gestione della casa, la vita sembrava trascorrere tranquilla in queste mura e
ai bambini non mancava nulla.
Fino a quel tragico incidente.
Tutto incominciò una notte di fine estate
particolarmente fredda e inquieta.
La tempesta persisteva ormai da ore e nessun’anima con
un po' di autoconservazione avrebbe sfidato quel tempo ostile per mettersi in
cammino, eccetto un vagabondo deciso a competere con la sorte. Tuttavia
comprese ben presto il suo errore e si fermò sulla soglia della villa in cerca
di riparo.
Mrs. Pennington accolse immediatamente l’uomo, stanco
e provato per il viaggio e lo invitò a restare finché il tempo non si fosse
rasserenato.
L’uomo accettò con gratitudine tale generosità, ma il
suo sguardo si fece diffidente quando scorse i bambini che lo osservavano dalle
scale.
La notte passò tranquilla, nonostante il rombo e i
fischi della tempesta. Il mattino seguente, quando Mrs. Pennington andò a
cercarlo per portargli la colazione, lo vide all’opera nel sistemare alcuni
tavoli traballanti e fu così che, grata e consapevole che un aiuto maschile non
sarebbe guastato, gli propose di rimanere ancora per un po' in cambio del suo
lavoro manuale.
Dopo un attimo di esitazione, l’uomo accettò.
Il suo nome era Thomas Gallivan.
L’ospitalità si protrasse per molto tempo. Il signor
Gallivan compiva i lavori manuali più faticosi, rimettendo in sesto la casa e
dando un valido aiuto a Mrs. Pennington nella gestione generale. Persino i
bambini, a poco a poco, lo presero in simpatia.
Ma quell’idilliaco quadretto era destinato a una fine
orribile.
Durante una notte, infatti, qualcosa scattò nell’uomo.
Viveva nella casetta al margine nel bosco, dove vi erano tenuti gli arnesi da
lavoro e i fucili da caccia. Non gli fu difficile prenderne uno e dirigersi
verso la villa. Il personale di servizio era stato congedato, per cui in casa
non vi erano rimasti altri che la donna e i bambini.
Incominciò proprio da loro.
Si diresse indisturbato nel corridoio dove erano
allestite le camere dei ragazzi. Aprì quelle porte l’una dietro l’altra,
avvicinandosi ai letti dei bambini addormentati per poi prendere la mira con il
fucile.
Non fecero in tempo a reagire.
Non un sussulto.
Non un grido.
Morirono sul colpo mentre dormivano tra le braccia di
Morfeo.
Mrs. Pennington accorse nell’udire gli spari e quando
si ritrovò davanti a quel macabro scenario impazzì e si lanciò contro l’uomo.
Le sparò a una spalla. Il colpo fu abbastanza forte da immobilizzarla, ma non
altrettanto grave da ucciderla sul colpo.
Le urla della signora si protrassero nell’aria,
attirando l’attenzione dei vicini.
Dopo che il signor Gallivan ebbe finito il suo lavoro,
scappò in giardino e quando i soccorritori arrivarono sulla scena del crimine,
lo trovarono impiccato a un ramo del melo, dove poco tempo prima aveva
costruito un’altalena per i bambini.
I presenti, già inorriditi, rimasero pietrificati nel
vedere il granguignolesco spettacolo che si manifestò sotto i loro occhi quando
entrarono nella villa.
Tentarono invano di salvare la donna, ma prima di
perire, afferrò per il bavero della giacca l’ufficiale e mormorò: «Mi
dispiace.»
Da allora, la famiglia e gli eredi dei Pennington si
rifiutano di vivere nella villa, ma per qualche strano motivo è ancora
funzionale, come se Mrs. Pennington e i suoi bambini fossero ancora tra le sue
mura.
Secondo alcune testimonianze, diversi curiosi
avrebbero udito voci e passi di bambini nelle stanze della dimora e persino
alcuni accordi del pianoforte nell’aula di musica. Che siano dichiarazioni
reali?
Ciò che ancora rimane un mistero, è il motivo del
folle gesto del signor Gallivan; un gesto così disumano da averlo spedito nelle
fiamme dell’Inferno.
Alex rimase in silenzio per tutto il tempo della
narrazione, ascoltando distrattamente la voce impastata della ragazza mentre il
suo sguardo era focalizzato sul vuoto davanti a lei. Man mano che quel flusso
costante di parole la investiva, ondate gelide si riversavano sul suo umore,
soffocandolo in una morsa di disagio. Quando Dakota terminò e fece un profondo
inchino mentre gli altri l’applaudivano, lei non si prodigò a imitarli. Era
troppo occupata a ragionare su ciò che stava accadendo in quel momento. Da una
parte, era arrabbiata con Emily per averle mentito riguardo a tutta quella
faccenda e dall’altra si chiedeva dove volesse andare a parare con quella
farsa.
Inutile dire che con tutti i film horror che aveva
visto nella sua breve vita, la conclusione era una sola.
Quando
Dakota ritornò a coccolare la bottiglia, l’attenzione di Alex era concentrata
esclusivamente sull’amica.
«Fammi indovinare. Video per emulare i cacciatori di
fantasmi utilizzando qualche trucco per renderlo più figo prima di postarlo sul
tuo blog o seduta spiritica?»
Emily si strinse nelle spalle, cercando di mantenere
un certo contegno. Doveva aver colto il suo tono accusatorio. «Direi più la
seconda.»
Le pupille di Alex si strinsero in due fessure.
«Una seduta spiritica? Durante Samhain?» Il tono di
Keiran perse la sua naturale vivacità per spegnersi nella preoccupazione.
Allora non era così stupido come sembrava.
Mark e John lo presero in giro per quell’esitazione,
ma lui si difese affermando di provenire da una famiglia molto superstiziosa.
Pensando che anche Ren avrebbe colto l’occasione di punzecchiarlo, si voltò
verso di lui, ma Alex rimase stupita nel vederlo pensoso. Sembrava contemplare
quella proposta, forse un po' troppo seriamente per trattarsi di un semplice
gioco di cattivo gusto. Dopo qualche momento, posò un braccio sopra lo
schienale del divano.
«Perché no? Potrebbe risultare interessante.»
«Lo so che vuoi approfittarne per fare il coglione!»
esclamò Dakota, dandogli un colpo sul petto. Lui per tutta risposta si chino
verso il suo collo, mordicchiandolo e sussurrandole qualcosa che la fece
scoppiare a ridere.
«Io ci sto» mormorò Gregory. «Dopotutto è solo un
gioco.»
In un altro momento, Alex avrebbe fulminato l’amico
con un’occhiataccia per essere così accondiscendente nei confronti di Emily, ma
poi si accorse del lieve tremore delle sue mani. Era appena percettibile e lo
nascondeva tenendole dentro le tasche dei jeans, eppure il suo nervosismo era
palese.
Mark e John accettarono di parteciparvi senza indugio
e anche Leyla, dopo qualche incertezza, diede il suo consenso a un gioco così
“stupido e infantile”. Sarah però si unì a Keiran, decretando che preferiva
limitarsi a osservare.
Quando tutta l’attenzione si concentrò su di lei in
attesa di una risposta, Alex si sentì a disagio.
«Alex?» le chiese speranzosa Emily.
«No!» Il suo tono duro sorprese persino lei.
«Cos’è? Non avrai mica paura? Tu sei già un freak… O
hai paura della concorrenza?» la denigrò Leyla.
«Come se dovessi tener conto a una che non riesce
nemmeno a tenersi addosso un paio di mutande.»
Accadde tutto rapidamente.
Leyla, nonostante fosse visibilmente brilla, scattò in
piedi con una velocità impressionante e le si lanciò contro con gli artigli
sguainati. E l’avrebbe raggiunta, se Ren non l’avesse afferrata per la vita,
costringendola a sedersi nuovamente e a calmarsi. Alex non rimase abbastanza da
verificarlo.
Si alzò e si diresse a grandi passi fuori dalla
stanza, sotto gli sguardi dubbiosi e di scherno degli altri. Come se qualcuno
là dentro avesse abbastanza sale in zucca da capirla.
Paura? Lei?
Stava per arrivare all’entrata quando qualcuno
l’afferrò per un braccio, puntando i piedi sul vecchio tappeto per fermarla.
«Alex, ti prego. Calmati.»
Non potendo resistere alla voce dispiaciuta di Emily,
si fermò. Sapeva che era un errore. Avrebbe dovuto raggiungere la cucina e
uscire da quella casa prima di fare qualcosa di molto stupido, ma doveva
concederle almeno la possibilità di spiegarsi prima di fuggire.
«Io… Volevo solo che tutti si divertissero.»
Si voltò. «Emily, non sono arrabbiata per quello.»
«No?» Una nota speranzosa illuminò gli occhi verdi
dell’amica.
«No. Sono arrabbiata perché per tutto questo tempo mi
hai mentito. Ti avevo detto che ero contro la profanazione di case dove si è
effettivamente tenuto un omicidio e tu lo sapevi. Figuriamoci una seduta
spiritica!»
Oh, no. Gli occhi da cucciolo no.
«Io… io pensavo che ti sarebbe piaciuto comunque. So
che non ti senti a tuo agio con gli altri, per cui volevo trovare qualcosa in
grado di coinvolgerti con il resto del gruppo e il fatto che si siano unite
altre persone ha fatto sì che… Beh, ormai non volevo rovinare tutto.»
Ecco, ora si sentiva una merda.
Sospirò. «Emily, solo perché mi piacciono gli horror
non vuol dire che apprezzi questa roba. Lo sai che non credo ai fantasmi e
simili, ma è comunque di pessimo gusto. Sono morte delle persone.»
«E da quando t’importa qualcosa degli altri?»
Bella domanda.
No, non le importava nulla dei morti e dei loro spiriti
erranti. Il problema era ben più complesso. Oscuro.
«Lascia perdere.» Scosse il capo.
«Alex, se non vuoi, ok. Capisco. Ma almeno puoi
rimanere con me fino alla fine? Ti prego.»
Ormai l’una di fronte all’altra con le mani congiunte,
Alex studiò per un attimo il volto dell’amica. Era sinceramente dispiaciuta,
questo lo vedeva benissimo, eppure era restia ad accontentarla. Purtroppo c’era
qualcos’altro che la frenava. Sapeva che, se fosse tornata a casa prima di
mezzanotte, sua madre l’avrebbe ripresa fino all’esaurimento. Quindi cos’era
peggio? Una stanza piena di ragazzi intenti a evocare fantasmi o una madre
logorroica?
Fece un respiro profondo, avvertendo il naso
pizzicarle a causa dell’aria avvizzita e polverosa.
«Ok, resto. Ma…» Il balletto della vittoria di Emily
s’interruppe bruscamente. «In cambio dovrai… fornirmi il doppio del mio peso in
cibo.»
«Ma non ho tutti quei soldi! E poi come faresti a
mangiarlo tutto?»
«Oh, di questo non preoccuparti. Sono sicura che
troverai una soluzione. Dopotutto… i Lannister pagano sempre i loro debiti³, no, Emily?»
«Argh! Sei peggio di Cersei!» sentenziò lei
esasperata, afferrandole una mano per poi trascinarla verso il salotto.
Alex trattenne a stento una risata, quando un lieve
movimento accanto a loro la fece voltare verso il corridoio deserto. Uno
spiffero, forse? Non fece tempo a indagare, dato che ormai Emily era partita in
quarta, facendola ricredere della sua decisione.
Sperava solo di non pentirsene amaramente.
¹ Conosciuto meglio come Freddy Krueger, protagonista della saga horror Nightmare.
² Giovane artista squattrinato, protagonista del film Titanic.
³ Uno dei motti più famosi con cui è conosciuta la famiglia Lannister, presente nel fantasy Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin.