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Autore: sara_gi    06/11/2016    1 recensioni
India, 1813. Un bambina nasce durante un feroce assalto al palazzo di cui è principessa, per salvarle la vita due servitori fedeli alla sua famiglia la portano via in segreto.
Inghilterra, 1829. Il Conte Shallowford viene inviato come Governatore in India. Lì, una delle sue figlie scoprirà qualcosa che cambierà per sempre la sua vita e quella delle persone a lei care.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Prologo

 

 

India 1813, palazzo di Lakshmi, regione dell’Uttar Pradesh.

 

La grande camera era avvolta nella penombra, solo pochi raggi di sole penetravano dalle persiane intagliate che chiudevano le alte finestre a bifora. Lievi gemiti si propagavano per l’aria immobile mentre giochi di chiaro scuro animavano gli stucchi che decoravano le pareti e il soffitto. Pochi, eleganti mobili riempivano la stanza al cui centro troneggiava un grande letto scolpito. In quel letto, adagiata su lenzuola di seta, una bellissima, giovane donna si agitava in preda agli spasmi del parto, i lineamenti delicati stravolti dalle fitte di dolore che le attraversavano il corpo nello sforzo di mettere al mondo la creatura che per lunghi mesi aveva vissuto in lei. L’amore immenso che legava la donna al suo sposo le dava la forza per affrontare quell’ultima terribile prova, per dare alla luce quella creatura nata dalla tenerezza e dalla passione. Accanto al letto stava inginocchiata un’altra donna di poco più giovane e molto graziosa, si chiamava Umi, era l’ancella prediletta di colei che stava partorendo: Sitara-i-Mahal, Maharani del palazzo di Lakshmi. Umi aveva assistito spesso alla nascita di un bambino, sapeva come comportarsi ma l’affetto che la legava alla sua padrona le aveva serrato lo stomaco in una morsa di paura da quando le doglie erano iniziate. Sapeva che ormai era questione di pochi momenti prima che lo Jubraja venisse al mondo ma veder soffrire così la sua Signora le stringeva il cuore. Tastò nuovamente il ventre gonfio della sua Maharani e sorrise:

«Un ultimo sforzo, Altezza, e sarà tutto finito» disse, vedendo la sua padrona cedere per la fatica delle ultime ore.

Finalmente, qualche minuto dopo, il pianto del bambino echeggiò nella stanza, ma nessuno lo sentì, perché all’esterno l’aria era satura di grida, gemiti e lamenti. Ovunque lo sguardo vagasse, incontrava uomini che, con la spada in pugno, combattevano perdendo la vita o togliendola. Un guerriero in particolare si distingueva tra tutti sia per la sua forza che per il suo aspetto: il suo nome era Patal, comandante delle guardie del palazzo e guardia del corpo personale del Maharaja Sciandar Singh, Signore del palazzo di Lakshmi. Alto e possente combatteva con una ferocia dettata dalla rabbia che quell’attacco inaspettato al palazzo gli aveva procurato. I suoi muscoli che guizzavano per lo sforzo della battaglia, erano messi in risalto dalla pelle ambrata tipica degli indiani. I suoi occhi, neri come una notte senza luna, nei pochi attimi di tregua vagavano in cerca di un segnale. Da ore ormai lui e i suoi uomini combattevano accanto al loro Signore nel tentativo di respingere gli aggressori che all’alba avevano assaltato il palazzo. Sapevano di non poter vincere, ma dovevano resistere il più a lungo possibile per guadagnare tempo. Sciandar Singh con la sciabola sguainata, lo sguardo feroce, combatteva come una tigre per salvare la vita della creatura che, in una delle stanze del palazzo, lottava per venire al mondo. Patal alzò gli occhi e in quell’istante vide una donna che metteva su una finestra un drappo rosso. Immediatamente balzò in avanti, tra i nemici. Sapeva di dover fare presto e mentre combatteva un solo pensiero occupava la sua mente: doveva salvare l’Erede, a tutti i costi.

 

Umi, dopo aver lavato e vestito la bambina, la portò alla madre perché la vedesse per la prima e ultima volta.

«Vostra figlia, Altezza» disse porgendole la piccola.

«Come è bella!» mormorò Sitara «Mio piccolo amore! Doveva essere un giorno di gioia, questo, e di festa… ma tu sei nata, bambina mia, e potrai vivere. Lontano da qui, ma sarai viva… e amata, questo lo so… Dei… non conoscerò mai il volto di mia figlia. Non udirò mai la sua voce chiamarmi mamma…» baciò il capo della neonata trattenendo le lacrime con uno sforzo tremendo «Per favore, non piangere» disse poi a Umi.

«Perché… Perché devo abbandonarvi anch’io? Patal porterà in salvo la Principessa anche senza di me. Io voglio restare accanto a voi!»

«Amica mia!» Sitara guardò commossa la fedele ancella «Tu mi sarai sempre vicina finché accudirai mia figlia!»

In quel momento entrò Patal e giunto dinanzi al letto si inchinò.

«Il mio Signore?» chiese la Maharani.

«Morto…» disse lui dopo un attimo di esitazione «Pochi minuti fa: l’ho visto cadere mentre passavo la porta interna, Altezza.»

La Maharani portò una mano alla bocca soffocando un gemito di dolore e strinse a sé il corpicino della figlia in un tenero quanto disperato abbraccio.

«Altezza, i nostri uomini non resisteranno ancora a lungo, dobbiamo andare» disse Patal.

«Umi!» chiamò Sitara «Hai preparato tutto?»

«Si, mia Signora. Nessuno sospetterà che la bimba nella culla non sia la vostra, e se dovessero…» esitò un attimo «e se dovessero arrivare fino a voi non penseranno mai che l’Erede è salva.»

«Grazie mia fedele amica, ora andate» poi, dando finalmente libero sfogo alle lacrime, le affidò la bambina «Addio Sunahra Moti, questo sarà il tuo nome figlia mia. Patal, presto, portale via. In salvo!»

«Sì, mia Signora. Che gli Dei vi proteggano!»

«Che Rama vegli sulla vostra anima!» sussurrò Umi scivolando nel passaggio segreto apertosi nel muro.

«Addio» disse Sitara, ma ormai il passaggio era chiuso.

Un raggio di sole, entrando dalla finestra, illuminava il volto rigato di lacrime della Maharani il cui petto era scosso da singhiozzi silenziosi.

Il fragore della battaglia filtrava dalle finestre portando alle sue orecchie le grida di rabbia e dolore degli uomini di suo marito che venivano sopraffatti, che avevano visto cadere il loro Signore ma che avevano resistito fino a quel momento per salvarne la figlia.

All’improvviso vi fu una deflagrazione violenta e pochi minuti dopo la porta della stanza si spalancò, lasciando entrare un uomo armato di scimitarra che si avvicinò al letto e, dopo aver guardato la Maharani negli occhi per un istante, affondò la lama nel suo petto senza emettere un fiato. Guardò poi nella culla e vide un corpicino senza vita. Ritornò sui suoi passi e una volta nella corte, s’inginocchiò davanti a un uomo a cavallo: «Mio Signore» disse, «la Rani e l’Erede sono morti.»

 
  
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