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Autore: sara_gi    06/11/2016    1 recensioni
India, 1813. Un bambina nasce durante un feroce assalto al palazzo di cui è principessa, per salvarle la vita due servitori fedeli alla sua famiglia la portano via in segreto.
Inghilterra, 1829. Il Conte Shallowford viene inviato come Governatore in India. Lì, una delle sue figlie scoprirà qualcosa che cambierà per sempre la sua vita e quella delle persone a lei care.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Capitolo II

 

Era passato un mese da quella sera. A volte mi capitava di ripensare a Paul, ma mai più avrei pensato di rivederlo. Invece…

Era una domenica mattina e come sempre Elisa e io stavamo cavalcando in Hyde Park, quando vedemmo arrivare Marck. Si accostò a noi e dopo avermi salutata, sfidò Elisa in una gara. Così, ridendo, si allontanarono al galoppo, seguiti da un uomo scelto da Patal, mentre lui cavalcava dietro di me.

«Buon giorno.»

Mi voltai a vedere chi mi avesse salutata e trovai Paul accanto a me.

«Si direbbe che vostra sorella vi abbia lasciata sola.»

«E' vero, ma non importa.»

«Vi dispiace se vi faccio compagnia?»

«No, prego.»

Era strano ma avevo la sensazione di aver solo sognato la sera del ballo. Il nostro tono era così formale che… non so, era come se non ci conoscessimo neppure di nome.

«Volete, per favore, dire al vostro seguito di stare un po’ più distante? Vorrei parlarvi.»

La sua richiesta mi parve un po’ strana, ma chiesi a Patal di allontanarsi un poco.

Quando tornai a guardare Paul vidi che mi osservava in uno strano modo, allora mi resi conto di aver parlato a Patal in hindi.

Sorrisi «Sì, conosco abbastanza bene anche la lingua dell’India.»

Senza altri commenti disse: «È proprio di questo che volevo parlarvi: dell’India. Torno laggiù!»

«Quando?»

«Fra quattro giorni, ma prima volevo salutarvi.»

«Grazie. Mi spiace che ve ne andiate ma d’altra parte vi invidio la meta!»

«Un giorno ci andrete anche voi.»

«Lo spero.» sospirai.

I minuti scorrevano veloci mentre parlava dei preparativi del suo viaggio imminente e del fatto che non stava partendo per un luogo straniero: stava tornando a casa. Era nato in India, disse, a Jaipur, e ora vi tornava per occuparsi degli affari di famiglia. Fummo colti di sorpresa quando sentimmo il Big Ben battere le undici e trenta: il tempo, insieme, era nuovamente volato.

«Devo andare.» mi disse.

«Addio.»

«No, arrivederci.» lo disse con convinzione.

Ci guardammo qualche istante negli occhi, nei suoi vidi qualcosa che non riuscivo a decifrare chiaramente. Nostalgia? Rimpianto? Forse entrambi. Mi sorrise per un attimo poi, voltato il cavallo, partì al galoppo.

Vedendolo allontanarsi mi sentii stranamente triste e sola. Quando scomparve alla mia vista andai a cercare mia sorella. La trovai con Marck presso il Serpentine.

«Elisa, si è fatto tardi. Lord Marck se ci vuole scusare, dobbiamo andare.»

«Ma certo. Arrivederci Elisa, lady Marina…» con un cenno del capo si allontanò.

Mia sorella e io ci avviammo a nostra volta verso casa.

Nel pomeriggio di quattro giorni dopo mi venne recapitato un regalo. E che regalo! Si trattava di un cucciolo maschio di tigre bianca del Bengala. Al collo aveva un nastro di seta al quale erano legati una lettera per me e un semplicissimo anello di pietra. Presi la lettera con il cuore che mi batteva forte, colui che aveva portato il “dono” non aveva detto nulla, eppure dentro di me avevo la certezza che fosse di Paul, che fosse il suo regalo di addio. O di arrivederci, come aveva preferito dire accomiatandosi.

Abbandonai ogni altro indugio e ruppi il sigillo di ceralacca che chiudeva il rotolo di pergamena:

Mia cara Marina,

Vi prego di voler

accettare entrambi i miei doni, il

cucciolo e l’anello, e di custodirli

nel ricordo di qualcuno che tiene

a Voi in modo particolare.

A Voi la devozione del mio cuore.

Paul.

 

Era scritta in hindi, sapeva che, in tal modo, avrei potuto leggerla solo io. Mi salirono le lacrime agli occhi. La lessi e rilessi più volte, poi infilai l’anello al medio destro e presi in braccio il cucciolo.

«Ciao piccolino. Io sono la tua padrona, stando a questa lettera. Dovrò trovarti un nome… Vediamo… Silam! Ti piace?»

Un soddisfatto miagolio da parte del cucciolo mi convinse che era di suo gradimento.

Elisa trovò tenerissimo il piccolo e fu felice di averlo in casa. Più difficile fu convincere i nostri genitori che Silam non avrebbe causato guai, né da piccolo, tanto meno da adulto.

«Ma diventerà enorme!» esclamò la mamma «E potrebbe diventare feroce! È pur sempre una tigre!»

«Ma quando sarà grande starà in giardino. E non diventerà cattivo, vedrai! Dai mamma, per favore, non abbiamo mai avuto animali domestici.»

«Sì, mamma, Marina ha ragione. Ci vuole un animale domestico!»

«Chiamatelo domestico!»

«Per lo meno sarà efficiente come guardia contro gli intrusi!» fu l’unico commento di papà.

Voleva dire che potevamo tenerlo. Elisa e io gli saltammo al collo poi corremmo in camera mia per preparare una cuccia a Silam.

«Dove lo metterai a dormire?» mi chiese mia sorella.

«C’è quel ripostiglio di fianco al mio spogliatoio, sai quello che non uso mai, è vuoto. Diventerà la casa di Silam.»

«Buona idea! Dai mettiamoci al lavoro.»

Mentre lavoravamo Elisa mi si avvicinò:

«Chi è Paul?»

«Cosa?»

«Chi è Paul? Ho sbirciato la lettera attaccata al collare di Silam, ma l’unica cosa che ho capito è la firma: Paul. Chi è?» mi chiese.

«Ricordi la sera della festa a casa di lady Ireton?»

«Quando conobbi Marck! Come potrei dimenticarla!»

«Quella sera, quando tu sei andata a ballare, sono uscita sulla terrazza e mi sono seduta in una nicchia…»

«Sì, ricordo di averti trovata lì.»

«Paul mi aveva vista lì, sola, io non mi sono accorta della sua presenza fino a che non mi ha rivolto la parola. Poi si è seduto accanto a me e siamo rimasti a parlare tutta la sera. L’ho rivisto solo un’altra volta: domenica. Quando tu e Marck vi siete allontanati mi si è affiancato. Voleva salutarmi perché stava per partire: come addio mi ha mandato Silam.» conclusi.

«Non l’ho visto, com’è? Descrivimelo!»

«Beh… È alto, come Marck o forse un po’ di più, ha i capelli neri come il carbone, la pelle abbronzata e un bel sorriso. Ma la cosa che più mi ha colpita sono gli occhi: sembravano d’argento liquido, profondi, intensi…»

«Quanti anni ha?»

«Non saprei, non l’ha detto. Era qui per completare il College e, se è ripartito, vuol dire che ha terminato. Deve avere ventuno, forse ventidue anni.»

«Mi sarebbe piaciuto vederlo, così, per curiosità.»

Sorrisi «Ora però ricominciamo a lavorare o non finiremo più.»

«Solo un’altra cosa: mi leggi la lettera?» l’accontentai e alla fine lei sospirò: «Com’è romantica!»

«Lavora!» Elisa si mise a ridere, poi ubbidì.

Alla fine il ripostiglio assomigliava più a una tenda in miniatura che a una tana. C’erano pezze di stoffa colorata ovunque e per terra un vecchio tappeto. Silam vi si trovò bene fin dal primo istante.

Passarono due mesi senza che nulla di particolare turbasse la quiete delle nostre giornate. Silam cresceva grazie alle cure che Elisa, io e a sorpresa di tutti, la mamma gli dedicavamo. Papà la sera arrivava sempre più tardi, non ci diceva molto, solo che c’erano alcuni problemi nelle nuove colonie; poi un giorno, eravamo ormai sotto Natale, arrivò a casa molto presto e ci radunò in salotto: Elisa, io, la mamma, Umi e Patal.

«Devo parlarvi.» esordì «Questa mattina abbiamo ricevuto un dispaccio dalle province di Lucknow e Agra, in India. Sono sorti alcuni problemi. All’inizio non sembravano gravi, così abbiamo pensato di poterli risolvere da qui: ci sbagliavamo. Fin dal 1802 l’East Indian Company è stata in conflitto con i Marathi. Sono state guerre continue. Vostra madre se ne ricorderà, era per questo motivo che sedici anni fa eravamo laggiù. Bene: le guerre sono continuate fino al 1818 quando i Marathi sono stati definitivamente sconfitti, o così pensavamo noi. Sembra infatti che i sopravvissuti di questa gente si siano riuniti e da un po’ di tempo abbiano iniziato a infastidire la Compagnia. Prima erano piccole cose, ma negli ultimi tempi si sono fatti più baldanzosi. Sono arrivati al punto di incendiare il bungalow di un medico dell’esercito. Quindi urge che qualcuno vada là. E qui entriamo in scena noi…»

«Noi?» chiese la mamma.

«Sì cara, noi. Sua maestà re Guglielmo IV, nonostante i suoi numerosi pensieri, si è ricordato di me e ha deciso che sia io ad andare laggiù, visto che conosco la situazione. Poi dovrò rimanere là come Governatore Generale di quella regione. E questo è tutto.»

Dopo queste parole nella stanza cadde un silenzio di tomba. Io ero talmente felice che esclamai:

«Oh papà che bello! Andremo in India! E non in vacanza, ma per stabilirci. Non sono mai stata così felice…»

«Marina!» mi interruppe la mamma «Come puoi dire una cosa simile! Mio Dio!» detto ciò si voltò e corse fuori dalla stanza seguita da Umi.

Io non capii perché aveva reagito così. Non potevo ancora capire.

Papà mi venne vicino e mi mise una mano sulla spalla: «Non prendertela, cara. È stato uno shock per lei.» disse allontanandosi.

Mi girai allora verso Elisa, ma quando la vidi, dimenticai ciò a cui stavo pensando. Era immobile, con le lacrime che le rigavano le guance.

Le andai vicino: «Elisa, tesoro, cosa c’è?»

«Marina come farò? Se ce ne andiamo dovrò lasciare Marck! Perché? Perché proprio adesso e perché a me?» scoppiò in singhiozzi.

La strinsi forte provando pena per lei, ma nonostante tutto ero felice: l’India. Finalmente sarei andata in India!

“Paul aveva ragione.” pensai.

Molto tempo dopo avrei saputo che, mentre ero in salotto a confortare Elisa, in camera della mamma lei, Umi, papà e Patal parlavano di me:

«Umi è terribile!» esclamò la mamma «Che cosa farò? Ho passato tutti questi anni crescendo Marina, tentando di tenere lontana lei e la sua mente da quel Paese e ho fallito: lei ama l’India più di ogni altra cosa.»

Si rivolse a papà appena entrato «Damien cosa faremo? Non possiamo portarla laggiù! Non sarà mai al sicuro in mezzo a chi la vuole morta!»

«Cara calmati ora. Non abbiamo alternative, un ordine del Re non può essere ignorato. Inoltre non è tutta l’India contro di lei. Se mai è vero il contrario. È solo una setta che ha tentato di farle del male, quindi…»

«Non mi interessa!» lo interruppe la mamma «Fosse anche una sola persona a minacciare la sua vita…» rimase in silenzio un attimo, poi: «Io l’ho allattata e l’ho cullata perché si addormentasse. L’ho consolata quando aveva piccoli dispiaceri, ho curato le sue malattie e baciato i suoi graffi. Dalla bimba che era l’ho vista sbocciare e trasformarsi in una splendida fanciulla. Non voglio rischiare di perderla e non voglio rischiare di perdere Elisa. Anche lei sarebbe in pericolo!»

«Signora!» intervenne Umi «Signora calmatevi ora. Angustiarsi così non vi servirà a nulla. Il destino di ognuno è già fissato e nessuno può cambiarlo. La Principessa sarà dove deve essere nel momento in cui dovrà esserci. Niente fermerà il corso degli eventi. E ora ricomponetevi, cosa penserebbero le ragazze se entrassero adesso e vi trovassero in queste condizioni? Coraggio, rinfrescatevi il viso.» disse porgendole una pezzuola umida.

In quel mentre si fece avanti Patal.

«Signora,» disse, guardandola con fierezza negli occhi «sedici anni fa feci un giuramento al mio Signore, e cioè che avrei protetto sua figlia, sempre e a costo della mia vita. Ebbene quel giuramento è ancora valido, io non l’ho dimenticato. Questo è quello che volevo dirvi: i cani di quella setta dovranno passare sul mio cadavere prima di poter torcere un solo capello alla Principessa. E non sarà facile per loro.» detto questo si voltò e uscì dalla camera.

Le sue parole erano riuscite a calmare la mamma più di cento altre rassicurazioni, infatti sapeva che Patal aveva detto il vero. Avrebbe dato la vita per me.

 

Fu fissata la data di partenza: il 7 giugno.

Subito dopo le feste natalizie si decise che Elisa, io e la mamma avremmo rifatto il guardaroba, tanto più che dalla Francia giunse in quelle settimane una nuova moda: le crinoline.

Non erano molto comode al principio. Poi, con l’abitudine, trovammo il lato positivo anche di quegli abiti: mettevano meravigliosamente in risalto la vita stretta e le spalle. Di tutti i vecchi vestiti ne tenni solo uno: l’abito di seta rossa che indossavo la sera in cui avevo conosciuto Paul.

Il tempo volava e a me pareva tutto meraviglioso. L’unico neo era rappresentato dall’iniziale evidente infelicità di Elisa. Quando aveva riferito la notizia della nostra partenza a Marck, questi si era dichiarato dispiaciuto, ma nulla più. Ci rendemmo conto allora che non aveva avuto intenzioni serie, visto che alcuni giorni dopo iniziò a corteggiare una signorina di buona famiglia appena giunta in città. Questo fu ciò che fece più male a Elisa.

«Io l’amavo davvero!» mi disse una sera fra le lacrime «Come ha potuto! Come ha potuto!» il suo pianto attirò anche Silam che balzò sul letto e si acciambellò tra le sue braccia facendo rumorosamente le fusa.

Ma, si sa, il tempo è una buona medicina e con il passare dei giorni, anche lei fu contagiata dall’eccitazione di tutti e dalla mia evidente felicità.

Il nostro diciassettesimo compleanno era venuto e passato senza che quasi nessuno ci badasse. Ma quel “quasi” fu splendido: la sera del 5 marzo mamma e papà diedero un ballo.

Poi iniziarono i veri preparativi per il viaggio mentre il sole si faceva ogni giorno più caldo: non avevo mai visto una primavera più bella! Anche Silam sembrò rendersi conto dei cambiamenti. Andava in giro per la casa osservando tutto e tutti con i suoi vigili occhi azzurri. Una o due volte rischiammo addirittura di chiuderlo in un baule.

Sistemammo le cose in modo che la servitù non perdesse il posto ma prendesse servizio in altre case dal giorno della nostra partenza. Nelle nostre due abitazioni, quella di campagna e quella di città, sarebbero rimasti solo i custodi a mantenerle in ordine in caso di un nostro ritorno. Tre persone di servizio, però, si rifiutarono di lasciarci: Bettine, la cuoca, Mary, la mia cameriera e Annie, la cameriera della mamma. Fu Bettine a parlare per tutte e tre alla mamma:

«Noi non abbiamo una famiglia, se escludiamo voi, signora, il padrone e le vostre figlie. Quindi, se per voi non è un problema, preferiremmo seguirvi.» e così fu.

Prepararono i loro bagagli e finalmente venne il giorno della partenza.

Ci imbarcammo a Dover, sulla Queen Elisabeth, il 6 sera. Avremmo salpato l’ancora all’alba dell’indomani. Dopo cena salii sul ponte a guardare le luci della costa.

«Non la rivedrò mai più.» pensai ad alta voce.

Elisa, che era sopraggiunta in quel momento, mi sentì:

«Non dire sciocchezze! Un giorno torneremo, magari sposate, per ristabilirci qui.»

«Tu forse, Elisa, ma io no.»

«La stanchezza incomincia a giocarti brutti scherzi. Vieni, andiamo a dormire.»

Così dicendo si avviò verso la nostra cabina e a me non restò che seguirla.

A oriente il cielo iniziava a schiarirsi per le prime avvisaglie dell’alba. Io e tutta la mia famiglia eravamo sul ponte, avvolti in leggeri mantelli poiché, anche se era primavera, a quell’ora l’aria era ancora fredda e umida. Appena il sole fece capolino oltre l’orizzonte si sentì uno strano fischio e gli ordini del capitano poi, sciolte le vele, iniziammo a muoverci.

“In viaggio, finalmente!” pensai.

«Torniamo in cabina.» disse la mamma «Andiamo, venite ragazze.»

«Marina andiamo giù?» mi chiese Elisa vedendomi titubante.

«Vai tu se vuoi, io resto ancora un po’.»

«Va bene. Io scendo altrimenti Silam si sentirà solo. Deve ancora abituarsi alla nuova casa.» disse allontanandosi.

Sul ponte erano rimaste due, forse tre persone. Poco distante da me c’era una ragazza, sola. Aveva circa la mia età, si teneva aggrappata al parapetto e guardava allontanarsi la costa con occhi pieni di lacrime. Mi avvicinai e le sorrisi.

«Non volevo lasciare l’Inghilterra.» mi disse «Qui ho le mie amiche, la mia vita.»

«La vostra vita sarà dove voi ve la costruirete. Volete che vi riaccompagni nella vostra cabina?»

«No! Non voglio tornare là dentro!»

«Sentite, stavo andando a fare colazione. Cosa ne direste di farmi compagnia?»

Lei si voltò ancora una volta a guardare la scogliera ormai lontana, poi annuì.

Poco dopo, sedute a un tavolo nell’elegante sala da pranzo le chiesi: «Qual è il vostro nome?»

«Miranda, Miranda Scott.»

«Il mio è Marina.»

«Eccoti finalmente!» esclamò Elisa giunta in quel momento «Iniziavo a preoccuparmi!»

«Siedi Elisa.» le indicai la sedia accanto alla mia «Elisa, lei è Miranda Scott. Miranda: mia sorella Elisa.»

«Felice di conoscerti, Miranda.»

«Piacere mio, miss.»

«Per favore non chiamarci così.» intervenni «Noi preferiamo che le amiche ci chiamino per nome e ci diano del tu.»

«Vero.» confermò mia sorella.

Un cameriere portò la colazione.

«Viaggi sola, Miranda?» chiesi.

«No, non proprio. Vado a raggiungere i miei genitori in India. La signora Larson mi accompagna fino a Il Cairo, poi proseguirò con un’altra signora e le sue figlie.»

«Anche noi andiamo in India, a Lucknow. Ci sono stati dei problemi e papà è stato mandato laggiù per risolverli.» disse Elisa.

«Mio padre è là per qualcosa di simile, comanda la guarnigione di Kanpur.»

«Kanpur avete detto?» intervenne papà giunto in quel momento «Allora vostro padre è il maggiore Scott.»

«Sì, signore.»

«Perdonate, non mi sono presentato: colonnello Damien Shallowford, Conte di Shallowford nonché padre di queste due fanciulle.» fece un breve inchino.

«Onorata di fare la vostra conoscenza, milord.»

«Così voi siete Miranda. Non siate così stupita, conosco vostro padre da molto tempo. Facemmo la campagna del ’10 insieme e poi ci rincontrammo a Londra. Ora però vi lascio mie care. Ero venuto a prendere qualche cosa per la mamma, sapete, il mare comincia a farle un brutto effetto.» così dicendo si allontanò.

«Scusatemi, vado un attimo dalla mamma anche io. Elisa rimani tu con Miranda?»

«Sì, vai pure.»

«Va bene, torno fra poco.» mi alzai e seguii papà.

  
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