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Autore: tixit    06/11/2016    4 recensioni
Sottotitolo: Quel che si fa per amore.
Una famiglia riunita per Natale, un ospite, anzi... più di uno, e un rametto di vischio.
Aggiungiamo una richiesta insolita, la prova generale di un concerto, uno slittino, delle frittelle, qualche bacio, molte chiacchiere.
Qualcuno si farà dei nuovi amici. Qualcuno dirà la sua. Qualcuno ascolterà cose che non faranno piacere.
Qualche personaggio è inventato, ma bazzica dalle mie parti da tempo per cui è come se fosse di famiglia - non serve conoscerli: li conoscerete. Oscar, André, le sorelle di Oscar (una in particolare), Madame Marguerite, il Generale, Girodelle ed i suoi fratelli, il padre di Girodelle e il fratello del Generale - ognuno con i suoi pensieri per la testa.
******
Come al solito risistemo - piccole variazioni, la storia non cambia. Revisionato fino al capitolo 10
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Madame Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Note: pensavo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma non lo è...


C'è un bacio per te, nei miei occhi

 

Victor Clément de Girodelle cavalcava impaziente lungo il viale che conduceva al cancello secondario dei Jarjayes, quello vicino al vecchio casino di caccia. In primavera le chiome si sarebbero toccate formando quasi un tutt’uno - un cielo buio, fatto d’intrico verde, a sprazzi bucato dai raggi di sole, un sollievo in estate.
Ora, a sfiorarsi, c’erano solo i rami spogli.
Neri e duri - tutto ciò che era avanzato di tenero dalla primavera se ne era sparito in autunno - ricoperti di ghiaccio e di neve, parevano una enorme ragnatela luccicante di rugiada sotto le prime luci nel bosco.
Quanta luce con un sole così piccolo, pensò, guardando il cielo bianco e trovandolo assurdamente bello.

Quando riaccompagnava Sigyn a casa, di solito, passava da quella parte: con il Generale c’era sempre il timore che fosse troppo presto o che non lo fosse abbastanza o che fosse davvero tardi, fin troppo. Sigyn, che, in Normandia, conosceva il calendario delle maree, il minuto del tramonto, le notti senza luna e l’ora esatta in cui era attesa a cena, lì, a Versailles, non aveva la minima idea di cosa volesse suo padre da lei.

Arrivato al cancello smontò e cercò con le dita la pietra scabra che nascondeva la chiave -  la conosceva a memoria: o lui o Sigyn aprivano il cancello e sgattaiolavano dentro. Rimetterla al suo posto toccava quasi sempre a lui.
Legò il cavallo all’interno e poi si diresse verso il Palazzo, voleva parlarle con calma, darle un regalo, e spiegarle perché la sera prima non l’aveva cercata - non sarebbe stato giusto: era in punizione e lo scopo di una punizione è o colpire o educare, o, nella maggior parte dei casi, tutte e due le cose. Sottrarsi era scorretto e, tutto sommato, controproducente - le punizioni di suo padre avevano sempre dei risvolti interessanti. Pure quelle del Vecchio, anche se lui tendeva a cercare il nervo - bravissimo in quello, ti leggeva come una mappa delle correnti - e a colpirlo senza pietà.

Ciò che era successo non era grave, ma era brutto quello che c'era dietro: quella fuga, così, da un concerto in famiglia, in sfregio alle sue sorelle - e agli ospiti! - come se non gliene importasse nulla di loro. Erano le sue sorelle, e lui era un suo amico - c'era dell'affetto in gioco.
E in sfregio al Generale - non aveva chiesto il permesso, era troppo abituata ad evitare i conflitti scivolando tra le maglie del non detto.

Qualche attenuante c’era, glielo concedeva, Joséphine non si era comportata proprio comme-il-faut - la capiva eh! era una tale perfettina… una deliziosa miniatura di madame de Noailles -  quanto agli ospiti… beh… in effetti la piccola se l’era svignata proprio con metà di loro. La metà sbagliata.
Ma Monsieur Oscar c’era rimasta male. Sigyn non avrebbe dovuto.

La punizione era stata più che tollerabile - il Generale non l’aveva voluta spezzare, ma solo piegare un pochino, il giusto: l’aveva rinchiusa nella cucina piccola, senza cena, non era certo come se l’avesse fatta trascinare in un sotterraneo, attraverso un dedalo di budelli asfittici, e gettare in una cella incrostata di muffa, dove si faceva fatica a respirare.
Le era toccata una cella che odorava di miele, vaniglia e cannella, e di quell’odore fresco, di vento del nord, fatto di pino, menta e neve, che la piccoletta prediligeva.

Si diresse subito alla finestra della cucina piccola, sperando di trovarla lì, da sola, al mattino presto, magari intenta a preparare un tè per tutti e due, ogni dettaglio apparecchiato con cura - gli spiaceva invitarla a pattinare sul loro laghetto davanti a Monsieur Oscar, che - Alo aveva ragione - avrebbe senza dubbio declinato l’invito con voce scostante. Per Monsieur Oscar aveva rispetto, ammirazione e pure tenerezza.

La cercò con lo sguardo in tutto quell’azzurro - la caverna di una minuscola Jotnar, Victor sorrise tra sé - ma Sigyn non c’era.

Fu la piccola lavapiatti che gli svelò - timida - doveva poteva trovare Mademoiselle - addirittura! - Sigyn: nelle stalle.

E fu lì che la trovò, Mademoiselle Sigyn, che, incurante dell’odore grasso e pungente del luogo, dava da mangiare dei quarti di mela ad una cavalla, quella tranquilla, che cavalcava solo lei.
Victor scosse la testa: Sigyn adorava gli stivali da cavallerizza, ne aveva non so quante paia, una diverso dall’altro, ma come cavaliere era… represse un sorriso - aveva un ampio margine di miglioramento, diciamo.

La ragazzina gli dava le spalle, mentre la cavalla la sfiorava con benevoli musate; a contrasto, sull’abito verde muschio, spiccavano i capelli rosso fiammante, raccolti in una treccia semplice, come una indiana Mi'kmaq. O - Victor corrugò la fronte - da giovane damerino. Curioso che Monsieur Oscar portasse i capelli corti e non un codino, così come invece, faceva il ragazzo che stava sempre con lei.
Quanto a Sigyn, preferiva immaginarsela in versione indiana - le avrebbe regalato uno dei suo acchiappasogni.

“Sono belli.” disse il ragazzino.”Biondi, in generale, sono più belli,” aggiunse, come un dato di fatto, stuzzicandola, ma la ragazzina non si voltò.

“Monsieur Oscar li ha davvero stupendi.” insistette senza malizia, non accorgendosi delle spalle contratte “Ma i tuoi sono giusti per te.” Con delicatezza li sfiorò, annodando la coda intorno ad un dito, meravigliandosi, ancora una volta, della morbidezza.

Sigyn a quel punto si girò e gli diede retta. O, forse, le mele erano semplicemente finite.

“Non scottano!” disse Victor con un sorriso, cercando quello di lei, almeno negli occhi, senza riuscirci. “Il gatto ti ha mangiato la lingua?”

“Il silenzio è la lingua di Dio.” rispose Sigyn in tono neutro.

Delicatamente le sistemò un ricciolo ribelle dietro le orecchie, poi disse “Complicata Sigyn...” - lei alzò il mento con aria di sfida - “Non metterai più la cipria? Mai più?”

“No,” la piccola arricciò il nasino, “in effetti è una abitudine orribile…”

“Bene, molto bene,” le sorrise, poi d’impulso aggiunse, “lo spagnolo come va?” sperando che non fosse un passo falso.

“A me piace,” rispose diplomaticamente Sigyn e lui non chiese altro - quando avrebbe avuto voglia, lei gli avrebbe raccontato; nel frattempo, studiare non le avrebbe fatto male.

“Ho riflettuto su un libro, in inglese, da prestarti: pensavo I Viaggi di Gulliver. Lo puoi leggere in due modi… come una avventura o come una satira. Ora che sei piccola è sicuramente una avventura, ma, tra qualche anno, lo rileggerai con altri occhi… e poi ci sono dei giganti… non sono blu, ma dovrebbero piacerti.”

Sigyn arrossì, ma non disse nulla.

"Sono venuto a prenderti per accompagnarti..." azzardò Victor, perplesso. Quel silenzio cominciava a pesargli, non era la quiete tranquilla di quando lei cuciva qualcosa con Cassandra, nel loro Salottino (la Stanza dei Bambini, in realtà, ma Cassandra se ne sarebbe offesa) e lui passava in visita: era come qualcosa di appiccicoso, tra loro, che si incollava ai pensieri, rendendoli stonati.  

Sigyn lo soppesò ben bene, come se stesse cercando di valutarne il valore e il ragazzo si sentì a disagio - non aveva preso in considerazione la possibilità di un no, non gli era mai successo: Sigyn difficilmente cambiava idea in modo capriccioso ed era sempre contenta di vederlo. C’era qualcosa che non andava.

"Anche i miei fratelli ti aspettano..." gli spiacque averlo detto nel momento stesso in cui lo disse - giocarsi la carta dei fratelli, quelli con cui se l’era svignata, gli sembrò patetico, ma, se era per la punizione, perché loro avevano infranto le disposizioni del Generale, e lui no, beh, non poteva farci nulla: aveva deciso in coscienza che lei, una punizione, da parte di suo padre, la meritava e non intendeva rimangiarserlo.

"Davvero?" chiese sospettosa la ragazzina.

"Si, certo..." era vero, per quanto a lui sembrasse assurdo, era vero, “ti spiace se usciamo, questo odore comincia a darmi fastidio...” non era vero - era stato sulle navi da pesca vicino a Michelon, lì a Terranova, con Grimaud, dall’altra parte dell’Oceano, una vera avventura (aveva visto una balena! E partecipato ad una vera rissa dietro al forno!) e aveva sventrato merluzzi per ore - non c’era più nulla che lo avrebbe fatto vomitare, non per l’odore, quanto meno.
Voleva solo vederla alla luce.

La prese per mano e la scortò fuori, come la bambina che in fondo era; una volta in cortile, sbatté le palpebre, la vista appannata, e guardò il cielo bianco - non gli parve più così bello: in pochi minuti, da bianco glorioso era diventato solo scolorito.

La guardò, aveva gli occhi un po’ gonfi, gli parve che forse ci fosse una lacrima intrappolata tra le ciglia, ma lei distolse lo sguardo "A proposito dei miei fratelli, Alo chiedeva se qui hai dei pattini per il ghiaccio, gli ho detto che non mi risulta..."

"Non li ho."

Victor la osservò irritato “Sei davvero antipatica oggi…”

“E allora vattene e lasciami in pace."

"Sigyn accidenti" La afferrò stretta per il polso, nel timore di vederla voltarsi e sparire "Cosa c'è? Non può essere niente di davvero terribile..." Avrebbe voluto afferrarla per le spalle e scuoterla, ma, per quanto l’idea non gli spiacesse, non era così che questa cosa si sarebbe risolta.

“Non c’è nulla.” Sigyn strattonò il braccio, cercando di liberarsi - lui la lasciò subito andare, pensando alla spalla, che le faceva sicuramente male. Poi alzò gli occhi al cielo - c’era già passato con sua sorella Cassandra - quando si arriva al “non c’è nulla” allora qualcosa c’è sempre, solo che non se ne vuole parlare. Bisognerebbe poter essere un indovino, certe volte, poter lucidare la palla di cristallo e scoprire che cosa è successo, perché qualcosa, quando si arriva al “non c’è nulla”, qualcosa è sempre successo. Da qualche parte c’è un dolore muto che si ostina a non voler trovare le parole.

"E' perché non sono venuto ieri a salutarti?" chiese severo - non aveva nessuna intenzione di chiederle scusa per “quello” - "Se è così, mi spiace, ma eri in una meritatissima punizione e non era mia intenzione alleviartela."

"Figuriamoci..." sbuffò irritata la ragazzina.

"Tuo Padre ha fatto benissimo a punirti, sarebbe stato ingiusto che tu la facessi franca. Sai come la penso!"

"Si lo so: mia sorella si è turbata e questo ha ferito il suo cuoricino."

"Non fare l’antipatica."

"Giammai!"

"Sigyn, la famiglia è importante, non ci si fanno cattiverie tra fratelli. E non si sparisce senza avvisare - bastava chiedessi il permesso. Aggiungiamo - e questo tuo padre per fortuna non lo sa - che ti sei quasi ammazzata per questa bella impresa!"

“Addirittura!”

“Non scherzarci sopra, perché poi sembri sciocca: avete fatto una cretinata, che è andata bene, e ringraziamo il Cielo, ma io ho visto gente farsi molto male per una caduta come quella, e Xance ed Alo ne hanno vista molto più di me. Xance era mortificato, ti ha osservato tutto il tempo per esser certo che tu stessi bene. Siamo tornati apposta alla sera, con la paura di una emorragia interna, quindi non dire Addirittura con quel tono perché poi sembri sul serio una stupida!”

Sigyn sobbalzò e abbassò gli occhi.

Victor proseguì imperterrito “E’ stato divertente? Fino ad un certo punto sono sicuro di sì, non sono un cretino. Le cose pericolose hanno tutte un loro fascino. E’ stato saggio? No. E una punizione che ti desse il tempo di riflettere su questa cosa, ci stava tutta. Non mi chiedere di trattarti come una bambina a cui si da quello che vuole pur di non farla frignare.”

Il tono di Victor si abbassò, con delicatezza le mise una mano sulla spalla, “Sigyn, per piacere,” le scoccò un sorriso incoraggiante, “vuoi venire con me a pattinare sul laghetto ghiacciato? Ai miei fratelli fa piacere, Cassandra, lo sai, non vede l’ora… ti stanno aspettando.” Avrebbe voluto dirle che faceva piacere anche a lui, ma gli sembrò che l’equilibrio tra loro fosse come un fiocco di neve destinato a liquefarsi da un momento all’altro. Ieri sera mi sei mancata, ho chiacchierato con tuo padre, ma aspettavo che spuntasse Maxence, finalmente tranquillo perché tu stavi bene. Mi sono preoccupato per te, come lo avrei fatto con Cassandra, con Alo e con Xance. Lo pensò, ma non glielo disse.

Sigyn annuì.

“Prendiamo la Carriola?” chiese. Sono venuto a prenderti e pensavo di trovare te, le frittelle e un po’ di broncio che sarebbe finito, come sempre, con un sorriso. Fai parte di quelli la cui incolumità mi è preziosa. Ma non disse nemmeno questo.

Sigyn annuì di nuovo, poi aggiunse scontrosa “Vado a prendere il mantello e il manicotto, e chiedo ad Oscar se vuole venire.”

“Va bene. Mi farebbe molto piacere.” Tanto non sarebbe venuta. Gli parve che il cielo, dove incontrava il suo sguardo, fosse intriso di grigio e di gelo. Monsieur Oscar era una brava bambina, ma oggi non ce la voleva, ospite scontrosa da intrattenere, invitata apposta per lui, gli era chiaro, mentre la sua amica svaniva in una sconosciuta imbronciata e scortese.

 

Andarono con la Carriola, Victor guidava sicuro, ma senza accelerare troppo, il suo cavallo leggermente offeso per essere stato degradato a cavallo da traino - all'inizio aveva pensato di usare la cavalla di Sigyn, la quieta mangia-mele, ma in questo modo si era garantito il ritorno assieme: la piccola aveva la Carriola, ma non un cavallo.

Sigyn se ne stava immersa in pensieri che non intendeva condividere.

A metà strada Victor accostò e tirò le redini. "Così non va bene."

Sigyn non lo degnò di uno sguardo.

“C’è qualcosa che preferiresti fare?”

Sigyn arricciò il nasino "Si, mi piacerebbe molto andare a teatro. Desidero conoscere degli attori."

Victor la guardò perplesso. "Degli attori?"

"E perché no? Credo che siano gli unici in grado di tollerare la mia compagnia intellettuale." lo guardò con aria di sfida, una cosa che lo sorprese.

"Non so, probabilmente resterebbero sconcertati anche loro." Victor mantenne un volto impassibile - non era il momento di prenderla in giro.

"Capisco." Sigyn strinse le labbra - brutto segno - e non disse nulla.

"Hai litigato con Oscar?"

Sigyn scosse la testa.

"Qualche tua sorella?"

"Hanno anche loro dei nomi, sai?" Sigyn sembrava amareggiata.

"Devo fare l'elenco?"

"Non serve, sarebbe no no no e no."

"Il Generale?"

Sigyn scosse la testa "Non ho litigato con nessuno."

"Mi fa piacere," rispose secco "però stai litigando con me."

"Non è mia intenzione."

“Cosa c’è che non va?”

“Nulla.” Non era vero - c'erano delle cose che non andavano: voleva tante cose, e non ne voleva tante altre. Se avesse detto qualcosa all'Asciutta avrebbe stretto le labbra irritata, e le avrebbe risposto che lei non doveva dimostrare niente a nessuno. A parte far bene i suoi compiti a casa e tener giusti i conti.
Se lo avesse detto al Nonno, le avrebbe detto che lei era unica.
Ma loro non contavano, avevano il cuore di burro. E poi unica non voleva dire nulla: unica come l'unica tazza sbeccata del servizio da tè di sua madre, quello di Sèvres? Lei questa mattina si era svegliata che non voleva l'unicità, voleva essere come tutte le altre, sparire nel mucchio. Non solo per via dei capelli, quella, ripensandoci era solo una grossa sciocchezza, era tutto il resto, che non aveva mai preso in considerazione.
E però non voleva, perché lo zio Jean-Claude, lo capiva anche lei, non spariva nel mucchio, e nemmeno lo zio Antoine-Benoit, che erano unici anche nel modo in cui le volevano bene, facendole fare cose "da Oscar" senza pretenderla maschio e tollerando i suoi nastri ed i suoi fiocchetti. E Joséphine, con tutte le sue arie da Benevola Donna Saggia del Villaggio, le pareva in realtà crudele - non ci teneva poi tanto ad essere come lei.

“Non cercare di prendermi in giro come faresti con una delle tue sorelle.”

“Ti ho detto che non ho nulla.” Gli Jotun non piangono decise Victor, o se piangono, piangono fiochi di neve, perché Sigyn stava combattendo le lacrime con tutto il suo orgoglio.

"Sei arrabbiata con me? Se ti ho fatto qualcosa, mi dispiace, ma se non c’entro nulla, non intendo essere il tuo bersaglio personale." Questo era esagerato, non si può essere bersaglio di un silenzio o di un mancato sorriso, ma il silenzio, tra loro, generava imbarazzo. Sembrava come se dovesse piovere, ma poi non si decidesse mai. E lui non ce la faceva ad inghiottire il dispiacere con un sorriso educato.

Sigyn stette zitta per quasi un minuto intero e Victor sentì lo scorrere del tempo. La ragazzina pensò che avrebbe voluto sapere se loro erano amici sul serio, perché i tre Girodelle... il Generale li stimava, non li avrebbe definiti mai stupidi, eppure, se lei era una stupida, se i Sette Re di Roma contavano sul serio, allora perché volevano passare del tempo con lei? Gli faceva pena? O faceva ridere? Era parte di un enorme scherzo talmente macchinoso da essere divertente solo per pochi? O lei era solo l'amica di Cassandra, la figlia di un amico di famiglia, e, soprattutto, la sorella di Oscar?

"No," disse alla fine, "No, tu non c'entri..." con delicatezza gli accarezzò il braccio "E' un po' come dice tuo fratello, quando le cose stanno come stanno è inutile..."

"Come starebbero queste cose?" era paziente.

"Nulla Victor, dai..." sorrise pensosa, "ho dormito male stanotte, non farci caso. Poi mi passa." In fondo i miei difetti li vedi... me li fai anche notare.

Si strinse nella coperta e si raggomitolò in un angolo chiudendo gli occhi come un gattino.

Il fatto che lo avesse chiamato Victor lo infastidì, ma aveva davvero il visetto stanco. Si chiese se per caso il Generale c’entrasse qualcosa - quando si vuole cambiare qualcosa - un paio di stivali, un pennino, un cane da caccia - è perché quella che abbiamo non fa per noi. Non ci si inventa un padre segreto, nonché pasticcere, e, per di più, spagnolo, quando tutto va come dovrebbe andare.




Una volta arrivati a Palazzo Girodelle - dal cancello principale, ovviamente, con il calicanto piantato da sua madre tanti anni prima a dare il benvenuto - arrivò per primo Alo per aiutarli a smontare. Sigyn ancora dormiva.

Suo fratello commentò divertito "L'hai annoiata fino alle lacrime!"  e lui inarcò un sopracciglio, molto lentamente - si esercitava a copiare Alo perché Alo, quando lo faceva, ti faceva saltare i nervi all'inverosimile, ma non potevi accusarlo di nulla.

Poi arrivarono Cassandra e Maxence, e se ne andarono tutti al laghetto.

Sigyn, gli occhi ancora lucidi dal sonno stentato, si strofinò gli occhi, poi, un pochino impacciata, cominciò a legare le lame di ferro lucido ai suoi stivaletti.

Maxence le chiese, cortese, “Sai pattinare?” pronto a porgerle il braccio, nel caso.
La ragazzina arrossì violentemente e si guardò la punta dei piedi.

“Non ho capito,” disse Maxence, con pazienza “si o no?”

“E’ arrossita” disse Alo, con un sogghigno “allora forse è un no, però è ignorante come una capretta e non se ne vergogna, quindi secondo me è un , ma il sì di una che sa che le ragazzine non lo dovrebbero saper fare... non è ancora diventato di moda.”

“Non sono ignorante come una capra.” scattò Sigyn, irritata sul serio, ombrosa come un gatto pronto a soffiare.

“Anno della battaglia di Zama?” tagliò corto Alo e attese la risposta. Sigyn lo fulminò con lo sguardo, ma tacque indispettita.

Victor la guardò stupito “Non lo sai sul serio?” - Maxence gli tirò una scappellotto sulla nuca.

“C’è un unico modo per scoprirlo!” esclamò Cassandra, e, tenendo per mano l’amica, si slanciò, con Maxence dietro, a fare da chioccia per tutte e due.

Si, sapeva pattinare - Victor questo già lo sapeva, e pure Cassandra (sua sorella non era una stupida, anche se, indubbiamente, era impetuosa come tutti i Girodelle).

Victor girellò per il bordo, tenendosi in disparte e divertendosi a curvare - degli otto precisi sul ghiaccio, uno ridisegnato sull’altro con uno scarto minimo. Guardava gli altri quattro che stavano cercando di ballare sul ghiaccio, tra mille risate - quando guardi un tuo amico che si diverte senza di te, ti senti stonato, e, se gratti bene sotto le noti discordi, trovi un senso di perdita. Una pausa.

Se Monsieur Oscar fosse stato con loro sarebbe stato lo stesso: una conversazione scostante con una bambina che sarebbe diventata una donna bellissima, ma, quasi certamente, altera nella sua perfezione, come tutte le giovani Jarjayes - tranne una.
Una bambina molto amata, Monsieur Oscar, forse anche troppo e forse - non stava a lui giudicare - amata davvero male.

Victor Clément de Girodelle sospirò e si chiese se era una perdita temporanea quella della sua complice, amica e protetta, o se era l’inizio di un rapporto diverso tra loro. E, soprattutto, che accidenti erano queste cose che, a quanto pare, stavano come stavano.

Fu che a quel punto si sentì caricare da un bue. Cioè a lui sembrò così, che fosse stato un bue sfuggito dalla fattoria lì vicino, a travolgerlo - invece era Alo.

   
 
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