Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Segui la storia  |       
Autore: Xion92    06/11/2016    4 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mio Dio, Diobò (come dicono i pesaresi), quasi un mese di ritardo... chiedo un immenso scusa a tutti i lettori, questa nuova politica cover-capitolo-cover-capitolo allunga di molto i tempi... cercherò di fare prima per quanto riguarda i prossimi. Per questo in particolare ci ho messo molto perché:
- è lungo;
- è una tortura psicologica, e sapete quanto ci metto a scrivere capitoli psicologici;
- è oggettivamente brutto. Per me e per la tipologia di persone che in teoria sta seguendo questa storia. Ma leggete e capirete da voi.
Intanto posto la quarta cover, per chi se la fosse persa.
Buona lettura e stringete i denti! 

 

Capitolo 68 – Il filo si spezza

 

Quella sera, Masaya a cena rimase in silenzio per tutta la durata del pasto. Teneva gli occhi bassi sul piatto, senza però dare a vedere che era nervoso. Mantenne tutti i movimenti disinvolti di sempre, pur senza parlare, tanto che i suoi genitori non si accorsero di niente. E in effetti, loro non si erano mai accorti di niente. Da quando l’avevano adottato, non si erano mai resi conto di tutti i profondi turbamenti che gli scuotevano l’anima, e il loro figlio era, e sarebbe sempre stato, il ragazzo che era bravo in tutto quel che faceva e che avrebbe portato alto l’onore della famiglia Aoyama negli anni a venire. In fondo, non era quello il motivo per cui l’avevano adottato? Da quando la moglie del signor Aoyama aveva scoperto di non poter avere figli, suo marito era entrato in panico, perché era il capo di un’azienda prestigiosa di Tokyo. Aveva assolutamente bisogno di un erede e, se non fosse riuscito ad averlo in modo biologico, sarebbe ricorso ad altre vie. Quindi era parso ovvio, a lui e alla moglie, ricorrere all’adozione. Però non dovevano certo accontentarsi di un bambino qualsiasi, oh, no. Dovevano sceglierne uno che mostrasse un’intelligenza e delle abilità spiccate, che si distinguesse da tutti gli altri. In fondo, essere dirigenti di un’importante azienda non è cosa semplice. Non potevano certamente accontentarsi di un bimbo un po’ stupidotto. E quindi, quando si erano presentati all’orfanotrofio della città, avevano passato in rassegna con grande attenzione tutta la marmaglia di bambini che giocavano nel salone. I due signori avevano chiesto di poter vedere i bimbi più piccoli. Un ragazzino già cresciuto non andava certo bene. Doveva essere molto giovane d’età, in modo da poter essere formato ed educato a dovere. Tra tutti, il signor Aoyama era rimasto subito colpito da questo bimbetto, di tre o forse quattro anni, che stava seduto per terra a giocare con dei cubi di plastica. Intanto gli era piaciuto il suo aspetto: capelli neri, occhi nocciola e fisicità giapponese. Questa era una buona cosa: un dirigente d’azienda dai tratti occidentali o coi capelli biondi sarebbe stato molto malvisto. Ma soprattutto l’aveva colpito il suo atteggiamento: seduto composto, allineava i cubi uno sopra l’altro, o uno di fianco all’altro, con un’abilità e una precisione straordinarie. I suoi compagnetti, giocando fra loro in modo chiassoso, ogni tanto lo urtavano, ma lui nemmeno li guardava. Se per caso loro facevano cadere uno dei suoi cubi, lui, senza arrabbiarsi, lo rimetteva a posto, come se nulla fosse accaduto. Il signor Aoyama era rimasto davvero interessato: perché questo è esattamente il modo giusto di comportarsi per un dirigente d’azienda. Ligio al suo lavoro, concentrato, senza nulla che potesse distrarlo. Allora aveva chiesto informazioni su di lui alla responsabile. Lei gli aveva risposto che l’avevano semplicemente trovato neonato qualche anno prima, senza nessun indizio che permettesse di risalire ai suoi genitori. I primi anni era stato un bambino difficile. Sembrava apatico e indifferente a tutto quello che accadeva intorno a lui, tranne quando un’altra persona, adulta o piccola che fosse, gli si approcciava troppo. Allora reagiva in modo aggressivo, cercando di allontanarla, come se ne avesse schifo. Poi, tutto d’un tratto, da un annetto a quella parte, il suo atteggiamento era mutato all’improvviso. Da un giorno all’altro, aveva cominciato a comportarsi in un modo che avrebbe potuto essere preso d’esempio da qualunque bambino. Ubbidiva, rispettava le regole, aveva sempre un’espressione amabile, il suo carattere si era addolcito e non si alterava mai, ed era diventato preciso e ligio in tutto quello che faceva, senza mai sbagliare. Tanto che, da caso problematico, era diventato il favorito di tutto il personale, e anche gli altri bambini lo trattavano con rispetto. Ai signori Aoyama non era occorso sapere altro. Perciò si erano recati verso di lui, dicendogli accoglienti:
“Ciao, Masaya-kun, da oggi siamo noi i tuoi genitori.”
Lui li aveva guardati un attimo perplesso, quasi con una parvenza d’incredulità, poi la sua espressione si era sciolta in un gran sorriso.
Da quel giorno, per tutti gli anni successivi, i signori Aoyama erano stati i genitori più orgogliosi del mondo: il loro figlio li riempiva di soddisfazioni per tutto quello che faceva, per il suo ottimo carattere equilibrato e per i suoi successi scolastici e sportivi, e suo padre pregustava sempre più il momento in cui gli avrebbe consegnato le redini della sua azienda. Suo figlio aveva quasi quindici anni, ora. Non ce ne sarebbero voluti molti altri perché potesse diventare il padrone.

Finito di mangiare, Masaya si alzò e prese il cappotto dall’attaccapanni.
“Io esco”, comunicò.
“Dove vai, Masaya-kun?” chiese sua madre.
“Da Ichigo”, rispose lui semplicemente.
“Ah! Bravo, bravo!”, lo approvò compiaciuto suo padre. Era stato molto felice quando, qualche tempo prima, aveva saputo che suo figlio si era trovato una brava ragazza. Questo non faceva altro che rinforzare la sua futura immagine di capo. Non era bene che un dirigente d’azienda fosse solo, ma era fondamentale che avesse una brava moglie al suo fianco che trasmettesse ai dipendenti e ai clienti l’immagine di una famiglia virtuosa e felice. Al signor Aoyama aveva sempre preoccupato un po’ la cosa, perché da quando Masaya aveva raggiunto l’adolescenza era stato approcciato da molte ragazze, ma lui inspiegabilmente, sebbene fosse gentile, le aveva sempre respinte tutte. Non sembrava affatto interessato a trovarsi una compagna di vita. Suo padre non riusciva a spiegarsene il motivo, ma non aveva trovato questo particolare problema così rilevante: se non si fosse trovato una donna da solo, avrebbe provveduto lui stesso a procurargliene una appena fosse diventato maggiorenne. Non era pensabile che un dirigente rimanesse scapolo e senza figli, assolutamente. Per fortuna però Masaya l’aveva preceduto. Non aveva idea, suo padre, che il ragazzo stavolta non andava da Ichigo per scambiarsi baci e parole romantiche.

Masaya uscì di casa e percorse a piedi, a passo svelto, quel quarto d’ora di strada che lo separava dalla casa della sua ragazza. Nonostante la posta in gioco fosse alta, non si sentiva particolarmente ansioso o nervoso, tanto che non avvertì nemmeno la necessità di prepararsi il discorso in anticipo. Perché avrebbe dovuto avere dei dubbi, in fondo? Ichigo era una ragazza sensibile e comprensiva, lui la conosceva bene. Non sarebbe bastato altro che aprirle gli occhi sulla situazione che si era venuta a creare, il resto ce l’avrebbe messo lei.
Arrivò alla casa della sua ragazza senza quasi accorgersene e, senza troppo pensare, suonò il campanello. Fu Sakura ad aprire la porta e, quando vide chi c’era sulla soglia, la sua espressione si allargò in un sorriso accogliente.
“Aoyama-kun, buonasera! Che piacere vederti a casa nostra anche a un’ora così inusuale!”
Il ragazzo, un po’ imbarazzato, si arruffò i capelli con la mano. “Il piacere è mio, signora. Per caso disturbo?”
“Assolutamente no, abbiamo finito di cenare da poco e mio marito è andato al bar coi suoi amici. Ho preparato dei mochi che sono una squisitezza, li vuoi assaggiare?” si sdilinquì la madre di Ichigo.
“Volentieri. A dire il vero sono venuto per parlare con Ichigo, è…?”
Prima che avesse il tempo di terminare la frase, Sakura lo spinse letteralmente in cucina, dove c’era un vassoio pieno di dolcetti rotondi ripieni di marmellata.
“Prendine quanti ne vuoi, non fare complimenti”, insisté.
Masaya per educazione ne prese uno, ma stava iniziando a sentirsi a disagio. Aveva capito da tempo che la madre della sua ragazza non vedeva l’ora di portarselo in casa, visto che si comportava in quel modo con lui ogni volta che lo vedeva. Però stava cominciando a sentire una certa fretta. Non tanto per la gravità della situazione, ma perché sapeva benissimo che, se avesse tardato ancora, a Ichigo sarebbe venuto sonno e difficilmente sarebbe riuscita ad ascoltarlo fino alla fine.
A salvare la situazione ci pensò la sua stessa fidanzata, che scese le scale a tre a tre ed irruppe in cucina.
“Aoyama-kun!” esclamò felice appena vide il suo ragazzo. Poi si girò indispettita verso sua madre. “Mamma! Mica vorrai rubarmelo? Se Aoyama-kun è qui, sarà venuto a trovare me, no?”
“Oh, Ichigo, non fare la guastafeste”, ridacchiò Sakura di rimando. “Me lo stavo solo godendo un po’. Gli sono piaciuti così tanto i miei mochi. Ora andate, andate pure di sopra, cari. Tanto il babbo non c’è, e io me ne starò qui di sotto fino all’ora di andare a letto, così non vi disturbo”, concluse facendo l’occhiolino alla figlia con aria d’intesa.
I due ragazzi arrossirono violentemente a quelle parole, e Ichigo fu svelta a far uscire Masaya dalla stanza, guidandolo di sopra in camera sua. Arrivati che furono, si chiuse la porta alle spalle e ci si appoggiò, un po’ rossa in viso.
“Aoyama-kun, scusa mia madre. Sai com’è fatta, ormai…” disse in modo neanche troppo convincente, visto che dal modo languido in cui lo stava guardando era evidente che si aspettava qualcosa da lui.
Masaya però, invece di andarle vicino ed addossarla alla porta come altre volte aveva fatto, prese la sedia della scrivania e ci si sedette.
“Ichigo, scusa se devo arrivare dritto al punto, ma è tardi e non posso trattenermi molto”, iniziò.
Lei sembrò stupita da quel modo di comportarsi. “È vero, non eri mai venuto a casa nostra dopo cena. È successo qualcosa?”
“Sì, vedi… hai visto che il clima che si respira nella nostra squadra da qualche settimana va peggiorando, no? Te ne sarai accorta.”
“Eccome”, annuì Ichigo, andando a sedersi sul letto, di fronte a lui.
“E secondo te perché?” le chiese il ragazzo.
Lei rispose senza esitare: “per Angel, naturalmente. Ha un modo di fare che fa davvero saltare i nervi, negli ultimi tempi.”
“E siamo d’accordo”, assentì Masaya. “Però ti sarai anche accorta che lei sta molto male.”
“Già, per Flan”, fece Ichigo oscurandosi in viso. “E si vede. Ultimamente non faccio che pensarci. Ma non so più cosa fare, Aoyama-kun… ho provato di tutto per tirarla su e per rassicurarla, ma non c’è verso. Quindi sei venuto stasera per parlare di questa cosa e cercare insieme una soluzione?” chiese infine, con voce speranzosa.
Masaya rimase soddisfatto da quelle parole: confermavano che non si era sbagliato. Ichigo teneva veramente alla salute e al benessere di Angel. Non restava che essere aperto e diretto con lei e tutto si sarebbe aggiustato.
“Ichigo, non so se negli ultimi giorni l’hai notato, ma Angel con te si comporta come se ricercasse di continuo la tua approvazione.”
“Oh, sì. L’ho notato, l’ho notato”, annuì lei. “Però non capisco perché non è mai contenta, anche se le faccio sempre i complimenti quando fa le cose per bene. Eppure è proprio quello che vuole…”
“Ecco. Ora ti spiego. Ci ho ragionato su oggi pomeriggio, e penso di esserci arrivato. Angel, come sai, è cresciuta da sola con i suoi nonni. Praticamente non ha mai avuto nessun altro. Sicuramente, quando viveva con loro e aveva bisogno di essere rassicurata, cercava il loro supporto. Sono stati molto importanti per la sua formazione, me l’ha detto non molto tempo fa. Ora, dopo tanto tempo che è con noi, ha di nuovo paura, per tutte le paranoie che si è fatta. Però, non ha i suoi nonni a poterla tranquillizzare, stavolta. O meglio, avrebbe sua nonna, ma non può vederla. Secondo te questo ha un collegamento col suo modo di comportarsi?” cercò di farla ragionare Masaya.
Vide Ichigo reagire con una grande concentrazione e sforzo mentale a quelle parole, come se veramente cercasse di arrivare a una risposta. Però, dopo alcuni minuti di riflessione, la ragazza negò con la testa.
Il giovane tirò un gran sospiro e disse: “Ichigo, forse dopo tutto questo tempo te ne sei scordata, ma sai chi sono i suoi nonni, no? Sai che tua madre Sakura è la nonna di Angel, vero? E non ti ricordi di quella volta che ti ha chiamata nonna scambiandoti per lei? Angel ti ha preso come punto di riferimento perché le assomigli molto, e quindi spera di ottenere da te quello che ha sempre avuto da lei.”
“E d’accordo”, annuì Ichigo, che non sembrava più così distesa e rilassata com’era stata fino a quel momento. “E com’è che lei non è contenta comunque? Non la sto già supportando come si deve?”
“Sì”, annuì Masaya. “Ma non nel modo che serve a lei. Ichigo,”, aggiunse con un tono più enfatico. “Angel ha bisogno di qualcosa di più da te. Non basta rassicurarla a parole e dirle che andrà tutto bene. Lei vorrebbe anche crederti, ma non ci riesce. Ha bisogno di fatti, e che tu la guardi e la rassicuri come Sakura faceva con lei. Io già lo sto facendo, ma Angel ha bisogno anche di te. Comprendi?”
Ichigo appoggiò il mento sul palmo della mano e rimase a riflettere per un po’, ma guardò infine il suo ragazzo con aria interrogativa.
Masaya si morsicò il labbro inferiore. Le cose stavano prendendo una piega storta: non credeva che Ichigo dovesse aver bisogno di tutto quell’aiuto per arrivare a un concetto così semplice.
“Ichigo, andiamo, lo sai chi è Angel in realtà. Lo sai da mesi. Eppure ti comporti con lei come se non lo sapessi. Però, guardala: ultimamente ha un aspetto terribile, e io mi sento una coltellata in petto ogni volta che la vedo così. Vorrei fare tutto quello che posso per aiutarla, e l’ho sempre fatto, ma in questo caso tu sei l’unica che puoi farlo. Non c’è niente di difficile, devi solo volerle bene in un modo diverso. Rassicurala come hai sempre fatto fin ora, ma cerca di cambiare il modo in cui guardi a lei. Vedrai che lei se ne accorgerà e allora di sicuro starà meglio.”
Non si stava sentendo per niente a suo agio: nella sua mente, Masaya era convinto che Ichigo ci sarebbe arrivata facilmente da sola. Invece, quello che aveva creduto un problema facile da risolvere si stava rivelando decisamente più complicato.
Lei, infatti, aveva assunto un’aria confusa. “Aoyama-kun, ma cosa intendi con questo? Cosa devo provare di preciso per lei?”
Il giovane socchiuse gli occhi. E adesso come glielo spiegava? Era un sentimento impossibile da far capire a parole. Però ci poteva provare.
“Ichigo, ascolta, tu mi vuoi bene?”, le chiese.
“Che domanda è?” saltò su lei dal suo posto. “Lo sai che ti amo più di ogni altra persona al mondo. Non te l’ho dimostrato tante volte?”
“Esatto”, annuì lui. “Ora prendi quello che provi per me e moltiplicalo per dieci. Allora ti avvicinerai a quello che dovresti provare per Angel, e a quello che io già provo per lei.”
Ichigo ripiombò a sedere e rifletté su quelle parole. Il suo viso assunse un’espressione quasi offesa.
“Ora non mi verrai a dire che ami più Angel di me?”
Masaya si sentì ancora una volta amareggiato: non credeva neppure che si potesse fraintendere una cosa del genere. “Ichigo, Angel è mia figlia. È normale che la ami più di chiunque altro. Sarebbe grave se non fosse così”, le spiegò, con un tono forzatamente controllato. “Non la amo nel modo in cui amo te, è chiaro. Tu sei la mia ragazza, e non potrei mai amare voi due nello stesso modo. Ma se vuoi sapere quanto la amo, ti dico solo che se per la sua felicità dovessi morire in questo istante, lo farei. Senza se e senza ma.”
Ichigo abbassò appena gli occhi in un’espressione che era ambigua tra lo stupore e la delusione. “Io non credo proprio che offrirei così, su due piedi, la mia vita per lei. Magari sì, ma prima dovrei pensarci un po’.”
“E certo”, annuì lui. “Qui sta il problema. Ichigo, è inutile che evitiamo il problema. Angel è anche tua figlia. E non lo è solo nel sangue, ma anche negli atteggiamenti. Non vedi come ti ammira, come ti stima, come è sempre dipesa ta te fin da quando ti ha incontrato? E tu hai fatto un lavoro eccellente con lei, le hai insegnato tutto quello che c’era da sapere della vita con noi. Se non fosse stato per te, lei ora non saprebbe combattere bene in gruppo, non conoscerebbe il nostro stile di vita, non avrebbe idea del concetto di denaro e non saprebbe leggere. È vero, ha la nostra età, ma ha avuto bisogno di noi per tutto, come una bambina. E poi, guardala: non ti assomiglierà molto, ma qualcosa di te ce l’ha. Non sono cose che si notano subito ma, se la osservi con attenzione, ha molte cose in comune con te. E lei da te non vorrebbe altro che ritrovare l’amore di una madre. Come puoi non considerarti tale? Io sono suo padre, e sento di esserlo. Anche tu potresti, se volessi.”
Dopo aver ascoltato questo discorso, Ichigo si fece pensierosa, con espressione interdetta, come se ci fosse qualcosa che non le tornava.
“Aoyama-kun, quello che dici è molto bello, ma io non potrei mai fare quello che mi chiedi: Angel non è mica mia figlia.”
A quelle parole, il ragazzo sentì come se gli stesse mancando la terra sotto i piedi.
“… Che stai dicendo? Come non è tua figlia?” riuscì a buttare fuori.
“No, Aoyama-kun, non lo è. Se non mi comporto da madre verso di lei, non è perché voglio farlo apposta a farla star male. Non l’ho portata in grembo, non è nata da me, non l’ho mai nutrita, non l’ho cresciuta. Quindi non può essere mia figlia. Io a lei tengo, ma non posso sentire per lei quello che potrei sentire per te, neanche lontanamente, non è possibile”, scosse la testa Ichigo con decisione.
“Non l’hai portata in grembo, non l’hai nutrita… ma cosa c’entra?” insisté Masaya, alzando la voce con enfasi quasi disperata. “Questo non vuol dire niente. Neanche io l’ho cresciuta, ma non ha importanza. Ha comunque il tuo stesso sangue, non sarebbe una Mew Mew se non fosse tua figlia. Avrà anche la nostra età, questo è vero, ma abbiamo dovuto guidarla ed insegnarle proprio come si fa con una bambina. Non puoi nemmeno considerarla un’amica, visto che si è sempre comportata come una figlia mettendosi su un piano inferiore, con te, e anche con me.”
“Lo so che oggettivamente lo è. Ma per me è una mia cara compagna di squadra, non mia figlia. Le voglio bene, ma non in quel modo”, ripeté Ichigo. “Però mi fa piacere che lo sia, almeno in teoria”, si sentì di aggiungere. “È la prova del legame tra noi due, e di come nemmeno Flan sia riuscito a dividerci.”
Masaya allora tirò dei gran respiri per imporsi di calmarsi. Quando parlò il suo tono era più basso, ma non di molto.
“Ichigo, cerca di ascoltarmi… Angel ha bisogno di questo da te, invece. Non ha bisogno di nient’altro. Ormai è in grado di cavarsela da sola, con la vita quotidiana e con la scuola. Non serve che le insegni più niente. Ma ti prego… cerca di volerle bene come una madre, sennò non si riprenderà più, e se non si riprenderà la responsabilità non sarà la mia, né dei nostri compagni.”
A queste parole vagamente accusatorie, lo sguardo di Ichigo si indurì appena.
“E tu, Aoyama-kun, pensi di star facendo la cosa giusta, invece? Sai chi mi stai sembrando, in questo momento? Lo vuoi sapere? Quiche!”
Sentito quel nome, il ragazzo mancò poco che barcollasse dalla sedia.
“Tu mi stai… veramente paragonando a lui?” chiese incredulo.
“Sì, stai facendo esattamente la stessa cosa”, annuì lei, che si stava evidentemente innervosendo. “Sai come si comportava? Cercava di costringermi ad innamorarmi di lui. Lui voleva che io lo amassi, e non gliene importava niente se per me le cose erano diverse. Tu ora stai facendo uguale. Vuoi obbligarmi a provare per Angel qualcosa che non sento. I sentimenti non si possono forzare, o ci sono o non ci sono.”
Masaya rifletté intensamente su quelle parole. Essere paragonato a quell’alieno era l’ultima cosa al mondo che avrebbe desiderato. D’accordo, costringere Ichigo a provare qualcosa era evidentemente sbagliato. Ma così si ritornava al punto di partenza.
“Allora senti, Ichigo. Non voglio certo obbligarti a fare qualcosa che non vuoi, hai ragione. Ma almeno, con Angel cerca di far finta di volerle bene nel modo in cui ha bisogno. Magari, se lo fai nel modo giusto, nemmeno si accorgerà della differenza.”
Ma evidentemente quella lunga discussione era riuscita a far saltare i nervi anche alla ragazza. La quale, a quella proposta, se ne uscì con questa frase:
“non sarei neanche in grado di fare una cosa del genere. Sai, io non sono abituata ad essere ipocrita con gli altri e a fingere di essere quello che non sono.”
Appena dette queste parole, Ichigo trattenne istantaneamente il fiato, come se si fosse resa conto di essere andata troppo in là. Ma non servì. A quella frase impietosa, Masaya era balzato in piedi dal suo posto, facendo un passo indietro, con un’espressione che sarebbe stata ferita, se non avesse posseduto il suo enorme autocontrollo che gli permetteva di rimanere abbastanza inalterato anche nelle situazioni peggiori.
“Scusami, Aoyama-kun… io, veramente…” cercò di recuperare Ichigo.
Senza dire una parola, Masaya raccattò in fretta il cappotto che aveva appeso all’attaccapanni e se lo infilò senza tante storie.
“Ci vediamo domattina, Ichigo”, le annunciò con voce asciutta e, senza aspettare una sua risposta, aprì la porta e scese velocemente le scale per tornarsene a casa sua, scordandosi perfino di salutare Sakura. Lungo la strada la sua ragazza lo chiamò al cellulare alcune volte, ma lui rifiutò le chiamate senza dare risposta.

Giunse a casa sua con la mente svuotata e alcuni minuti risparmiati rispetto al viaggio di andata. L’ambiente era buio e silenzioso, perché i suoi genitori erano già andati a dormire. Masaya salì in camera sua e chiuse la porta con un gesto stanco. Aveva una gran voglia di sedersi sul letto per mettersi a riordinare le idee, ma sentì che in quel momento non ci riusciva. Sentiva solo una cosa, qualcosa che aveva iniziato a manifestarsi già quella volta che Ichigo gli aveva dato la prima delusione, un paio di mesi prima. Come un legame che si è spezzato. Era possibile, che, in quell’anno e mezzo che la conosceva, in realtà si fosse sbagliato su di lei? Avrebbe tanto voluto negarlo, ma la realtà gli era stata sbattuta in faccia più volte: nel profondo, Ichigo vedeva il prossimo e il mondo intorno a lei solo in funzione di lui, Angel compresa. Gliel’aveva anticipato tempo prima con quella reazione assurda, e gliel’aveva riconfermato quella sera. Com’è che aveva detto? Che era contenta che fosse teoricamente sua figlia solo come prova dell’amore tra loro due. E quell’allusione alla sua vita passata era stata l’ultima goccia, nella discussione che avevano avuto. Masaya infatti si vergognava profondamente del suo passato da ipocrita, e Ichigo lo sapeva bene, evitando sempre con cura di tirare fuori l’argomento. Ora, invece, aveva usato il suo vecchio stile di vita quasi come un’arma contro di lui, e questo l’aveva ferito profondamente.
Il ragazzo si passò una mano sulla fronte sudata, sentendo un gran senso di lacerazione nell’anima. Ma com’era possibile che questo aspetto terribile di Ichigo l’avesse scoperto solo ora? Eppure, se ora lui era diventato quello che era, era solo e soltanto grazie a lei.
Si avvicinò alla finestra e ci si appoggiò, sentendo una lacrima rigargli la guancia.

“Allora ragazzi, per riscaldamento prima di iniziare l’allenamento, fate tre giri di corsa intorno alla scuola”, così aveva detto l’allenatore quella mattina soleggiata di inizio primavera.
Masaya si sentiva totalmente svogliato, quel giorno. E anche poco a suo agio. Trovarsi in mezzo a un gruppo di ragazzi disposti in modo così fitto lo faceva sempre stare teso. Quanto era difficile, quanto gli costava recitare sempre la parte del ragazzo bravo a cui andava sempre bene tutto. Anche in quel momento, pur annuendo energeticamente all’ordine del suo superiore, stava con le braccia ben allineate al corpo, per evitare di toccare inavvertitamente uno dei suoi compagni. Quanto si sentiva disgustato dalla presenza di tutte quelle persone. Di quella umanità così invadente che non lo lasciava in pace neanche per un minuto. Aveva tenuto duro per una decina d’anni buoni con la sua recita, ma sentiva che, a proseguire così, prima o poi sarebbe scoppiato. Eppure non poteva assolutamente tradirsi, anche se certe volte il suo unico desiderio era mandare a quel paese tutti e iniziare a vivere finalmente da sociopatico cinico quale era. No, non poteva farlo. Se lo avesse fatto, non sarebbe potuto sopravvivere in quella società così rigida e collettiva, in cui gli altri ti venivano a cercare solo se questo portava un vantaggio a loro. Non era per questo, forse, che dall’età di circa tre anni aveva iniziato a comportarsi in modo perfetto solo allo scopo di venire adottato? Doveva tenere duro, almeno fino a quando i suoi nervi glielo avrebbero permesso.
Al comando dell’allenatore di partire, aveva quindi iniziato a correre coi suoi compagni, ma aveva dovuto fermarsi dopo pochi metri, perché aveva rischiato di andare a sbattere contro una ragazza che stava passando di là. Si era fermato un po’ irritato e l’aveva squadrata senza particolare interesse. Era una della sua scuola, coi capelli rossi raccolti in due codini e dall’espressione molto emozionata. Non ricordava di averla mai vista, prima. Anzi, presumibilmente l’aveva incrociata per strada un numero infinito di volte, ma di certo non se ne ricordava. Per lui gli altri esseri umani erano tutti uguali. Figurarsi se era in grado di distinguerne qualcuno nel mucchio.
Però, calma e autocontrollo. Non poteva sicuramente intimarle di scansarsi per poter riprendere la sua corsa. Quindi, con un sorriso gentile, le aveva detto:
“buongiorno. Scusa se ti sono quasi finito addosso, non ti avevo visto.”
Allora la ragazza aveva deglutito e aveva detto in modo molto nervoso: “nulla, Aoyama-kun. Sono io che sono stata sbadata, ma è normale, per me. Mi chiamo Ichigo Momomiya. Volevo chiederti… vorresti uscire con me domenica prossima?”
A quelle parole, lui si era sentito morire dentro. Oddio, no. Un’altra. Un’altra di quelle maledette che gli stavano sempre addosso. Già quella giornata era cominciata male, ci mancava solo una delle sue ammiratrici che cercasse di invitarlo a uscire per guardare quegli insipidi negozi di vestiti. Se, dieci anni fa, quando aveva iniziato a comportarsi perfettamente in tutto quello che faceva, qualcuno lo avesse avvisato che il prezzo da pagare sarebbe stato il venire costantemente puntato da un branco di oche starnazzanti, forse ci avrebbe pensato due volte prima di virare per quel tipo di atteggiamento. Mai come in quel momento sentì il desiderio di allontanare la ragazza rudemente da sé, ma rifletté velocemente: quella domenica c’era quella mostra sugli animali codice rosso a cui voleva tanto andare. Perché allora non sfruttare questa opportunità? Lei voleva uscire? D’accordo. Ma alle sue condizioni. Due piccioni con una fava: avrebbe potuto salvarsi la faccia e contemporaneamente vedere qualcosa di interessante. Però non doveva dirle subito dove aveva intenzione di portarla, altrimenti forse avrebbe rifiutato. Beh, l’avrebbe scoperto domenica stessa.
“D’accordo, Momomiya-san. Appuntamento alla stazione alle dieci in punto”, ed era corso via senza aspettare una sua risposta, giusto per levarsela di torno il prima possibile.

Era davanti a quella stessa stazione in cui, di mattina, aveva avuto il suo primo appuntamento con la ragazza che ora, di sera, stava aspettando. Allora era una giornata serena e soleggiata di inizio primavera, adesso invece stava venendo giù una pioggia autunnale come da mesi non se ne vedeva. Allora la ragazza che doveva incontrare era stata più o meno puntuale, adesso era in ritardo di tre ore. Dovevano vedersi alle cinque, ora erano le otto. La piazza si era svuotata rapidamente, e Tokyo era diventata cupa. Cupa come i pensieri e i sentimenti che gli stavano turbinando dentro, sentimenti che nemmeno credeva fosse in grado di poter provare. Quando mai aveva provato paura e angoscia per qualcuno? Lui che schifava tutte le persone intorno a lui, figurarsi. Eppure stava provando esattamente questo in quel momento, e si sentiva uccidere dentro un po’ di più per ogni minuto che passava e lei non arrivava. Lei, quella ragazza che, quando l’aveva incontrata la prima volta, gli era parsa così frivola e ora, invece, dopo sei mesi di frequentazione, si era rivelata essere tutt’altro. Masaya non aveva mai conosciuto in vita sua nessuno così: così aperta, allegra, fresca e spontanea. Tutto quello che lui non era, in pratica. Ricordava benissimo che già dopo il primo appuntamento la sensazione che aveva provato tornando a casa non era stata di disgusto totale, come succedeva di solito quando passava troppo tempo con la stessa persona. Poi, andando avanti, Ichigo si era rivelata a lui pezzo per pezzo. Una ragazza con un carattere semplicissimo, ma che nella sua semplicità era riuscita a far scattare qualcosa dentro di lui. I momenti passati con lei erano gli unici in cui Masaya si era sentito veramente umano. Riusciva a ridere, a scherzare, ad essere allegro, tutte cose che prima di conoscerla non era capace di fare. E, cosa più importante, stava iniziando a sentire, da ormai qualche mese, un qualcosa di più grande verso di lei. Non sapeva bene come definire questo “qualcosa”, ma sapeva che quello che sentiva era un trasporto verso Ichigo che, man mano che il tempo passava, si faceva sempre più forte e intenso. Era il desiderio di stare sempre con lei, di farla e vederla felice, di proteggerla, e soprattutto di diventare una parte costante della sua vita. Non gli bastavano più quelle uscite che facevano, desiderava iniziare a costruire qualcosa insieme a lei, qualcosa che poi li avrebbe portati a un futuro insieme. I film e i libri sembrava tendessero a chiamare questi sentimenti “amore”. Ma lui era veramente capace di provare qualcosa del genere? Oh, certo, l’amore era capace di provarlo anche lui, ma finora l’aveva sentito solo per la natura a cui si sentiva legato a doppio filo. Per una persona lui non aveva mai sentito niente di simile. Eppure, eccolo lì, a sentirsi col cuore pesante per una ragazza che, lo sapeva, stava rischiando la vita e non arrivava. Certo, perché lo aveva sentito dalle chiacchiere di alcuni ragazzi che erano passati lì accanto poche ore prima. Le Mew Mew stavano combattendo alla Tokyo Tower. A dire il vero, che lei fosse una di quelle guerriere l’aveva capito da tempo, ma aveva sempre fatto finta di nulla, visto che era evidente che lei non voleva che lui lo sapesse. Ma ora si sentiva veramente impaurito. Ci stava mettendo troppo tempo. E se fosse stata ferita, o uccisa? Appena sentita la notizia, gli era venuto forte l’impulso di correre alla Torre per aiutarla. Ma si era fermato dopo pochi passi. Lui non sapeva combattere. Non poteva esserle di nessun aiuto. Doveva stare lì, ed aspettarla. L’avrebbe sempre aspettata, anche se avesse dovuto restare lì tutta la notte. Non sarebbe andato via. Verso le sette, aveva anche iniziato a piovere. Una pioggia torrenziale che non accennava a voler smettere, e che aggiungeva cupezza al suo animo tormentato. Era lì in piedi, al freddo, all’umido, da tre ore ormai, col cuore in gola e oppresso dall’angoscia. ‘Ichigo, Ichigo, vieni. Vieni da me’, la chiamava nella mente senza interruzione. E poi, all’improvviso, eccola lì. Di corsa, trafelata, era piombata ansimante nella piazza, ed aveva iniziato a guardarsi intorno con gli occhi stralunati, cercandolo. Masaya, insieme all’enorme senso di sollievo, aveva anche sentito un certo stupore: Ichigo aveva appena finito di lottare, probabilmente era distrutta dalla fatica, eppure, pur di incontrare lui, aveva fatto tutta la strada di corsa. Era fradicia fino alle ossa, i capelli erano zuppi e spettinati, ansimava per la stanchezza, eppure per lui in quel momento non esisteva al mondo una creatura più bella. E quella creatura apparteneva proprio alla specie che lui tanto disprezzava. Questi pensieri erano stati interrotti da lei che stava cercando una qualunque maniera per giustificarsi.
“Aoyama-kun, scusami se non ho risposto. Il mio telefono è stato distr… si è rotto, e…”
Masaya non l’aveva interrotta. Aveva aspettato che lasciasse perdere quelle patetiche scuse, per vedere cosa avrebbe detto in seguito. Ed infatti, dopo poco, lei lo aveva guardato con occhi quasi rassegnati.
“Mi dispiace, Aoyama-kun, ti devo delle scuse. Volevo anche ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me”, aveva mormorato toccandosi la campanella al collo.
Lui non ce l’aveva fatta più. Era da quando l’aveva vista arrivare che sentiva fortissimo il desiderio di andarle incontro e stringerla per rassicurarla, dicendole che non doveva preoccuparsi e scusarsi di niente, ma si era trattenuto per vedere come lei avrebbe cercato di tirarsene fuori. Però vederla così mogia e abbattuta era troppo per lui. Era uscito dal portico nella pioggia e, andandole incontro, l’aveva abbracciata, il primo degli innumerevoli contatti fisici che avrebbero avuto in seguito. E, per la prima volta nella sua vita, aveva detto quello che veramente di spontaneo sentiva dentro.
“Non sai per quanto tempo ho aspettato questo momento… ti amo.”
L’aveva sentita singhiozzare, come reazione a quelle parole. E, dopo poco, le sue braccia gli avevano stretto la vita, come per ricambiarlo. Ma d’improvviso l’aveva spinto via, andando a rintanarsi dietro un palo mentre si stringeva la testa con le mani.
Lui si era sentito morire dentro. Allora non era vero che lo ricambiava? Si era illuso che anche lei sentisse per lui quello che lui provava per lei? L’aveva raggiunta, cercando di toccarla, ma lei, come una bestia selvatica, gli aveva dato uno schiaffo alla mano. Il ragazzo allora, ferito e con la morte nel cuore, le aveva lasciato un fazzoletto per permettersi di asciugarsi. L’ultimo gesto affettuoso tra loro due, probabilmente, perché era certo che Ichigo non avrebbe più voluto aver nulla a che fare con lui.
"Mi dispiace. Non volevo metterti in imbarazzo. Asciugati con questo. Io torno a casa.”
Ma, dopo pochi passi, la sua voce l’aveva fermato. Si era girato e l’aveva vista rossa in viso e col fazzoletto a coprirle la testa.
“Aspetta! Non andartene… ti amo anch’io.”
Quel senso di morte che l’aveva pervaso fino a un attimo prima si dissolse in un istante. La persona che più amava sulla Terra – l’unica, a dire il vero – lo ricambiava. Allora era tornato indietro e l’aveva abbracciata di nuovo. E, di nuovo, lei si era irrigidita, ma lui, sospirando, l’aveva quasi pregata:
“Ti prego, non allontanarti. Restiamo così. Lasciati abbracciare ancora un po’.”
Allora anche lei si era calmata tra le sue braccia. E la prima cosa che lui aveva notato era che sotto il fazzoletto sulla sua testa c’erano un paio di orecchie non propriamente umane. Ma non gliene importava niente. Cosa importava che Ichigo fosse una Mew Mew, o che la pioggia stesse continuando ad abbattersi implacabile su di loro? La cosa straordinaria era quello che lui aveva scoperto di poter provare. Tutti quei sentimenti che aveva sentito quella notte erano qualcosa di assolutamente nuovo per lui. E se aveva scoperto di poter provare amore, devozione, preoccupazione, questo era solo grazie a quella semplicissima ragazza che teneva stretta tra le braccia.

Erano passati altri mesi da quella notte, e si stava ormai avvicinando il Natale. Una mattina, la sua ragazza l’aveva sorpreso con questa proposta:
“la vigilia di Natale facciamo un picnic insieme? Preparerò io il bento!”
Lui aveva accettato, davvero curioso di assaggiare la cucina di Ichigo. Non aveva mai assaggiato qualcosa fatto da lei, né avevano fatto prima un picnic insieme.
“Va bene, poi possiamo andare ad Odaiba a vedere l’albero che hanno montato su.”
Ricordava bene che, il giorno prestabilito, durante il pranzo – ottimo, tra l’altro –, la ragazza all’improvviso se ne era uscita con vari schiarimenti di voce ed esitazioni, come se dovesse confessargli qualcosa. Ed era in quel momento che era apparso Quiche, quell’alieno che da molto tempo cercava di indurla a schierarsi dalla sua parte. Aveva lanciato loro contro dei lampi di energia e lui, pronto, aveva afferrato Ichigo scansandola dall’attacco. Le si era poi parato di fronte gridando rabbioso all’alieno: “perché te la prendi solo con lei?!”, e lui, per tutta risposta, aveva lanciato loro un altro raggio di energia. Masaya, senza stare a riflettere, si era frapposto tra la sua ragazza e i lampi, bruciandosi la schiena. Ma era stato soddisfatto, in quel momento: Ichigo era rimasta illesa, e solo questo contava. Non ricordava più nulla, dopo questo avvenimento, perché era svenuto. I suoi ricordi ritornavano a quando si era svegliato la sera dello stesso giorno in un letto di ospedale con la sua ragazza accanto. E poi, fuori, poco dopo, davanti all’albero, entrambi avevano liberato i loro cuori da quello che si portavano dentro da tempo; Ichigo da meno di un anno, lui da dieci. Aveva percepito la sofferenza della sua ragazza mentre iniziava ad ammettere davanti a lui che era una Mew Mew, prima che lui la interrompesse dicendole che lo sapeva già. Quando invece era venuto il suo turno di confessare, lei non aveva potuto fermarlo, perché erano cose di cui non aveva la minima idea. E nessuno ne aveva. Ichigo almeno aveva sempre avuto altre sei persone che condividevano il suo segreto, lui non aveva mai avuto nessuno. E, con grande strazio, anche lui aveva rivelato la sua vera natura che era rimasta sempre celata a tutti, persino a lei. Durante quel discorso, Masaya aveva avuto paura che Ichigo non volesse più stare con lui, considerato quanto la sua vera personalità fosse differente dalla facciata che aveva sempre mostrato agli altri. E invece, con suo enorme sollievo, non si era allontanata, era rimasta insieme a lui. Era stato allora che si erano baciati per la prima volta; di baci in seguito se ne sarebbero dati tanti, ma Masaya, quello sotto l’albero di Natale, in cui tutti e due per la prima volta erano col cuore libero e sereno, non l’avrebbe mai dimenticato.

Era passato un altro mese, o forse due. Masaya era da solo su uno dei tanti ponti della citta, e aveva visto Ichigo correre da lui dopo l’ennesimo combattimento. Di solito provava sempre un grande sollievo al vedere che lei stava bene dopo le battaglie, ma questa volta aveva provato un gran senso di amarezza e di oppressione. Sentiva che le cose, andando avanti, sarebbero peggiorate invece di migliorare. Era da settimane, ormai, che faceva dei sogni strani ed angoscianti, e sapeva che presto le cose avrebbero potuto mettersi male per quelle guerriere. Perciò, non sapendo come porre rimedio, aveva abbracciato la sua ragazza, pregandola di non combattere più. Ma, prima che lei avesse potuto dargli una risposta, era di nuovo apparso Quiche, a cavallo di un mostro dell’aspetto di un grosso uccello, e gli aveva letteralmente strappato Ichigo, che aveva iniziato a gridare impaurita. Cosa fosse successo dopo questo fatto terribile, non se lo ricordava. Probabilmente aveva perso conoscenza, come ormai da tempo gli capitava, ma, una volta recuperata, si era ritrovato sul tetto di un grattacielo, con di fronte a lui quell’alieno maledetto che teneva Ichigo legata in modo che non potesse ribellarsi; Ichigo aveva addirittura i vestiti strappati. A quella visione, Masaya si era sentito pervadere ogni fibra del corpo di una rabbia, di un odio e di un desiderio di vendetta come non l’aveva mai provato in vita sua.
“Lasciala… subito”, aveva avvertito Quiche con voce glaciale.
“E se io non volessi?”, l’aveva provocato lui di rimando, stringendo Ichigo ancora più forte.
“Ti ho detto di lasciarla!” aveva gridato allora il ragazzo, liberando tutta la rabbia e il risentimento che sentiva, e venendo circondato da un forte bagliore azzurro.
Quando aveva riaperto gli occhi, Ichigo aveva gridato, sorpresa: “Cavaliere Blu?...”
Allora lui aveva riacquisito coscienza e si era reso conto di non essere più un semplice uomo, ma un vero e proprio guerriero che da quel momento avrebbe potuto combattere al fianco delle Mew Mew per aiutarle nelle difficili battaglie che sarebbero venute. Come fosse in possesso di simili, straordinari poteri, ancora non lo sapeva. Avrebbe imparato solo più tardi, a proprie spese, che essi non erano che un minimo assaggio dei poteri del dio alieno chiamato Profondo Blu. Ma in quel momento la cosa non aveva avuto importanza per lui. Ora non era più impotente di fronte al mondo, poteva realmente combattere per difendere chi amava. E, se fino a non molto tempo prima questo era limitato ad Ichigo e a Ichigo soltanto, più andava avanti, più il senso di umanità si faceva più forte dentro di lui, inducendolo a ragionare che, se la sua ragazza era un’eccezione nell’umanità, forse anche il resto delle persone meritava una seconda possibilità. E che, se in futuro lui avrebbe combattuto insieme a quelle guerriere, l’avrebbe fatto non solo per Ichigo, ma per tutte le persone. Una convinzione che sarebbe diventata forte e chiara quando fosse giunto il momento di decidere, non molto più in là, di suicidarsi trafiggendosi con la spada per salvare l’umanità. Un pensiero che, fino all’anno prima, probabilmente non avrebbe neppure potuto sfiorarlo. E che anzi, se una cosa simile fosse accaduta l’anno precedente, se Profondo Blu si fosse manifestato allora, lui, Masaya, sarebbe stato ben contento di lasciarlo fare, di permettergli di distruggere gli uomini e ricreare un pianeta non inquinato. Ne sarebbe stato lieto, lui che, come derivazione di Profondo Blu, aveva il suo stesso identico carattere e detestava l’umanità quanto quel dio alieno. E se ciò non era avvenuto, il merito era solo di Ichigo che l’aveva cambiato.

Masaya sollevò un braccio, strofinandosi gli occhi col dorso della mano, si staccò dalla finestra ed andò a sedersi sul letto. Lì, a testa china e con le mani aperte sulle ginocchia, rifletté sulla sua situazione attuale: Angel era la causa innocente di quella rottura che sentiva fra lui ed Ichigo, ma non poteva certo fargliene una colpa. Anzi, in un certo senso la doveva ringraziare: aveva permesso che i suoi occhi si aprissero in tempo sulla dura realtà: Ichigo vedeva il mondo intorno a lei solo in funzione di lui, e questo purtroppo includeva anche Angel. Non pensava che il modo di fare di Ichigo fosse un male in senso assoluto: anzi, Masaya era convinto che, fra un po’ di tempo, il suo ordine di priorità si sarebbe in qualche modo riequilibrato. In fondo, non era da tanto tempo che stavano insieme, solo un anno e poco più. Ma Angel… lui sentiva di amarla come non aveva mai amato nessun altro, e non poteva sopportare di stare accanto a una persona che invece la rinnegava. Angel era la loro figlia, e ad Ichigo di questo non importava nulla. No, Masaya, come padre, non poteva tollerare di stare insieme alla madre che non vedeva in lei quello che vedeva lui. Come genitore non poteva sopportare un peso tanto grande, che poi Ichigo tenesse ad Angel come semplice compagna di squadra non importava.
Sentiva che il sentimento che provava per Ichigo non era più quello fortissimo e indistruttibile di qualche tempo prima. Quello che era avvenuto quella sera era stato come un paio di forbici che avevano tagliato un filo teso da mesi. Era stato il colpo definitivo. Il ragazzo si stava sentendo pieno di amarezza e di risentimento verso di lei, ma, allo stesso tempo, provava anche un senso di colpa. Nonostante tutto, Ichigo era una bravissima persona, e certo non meritava che lui, nonostante le conclusioni a cui era arrivato, continuasse a rimanere con lei come se nulla fosse accaduto. Doveva essere onesto con lei, se lo meritava, dopo tutto quello che aveva fatto per lui.
Decise: il giorno dopo avrebbe messo fine alla questione, senza rancori e in perfetta serenità, e senza che ciò intaccasse il loro lavoro di squadra. Era inutile discuterne ancora, la visione di Ichigo su Angel non sarebbe mai cambiata. Non aveva idea del perché, ma forse il fatto che fosse una donna influenzava in qualche modo la faccenda. Forse, per una donna, il portare dentro di sé un figlio e il metterlo al mondo sono cose rilevanti, cose che per lui, in quanto maschio, non avevano importanza. Ma non contava. Lui non aveva intenzione di stare con una donna che rifiutava la loro figlia. Non aveva senso, sentiva di non poter amare una persona così.
Perciò, quasi a suggello di quella decisione, fece per alzarsi in piedi di scatto, ma ripiombò a sedere a metà dell’operazione. Infatti, una frase dettagli da Angel non molto tempo prima gli aveva attraversato il cervello come un fulmine: “tu ami Ichigo?”, e l’aveva chiesto con un tono esageratamente apprensivo e ansioso. Allora non era stato molto a riflettere su cosa potesse esserci dietro a questa domanda, ma in quel momento capì: Angel si stava trovando in un momento di grande fragilità emotiva, ma anche prima, nonostante la sua enorme perseveranza e forza, stava sempre molto attenta all’ambiente intorno a lei e, dato che la sua famiglia originaria era stata sfasciata, aveva riposto la sua intera sicurezza in tutto ciò che le restava dei suoi parenti: ossia lui e Ichigo, e la loro unione era ciò che le permetteva di guardare con fiducia e stabilità al futuro. Se avesse visto che suo padre non amava più sua madre come prima, di sicuro la sua condizione psicologica sarebbe peggiorata ancora di più. Loro due erano l’unica base che le restava, senza di quella sarebbe crollata. No, Masaya non poteva assolutamente separarsi da Ichigo, e nemmeno mostrarsi più distaccato nei suoi confronti: Angel stava molto attenta a queste cose e l’avrebbe notato subito. E non poteva nemmeno cercare di spingere di nuovo Ichigo, con altri metodi, ad affezionarsi di più ad Angel, perché di sicuro la prima, presa dalla gelosia, invece di avvicinarsi alla seconda avrebbe iniziato a detestarla. Masaya si sentiva stretto in una morsa: non aveva nessuna possibilità di manovra, era inchiodato in quella situazione senza modo di districarsene.
In tutto questo, non c’era che una soluzione; e non doveva essere nemmeno troppo difficile da applicare, in fondo aveva alle spalle un tirocinio lungo un decennio nel fingere di essere quello che non era e di provare quello che non sentiva. Il solo modo era fare finta che non fosse successo nulla, e mostrarsi, davanti a tutti gli altri, come quello che era stato fino a un paio di mesi prima, ossia un fidanzato appassionato e innamorato della sua ragazza. E doveva mostrarlo soprattutto davanti ad Angel, almeno finché lei non fosse rimasta lì con loro. Sentì di odiare se stesso nell’accettare quella soluzione, ma la sua adorata figlia veniva prima di tutto; prima della sua dignità, e anche prima di Ichigo, per quanto fosse doloroso ammetterlo.
Si alzò con fatica dal letto e si avvicinò di nuovo alla finestra, scrutando il quartiere residenziale illuminato dalla luce dei lampioni.
“Dovrò far finta che non sia successo nulla. Almeno finché Angel non se ne sarà andata via. Poi se ne riparlerà”, mormorò a denti stretti. “Ora meglio andare a letto, che domani devo passare a prendere Ichigo ed Angel prima di andare a scuola.”

 

--

L'ho detto e lo ripeto. Questo è il capitolo più brutto che abbia scritto fino ad ora. Non perché sia fatto male in sé, ma proprio ho provato un senso di dolore a scrivere certe cose, considerando che per me questa è quella che volgarmente viene chiamata "OTP" (giuro, tra l'altro, che prima di iniziare a scrivere l'anno scorso e di incappare in un po' di fandom sparsi nemmeno sapevo che esistesse come termine).

Mi piacerebbe scrivere qui un' analisi approfondita di tutta 'sta pappardella, ma evito, perché secondo me farlo equivarrebbe a mancare di rispetto in qualche modo ai lettori, visto che presuppone che loro non siano capaci di farsi un'analisi da soli. Scrivo solo un chiarimento sul personaggio di Masaya. Che il pubblico che dovrebbe leggere non ha in teoria di questi problemi, ma con questo personaggio non si sa mai.
Sia chiaro che non ho impostato questo capitolo con l'intento di passare il messaggio che lui ha ragione e Ichigo torto. Entrambi, ognuno a modo proprio, vogliono bene a Angel, entrambi hanno ragione su certe cose e sbagliano in altre. Il lettore potrebbe essere portato a pensare che sto cercando di convincerlo che Masaya ha ragione perché il punto di vista è il suo, ma in realtà ho scelto di raccontarlo dalla sua mente e non da quella di Ichigo perché reputo il primo un personaggio con uno spessore e una psicologia estremamente più complessi della seconda. In realtà Masaya fa i suoi errori e qui sbaglia esattamente come Ichigo, anche se per motivi diversi. Con Ichigo, ho cercato di immaginarmi il più possibile come potrebbe reagire lei di fronte a una situazione di questo tipo, e penso che per un personaggio come lei (ma anche per la maggior parte delle persone reali) sia questo il modo più "normale" di ragionare. Non so se sia possibile considerare un'altra persona della tua stessa età, anche se è biologicamente tua figlia, davvero come tua figlia. Lo troverei molto difficile, se non altro. C'è chi, in virtù di una grande maturità e razionalità, ci può riuscire (Masaya) e chi no (Ichigo. O meglio, lei sa e ha preso atto che è sua figlia, ma non la sente tale). E secondo me sono visioni entrambe accettabili (che poi è tutto dire, visto che una situazione così nella realtà non può esistere). Detto ciò, ognuno è libero di farsi la propria visione su questo litigio, può decidere liberamente chi ha ragione e chi torto e chi si è comportato male e chi no. E' a libera interpretazione, non voglio pilotare la mente del lettore in nessun modo.

A parte questo, spero che il modo in cui si è svolta la discussione tra lui e la fidanzata vi sia piaciuta. Ho dovuto un po' immaginarmi una dinamica, perché nel manga (o anime) non vediamo mai loro due litigare veramente (a parte Masaya che si incazza come una iena più volte con Ichigo), però, secondo me, anche nei litigi seri, loro due non potrebbero mai arrivare ad urlarsi addosso. Anche quando litigano, per me si mantengono sempre e comunque nei limiti della civiltà formale, come due bravi ragazzi giapponesi.
Litigi a parte, spero in particolare che l'approfondimento psicologico su Masaya vi sia piaciuto. Non so se avete notato, ma per un flashback in particolare - quello dove lui e lei si confessano i loro segreti - ho fuso due eventi, del manga e dell'anime, che trattano lo stesso argomento. Nel manga, infatti, non c'è nessun albero di Natale e il periodo temporale è generico. E' stato molto bello, per me, ripercorrere degli eventi cruciali della relazione della coppia di TMM attraverso gli occhi di Masaya. Nel manga/anime li vediamo quasi solo da quelli di Ichigo, è stato interessante riscriverli dal punto di vista di lui, con tutta la sua crescita psicologica e il suo sviluppo caratteriale dietro.

Beh, adesso preparerò la quinta cover e dopo mi metterò giù col prossimo capitolo, che (anticipo) sarà decisamente più dinamico e avrà Ryou come protagonista attivo. Al prossimo aggiornamento e grazie!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Xion92