10
settembre 1945
Faceva
freddo quella sera, eppure le
persone in strada sembravano non badarci. Chi ballava, chi cantava, chi
beveva,
chi si baciava; ormai si festeggiava da otto giorni di seguito la fine
della
terribile e sanguinosa Seconda Guerra Mondiale. Non che ci fosse molto
da festeggiare,
molte giovani vite erano state strappate via per una causa che molti
conoscevano solo per sentito dire, solo per egoismo e paura.
Eppure le persone che potevano raccontarlo, non potevano fare a meno di
festeggiare, non solo per se stessi, ma anche per chi aveva appunto
perso la
vita, come per rendere loro grazie e per non rendere la loro morte
totalmente
vana.
Parecchi soldati gironzolavano anche per le strade, con i fucili a
tracolla e
sempre all'erta, godendosi seppur un minimo quella tanto agognata pace.
Eren
Jegaer era uno di questi. Un soldato giovane, forte e determinato, che
aveva
visto troppe cose orribili in così pochi anni. Camminava per
quelle strade
fredde e gioiose, accompagnato da grida di felicità e
risate. Si guardava
intorno, alla ricerca di un luogo caldo dove potersi riposare per poi
tornare
al suo accampamento e il giorno dopo fare ritorno a casa.
Quella sera era solo, il giovane soldato. Non aveva avvisato i suoi
commilitoni
e amici che sarebbe uscito, non per scortesia, ma perché
aveva bisogno di
passare una serata solo con se stesso, fare qualcosa solo per lui. Come
biasimarlo, dopo aver passato quasi sei anni a servire la sua patria e
il mondo
rischiando la vita, una serata per lui poteva anche concedersela.
Ormai
camminava per quella strada
sconnessa da poco più di un quarto d'ora, passando davanti a
file di locali
aperti e troppo chiassosi. Stava proprio pensando di ritornare
indietro, quando
notò poco lontano da lui un locale all'angolo della strada.
Sembrava molto più
tranquillo di quelli appena passati e la luce che filtrava dalla grande
vetrina
sembrava calda e accogliente, quasi come se lo stesse invitando
tacitamente ad
entrare.
Eren
portò le mani a coppa vicino alla
bocca, soffiandovi per cercare di riscaldarle e strofinandole fra loro,
dondolandosi sui piedi. Dopo un'ultima occhiata in lontananza a quello
che
sembrava il 'locale giusto', decise di avvicinarsi e leggere il nome
del bar.
House
'Bizzarro
come nome per un bar...' pensò
il giovane soldato, sorridendo e decidendosi finalmente ad entrare.
Appena mise
piede all'interno, sentì tutto il freddo che provava
scivolare via dalle sue
ossa, sostituendosi ad un piacevole calore che lo fece sorridere
spontaneamente. L'arredamento era semplice, qualche tavolo al centro
della
sala, un bancone di legno alla sua sinistra con qualche sgabello per
sedersi ed
un insolito, piccolo e accigliato barista.
"Bentornato
all'House, cosa posso
servirti?" domandò il barista sopracitato, facendo voltare
Eren verso la
sua figura. Si avvicinò e si sedette su uno sgabello,
proprio davanti a colui
che si accingeva a servirlo.
"Un
bicchiere di vino. Rosso" il
barista alzò le sopracciglia. Era davvero strano che un
soldato entrasse nel
suo locale a quell'ora della sera e ordinasse del vino rosso al posto
del
solito boccale di birra. Scosse comunque il capo e si
apprestò a soddisfare il
cliente.
"È
la prima volta che vengo qui.
Perché mi hai detto 'bentornato'?" si incuriosì
Eren, iniziando a
sorseggiare il suo bicchiere di vino.
"Perché
quando qualcuno torna a casa,
si dà il bentornato, non il benvenuto" rispose con tono
ovvio il barista,
impegnato a pulire il bancone con uno straccio bianco.
"Perché
hai chiamato questo posto
'House'?" continuò con le domande il soldato, senza smettere
di studiare i
movimenti dell'altro.
"Perché
voglio che chiunque possa
avere un luogo in cui tornare da chiamare 'casa'"
Eren
annuì, finendo in silenzio il suo
bicchiere di vino e chiedendone un secondo. Il barista
continuò con le sue
pulizie, passando dal bancone, ai tavoli, ai bicchieri. Eren lesse il
cartellino affisso al suo grembiule, leggendo il suo nome.
Levi.
Fece vagare lo sguardo sul corpo di Levi, soffermandosi sugli
avambracci
scoperti dalla camicia arrotolata fino al gomito.
"Non
hai nessuno con cui festeggiare?"
fu Levi a rompere il silenzio questa volta, continuando a pulire i
bicchieri e
ad asciugarli con un panno.
"Sì,
ma volevo una serata solo per
me" rispose posando la guancia sul palmo della mano. Levi
annuì, scrutando
il ragazzo di fronte a lui. Era giovane, molto giovane, eppure eccolo
lì,
divisa militare, fucile in spalla, cicatrici che non si rimargineranno,
immagini spaventose impresse nella sua giovane mente per sempre, mani
macchiate
del sangue di quello che gli hanno detto essere il nemico. E infine,
gli occhi.
Occhi che hanno vissuto tutto quello in silenzio, sopportando,
resistendo,
piangendo. Occhi che nonostante tutto non hanno mai smesso di brillare,
non
hanno mai smesso di separare in qualcosa di migliore.
"Stacco
tra mezz'ora" annunciò
Levi. Eren schiuse leggermente le labbra, arrossendo appena cogliendo
il
significato di quelle parole, sorridendo poco dopo.
~*~*~
Levi
condusse il ragazzo a casa sua, senza
soste, a passo spedito. Il cuore nel petto del ragazzo batteva come
impazzito,
riusciva a sentirlo fin nella sua testa. La sua mente non smetteva di
lavorare,
continuava a pensare e ripensare, si poneva domande su domande e
sentiva che
sarebbe esploso di lì a poco. Seguiva Levi, standogli a
fianco, senza fiatare.
Aveva paura di rovinare tutto se avesse iniziato a parlare; quel
silenzio li
teneva al sicuro, lontani da immagini, ricordi, suoni. Per quanto tempo
avevano
cercato quel silenzio? Per quanti anni avevano cercato qualcuno con cui
condividerlo? Per quanti mesi avevano sperato tacitamente di
incontrarsi?
Si
fermarono davanti ad una porta, che
Levi fu rapido ad aprire. Fece entrare prima il ragazzo, che
accettò l'invito,
seppur leggermente agitato. Levi chiuse delicatamente la porta,
premendo
l'interruttore vicino all'entrata e illuminando la stanza.
Eren si guardò intorno, studiando l'ambiente intorno a
sé. Mobilio semplice,
pareti neutre, studiata nel minimo dettaglio per non attirare
l'attenzione.
Sentì delle braccia circondargli la vita e le labbra morbide
di Levi
accarezzargli il collo con gentilezza. Lasciò una scia di
baci dal collo fino
al suo orecchio, sussurrando:
"La
camera da letto è da quella parte"
Il
corpo del soldato fu scosso da brividi
lungo tutto il corpo, girandosi verso l'uomo alle sue spalle e posando
le mani
fredde sulle sue guance. Eren chiuse gli occhi, respirando a pieni
polmoni la
fragranza dell'uomo davanti a lui, beandosi di quel profumo di
thè e sapone che
lo fece sorridere per l'ennesima volta.
Levi avvicinò il volto a quello del ragazzo, facendo
sfiorare i loro nasi. Chi
dei due si fosse mosso per primo resta ancora un mistero, ma tutto
quello che è
possibile raccontare è che una volta che le loro labbra si
sfiorarono, tutto si
fermò.
Non sentivano più le grida di coloro che festeggiavano nelle
strade, non
sentivano più i rumori dei clacson, non sentivano
più i dolori dovuti al
lavoro; il freddo sostituito da un piacevole calore.
Quando
i loro corpi toccarono il letto,
tutto quello che li circondava sembrava essere definitivamente
scomparso.
Esistevano solo loro due, i loro baci, le loro carezze, i sospiri, i
gemiti. Le
molle del letto cigolavano ogni volta che cambiavano posizione, mentre
il sole
faceva capolino da dietro le colline, illuminando quel piccolo paesino
e i due
ragazzi che non avevano dormito per tutta la notte.
~*~*~
Levi
fece passare un dito sul petto di
Eren, seguendo la linea di una delle tante cicatrice che solcavano il
corpo del
giovane. Levi non voleva chiedere come se le fosse fatte, voleva solo
sincerarsi che il ragazzo davanti a lui non fosse un'allucinazione, un
mero
miraggio, e quelle cicatrici erano la prova che lui era lì
davvero, in carne ed
ossa.
"Mi
sei mancato" -sussurrò il
ragazzo all'orecchio dell'uomo, sorridendo- "Sei riuscito ad aprire il
locale che sognavi, finalmente"
Levi
alzò lo sguardo verso Eren, fissando
i suoi occhietti grigi in quelli grandi e verdi del soldato.
"Già.
Te lo avevo scritto in una
lettera, ma deve essere andata persa" spiegò il moro posando
la testa sul
cuscino, continuando ad accarezzare la pelle abbronzata del ragazzo.
"Mi
piace come posto. È davvero
tranquillo come mi avevano detto. Anche il nome è perfetto"
commentò il
ragazzo, senza smettere di sorridere.
"Credevo
che il nome fosse stupido
all'inizio" confessò Levi. Eren rise, scuotendo piano il
capo.
"Io
invece trovo che sia
perfetto" si sporse verso l'uomo, lasciandogli un bacio sulle labbra e
posando il mento sul suo petto.
"È
finita, vero?"
Eren
aggrottò le sopracciglia, non capendo
che cosa intendesse Levi.
"La
guerra è finita" chiarì il
moro, accarezzando la capigliatura folta del ragazzo, facendolo ridere.
"È
finita. Magari questa volta l'uomo
non ripeterà lo stesso errore" esultò il giovane
soldato sorridendo,
mettendosi a cavalcioni sul petto dell'uomo.
Levi si lasciò scappare un sorriso, carezzando i fianchi del
ragazzo e pensando
a quanto fosse ancora ingenuo e pieno di speranza.
"Hai
intenzione di restare nell'esercito?"
Eren rilasciò un sospiro esausto, posando le mani sul petto
diafano dell'altro,
carezzandolo a pieni palmi.
"Solo
finché le strade non saranno
sicure, poi mi ritirerò" rispose infine. Questa scelta non
va presa come
un atto di codardia, o disonore. Era stata una decisione stranamente
difficile
da prendere, i due ne avevano discusso a lungo, tra loro e con il
Comandane di
Eren, Erwin Smith. Erwin aveva accettato solo perché
conosceva Levi. In
passato, durante la prima guerra mondiale, era stato uno dei suoi
sottoposti.
Aveva perso tanto e non avrebbe mai permesso a niente e nessuno di
portarsi via
anche quel ragazzo.
"Poi
potresti venire a lavorare all'House se
ti va. Mi manca un po' di personale" propose Levi, posando le mani sul
collo del giovane e attirandolo a sé per un bacio.
"Ma
sì, perché no. Infondo è da molto
che non ho più un posto da chiamare casa"
Eren
si abbandonò sul petto dell'altro,
sentendo il suo corpo sempre più stanco e le sue palpebre
farsi sempre più
pesanti calarsi sui suoi occhi. Sentiva che non appena i suoi occhi si
fossero
chiusi si sarebbe addormentato, probabilmente con sogni tormentati e
incubi, ma
non sembrava importargli più di tanto in quel
momento.
Poco prima di addormentarsi, però, poteva giurare di aver
sentito tre parole
uscire dalla bocca dell'uomo sotto di sé. Erano poco
più di un sussurro, udite
poco prima di addormentarsi, rendendo il tutto come un ricordo lontano
o
totalmente inventato; eppure, il ragazzo era ed è convinto
ad oggi, a distanza
di settanta anni, di non essersi immaginato nulla, e quel "Bentornato
a
casa", rimarrà per sempre scolpito nella sua
memoria come il più bel
momento della sua intera vita.
^°^°^
Angolo di Budino:
Salve popolo! Per chi avesse
già letto la storia, volevo
avvisarvi che l’ho postata nuovamente perché sul
mio profilo non me la faceva
più vedere, come se non l’avessi pubblicata.
Perciò, se doveste vedere due
storie uguali, fatemelo sapere ^^
Anyway, grazie per essere arrivati
fin qui, spero che la
storia vi sia piaciuta, se vi va fatemi sapere che ne pensate con un
commentino, che fanno sempre piacere ♥