CAPITOLO TREDICI
“EscApe
From
Rosewood”
Rientrati
nel loro appartamento, Alexis gettò le chiavi sul tavolo
della cucina. La luce
dei lampioni in strada illuminavano il pavimento e un angolo di parete,
penetrando dalla finestra. Lei era a dir poco indignata, continuando a
rimettersi i capelli dietro alle orecchie.
“E’
assurdo che la polizia l’abbia lasciato andare via
così. So cosa ho visto la
sera del ballo, era la sua auto!”
Eric
aveva appena chiuso la porta, non sapeva come reagire: “Forse
ti sei sbagliata
sull’auto. – si avvicinò alle sue
spalle, grattandosi il capo - Avevi
leggermente bevuto, no?”
Quella
si girò di scatto, incompresa: “Direi che mi stai
confondendo con Tasha, perché
era lei quella ubriaca. – lo fulminò con lo
sguardo, furibonda – Io ero
perfettamente lucida e ho visto il numero di targa: quella macchina
apparteneva
a Julian Brakner, non ci sono dubbi!”
Eric
abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dirle, combattuto dalla
verità che non
poteva rivelarle. A quel punto, le sembrò palese cosa stesse
accadendo.
“Perché
mi sento stupida in questo momento? – agitò le
braccia, allibita – Perché mi
sembra di essere in piedi su un palcoscenico con tutti che mi ridono in
faccia?”
“Alexis,
troveranno chi ti ha investita. – cercò di fare un
passo avanti, ma lei ne fece
uno indietro – So che sei ancora legata a questa vicenda e
che non riesci a
darti pace, ma…”
Senza
farlo continuare, Alexis lo interruppe con tono aggressivo:
“Certo che sono
ancora legata a quella vicenda, Eric. Ho quasi rischiato di rimanere su
una
sedia a rotelle e ho perso il mio posto al Brew, che per me era vitale
visto
che non navigo nell’oro.”
“Ok,
ma adesso hai trovato un nuovo lavoro e vivi con me. Ho di nuovo la
macchina,
posso portarti dove vuoi e quando vuoi. Possiamo superarla questa
cosa.” le
spiegò, cercando di calmarla.
“E
vuoi comprarmi anche un gelato già che ci sei?”
replicò cinica.
“Come?”
“L’hai
avvertito tu, vero?” divenne seria, con tono accusatorio.
Quello
scosse la testa, confuso: “Alexis, vuoi spiegarmi cosa
diavolo stai facendo
ora? Avvertito chi?”
“Hai
contattato Brakner? Gli hai detto di fare una magia alla sua auto per
scamparla?”
“Alexis,
stai diventando paranoica.”
“Non
sono paranoiaca, ok? – urlò – Il giorno
prima mi vieti di andare alla polizia e
quello dopo ti offri di accompagnarmi e sarei io la pazza? Voglio
sapere che
cosa diavolo sta succedendo tra te e quell’uomo!”
“Niente!”
ribattè più forte.
“Niente,
dici? Perché vietandomi di andare alla polizia ieri,
probabilmente gli hai dato
tutto il tempo di fare qualcosa alla sua macchina e farmi passare per
una folle
visionaria con la polizia.”
“Alexis,
ci ho semplicemente ripensato dopo una notte di sonno. Tra me e
quell’uomo non
c’è assolutamente nulla. Ti sei solo
sbagliata.” ribadì, nonostante non
risultasse molto credibile ai suoi occhi.
Quella
allora accennò un sorriso cinico:
“D’accordo, va bene. Sai che ti dico? Vado a
farmi una doccia e non ne riparliamo più. - si
avvicinò davanti a lui, mettendo
la bocca vicino al suo orecchio. – Solo… non dirmi
che mi sono sbagliata. Io
non mi sbaglio mai.” e se ne andò silenziosamente,
lasciandolo a fissare il
vetro della finestra, imbalsamato, l’atmosfera frigida.
*
Sam,
intanto, era davanti alla porta di un appartamento: il 3B. Aveva appena
bussato
e teneva la testa rivolta verso il basso e gli occhi chiusi.
“Cosa
sto facendo, cosa sto facendo, cosa sto facendo…”
si ripeteva continuamente,
sottovoce.
Improvvisamente
la porta si aprì, Sam alzò la testa: era Wesam.
L’uomo
fu sorpreso di vederlo davanti alla porta di casa sua;
tant’è che sgranò
leggermente gli occhi. Indossava solo i pantaloni del pigiama, il petto
nudo.
I
due si guardarono a lungo e Sam lo fece in maniera intensa, lasciando
trasparire dell’odio nei suoi confronti attraverso lo
sguardo. L’attimo dopo gli
tirò uno schiaffo.
Wesam
si mise una mano sulla guancia, restando con il volto girato, mentre
Sam aveva
la bocca e gli occhi spalancati per il gesto che aveva compiuto senza
essersene
reso conto, preso dall’impulsività.
Finalmente
Wesam si voltò a guardarlo, ma non sembrava per nulla
sorpreso di quel gesto.
Sam aveva gli occhi lucidi ora.
“Come
hai potuto farmi questo? Pensavi che non l’avrei mai
scoperto?”
Wesam
deglutì, prima di parlare: “Non sono io che ti ho
fatto questo. E’ stato tuo
padre.”
“So
perfettamente che è stato mio padre a chiederti di scoprire
cosa stessi
nascondendo. – non riuscì più a
guardarlo negli occhi, la voce rotta – Ma
pensavo di essere molto di più che un tuo paziente, o almeno
così mi hai fatto
credere.” spiegò, andosene via di getto, non
riuscendo più a stare dinanzi a
lui.
Wesam
lo rincorse per il corridoio, fermandolo per un braccio.
“Sam,
per favore!”
Quello
si voltò: “Per favore, cosa? – si
asciugò le lacrime con una mano, furente –
Hai usato la scusa di avermi salvato la vita per poter creare un legame
con me.
Hai fatto in modo che ti vedessi sotto un’altra luce, che
provassi qualcosa.
Volevi che cedessi a te e ci sei riuscito! Mi hai baciato! –
una lacrima gli
scese lungo il viso – E hai fatto tutto questo per rendermi
vulnerabile. Era
tutta una bugia.”
Sofferente
in volto, Wesam cercò di aggiustare le cose: “Sam,
mi dispiace tantissimo. – lo
fissò negli occhi - Non immaginavo che dopo aver accettato
la proposta di tuo
padre, mi sarei affezionato a te in questo modo.”
Sam
indietreggiò, scuotendo la testa dopo essersi incantato per
le sue parole: “No,
smettila. Smettila di fare quello che stai cercando di fare. Non mi
inganni più
ora che ho scoperto la verità.”
Wesam
allora gli prese le braccia, trattenendolo: “Posso aver
mentito sullo scopo di
quelle sedute, ma non su quello che ti ho detto la scorsa volta.
– spiegò, un
volto sincero – Prima di addormentarmi penso solo a te, come
se la mia mente
volesse tormentarmi. E tutto questo è sbagliato,
perché non dovrei pensare a te
ma ti penso. – ora era a disagio e gli tremava la voce
– Domani mattina
telefonerò a tuo padre e gli dirò che non voglio
più continuare.”
Disorientato
da quelle parole, anche a Sam tremò la voce: “Non
hai idea di quello che stai
dicendo, secondo me. E’ il senso di colpa che ti sta facendo
dire questo.”
Quello
gli prese il viso, poi lo lasciò, poi lo riprese nuovamente:
“Io credo di
essermi innamorato di te. – gli sussurrò, la
fronte sudata – Anzi, SONO
innamorato di te. Poi realizzo che hai solo diciasette anni e che non
posso
essere innamorato di te, ma sono innamorato di te. – si
staccò da lui,
rendendosi conto che era una follia e che Sam lo fissava scioccato
– Scusa,
scusami tanto. Non so cosa mi stia succedendo.”
Sam
non sapeva come reagire, imbalsamato: “Wesam, se questa
è tutta una recita…”
“Quando
ti ho baciato non è stata una recita. E non lo sono nemmeno
queste parole. Io
provo davvero qualcosa per te, io sento di…”
Ma
non ebbe nemmeno il tempo di finire che, con un passo rapido, Sam si
avvicinò a
lui e lo baciò. Impulsivo, strinse le sue braccia attorno al
suo collo, mentre
Wesam lo stringeva più basso e lo teneva sollevato da terra.
L’uomo
indietreggiò fino a dentro il suo appartamento, mentre
ancora si stavano
baciando. La porta poi si chiuse.
Più
tardi, i due erano a letto. Sam aveva la mano sopra il suo petto e la
testa
poggiata alla sua spalla. Entrambi avevano gli occhi aperti, che
fissavano un
punto qualsiasi della stanza.
Wesam
aveva il braccio intorno al suo collo e iniziò ad
accarezzargli i capelli da
dietro l’orecchio.
“Era
la tua prima…??” sussurrò.
“Forse…
- rispose in maniera distaccata – Si…”
ammise, mettendo giù la corazza.
“Ah…
- Wesam restò leggermente interdetto, imbalsamato in quella
posizione – Beh,
sei molto maturo per la tua età.”
“Stai
cercando di minimizzare il fatto che sei andato a letto con un
minorenne?”
sollevò la testa, guardandolo negli occhi con fermezza.
“Potrei
dire che è stato uno sbaglio, ma non lo dirò. Non
sono pentito di quello che è
appena successo, ma…”
L’altro
abbassò la testa, deluso nel tono:
“…Non deve più riaccadere. Ho
capito.”
Wesam
allora gli prese il mento e gli sollevò nuovamente la testa
per fissarlo dritto
negli occhi: “Non è giusto, Sam. E tu lo
sai.”
“Io
ti odio. Eppure ti desidero così follemente da dimenticare
che ti odio: QUESTO
non è giusto. I sentimenti non sono giusti. Il tuo odore, il
tuo modo di guardarmi,
le tue parole che sembrano sincere non sono giuste.”
“Se
solo avessi qualche anno in più…”
sospirò.
Sam
si sollevò di getto, sbuffando irritato: “Ecco la
parola chiave!” si mise a
recuperare i suoi vestiti dal bordo del letto.
Wesam
si chinò in avanti e lo tirò a sé,
prendendolo dalle spalle: “Non è la parola
chiave, è la realtà!”
“Quindi
mi porti a letto e poi ciao, tanti saluti? Però fino a poco
fa non ti
preoccupavi della realtà mentre mi baciavi e facevi
l’amore con me.” si
svincolò dalla sua presa, mettendosi addosso la maglietta e
alzandosi.
Con
il lenzuolo che lo copriva fino a sotto l’ombelico, Wesam si
difese: “Ok, io
provo qualcosa per te. Ma tu provi davvero qualcosa per me? O
è semplicemente
il fascino del giovane psicologo che fa impazzire i
ragazzini?”
In
piedi che dava le spalle, Sam deglutì a braccia conserte.
Rimase in silenzio a
fissare verso il basso, colto di sorpresa da quella domanda che lo mise
alle
strette.
“Lo
vedi? – ne ebbe conferma - Sono solo un giovane e
affascinante psicologo per
te. Ti sembra di provare qualcosa, ma in realtà è
solo l’infatuazione del
momento.”
A
quel punto, Sam si voltò e fu sincero: “La
verità è che piace molto un ragazzo,
ma ultimamente il sentimento che provavo per lui si è
spezzato. Le sedute con te
sono sempre state intense, ma non ho mai pensato a te in quel modo
finchè non
mi hai baciato. Poi non ho nemmeno avuto il tempo di metabolizzare la
cosa che
già mi avevi fatto del male; però, se ci penso,
non mi avrebbe fatto così male
se dentro di me non provassi già qualcosa per te da
tempo.”
Ora
fu Wesam a deglutire con fatica, nello scoprire che forse i suoi
sentimenti
erano ricambiati: “Beh, non si può stare con un
piede in due scarpe.”
“Però
hai chiarito che la tua scarpa non è disponibile. Se lo
fosse, cercherei di
capire meglio cosa provo realmente. – spiegò
– Forse sei una delle poche
persone che mi ha capito davvero e che sa come attirare la mia
attenzione.”
I
due si guardarono negli occhi a lungo. Wesam, però,
continuò a guardare in
faccia alla realtà.
“Non
posso rendere disponibile la mia scarpa, Sam. –
abbassò lo sguardo, mortificato
– Sono troppo grande per te, non possiamo metterci a giocare
agli appuntamenti
segreti. Non dovrei permettere che questa cosa continui. Non dovevo
nemmeno
permettere che iniziasse.”
Sam
si avvicinò di più al letto, cercando di non
mollare quello spiraglio di
possibilità: “Wesam, ho poco più di un
anno di liceo ancora: non è molto, se ci
pensi. Perché negarci qualcosa che forse vogliamo
entrambi?”
“Continui
a dire forse, quando le mie idee sono assolutamente chiare: ti voglio,
ma non
posso. Mentre tu non sai cosa vuoi e agisci impulsivamente in base ai
tuoi
stati d’animo.”
“Sarò
anche confuso, ma in questo momento tu sei riuscito a darmi quello che
lui non
mi ha potuto dare.”
“E
cosa ti avrei dato?”
“Sicurezza!
– rivelò, lasciandolo perplesso - Ogni volta che
sono con te, specialmente
stasera, sento di essere al sicuro con te. Mi sento protetto, ed
è una bella
sensazione.”
“Sicurezza
per cosa? Perché hai bisogno di essere protetto? –
cercò di capire - Dimmi in
cosa sei coinvolto, dimmi cosa ti tormenta e ti aiuterò.
Puoi parlare con me,
Sam.”
L’altro,
combattuto, si girò nuovamente dall’altra parte,
spaventato a morte: “Credimi,
voglio dirtelo. – si comprì il viso con le mani
per poi farle scivolare fino ai
capelli - E’ solo che è tutto così
assurdo…”
Wesam
scese dal letto, arrivando alle sue spalle. Sam si girò e
alzò lo sguardo.
“E’
una storia lunga da raccontare, non mi basterebbe una notte.”
Quello
gli prese le mani: “Hai tutto il mio tempo, Sam.”
Improvvisamente
il telefono di Sam iniziò a vibrare sul comodino. Con gli
occhi lucidi lo
ignorò, ma sapeva di dover andare.
“Qualcuno
sta cercando di incastrare me e i miei amici. Ha cercato di ucciderci
molte
volte, è un folle.”
Turbato
da quello parole, Wesam lo prese per le spalle: “Chi? Di chi
stai parlando?”
“Non
lo so, non ne siamo così sicuri. – le lacrime
scesero copiose, tremava – Ora
devo andare!”
Si
diresse verso il comodino a recuperare il suo telefono, mentre Wesam
era
seriamente preoccupato e non riusciva a lasciarlo andare via
così.
“Devi
andare??? Sam, mi hai appena detto che qualcuno ha cercato di
ucciderti.”
Quello
aveva preso tutto e si era appena rimesso i jeans, pronto a scappare
via: “Ti
prometto che domani ti racconto tutto, ma ora devo proprio
andare.”
Si
alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia,
per poi andare via.
Wesam rimase lì impalato, pensieroso.
*
Seduti
ad un tavolo-panchina nel parco, Nathaniel aveva messo al corrente gli
altri
due amici su quanto raccontato da Quentin.
Ogni
parola che uscì dalla sua bocca, li aveva scioccati a tal
punto da non sapere
cosa dire.
Eric
riuscì trovare le parole, dopo un pò:
“Solo a me vengono i brividi al solo
pensiero che quel posto esista davvero?”
“A me
vengono i brividi a
pensare ad Anthony che sequestra delle persone per giorni. –
pensò Nathaniel - Cosa
ci guadagna ad intrappolare qualcuno per rubargli un segreto?”
“Il
potere! – esclamò Nolan, facendoli voltare verso
di lui – Con tutti i segreti
che Anthony collezionava, aveva potere sull’intera
città.”
Eric
si rese conto che era così: “Rider ha ragione.
Anthony ha scoperto da Quentin
che il capo di mio padre tradiva sua moglie. E sarebbe bastato solo
questo per
minacciarlo e far riavere il posto a mio padre. Immaginate quante altre
cose
poteva fare con tutti gli altri segreti: aveva in pugno
chiunque.”
“Quindi
Quentin non ha la minima idea di dove si trovi questo bosco?”
chiese Nolan,
curioso.
“Ve
l’ho detto, tutti quelli che Anthony portava al bosco sono
stati drogati e non
conoscono il tragitto.”
“Ma
siamo sicuri che ci siano state più persone? –
domandò Eric, dubbioso – Sono
davvero tutti così disperati da non raccontare di questo
bosco a qualcuno o
alla polizia?”
“Anthony
li avrà terrorizzati a morte, o qualcuno avrebbe parlato
altrimenti. In ogni
caso, non venivano più perseguitati una volta che
confessavano un qualsiasi
segreto che conoscevano su qualcuno.”
“Beh,
ma allora… - Eric ebbe nuovamente un dubbio – che
succedeva a chi non aveva un
segreto da barattare con la libertà?”
I
tre si guardarono a quel punto, assai turbati dai pensieri che
aleggiavano
nelle loro menti dopo quella domanda.
“Magari
Anthony le teneva nel bosco per qualche giorno…”
pensò Nathaniel.
“E’
spaventoso!” esclamò Nolan, scuotendo la testa e
fingendosi rivoltato.
Eric
scosse la testa a sua volta, preso dall’incertezza:
“Ma allora chi è A?
Anthony o Brakner?”
“Brakner
potrebbe aver sostituito la macchina prima che la polizia potesse
scortarlo in
centrale, quindi A è
senza dubbio
lui.” rispose Nathaniel.
“Ma
il messaggio che Eric ha ricevuto vuole insinuare un dubbio.”
aggiunse Nolan.
“Già,
ha ragione. – lo appoggiò Eric – A ha
bisogno di comunicare con noi, ma allo stesso tempo vuole che la sua
identità
non ci sia chiara. Se avessimo mandato Brakner in prigione e Anthony
fosse A, non avrebbe più
potuto interagire
con noi perché a quel punto sapremmo di certo chi
è in realtà. Scambiando la
finta auto blu con una vera auto blu, mantiene ancora in gioco Brakner
e ci fa credere
che sia lui A.”
Nathaniel
non volle accettare quella ipotesi: “Ragazzi, mi dispiace, ma
dopo quanto
scoperto da Quentin, non riesco più a trovare un nesso tra
Anthony e gli scopi
di A. Smettetela di correre dietro
a
questa assurda teoria, A è
la vittima
non il carnefice. Sono le vittime che cercano vendetta ed Anthony non
è la
vittima di niente in questa storia.”
A
quel punto, in lontananza, si videro i fari di un’auto che
stava parcheggiando.
Poco dopo arrivò Sam a piedi, dentro la sua pesante felpa
nera e un cappello in
testa.
“Ti
ho chiamato, lo sai?” gli disse Nathaniel, mentre era ancora
a qualche passo da
loro.
Sam,
infreddolito, stringeva le sue braccia: “Sì, avevo
la vibrazione…” rispose
distaccato, quasi apatico nei loro confronti e della situazione.
“La
vibrazione? – ripetè esterreffatto –
Sam, lo sai che stasera dobbiamo
seppellire un cadavere, vero?”
“Evviva!
– esultò forzatamente, sollevando le sopracciglia
– Ora sì che mi sento come un
personaggio di How to get away with murder.”
Nathaniel
restò per qualche secondo a fissarlo, come se percepisse
qualcosa di diverso in
lui. Tuttavia, non cercò di indagare.
“Senti,
Sam, dillo anche tu a loro che Anthony non può essere A.”
Quello
si voltò immediatamente verso gli altri due, stufo:
“Ancora? Nat non vi ha
detto quello che Quentin ci ha raccontato? Non può essere
lui, non avrebbe
senso.”
“E
tu hai letto i messaggi che ti ho mandato?”
replicò Eric.
“Sì,
li ho letti mentre venivo qui. Me lo sentivo che Brakner non sarebbe
stato
arrestato. Siamo stati dei pazzi a pensare che ce l’avremmo
fatta così
facilmente.”
“Quindi
Brakner è A? –
ribadì Nolan,
cercando conferma negli occhi di ognuno di loro – Sospettiamo
di nuovo lui?”
“O
è lui o è qualcun altro che è finito
anch’essi in quel bosco… - pensò
Nathaniel
– In ogni caso, il messaggio ricevuto da Eric dice che presto
A si rivelerà a
noi.”
“Il
segreto rivelato da Quentin era il numero trentanove
nell’archivio di Rosewood
riservato, no? – ricordò Sam – Questo
significa che prima di lui, altre trentotto
persone hanno rivelato ad Anthony un segreto su qualcuno e che
probabilmente…sono tutti finiti in quel bosco.”
Nathaniel
deglutì a fatica, turbato: “Questo vuol dire che
se A non è Brakner,
potrebbe essere uno tra quei trentotto. E non
sappiano nemmeno se Rosewood riservato si fermi a trentanove
segreti.”
Nolan,
allora, sentì di dover fare un appunto: “Un
secondo, se A è tra una
di questi trentanove persone, allora anche Quentin è un
sospettato.”
“No,
non credo proprio. – intervenì immediatamente Sam,
convinto del contrario – Ha
un ragazzo adesso ed è libero di essere se stesso. Si
è lasciato questa storia
alle spalle, non è un folle in cerca di vendetta.”
“Beh,
se iniziamo a scartare così i nostri sospettati, siamo
proprio a cavallo!”
esclamò Eric seccato, voltandosi dall’altra parte.
Sam
lo fissò subito storto per quel commento, mentre Nathaniel
era giunto
all’esasperazione.
“Ragazzi,
è inutile continuare a cercare di cavare un ragno dal buco.
Non abbiamo accesso
alla cartella Rosewood riservato e non sappiamo quali nomi possa
contenere.
Piuttosto, credo di sapere a cosa si riferisca
A con il fatto che presto si rivelerà a noi.
Domani Jasper verrà
processato e per noi è finita.”
Tutti
si ricordarono dell’udienza all’improvviso, che tra
una cosa è l’altra, avevano
dimenticato. I loro sguardi si abbassarono e la luce nei loro occhi si
spense
in un attimo.
“Che
cosa ci accadrà quando Jasper dirà
tutto?” domandò Eric, terrorizzato.
“Beh,
ci interrogheranno come prima cosa. – spiegò Sam
– Poi crolleremo e a quel
punto non lo so.”
Nathaniel
alzò lo sguardo per primo, arreso: “Io mi sento
sollevato, forse…”
“Che
vuoi dire?” non capì Nolan.
“Sì,
sono stanco di lottare contro qualcosa che sembra non avere una fine.
Sono
stanco di dover fare tutto quello che dice A,
perchè possiede uno stupido filmato su di noi e che usa per
ricattarci. Sono
stanco di avere paura continuamente e non voglio mai più
vedere un cadavere. –
fissò i suoi amici, uno ad uno - Se il gioco finisce adesso,
sarà meglio per
noi. Potrebbe anche finire peggio se tutto questo va avanti.”
Sam,
che lo aveva ascoltato assorto nelle sue parole, si sentiva in pena:
“Ha
ragione, non ce la faccio più nemmeno io. Che ci arrestino o
facciano quello
che vogliono, l’importante è che tutto questo
finisca.”
Nolan
si limitò solo a sospirare, abbassando la testa. Eric,
però, non riusciva ad
accettare quella fine.
“E
se fuggissimo? – propose, destabilizzando tutti –
Io non voglio andare in
prigione, non me lo merito. E le nostre famiglie preferibbero saperci
liberi da
qualche parte che dietro le sbarre. Io non voglio arrendermi
così.”
“Ma
le nostre famiglie non sapranno mai la verità.”
replicò Sam con gli occhi
lucidi.
“Prima
di domani, dovremmo registrare qualcosa. Ognuno di noi. Un filmato dove
spieghiamo alle nostre famiglie tutto quello che ci è
successo e perché siamo
andati via. – spiegò Eric, cercando di convincerli
con uno sguardo - Capiranno!
Rischiamo fino a quindici anni di galera nella migliore delle ipotesi,
ok? E io
non voglio che mio padre, mia madre e la mia ragazza parlino con me
attraverso
un fottuto vetro.”
“Mio
padre non lo sopporterebbe. – una lacrima solcò il
viso di Sam – Non era questo
il progetto che aveva per me.”
“Quindi
A vince? –
sottolineò Nathaniel, che
non accettava la cosa – Pensavamo di poterlo battere al suo
stesso gioco,
invece ci ha rovinato la vita per sempre.”
Tra
lo sconforto generale, Nolan prese parola con molta foga:
“Non è A che
ha rovinato le vostre vite. –
usò un tono di rimprovero - E’ stato Anthony a
rovinarvela e siete ancora qui a
dare la colpa a qualcuno che si fa giustizia privata.”
Tutti
lo fissarono, sentendosi quasi attaccati.
Eric
prese parola per primo, abbastanza perplesso: “Le
vostre? Guarda che ci sei in mezzo anche tu.”
“E’
lo stesso, ok? – tentennò Nolan, cercando di
recuperare – Quello che voglio
dire è che dovremmo smetterla di attribuire la colpa alle
persone sbagliate. Se
un padre abbandona un figlio, la colpa non è del vicino di
casa: è del padre! –
quelli restarono a fissarlo, incupiti e confusi – Mentre noi
stiamo dando la
colpa al vicino di casa, senza ammettere che non siamo santi e che noi
abbiamo
acconsentito che tutto questo accadesse. Eravate amici di Anthony e
quella sera
eravate con lui ad aiutarlo. Non dimenticatelo.”
“Rider,
smettila di parlare con noi come se non facessi parte del gruppo.
– replicò
Nathaniel - E’ vero che ci siamo scavati la fossa da soli, ma
non meritiamo
quello che stiamo passando. A è
un
assassino e un terrorista…E con la giustizia privata
è andato decisamente oltre
e non merita una buona parola da parte nostra. Ma soprattutto da parte
tua, che
l’hai sempre odiato.”
“Già,
fra noi sei quello che lo odia di più...” si
accodò Sam.
Nonostante
fosse in difficoltà per aver smesso di essere Rider per
qualche secondo, Nolan
non si lasciò scoprire e tornò a recitare con
sicurezza: “Non diciamo
sciocchezze, odiamo tutti A allo
stesso modo. Dico solo che non ci siamo finiti per caso nel bersaglio
di questo
folle.”
Improvvisamente,
il telefono di Nolan vibrò sul tavolo di legno. Solo il suo.
Dopo essersi
guardato con gli altri, lo recuperò e lesse il messaggio che
aveva appena
ricevuto.
“Chi
è?” gli domandò Eric.
Quello
alzò lo sguardo e finalmente rispose: “E’
A…Dice che è ora di scavare nella
foresta!”
“La
foresta che circonda Rosewood o un’altra foresta?”
fu il turno di Sam.
“No,
di Rosewood.”
Nathaniel
restò perplesso: “Tutto qui? Da che direzione
dobbiamo entrare?”
“Ha
lasciato delle coordinate, le inserisco nel telefono.”
I
quattro si guardarono ancora una volta, turbati per ciò che
stava per avvenire.
Subito dopo si diressero alla macchina.”
*
Lasciata la
macchina
all’ingresso della foresta, i quattro camminarono a lungo,
guidati da Nolan che
controllava il telefono. La luna filtrava attraverso le foglie degli
alberi e
il bubolare dei gufi rimbombava ovunque, rendendo quella notte cupa e
fredda.
“Credo
che siamo vicini…”
fece sapere quest’ultimo, con lo sguardo incollato sul
telefono.
Gli altri tre
notarono
qualcosa non molto lontano da loro e alzarono il passo.
“Metti
via il telefono, non
serve più.” Nathaniel gli toccò la
spalla, mentre lo superavano.
Davanti a loro,
quattro
pale incastrate nel terreno. In fila.
Giunti fino ad
esse, ognuno
prese la sua. Confusi, si guardarono intorno.
“Non
capisco, che dovremmo
fare? – si domandò Sam - Cercare il
corpo?”
“Forse
è qui vicino, no?”
pensò Eric.
Intanto
Nathaniel aveva
girato la sua pala e trovato un biglietto: “Ragazzi, un
messaggio di A!”
I tre si
strinsero attorno
a lui.
“Che
dice?” chiese Nolan.
Quello lo lesse:
“Seguite l’origine del
segnale il più in
fretta possibile. Non avrete molto tempo per seppellirlo, a meno
che…” d’un
tratto si fermò, ritraendo il collo in
una smorfia confusa.
Gli occhi
rimasero puntati
su di lui, i tre erano impazienti di sapere cos’altro dicesse
il biglietto.
“Nat?
A meno che, cosa?” lo
chiamò Sam.
Finalmente
continuò,
alzando lo sguardo: “A meno che gli abitanti di Rosewood non
siano sordi e
ciechi.”
“Eh?
– strinse gli occhi
Eric – Che diavolo vuol dire?”
“Sto
iniziando seriamente
ad entrare nel panico!” esclamò Sam, guardandosi
attorno, stringendo la pala
nervosamente.
“Ha
scritto qualcosa sul
segnale?” si intromise Nolan, chiedendo a Nathaniel.
“Rider,
ho letto quello che
c’è scritto. – si alterò,
isterico - Non dice nulla!”
Improvvisamente
furono
investiti da un boato: un fuoco d’artificio esplose nel cielo.
I quattro
trasalirono,
sgranando gli occhi. Persino Nolan.
“Ma
è pazzo?” urlò Sam,
incredulo.
“E’
solo uno, vero? Forse
non l’ha sentito nessuno.” deglutì con
fatica Eric, in preda all’ansia.
Dal suolo si
alzarono altri
fuochi, uno dietro l’altro, rumorosi.
Nathaniel
iniziò a correre,
incitando gli altri a fare lo stesso: “Sbrighiamoci, siamo
alle spalle della
città, la polizia verrà a controllare!”
Quelli lo
seguirono a
ruota, spaventati a morte.
*
Dei sassolini
colpivano il vetro di una finestra in maniera
incessante, davanti a casa Stuart. Era quella della camera di Lindsey,
che
dormiva profondamente.
Ad un certo
punto, però, quella aprì gli occhi,
accorgendosi dei colpi contro il vetro. Immediatamente
sollevò le coperte e
corse davanti alla finestra. Non le ci volle molto a capire chi era
l’autore di
tale disturbo, dal momento che era in piedi sul marciapiedi e in bella
vista:
si trattava di Brakner, che le faceva cenno di scendere.
Qualche secondo
più tardi, Lindsey uscì da casa sua, in
allerta, indossando un lungo giacchetto di lana che stingeva al petto
per il
freddo.
“Che
ci fai qui a quest’ora?” gli domandò,
guardando
continuamente la sua abitazione e il vicinato per paura che qualcuno si
svegliasse.
“Te
l’ho detto che dovevo parlarti, ma avevo dei compiti
da correggere e mia sorella è venuta a cena da me con suo
marito.”
Quella, con gli
occhi sgranati e la bocca leggermente
aperta, ribadì: “Ok, lo so che dovevi parlarmi, ma
è mezzanotte passata! Non
puoi aspettare fino a domani? – bisbigliò - Quando
mio padre non c’è, mia madre
diventa come immune ai sonniferi e ad ogni minimo rumore si
sveglia.”
“Sono
stato scortato fino in centrale oggi e c’era anche
uno degli amici di tuo fratello!”
Confusa, Lindsey
avanzò verso di lui: “In centrale? Cosa
è successo?”
“La
sua ragazza è convinta che io l’abbia investita
con
la macchina, voleva denunciarmi.”
“Ma
chi, Alexis? Quella con i ciuffi blu?”
“Proprio
lei!”
“Ma su
che basi, scusa?”
“Farneticava
sul fatto che la mia macchina fosse rossa e
non blu. E che io l’avessi ricoperta di blu perché
l’auto che l’aveva investita
era rossa.” raccontò, nervoso.
Dubbiosa, quella
non si fece scrupoli a chiedere
conferma del contrario: “E tu non l’hai ricoperta
di blu, giusto?”
Quello
restò fisso a guardarla, come frenato, confuso,
le pupille che si muovevano veloci: “…E’
una cosa strana, perché un giorno mi
sono fermato ad osservare la mia auto e mi è sembrato come
se non fosse la mia
e poi invece era la mia, ma…”
Non seguendolo
nelle sue parole, lo bloccò subito:
“Julian, di che cavolo stai parlando?”
“Non
ho fatto nulla alla mia auto, ok? E non ho
investito quella ragazza. Sto solo dicendo che prima di ricevere
quest’accusa,
avevo come la sensazione di non essere dentro la mia auto anche se era
identica
alla mia. Ovviamente la mia era solo una sensazione, ma dopo questa
vicenda
penso che la mia auto sia stata scambiata e poi riscambiata
nuovamente.”
“E’
assurdo quello che stai dicendo, chi farebbe mai una
cosa simile?”
“Ehm,
qualcuno che mi vorrebbe dietro alle sbarre?
Magari questo era un avvertimento!”
“Un
avvertimento per cosa?”
“Per
noi! – urlò a bassa voce – Per noi due,
che stiamo
insieme.”
Quella rise,
incredula: “Ma è ridicolo, cosa c’entra?
–
girovagò con lo sguardo - E abbassa la voce, per
favore.”
“Sappiamo
entrambi che tuo fratello mi odia e che sa di
noi due. Vedere Eric in centrale mi ha fatto capire che
c’è senz’altro lui
dietro a tutto questo. Vogliono mettermi paura, proprio come faceva
Anthony con
quello sguardo che aveva ogni volta che lo incrociavamo a
scuola.”
“Sei
solo paranoico, mio fratello non è come Anthony.”
“E
invece loro sono così, sono come lui o non sarebbero
mai diventati suoi amici. Non hanno prove che noi due stiamo insieme,
quindi
cercano di farmela pagare in altri modi. Magari pensano che sia un
maniaco e
che ti costringa a venire con me contro la tua
volontà.”
“Julian,
non essere ridicolo. Credi che quella ragazza
si sia messa sotto ad una macchina da sola per dare il via al piano
diabolico
di mio fratello per farti andare in prigione e salvarmi dal professore
pedofilo? – rise nuovamente – E’ ridicolo
anche solo pensarlo. E poi le prove
potevano benissimo procurarsele, basta seguirmi quando vengo a casa
tua.”
L’altro
però fu serio e categorico: “Ascolta, tuo
fratello non macchierebbe mai la tua immagine. Se ci denunciasse,
diventeresti
la puttanella di Rosewood che se la fa con i professori, ok?
Perciò è me che
vuole togliere di mezzo, solo me! – ribadì, sempre
più agitato – Ho già
rischiato di finire in un grande casino quando abbiamo incontrato
Albert quella
sera e poi è misteriosamente scomparso per riapparire come
cadavere. Potevamo
essere i sospettati numero uno anche dell’omicidio di
Anthony, ma un’altra persona
è stata arrestata e noi sappiamo che in realtà
è innocente perché abbiamo visto
quel Jasper, poco prima che andassimo da Albert, entrare in quel locale
gay. Ci
siamo praticamente passati accanto con l’auto e lo ricordiamo
perfettamente.”
“Mi
sento in colpa anch’io per quello, ma dovevamo
proteggerci.”
“Beh, io non posso continuare a rischiare. Con Albert stavamo
per usare quei
video per placare Anthony e la storia non può ripetersi di
nuovo. Non posso combattere
anche con i suoi amici per salvare ancora una volta la nostra
relazione. E’
finita, Lindsey!” concluse, facendo il giro della macchina
per entravi.
Quella
cercò di corrergli dietro, gli occhi gonfi di
lacrime: “Davvero mi stai lasciando? –
cercò di trattenere il pianto, continuando
a guardare verso la sua abitazione – Avevi detto di
amarmi!”
Con la portiera
aperta, Julian rimase impalato e
irremovibile: “Mi dispiace, ma non c’è
futuro per noi adesso. Sono successe
troppe cose.”
Incredula, aveva
il viso pieno di lacrime: “Tu per primo
avevi detto che c’era futuro per noi due e che nulla ci
avrebbe impedito di
stare insieme. E ora ti tiri indietro per un equivoco?”
“Non
è un equivoco! – si voltò –
E’ un avvertimento, una
minaccia. E se c’è dietro tuo fratello con i suoi
amici malati, beh ci è
riuscito a spaventarmi. – entrò in macchina
– E ora me ne vado, addio!” e
chiuse la portiera, mettendo in moto.
“No,
aspetta! – Lindsey cercò di aprire la portiera, ma
la macchina si mosse e non ci riuscì – Julian,
aspetta!” urlò, per poi rendersi
conto che aveva alzato la voce.
Dopo essersi
guardata intorno, in lacrime, un boato la
fece sussultare: dei fuochi d’artificio, dall’alto
di Rosewood, nel bosco.
Inclinando la
testa, strinse gli occhi, stranita da ciò:
“Ma che…???”
E velocemente
indietreggiò, pulendosi le lacrime con le
maniche, rientrando di corsa in casa.
*
Giunti nel punto
da dove partivano i fuochi, quelli
avevano smesso di esplodere in cielo da qualche minuto. Era
completamente buio,
tant’è che i ragazzi usarono la luce dei telefoni
per guardarsi intorno.
Improvvisamente,
si accesero dei fari dall’alto: erano
posizionati sopra tre alberi e illuminavano con molta
intensità il suolo. I
ragazzi alzarono un braccio davanti agli occhi, quasi accecati.
“Ma
perché si comporta così?”
urlò Sam, mentre gli altri
erano sconcertati quanto lui.
Nathaniel
abbassò lo sguardo prima degli altri, notando
che intorno a loro c’erano quattro borsoni.
“Ragazzi,
lasciate perdere i fari…”
Finalmente anche
gli altri notarono i borsoni e i
pensieri che passavano per la loro testa li lasciò
agghiacciati.
“Non
l’avra mica…” Eric sussurrò
ciò che stava pensando con
un filo di voce che tremava ad ogni parola.
Sam si
portò una mano sulla bocca: “Oh mio
Dio…”
Un altro
biglietto era poggiato su uno dei borsoni e Nolan
si chinò a prenderlo e leggerlo: “Prendete
un borsone e seppellitelo l’uno distante
dall’altro. Fate in fretta o i fuochi
d’artificio non saranno l’unico spettacolo di
questa notte.”
Nathaniel prese
subito uno dei borsoni e corse via,
senza nemmeno parlare con gli altri. Eric fu il secondo, molto rapidi.
“Sbrighiamoci,
non oso immaginare cos’altro userà per
attirare l’attenzione.”
Nolan e Sam si
guardarono, rimasti soli, e presero i
borsoni, iniziando a correre ognuno in una direzione diversa. I fari si
spensero non appena si allontanarono: restò solo il buio.
Tra il panico,
le lacrime e la disperazione, ognuno di
loro scavò la propria buca senza nemmeno sapere dove fossero
gli altri.
*
Intanto, Rider
affrontava una nuova notte al Radley.
Seduto davanti al computer portatile fornito da
A, era a braccia conserte che aspettava una nuova mossa al
gioco
di scacchi. Le sue condizioni fisiche non erano delle migliori: volto
pallido,
dimagrito, lividi in vari punti del corpo per via delle lotte con gli
infermieri.
Era debole e provato.
Improvvisamente
sgranò gli occhi quando fu il suo turno.
Sapeva come fare a batterlo, così sfoderò la sua
mossa e l’esito di essa pose
fine alla partita: scacco matto. Vinse.
Nonostante fosse
esausto, riuscì ad accennare un sorriso
compiaciuto, chinandosi in avanti mentre lo schermo diventava nero.
Dopo qualche
secondo, comparve il primo messaggio di A.
“Complimenti
per la vittoria, non ero molto concentrato. Sono parecchio occupato a
giocare
con i tuoi amici in questo momento.”
“Che
significa? Che stai facendo ai miei amici?”
“Se
mai lascerai il Radley, lo scoprirai da loro. Non posso fornirti
informazioni
sul mondo esterno. Ora risquoti il tuo premio, chiedimi qualcosa che
vuoi
sapere sul tuo passato.”
“Chi
è la donna con l’impermeabile rosso che ho visto
con
mio padre nella foto. L’ho trovata nella panic
room.”
“Il
suo nome è Joanna Smith, nata nel 1973.”
“Dovrebbe
dirmi qualcosa? Ho vinto, voglio una risposta
più soddisfacente!”
“E’
la
madre di Albert.”
Rider
sgranò gli occhi,
incantando lo schermo per qualche secondo.
“Che
ci fa la madre di Albert con mio padre?”
“Erano
amanti, si sono conosciuti nel 1998. La foto che hai trovato nel mio
covo,
invece, risale al 2004: l’ultima volta che si sono
visti.”
“Lei
dov’è adesso?”
A ci
mise qualche secondo prima di rispondere.
“lo
scoprirai domani. Ti basta vincere nuovamente la partita.”
“No,
devi dirmi di più. Che cosa significa tutto questo?
Perché quella foto era nel tuo covo?”
Quello
non rispose più
e Rider chiuse il portatile con forza, tirando un pugno sul tavolo,
furibondo.
“Maledetto!”
borbottò,
riprendendo fiato.
*
Fuori dalla casa
al lago di
Rider, Nathaniel ed Eric aspettavano con impazienza l’arrivo
di qualcuno,
contemplando l’oscurità.
“Perché
Sam ci mette così tanto
a mettere qualche vestito in un borsone?” pensò
Nathaniel, guardando
preoccupato l’orologio.
Eric
cercò di restare
calmo: “Vedrai che starà arrivando, non entriamo
nel panico.”
“Troppo
tardi, direi.
– gli
lanciò uno sguardo cupo - Dopo i
fuochi d’artificio e la sepoltura dei… pezzi,
dubito di non essere ancora
entrato nel panico.”
In piedi ad
incantare
l’acqua del lago, Eric era già nostalgico e
soffrente: “…Ho fissato Alexis che
dormiva per cinque minuti; in quei cinque minuti avrei potuto prendere
più
indumenti, ma avevo cinque minuti per fare solo una cosa. E ho preferito guardarla. – i suoi occhi si
gonfiarono di lacrime – Non
posso crederci che non la rivedrò mai
più.”
Nathaniel gli
mise una mano
sulla spalla: “In qualche modo hai detto addio alla persona
che più amavi. Io
ho pensato solo a riempire il borsone ed effettivamente dovevo spendere
quel
tempo in un altro modo.”
“Vorrei
che tutto questo
non fosse mai accaduto. Abbiamo appena seppellito una persona fatta a
pezzi e
ancora non mi sembra vero. Scavavo, scavavo…scavavo il
più in fretta possibile ed
era come se non avessi più il controllo del mio corpo.
– si voltò a guardare
Nathaniel, provato – Come siamo arrivati a questo
punto?”
“Non
lo so…” scosse la
testa, la voce rotta.
Improvvisamente
furono
illuminati dai fari dell’auto di Sam, che
parcheggiò e poi scese.
“Ci hai fatti
spaventare con questo ritardo. – si voltò a dirgli
Nathaniel – Per un attimo ho
pensato che avessi cambiato idea.”
Pallido e apatico, Sam si avvicinò con il suo borsone:
“Rimanere qui da solo
con A? No, grazie. Ne ho
già
abbastanza.”
“Rider è
dentro
che registra il suo videomessaggio alla famiglia.
– gli fece sapere Eric, quando si
fermò
davanti a loro – Io e Nathaniel abbiamo già fatto,
manchi solo tu.”
“Non so se
avrò il
coraggio di raccontare a mio padre tutto quello che è
successo. – gli
lacrimarono gli occhi – La maggior parte delle cose sono
torture e minacce
contro di noi, ma ci sono piccole cose e decisioni che abbiamo preso,
che…beh,
mi viene solo da vomitare a doverle raccontare a lui. A mostrargli la
persona
che non pensava io fossi. – una lacrima gli scese lungo il
viso – Un
assissino!”
Eric gli mise una
mano sulla spalla, cercando di alleviare la sua sofferenza:
“Non siamo
assassini, ok? Siamo solo vittime di un gioco crudele. Quella notte era
Anthony
alla guida, non noi. E il francese l’ha ucciso A
e non noi.”
“Mi dispiace
correggerti, ma il francese è entrato nelle nostre vite per
colpa mia. –
intervenì Nathaniel - Perciò l’ho
ucciso io.”
“E Albert
l’abbiamo
portato noi fino a casa di Anthony, eravamo consapevoli di
ciò che stavamo
facendo.” continuò Sam, in lacrime.
“Albert era
già
morto, ragazzi. –
sottolineò Eric - E
noi eravamo terrorizzati.”
“Ok, ormai è
inutile piangere sul latte versato. – Sam si
asciugò le lacrime – Come facciamo
con i soldi? Dovremmo pur mantenerci nei prossimi mesi, no?”
“Possiamo usare il
bancomat, domattina. – suggerì Nathaniel - Uscendo
ho preso qualche contante.”
“Quando Jasper
racconterà tutto in tribunale e la polizia non ci
troverà in città, useranno
qualsiasi mezzo per localizzare i nostri spostamenti. E tutti i
bancomat hanno
le telecamere.” spiegò Eric.
“E se facessimo
tappa da Julie? – propose Sam - Non solo ci
aiuterà a procurarci quei soldi, ma
anche dei documenti falsi.”
Intanto, mentre
loro discutevano, Nolan era dentro a parlare al telefono e continuava a
tenere
d’occhio la porta d’ingresso socchiusa.
“Sono fuori,
stanno parlando. – spiegò nervoso, facendo avanti
e indietro – Vogliono fuggire
da Rosewood!”
“Non
devi andare contro le loro decisioni o capiranno
che non sei Rider.” gli suggerì A,
sempre con una voce camuffata.
“Ti prego, devi
fare qualcosa. Mio padre tornerà qui per il mio compleanno e
devo esserci. Devo
parlare con lui.”
“Vai
da loro o si insospettiranno.”
“Ti sto
implorando, ok? Aiutami a non lasciare Rosewood,
altrimenti…” lo sfidò,
pentendosi quasi subito di aver fatto suonare quelle parole come una
minaccia.
“Altrimenti,
cosa? Tu non conosci la mia vera identità.”
“Ti chiedo
scusa…
- deglutì – Senti, aiutami. Se fuggiamo, non
potrai più trovarci e loro non mi
faranno usare il telefono, ci rintraccerebbe la polizia. E’
davvero questo che
vuoi?”
“Vai
da loro, ho detto. So quello che devo fare.” chiuse
la chiamata in tronco.
Gli altri
entrarono e lui mise subito via il telefono, comportandosi normalmente.
“Tutto bene? –
gli
chiese Eric – E’ stato difficile?”
Nolan stringeva
tra le sue mani un cd: “Come per tutti, credo. Il mio
videomessaggio è qui
dentro. – si rivolse a Sam – Manca solo il tuo, la
telecamera è al piano
superiore.”
Sam guardò tutti,
prima di avviarsi verso le scale: “Bene, allora vado. Prima
faccio questa cosa
e prima mi sentirò meglio. – sogghignò,
rendendosi conto che aveva scelto la
parola sbagliata – Meglio è un eufemismo. Forse,
meno peggio è l’espressione
più adatta.” e andò.
Nathaniel avanzò
di qualche passo verso Nolan, subito dopo: “Come abbiamo
intenzione di far
arrivare questi cd alle nostre famiglie?”
“Le lasciamo nella
cassetta delle lettere, no?”
“E quando? –
domandò Eric – Forse dovremmo partire
adesso.”
“Esattamente, quando
verrà portato in tribunale Jasper?”
ribattè Nolan.
“Sam ha detto che
lo porteranno lì tra le due e le tre del
pomeriggio.” ricordò Nathaniel.
“Forse dovremmo
partire domattina, fingere di andare a scuola e poi sparire.
– spiegò Nolan,
dopo aver riflettuto - Se fuggiamo adesso, i nostri genitori andrebbero
subito
dalla polizia.”
“Già, ha
ragione.
– Eric fu d’accordo – Anche se avremo
meno vantaggio. Dite che riusciremo a
lasciare questo stato per le due del pomeriggio?”
Nathaniel scosse
la testa, dubbioso e preoccupato: “Non ne ho idea, non ho mai
lasciato la
Pennsylvania in auto.”
I tre si
guardarono, tra paure e incertezze. Nessuno aveva idea di cosa li
attendesse.
*
Più tardi, Sam era
ancora chiuso in una delle stanze al piano di sopra. Il treppiedi con
sopra la
telecamera puntava lui che era seduto su una sedia, in lacrime.
Quelle lacrime
furono udite da Nathaniel, nel corridoio, che si avvicinò
alla porta socchiusa
per ascoltare. Sam stava ancora registrando, ma non più per
suo padre.
“…Avrei
voluto parlartene stasera, ma non pensavo che
sarei dovuto andare via all’improvviso. Non so se sarei
riuscito a spiegarti
tutto questo, ma voglio che tu capisca perché ero strano e
perché non riuscivo
a rispondere alle tue domande. Sicuramente sarebbe stato più
facile dirlo a te
che a mio padre, ma non volevo coinvolgerti.”
Con l’orecchio
attaccato alla porta, Nathaniel strinse gli occhi e cercò di
capire a chi si
stesse rivolgendo.
“Mi
avrebbe fatto stare bene, poterlo dire a qualcuno.
Dirlo ad un adulto e poter respirare un secondo, sentirmi protetto.
Perché
stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una
sensazione che
ormai non provavo da tempo, Wesam.”
Nathaniel sgranò
gli occhi al pronunciare di quel nome, immaginando a cosa potesse
essere
accaduto tra lui e Sam. La sua espressione lasciò trasparire
incredulità e
gelosia e decise di non ascoltare più nulla, allontanandosi.
*
Il giorno dopo, a
casa di Nathaniel, sua madre camminava avanti e indietro per la cucina.
Si
mangiava l’unghia del pollice, ansiosa.
“Claire, che
succede? – entrò Courtney affannata, poggiando la
borsa – E’ esploso il tuo
salone?”
“Ma no, che
dici!”
esclamò in una smorfia esagerata.
“Scusa, è che
dopo
l’esplosione della scuola di Nathaniel immagino che tutto
possa esplodere. –
iniziò a parlare in maniera logorroica - L’altro
giorno guardavo la tv e
improvvisamente ha iniziato a fare un rumore strano, hai presente
quando
strisci la carta di credito dentro quella scatoletta nera che ti detrae
i soldi
che hai guadagnato duramente ma che per un paio di Gucci capisci che
è stato un
sacrificio necessario? Beh, immagina che quella carta di credito sia
ruvida,
molto ruvida, come il granito, e se la farai striciare dentro quel
coso, il
rumore che ho sentito sarà esattamente quello! –
alzò il dito, per marcare il
concetto – Sembrava che stesse per esplodere, lo
giuro.”
Claire,
frastornata, la fermò: “Courtney, taci un secondo!
Il mio salone non è esploso,
ok?”
Quella controllò
l’orologio: “Allora che ci fai ancora a casa? Sono
le dieci passate.”
Il suo viso si
incupì: “Ho un problema!”
“Sarà meglio
per
te che non sia la menopausa, ok? Io e Pete stavamo scegliendo una SPA
in cui
passare il weekend e ho cose più importanti da fare che
venire qui a combattere
con te una battaglia che non puoi vincere. Sei vecchia,
accettalo!”
“Grazie per avermi
dato della vecchia, ma non è la menopausa!”
esclamò irritata, avvicinandosi ad
un cassetto.
“Sempre detto che
alla tua età vorrei arrivare così… -
rise istericamente, cercando di riparare.
- Darei
l’anima, giuro!”
Claire si mise
davanti a lei con un foglio in mano: “Chiudi quella bocca
straparlante e guarda
questa cosa…”
Lo girò, mostrando
le foto di Nathaniel con Sam e il messaggio minaccioso. Courtney
sgranò gli
occhi, prendendo il foglio dalle sue mani per guardare meglio.
“Ma questo è
l’amico secco di Nathaniel…”
“E’ questo che
ti
colpisce maggiormente?”
“Eh? –
fissò sua
sorella, che le fece cenno di guardare l’altro ragazzo
– Aspetta, ma questo è
Nathaniel. – constatò rilassata, per poi
sussultare incredula – OH MIO DIO, si
baciano! E vanno anche su quelle biciclette a due posti come i
vecchietti delle
sitcom…”
“Courtney, leggi
il messaggio!” esclamò sua sorella, esasperata.
Quella, moderando
la sua reazione, lesse tutto d’un fiato:
“…quindi se non dai a questa persona
tutti quei soldi, metterà in giro le foto di Nathaniel e il
secco?”
“Già! E ora
che
cosa devo fare?”
“Sul serio mi stai
facendo questa domanda? – le lanciò un
occhiataccia – Le tue clienti avranno
sicuramente un nipote gay, una sorella gay…persino un nonno
gay! Siamo nel
ventunesimo secolo, queste cosa non è più un
problema, Claire. Il mondo si è
evoluto. Credimi, nessuno giudicherà Nathaniel e nemmeno la
tua famiglia.”
“Tu lo sapevi?”
“No, ma lo
sospettavo. Comunque devi stare tranquilla, questo tizio anonimo
è un
vigliacco. Quando vedrà che te ne sei altamente fregata,
capirà che ha a che
fare con una mamma più tosta di quanto pensasse e
lascerà perdere. Una badass,
per la precisione!”
Claire si voltò,
camminando verso la finestra sopra il lavandino, ancora turbata:
“E se alla
fine lo facesse ugualmente? Potrei procurarmeli quei soldi.”
“NO! – si
avvicinò
alle sue spalle – Non si cede ad un bullo, Claire. Quando
vedrà che hai abboccato
così facilmente, ti chiederà altri
soldi.”
Nonostante questo
avvertimento, restò girata a fissare l’albero in
giardino, pensierosa: “Devo
farlo…”
Courtney la voltò:
“Perché non mi ascolti? Sembra che tu abbia
davvero paura. Ti facevo più dura
di corazza!”
“Non ho paura per
me o per Nathaniel. Ho paura per George.”
“Cos’è,
tuo marito
è omofobo per caso? – rise, per poi smettere
quando vide che la donna non
batteva ciglio in merito – Aspetta un secondo, George
è omofobo?”
“No no, non lo
è…
- abbassò lo sguardo, timorosa di rivelarle qualcosa
– Cioè, c’è questo
episodio che mi raccontò dopo che ci siamo sposati. Una cosa
che lo tormentava
molto.”
“Di che si
tratta?”
“Quando George
andava al liceo, c’era questo suo compagno di scuola che si
chiamava Geremia.
Di indole, George era un ragazzo molto buono nonostante fosse tra i
più
popolari della scuola e giocasse a football. Quando Geremia fece
amicizia con
lui, andava spesso a casa sua e giocavano insieme. –
spiegò – George, però, non
si accorse che per Geremia era diventato molto di più che un
amico.”
“Questo Geremia
era gay?”
“Provava dei sentimenti per lui, si. Poi un giorno,
all’angolo del cinema,
Geremia lo baciò e poco prima che George potesse scansarlo,
i suoi amici della
squadra li videro e li derisero. Geremia scappò, mentre
George restò lì a
spiegare, imbarazzato, che era stato Geremia a baciarlo
all’improvviso. Ben
presto, i rapporti tra George e Geremia si congelarono e gli amici di
George
non li credettero, continuando a prenderlo in giro. A quel punto,
George
raggiunse il limite di sopportazione e per dimostrare ai suoi amici che
lui non
era come Geremia, fece una brutta cosa.”
Courtney
rabbrividì, turbata da quel racconto così triste
e che sembrava aver avuto un
epilogo poco felice: “Non riesco ad immaginare cosa
può aver fatto George.
Spero non quello che penso, altrimenti non capisco perché tu
non me l’abbia mai
accennato.”
“E’ una cosa
che
mi ha chiesto di non dirti, perché se ne vergogna.
– le tremò la voce - Dopo
quella vicenda, George scrisse sulle vetrine della libreria del padre
di
Geremia la frase figlio omosessuale. Lo
scrisse con la vernice, in grande: affinchè potessero
vederlo tutti. – chiuse
gli occhi, inorridita – Negli anni settanta puoi ben
immaginare quanta vergogna
potesse provare una famiglia nel trovare una scritta del genere con la
gente
che parla. L’unico a pagare il prezzo di essere
ciò che era fu Geremia, che
scomparve e non tornò mai più a casa per non
dover guardare sua madre e suo
padre negli occhi.” una lacrima le scese dal viso, in
conclusione.
“Mio Dio, povero
Geremia…” pensò Courtney con una mano
davanti alla bocca e l’espressione
mortificata.
“Per
questo George
negli anni ha avuto problemi di alcolismo. Questa storia l’ha
seguito per quasi
tutta la vita in quanto si sente responsabile della sua scomparsa e del
dolore
che ha recato a quella famiglia.”
“E
il gioco
d’azzardo?”
“Geremia
voleva
girare il mondo e diceva sempre che se avesse vinto un sacco di soldi
l’avrebbe
fatto… Ogni cosa è correlata a Geremia e,
nonostante George ne sia uscito
grazie alla riabilitazione e a delle sedute di psicoanalisi,
l’anniversario
della sua scomparsa non gli da tregua e io sono ancora
preoccupata.”
Courtney
le prese
le mani, cercando di starle vicina: “Che vuoi dire, che
George è di nuovo
ricaduto in…”
“Non
lo so, fa
tardi tutte le sere. Una volta ho chiamato Jamie, il nuovo assistente
manager
di cui ti parlai, e mi disse che avevano chiuso il ristorante da un
pezzo.
Altre volte mi faceva notare che George aveva dei problemi con gli
incassi e
che non si trovava con i conti.”
“Temi
che abbia
ripreso a bere e a giocare?”
Quella
aveva gli
occhi lucidi ed era abbastanza sofferente: “Non ne ho idea,
ma se questo tizio
anonimo tappezzasse davvero tutta la città con foto di
Nathaniel e quel
ragazzo, aprirebbe del tutto quella ferita che George non ha mai
ricucito.
Inoltre vedrebbe Geremia in Nathaniel e la cosa lo devasterebbe
perché non si è
ancora perdonato per ciò che gli ha fatto. –
scoppiò a piangere – Temo che
possa cadere in un buco nero senza ritorno e non voglio perdere mio
marito.”
In
quel momento di
sconforto, Claire venne subito abbracciata dalla sorella, che
cercò di
consolarla: “Ti aiuto io per i soldi, ok? E se ne
chiederà ancora, avvertiremo
la polizia.”
Tra
le lacrime,
quella annuì: “D’accordo,
grazie…”
*
Alla
casa al lago,
i quattro si trovavano ancora all’interno
dell’abitazione. Sam dormiva ancora e
quanto si girò verso il comodino, aprì finalmente
gli occhi.
Quando
la vista fu
più nitida, notò che sul bicchiere di vetro, con
dentro un po’ d’acqua, era
attaccato un post-it giallo.
“Ti
ricordi l’ultima
volta che hai bevuto la mia acqua?”
-A
Sam
sussultò
all’istante non appena realizzò il messaggio,
toccandosi le labbra spaventato;
l’ultima volta era stato drogato nello stesso modo e A aveva incollato le sue labbra con la
colla a fissaggio rapido.
Sollevato
dal
fatto che ciò non era avvenuto nuovamente, Sam
sollevò le coperte e si fiondò
immediatamente al piano di sotto, dove sentiva delle voci. Dopo qualche
scalino, però, gli sembrò di scendere
nell’oscurita.
“Ma
che succede? -
si guardò attorno, le finestre completamente sigillate -
Perché qui sotto è
buio?” domandò, sperando di essere raggiunto dai
suoi amici e avere una
spiegazione.
Di
ritorno dalle
altre stanze, Sam potè individuarli grazie a fili di luce
che riuscivano a
penetrare in casa da alcune fessure. Fu Eric a rispondergli per primo.
“A ha bloccato porte e finestre con assi
di legno e chiodi!” esclamò incredulo e sconvolto.
“Anche
la porta
d’ingresso?”
Nathaniel
si
avvicinò lentamente alla porta, guardandosi con i suoi amici
e poi la aprì:
anche quella era chiusa dalle assi di legno, ma sopra c’era
una scritta in
rosso.
“Volevate
lasciare
Rosewood senza il mio permesso? Pensavo che mi conosceste
ormai…”
-A
Nolan,
che era dietro di loro, sorrise con un angolo
della bocca e quando quelli si voltarono scioccati, riprese la recita.
“Quindi
ci ha drogati?” chiese, fingendosi sconvolto
quanto loro.
“Si,
in camera mi ha lasciato un messaggio dove mi ha
ricordato l’ultima volta che l’ha fatto. Quando mi
ha incollato le labbra.”
Eric
sgranò leggermente gli occhi: “Ha messo qualcosa
nell’acqua che c’era in frigo?”
Sam
annuì, mentre Nathaniel si preoccupava di altro:
“Oh
mio Dio, che ore sono?”
Controllando
sul suo orologio da polso, Eric spalancò la
bocca: “Ma è l’una passata, abbiamo
dormito per più di dieci ore!”
“L’una
passata? – ripetè Nathaniel – Ma
l’udienza di
Jasper è fra meno di un ora! – spostò
lo sguardo fra i tre – E’ finita,
ragazzi. Ora dovremo spiegare ogni cosa che uscirà dalla sua
bocca e verrà
fuori anche l’omicidio di Edward se A
darà
il suo contributo per il gran finale. Già immagino A impacchettare l’album di
fotografie con noi che scaviamo nel
bosco per seppellire i pezzi di Edward!”
Eric
si mise le mani nei capelli, sospirando, mentre
Nolan cercava di forzare qualcosa che tanto non era più
fattibile.
“Possiamo
ancora scappare, saremo già abbastanza lontani
in un ora.”
“Dobbiamo
lasciare i filmati con le nostre confessioni ai
nostri genitori e poi ritrovarci per lasciare Rosewood con una sola
macchina: non
c’è tempo di fare entrambe le cose e io non me ne
vado senza che mio padre
sappia la verità.” spiegò Sam,
categorico sulla sua posizione.
Data
la realtà dei fatti, lo sconforto cadde sul gruppo.
Eric si allontanò verso una parete, incapace di mandare
giù quel boccone.
“Non
ci sto credendo, mi riufiuto.”
“Dobbiamo
uscire di qui… - suggerì Nathaniel, fissando un
appendiabiti di legno – Aiutatemi con questo, usiamolo per
sfondare le assi.”
I
tre lo aiutarono e misero l’appendiabiti in
orizzontale. Insieme colpirono più volte le assi con esso,
finchè esse non si
spezzarono. A quel punto, per Nathaniel fu facile rimuoverle
completamente con
i calci e le mani. Pochi minuti dopo erano fuori.
*
Intanto
a Philadelphia, gli agenti stavano scortando
Jasper Laughlin fuori dal penitenziario. Come ogni detenuto, Jasper
aveva
catene a mani e piedi.
Il
furgone che ormai lo ospitava, percorreva l’autostrada
diretta per Rosewood. Qualche kilometro dopo, però, si
fermò bruscamente.
Jasper, spaventato, non capì cosa stesse succedendo e
iniziò a battere contro
il divisorio, urlando.
“Ehi?
Che sta succedendo?”
Delle
urla lo fecero agitare ancora di più, erano quelle
del conducente.
“La
prego, mi risponda! Che succede?”
Ma
non ricevette nessuna risposta, solo un improvviso
silenzio. Un altro rumore proveniente dal retro del furgone, poi, lo
fece
voltare: le porte si aprirono di colpo.
“E
tu chi sei?” sgranò gli occhi, indietreggiando nel
vedere qualcuno davanti a lui.
*
Sfidando
la sorte, i quattro ragazzi si parcheggiarono
poco lontani dal tribunale. Tenevano d’occhio la situazione:
il momento
dell’udienza era arrivato.
“Non
riesco a credere che stia per succedere davvero…”
disse Eric, seduto avanti con Nathaniel.
Tutti
fissavano il trubunale in maniera imbalsamata,
mentre Nolan aveva in mano i cd delle videoconfessioni e qualcosa non
quadrava.
“Perché
ci sono cinque cd? – trovò strano - Non abbiamo
fatto una confessione ciascuno?”
Sam
lanciò un piccolo colpo di tosse, recuperandoli dalle
sue mani: “Due sono miei! Una è per mio padre e
l’altro per…Chloe!” esclamò
sudando, lo sguardo basso.
Nathaniel
lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore
e sapeva che stava mentendo.
“E
le hai detto tutto quanto? Non siete nemmeno più
amici.”
“La
nostra amicizia si è spezzata a causa di A,
ok? – replicò isterico - Quindi mi
sembrava giusto dirle qualcosa, ma tanto ora non serve
più.”
“Almeno
A ci
ha lasciato le nostre videoconfessioni. – pensò
Eric - Pensavo le avesse
rubate.”
“Tanto
ha già abbastanza materiale per incastrarci.”
aggiunse Nathaniel.
“Materiale
che non ha mai utilizzato. – sottolineò Sam
–
Ci siamo incastrati da soli, raccontando a Jasper molte cose. E ora
dirà
tutto.”
“Ehm…
in verità siete tu e Nathaniel che avete incastrato
l’intero gruppo. – precisò Nolan,
ricevendo un’occhiataccia – Beh, è colpa
vostra. Però non fa niente, vi ho già perdonati
per quello.”
Sam
e Nathaniel continuarono a fissare Nolan, mentre Eric
notava un certo fermento di fronte al tribunale: c’era la
polizia e anche la
stampa.
“Ragazzi,
sta succedendo qualcosa.”
Quelli
si voltarono tutti a guardare.
“Mi
sembra un po’ presto per la stampa. – Sam
guardò
l’orario sul telefono – Jasper non è
ancora arrivato e… - tornò a guardare
verso il tribunale, stranito dalla situazione – La polizia
sta cercando di
sfuggire alla stampa o sbaglio?”
“Che
diavolo sta succedendo? – stranì Nathaniel - Se ne
vanno?”
Improvvisamente,
vibrarono tutti i loro telefoni. La loro
confusione stava per essere chiarita.
Aperto
il messaggio, comparve immediatamente una foto:
mostrava Jasper dentro il bagagliaio di una macchina con il nastro
adesivo alla
bocca.
Sam
sgranò gli occhi: “Oh mio
Dio…”
Subito
dopo, sopraggiunse il messaggio.
“Jasper
ora è mio.
L’avete fatto accadere voi.”
-A
Nathaniel
era a dir poco incredulo: “Ma come ha fatto a
sottrarlo alla polizia?”
“Secondo
voi lo ucciderà come ha fatto con Edward?”
impallidì Eric.
“Non
posso affrontare un nuovo cadavere.” pensò Sam,
sconvolto.
“Ragazzi,
dobbiamo andarcene da qui. - suggerì Nolan - Ormai
non dobbiamo più scappare, A ci
ha
dato più tempo.”
Eric
si voltò verso di lui: “Tempo per cosa?”
“Ehm,
non lo so. Però ci ha salvati, Jasper avrebbe
confessato tutto.”
“Ci
ha salvati da una gabbia più piccola, ma siamo ancora
in trappola. – aggiunse Sam – Dobbiamo fare
qualcosa, come mettiamo fine a
tutto questo?”
*
Rider,
chiuso nella sua stanza, stava ascoltando le
conversazioni che avvenivano in casa sua attraverso le bambole.
Riusciva ad
udire solo qualcuno che piangeva: sua sorella.
Improvvisamente,
poi, sentì una porta aprirsi e una
seconda voce.
“Ehi,
ma che ti è
successo? Stai da schifo.”
In
quel momento Rider strizzò gli occhi, non capendo chi
fosse. Solo dopo qualche secondo ci arrivò.
“Aspetta,
ma questa è voce di Chloe!” esclamò,
attaccando
la bambola all’orecchio per sentire meglio.
“Julian
mi ha lasciata,
non sapevo chi chiamare.” singhiozzava Lindsey.
“Ti
ha lasciata?
Perché?”
Rider
restò perplesso: “L’ha detto a
Chloe?”
“L’hai
letto il
messaggio che ti ho mandato, no?” continuò Lindsey.
“Si,
che ieri Brakner è
stato chiamato dalla polizia per via di quella ragazza.”
“Pensa
che sia tutta
opera di mio fratello e i suoi amici, ma non è
così.”
“Che
vuoi dire?” chiese
Chloe.
Rider
ascoltava con una smorfia confusa in volto.
“Mi
ha detto che
siccome Rider non vuole rovinarmi, ha deciso di trovare un altro modo
per farlo
allontanare da me. La ragazza di Eric insinuava che l’avesse
investita lui e
che avesse rivestito la macchina di un altro colore per non farsi
scoprire.
Solo che la polizia ha controllato e non c’era nulla di
strano. Julian pensa
che sia un avvertimento e ha avuto paura. – pianse
– Tu lo sai che quella notte
eravamo con Albert, perciò Julian ha costantemente paura
della polizia.”
“Lo
so, lo so perfettamente,
ma…la fidanzata di Eric è per caso impazzita?
Perché prestarsi ad una presa in
giro del genere?”
Lindsey
passò ad un
tono serio, quasi inquisitorio: “Conosco mio fratello:
malgrado non accettasse
la mia relazione, non l’avrebbe mai minacciata. Non
l’ha fatto quando era in
vita Anthony, figurati ora. E’ quella Alexis che ha lanciato
il sasso!”
“Che
vorresti dire?”
“A come Alexis,
non ti
dice nulla? Ricevo questa busta da A con
dentro un vestito da neonato e Rider è presente. Rider crede
che io sia incinta
e quindi cerca di dividerci: questo voleva inculcarmi A!
Voleva farmi credere che Rider avesse convinto Eric e la sua
ragazza a mettere su questa recita, ma in realtà
è lei!”
Rider
sgranò gli occhi, non capiva più nulla:
“Ma che sta
succedendo? Come sanno di A?”
“Che
sappiamo di
Alexis?” domandò Chloe, dopo averci riflettuto.
“Non
lo so, non l’ho
mai vista prima che si mettesse con Eric. Una cosa è certa:
è molto più grande
di noi e potrebbe essere pericolosa.”
“Credi
sia una parente
di Albert? Nemmeno io l’ho mai vista.”
“Credo?
– ripetè con
tono enfatico – Sai benissimo chi sono, Chloe. A malapena
sapevo che esistesse,
figurati sapere qualcosa di lui. Io e Albert abbiamo parlato per la
prima volta
nel giorno in cui ha trovato quel video fatto dai ragazzi in quella
classe.”
Improvvisamente,
Rider sentì qualcuno avvicinarsi alla
porta della sua stanza e mise subito via le bambole, tornando a letto.
L’infermiera
entrò, facendogli cenno di alzarsi: “Vieni
Nolan, è ora di andare nella sala ricreativa.”
Quello
scese dal letto, incamminandosi silenzioso verso
di lei. Avrebbe voluto ascoltare un altro po’ la
conversazione tra Chloe e sua
sorella e capirci qualcosa di più.
*
I
ragazzi erano appena entrati a casa di Sam. Nervosi,
non sapevano cosa fare e temevano il peggio.
“E
se ci facesse fare delle cose per tenere in vita
Jasper? – farneticò Eric, mentre entravano in
cucina – Che ne so, magari: svaligiate
una banca o uccido Jasper, rapite una bambina o uccido Jasper,
camminate su una
fune o uccido Jasper!”
“Eric,
basta! – urlò Nathaniel –
Così non sei d’aiuto,
dobbiamo pensare!”
“Pensare
a cosa, Nat? Jasper come ostaggio di A è
la secchiata d’acqua che stavamo aspettando
per aprire finalmente gli occhi e renderci conto che siamo talmente
incasinati
che non c’è più una via
d’uscita, ok? Non possiamo neanche scappare da
Rosewood!”
“Eric
ha ragione, è finita! – si aggregò Sam,
inquieto,
dopo aver bevuto un sorso d’acqua – Non ci resta
che aspettare che il nostro
destino faccia il suo corso. Non combatterò più
contro A, non serve a
nulla.”
“Mi
dispiace, ragazzi. – Nolan mostrò il suo rammarico
-
Non volevo che andasse a finire così per noi.”
Nathanielo
lo fissò incredulo: “Almeno da te mi aspettavo
qualcosa di più, Rider. Non sei uno che cede così
facilmente.”
“Beh,
anch’io sono così. – si intromise Eric,
sentendosi
sminuire – Forse Rider si è semplicemente stancato
come tutti noi.”
“Io
non mi arrendo, ok? – replicò Nathaniel,
determinato
– Forse per voi è finita, ma io ho piani ben
più grandi dopo ieri sera.”
“Quali
piani, Nat? – si esasperò Sam – Ma se
non sappiamo
nemmeno chi sia A a questo punto.
Siamo troppo confusi e stiamo annegando, perché non te ne
rendi conto?
Cos’altro deve accadere perché tu te ne renda
conto?”
Improvvisamente
squillarono dei telefoni. Solo quelli di
Sam e Nathaniel, però.
I
quattro si guardarono, poi sia Sam che Nathaniel
risposero.
“…Ehm,
si ok…si, sto arrivando!” esclamò Sam,
pallido,
mentre spostava lo sguardo fra gli altri.
Fu
il turno di Nathaniel, pallido anche lui: “Tra cinque
minuti sono lì, sta calma.”
Quando
misero giù, Eric era impaziente di sapere cosa
stesse succedendo.
“Chi
era? Perché avete quelle facce?”
“Era
mio padre… - rispose Sam, deglutendo malamente –
Mi
voglio in centrale, devono farmi delle domande.”
“Stessa
cosa, era mia madre.”
“E
ora che cosa vuole la polizia? – si chiese Eric,
preoccupato – Perché ha chiamato solo voi
due?”
Sam
prese le chiavi dal tavolo e si avviò fuori dalla
cucina, senza aspettarli: “Non riesco a pensare adesso, spero
solo che sia A che conclude il
gioco.”
Gli
altri si guardarono ansiosi prima di seguirlo.
*
Seduto
davanti al pianoforte, Rider suonava e allo stesso
tempo si guardava attorno. Quando uno degli altri pazienti
iniziò a piangere in
maniera molto infantile, questo fu attirato dalle sue parole.
“E’
l’uomo nero! L’uomo
nero verrà a prendere anche me!”
Rider
si voltò, mentre l’infermiera cercava di calmare
il
giovane paziente, che stringeva tra le mani un disegno che aveva fatto.
Incuriosito,
si avvicinò. L’infermiera stava portando via
il ragazzo, ma il disegno era rimasto sul tavolo.
Quando
lo prese tra le mani, non credette ai suoi occhi:
il disegno raffigurava un uomo incapucciato davanti ad una delle
finestre del
Radley. Accanto all’uomo, c’era un ragazzino con il
camice bianco, un paziente.
“Nolan…”
pensò.
Entrambi
erano rivolti verso quella ampia finestra,
chiusa dalle sbarre. Il pavimento era illuminato e anche le pareti e le
due
figure, come se dall’esterno si fosse appena scatenato un
tuono.
“Ha
usato una finestra per farlo uscire. – alzò la
testa
dal foglio, guardando tutte le finestre che lo circondavano –
Una delle
finestre è manomessa.”
Improvvisamente,
sgamò Ector a fissarlo, non molto
lontano da lui. L’uomo abbassò lo sguardo, mentre
sistemava dei libri.
Rider
si avvicinò a lui senza esitare, in cerca di
risposte: “Ehi! – lo chiamò –
Ector, giusto? Sei l’infermiere che mi ha portato
le pillole l’altra volta.”
Quello
continuò a sistemare i libri nella libreria, come
se volesse evitare il suo sguardo: “Ehm, direi di si. Porto
sempre le medicine
ai pazienti.”
“Sapevi
il mio nome, mi hai chiamato Nolan quel giorno. –
gli fece notare con sguardo opprimente - Perché fai finta di
non conoscermi?”
Ector
iniziò ad innervosirsi: “Non faccio finta, siete
tutti pazienti per me.”
“E
invece fai finta… - insistette, notando le sue
reazioni sospette – Tu lo sai chi sono, vero? Sai che non
sono Nolan.”
A
quel punto, Ector si voltò verso di lui dopo essere
rimasto con gli occhi leggermente sbarrati, come se fosse stato colto
in
flagrante: “Ascolta, so perfettamente chi sei. Il tuo nome
è Nolan Stuart, ma
ti credi Rider, tuo fratello gemello. Soffri di personalità
multipla e di
schizofrenia e sei in questo istituto da undici anni.”
Rider
accennò un sorriso con un lato della bocca:
“Allora
lo sai come mi chiamo, perché fingere? – lo
fissò a lungo, mentre lui sudava
freddo e a malapena riusciva a reggere il suo sguardo – O
forse sai
perfettamente chi hai di fronte e che non sono proprio Nolan, quindi
fingi di
sapere chi non sono.”
Quello
si scansò, cercando di evadere: “Devo
andare!”
“Hai
messo tu il computer sotto al mio letto? Quanto ti
ha dato l’uomo con il cappuccio per farlo?” gli
domandò a bruciapelo, facendolo
fermare, mentre era di spalle.
Quando
si voltò, lo guardò per qualche secondo,
intimorito: “Io non ho idea di cosa stai
parlando…Nolan!” concluse,
andandosene.
Rider,
a braccia conserte, restò a fissarlo finchè non
lasciò la sala. Sapeva di averlo in pugno e che prima o poi
l’avrebbe fatto
crollare.
Improvvisamente,
qualcuno bussò alla sua spalla.
Spaventato, si voltò: era Norman.
“Ehi,
mi hai fatto prendere un colpo!” riprese fiato.
“Scusa,
mi hanno appena fatto uscire. – spiegò, un
sorriso ebete sul suo volto - Ti cercavo!”
“Ah,
mi cercavi? - deglutì, pietrificandosi – Beh,
anch’io ti cercavo. Poi non hai più finito di
raccontarmi perché sei internato
qui. Mi hai detto che eri ossessionato da questo gruppo di amici e che
volevi
fare amicizia con loro e poi…l’infermiera
è venuta a chiamarti.”
Quello
abbassò lo sguardo, assumendo un atteggiamento
inetto: “Ehm, niente, ho fatto dei giochi con loro.”
Rider
lo fissò, intimorito nel parlare:
“E…che tipo
di…giochi?”
Le
mani di Norman si strinsero in un pugno e cominciava a
tremare. Rider pensò che era meglio non continuare, fingendo
un sorriso.
“Ehm,
sai cosa ti dico? Non fa niente, non sono affari
miei. Piuttosto, perché mi cercavi?”
Norman
cambiò radicalmente, tornando di colpo sereno e
sorridente: “Sono riuscito a recuperare una cosa. –
sorrise in maniera più
accentuata, guardandosi attorno – Una cosa che ci
aiuterà a fuggire da questo
brutto posto.”
“Cosa?
– Rider sgranò gli occhi – Di che
parli?”
L’altro
abbassò lo sguardo sulla una delle sue maniche,
facendo scivolare fuori un lungo chiodo: “Parlo di questo!
– iniziò a ridere
sottovoce, come se avesse in mano qualcosa di utile – Era
incastrato nel muro e
giorno dopo giorno sono riuscito finalmente a tirarlo fuori.
– glielo passò -
Toccalo!”
La
delusione negli occhi di Rider fu talmente struggente
che dovette sopprimerla e far finta di assecondarlo: “Ah,
beh, un chiodo! –
finse un sorriso, mentre glielo ridava dopo averlo maneggiato
– E’ a dir poco
geniale, ce la faremo.”
“Io
e Nolan progettavamo di fuggire insieme, anche se… -
il suo entusiasmo si spense per un attimo, ricordando che
l’amico era scappato
ugualmente e senza di lui – Ma ora ho trovato un nuovo amico
e fuggiremo
insieme. – tornò a sorridere, rimettendo il chiodo
dentro la manica – Stanotte
lasceremo il Radley!”
Nonostante
sapesse che ciò non sarebbe mai accaduto,
Rider annuì ugualmente, cercando di non contrariare un matto.
*
Sam
e Nathaniel giunsero in centrale, dopo essere stati
chiamati. Ad aspettarli c’erano rispettivamente suo padre e
sua madre. Claire,
non appena vide i due arrivare insieme, deglutì malamente e
lanciò loro delle
occhiate sfuggenti; si sentì a disagio dopo aver visto le
loro foto insieme,
mandate da un misterioso mittente.
“Papà,
che succede?” domandò subito Sam, ormai accanto a
lui davanti ad una porta.
“Vogliono
farvi delle domande. Jasper Laughlin non è mai
arrivato in tribunale, perciò…”
Nathaniel
restò perplesso, muovendo lo sguardo tra il
padre di Sam e sua madre: “E che cosa c’entriamo
noi con questo?”
Il
ragazzo, però, non ricevette risposta perché la
porta
davanti a cui sostavano si aprì: il Detective Michael Costa
li invitò ad
entrare, nel suo ufficio.
“Bene,
eccovi qui. Entrate!”
Il
minuto seguente, i quattro erano seduti davanti al suo
tavolo. La madre di Nathaniel era a dir poco inspazientita.
“Si
può sapere cosa c’entra quell’assassino
con i nostri
figli?”
“Senza
offesa, signora, ma anche se i genitori devono
essere presenti ad un interrogatorio fatto a minori, non vuol dire che
debba
farle lei le domande. Qui l’unico che può parlare
sono io.”
“E
allora parli! – intervenì Nathaniel, abbastanza
infastidito – Cosa ci facciamo qui?”
Michael
spostò lo sguardo su di lui, abbastanza sicuro di
sé: “Ho richiesto il registro delle visite al
penitenziario di Philadelphia
qualche giorno fa. – Nathaniel e Sam divennero immediatamente
pallidi, così
come Carter Havery – I vostri nomi risultano tra le visite
fatte a Jasper
Laughlin. Lo stesso uomo che oggi è scomparso
misteriosamente, mentre veniva
scortato per la sua udienza. – fissò ognuno di
loro in maniera incisiva,
pesante – Ora, io mi chiedo, perché mai due
studenti liceali sono dovuti
arrivare fino a Philadelphia per incontrare un assassino?”
Carter
cercò di intromettersi: “Michael,
ascolta…”
Quello
però non lo fece continuare, alzando il dito:
“Shhh, no! – e indicò i ragazzi
– Devono rispondere loro, Carter. La regola che
ho imposto alla signora Blake vale anche per te. Non sei più
un poliziotto e
mio collega in questo momento.”
Nonostante
avesse il cuore in fibrillazione, Sam trovò il
coraggio di mantenere il sangue freddo: “Di cosa ci sta
accusando,
esattamente?”
“Avete
aiutato voi Jasper Laughlin a fuggire?”
“NO!”
esclamarono insieme, in una smorfia a dir poco
scioccata da quell’accusa.
“Allora
spiegatemi il motivo della visita a quell’uomo.”
continuò, impertinente.
“Lo
conoscevo, ok? – rispose Sam, mentre suo padre si
voltava a guardarlo – Lo conoscevo da prima che il mio amico
e suo padre
morissero.”
Anche
Nathaniel lo stava fissando, certo che stesse
raccontando una storia abbastanza convicente e credibile. Michael Costa
osservava i loro atteggiamenti, mentre quello spiegava.
“Lo
conobbi in un locale, il Ginseng. – abbassò
leggermente lo sguardo, imbarazzato per la presenza del padre
– E’ un locale
gay. E io sono gay, perciò...”
Claire
si sentì a disagio, guardava da altre parti,
stringendo la borsa che teneva sulle ginocchia, immaginando che anche
suo
figlio potesse esserci stato.
“Che
genere di rapporto aveva con Jasper?” gli chiese
Michael, gli occhi stretti nel scrutarlo.
“Lo
incontrai che era la bancone del bar, stava bevendo
molto. Piangeva anche. – fece una pausa, mostrandosi affranto
– Non volevo
andarmene e lasciarlo in quello stato, e il ragazzo con cui dovevo
vedermi mi
ha scaricato, così sono rimasto e gli ho chiesto cosa
avesse. E’ stato in quel
momento che mi ha raccontato di quest’uomo che frequentava,
Kevin. Mi è bastato
davvero poco per capire che si trattasse del padre di Anthony,
c’erano troppe
coincidenze…A quel punto ero curioso e sono rimasto ad
ascoltarlo: mi spiegò
che Kevin l’aveva cacciato dalla sua vita perché
per colpa sua aveva contratto
l’HIV. Mi spiegò anche che aveva dei problemi
economici e che il suo negozio
era andato distrutto in un incendio e che probabilmente era stato Kevin
per
vendicarsi.”
Michael
restò a fissarlo a lungo, prima di far scivolare
tra le sue mani un fascicolo: la deposizione di Angela Dimitri su
Jasper
Laughlin. Dopo averlo rivisto, notò che alcune cose dette
dal ragazzo
combaciavano con la realtà dei fatti.
“Bene,
quindi l’hai conosciuto e poi cosa è successo?
Avete avuto rapporti sessuali?”
Carter
si alzò dalla sedia, rosso in volto: “Ma come si
permette?”
Sam
gli prese il braccio, cercando di calmarlo: “Papà,
va
tutto bene. Posso rispondere.”
Quello,
allora, si risedette, nonostante continuava a
guardare male il detective.
“No,
non ho avuto rapporti sessuali con lui. L’ho solo
riaccompagnato a casa e poi ci siamo risentiti. Eccetto questa storia
triste, è
una brava persona e siamo diventati amici. – concluse
– Per questo gli ho fatto
visita. Non credo che abbia ucciso lui Anthony e suo padre.”
“E
chi pensa sia stato?”
“Se
lo sapessi, non avrei esitato nel venire qui a
dirvelo.”
Ora,
Michael spostò lo sguardo su Nathaniel: “E tu che
ci
facevi con lui?
“Sam
è il mio migliore amico, l’ho accompagnato
ovviamente!” esclamò, mentre la madre si
irrigidiva.
“Ti
sei presentato anche una seconda volta da Jasper. Da
solo. Come mai?”
A
quel punto, anche Nathaniel inventò una bugia:
“Jasper
aveva chiesto a Sam di non andarlo più a trovare, visto che
la polizia
controlla le visite. Ora non fingiamo che tutta questa storia non ci
riguardi
da vicino. Jasper temeva che la polizia avrebbe male interpretato il
rapporto tra
lui e Sam e che la polizia l’avrebbe accusato di
complicità. Sam però voleva
tornare da lui, voleva essere presente al processo e io sono andato a
chiedergli
il permesso per conto di suo.”
Michael
sollevò le sopracciglia, non molto convinto:
“Mmmh…storie interessanti!”
“Storie
vere!” precisò Sam, infastidito.
Claire,
troppo a disagio, si alzò dalla sedia e non ne
potè più: “Ora possiamo andare?
E’ evidente che i nostri figli non hanno nulla
a che fare con la scomparsa di quest’uomo!”
“Tutto
però fa pensare che siano coinvolti nell’omicidio
di Anthony e Kevin Dimitri.” continuò il
detective, implacabile.
“Le
abbiamo dato già dato i nostri alibi la sera
dell’eplosione
a scuola. Ero a casa mia con la mia migliore amica Chloe!”
ribadì Sam,
alterato.
“Beh,
gli alibi possono essere perfetti quanto un
delitto.”
“Ma
che cosa sta insinuando?” intervenne nuovamene
Claire.
Michael
la ignorò, diretto con i ragazzi: “Avete ucciso
voi Albert Pascali?”
“NO!”
urlò Sam, alterato.
“L’avete
ucciso insieme ad Anthony Dimitri?” ribattè,
veloce.
Sam
non volle più ascoltarlo, voltandosi verso Carter:
“Papà!”
Quello
si alzò, affermando la sua parola: “Adesso basta,
l’interrogatorio finisce qui! Mio figlio non è un
assassino, non ha prove per
dirlo!”
Claire
lo seguì a ruota, indignata: “E nemmeno mio
figlio! – poi si voltò proprio verso di lui
– Andiamo Nathaniel!”
I
due ragazzi si alzarono, seguendo i loro genitori.
Anche Michael si alzò, facendosi sentire mentre uscivano:
“La verità verrà a
galla prima o poi!”
Dopo
essersi voltati a guardarlo agghiacciati e provati,
chiusero la porta alle loro spalle.
All’uscita
dalla centrale, Sam aveva il passo rapido
mentre scendeva i gradini. Carter gli era alle calcagna. Era buio.
“Sam,
ti devo parlare. Aspetta!”
“Non
ho nulla da dire, voglio solo andarmene!” non si
voltò, furioso.
Nathaniel
cercò di raggiungere anch’essi Sam, lasciando
indietro sua madre: “Sam, se vuoi ti accompagno!”
Ma
quello non si voltò, ormai distante. Nathaniel
restò
fermo sul marciapiedi accanto a Carter, in quel momento sconsolato nel
non
riuscire più a gestire il figlio.
“Mi
dispiace signor Havery… - si imbarazzò,
indietreggiando – Io ora
vado…arrivederci!”
Quello
annuì, accennando un saluto forzato, troppo
pensieroso. Nathaniel si avvicinò alla sua auto, dove
c’era già sua madre.
“Mamma,
andiamo.”
I
due si guardarono e quella, poi, salì silenziosa.
*
Nel
parcheggio sotterraneo del Rosewood mall, il centro
commerciale della città, Alexis aveva fatto qualche acquisto
per la casa ma non
riusciva a far partire la macchina. Quando scese, sbuffando, prese
immediatamente il telefono.
“Eric,
per favore, vieni a prendermi, la macchina… –
improvvisamente partì la segreteria, seccandola ancora di
più – Ehm, Eric se
senti questo messaggio richiamami subito. La mia macchina non parte,
vieni a
prendermi, mi trovi all’ingresso del Rosewood
mall.”
Stava
per aggiungere qualcos’altro, ma dovette abbassare
il telefono quando notò una pozza di benzina accanto alla
ruota.
“Ma
che diavolo…???” si rese conto che il problema era
la
benzina esaurita e che fu una misteriosa perdita ad averla fatta
esaurire.
Riprese
nuovamente il telefono, facendo avanti e
indietro, per poi accorgersi che l’altro lato della sua auto
era stata rigata
con delle chiavi. Rigata per comporre un messaggio.
“Fa
strano essere
minacciati da qualcuno, vero Alexis?”
-A
La
ragazza sgranò leggermente gli occhi, turbata.
Intanto,
nello stesso parcheggio sotterraneo, c’era
qualcuno che la osservava da dentro un auto. Due ragazze: Lindsey e sua
cugina
Tasha.
Quest’ultima
aveva lo specchietto del trucco aperto e si
stava passando il rossetto sulle labbra, indiffente.
“Che
sta facendo la poverina?”
Con
uno sguardo d’odio fisso su Alexis, Lindsey le
rispose dopo qualche secondo: “Ha appena letto il
messaggio…”
“Una
cretina qualunque cerca di denunciare il tuo uomo e
tu le scrivi uno stupido messaggio con le chiavi? –
buttò gli occhi in alto -
Dio, non ti ho insegnato niente?”
“E
cosa dovrei fare, investirla?”
“Beh,
non sarebbe male come idea. Indossa delle scarpe da
ginnastica che non vedo dai tempi di 90210!”
Lindsey
tornò a guardare Alexis: “Le minacce la
spaventeranno, vedrai. E poi chi dice che io mi debba fermare ad un
banale
messaggio.”
L’altra
chiuse lo specchietto del trucco, ridendo: “Uuuh,
abbiamo una vendetta ben più grossa in cantiere. Rendimi
partecipe, come non
hai fatto con questa storia dei messaggi di A!
Dovevi dirmelo che qualcuno ti minacciava.”
“Avevo
ricevuto solo quel messaggio insieme al vestitino,
non pensavo si sarebbe spinta così oltre.”
“Però
c’è da dire che non si è messa sotto
quella
macchina da sola, qualcuno l’ha investita davvero.”
“Ma
non è stato Julian, ok? – fece poi la vaga, visto
che
non le raccontò proprio tutta la verità - Non
capisco perché si sia fissata con
lui.”
“E’
chiaro: forse il tuo professore è andato a letto
anche con lei e ora la sgualdrina è gelosa! –
esclamò, ricevendo subito
un’occhiataccia – Ehm, ma con questo non voglio
dire che sei una sgualdrina
anche tu.”
Mortificata,
si zittì e prese il telefono, cambiando
discorso: “Uff, non c’è traccia di
Nathaniel su Tinder…”
Dopo
che Alexis se n’era andata, Lindsey mise in moto:
“Beh, prova su Grindr, forse lo trovi
lì!”
Ora
fu Tasha a lanciarle un’occhiataccia, mentre
l’altra
le sorrise ampiamente per aver pareggiato i conti.
*
Sam
era sul viale del ritorno in lacrime, ancora provato
da quell’interrogatorio che lasciava sperare ben poco ad un
lieto fine.
Stringendosi le braccia per il freddo, camminava con lo sguardo perso
nel vuoto
lungo il marciapiedi. La luce dei lampioni vibrava e le strade erano
vuote.
Esausto,
si fermò e chiuse gli occhi. Voleva solo evadere
da quella situazione, sparire per sempre. Ma al tempo stesso,
però, si sentiva
così impotente e non più padrone della sua vita.
All’improvviso,
sentì il rumore di un motore in lontananza.
Quando si voltò, vide che era una moto e sopra sembrava
esserci un uomo con
indosso un jeans, una giacca di pelle nera e il casco. Sam
continuò a
camminare, visto che quello era fermo al semaforo.
Qualche
istante dopo, il semaforo divenne verde e la moto
iniziò ad avanzare lentamente anziché veloce. Di
tutto questo, Sam se ne
accorse e ogni tanto si voltava a gettare un occhiata. A quel punto
alzò il
passo, sembrava seguirlo. Anche la moto aumentò la
velocità.
Ora
Sam era nel panico, intuì che c’era qualcosa che
non
andava e così iniziò a correre più
veloce del vento. La moto accellerò, nel
tentativo di raggiungerlo: nel giro di pochi secondi lo
superò. Sam si fermò,
quando la moto sgommò ruotando verso la sua direzione.
Con
il fiatone e gli occhi sgranati, Sam restò impalato a
fissarlo e quello faceva la stessa cosa. Improvvisamente,
alzò le braccia,
togliendosi il casco: era Wesam.
Sam
si mise una mano sul petto, cacciando fuori l’aria ad
occhi chiusi: “Oh Dio, sei tu! – si
infuriò, riaprendoli – Ma come ti viene in
mente di farmi uno scherzo simile?”
“Scusa,
è che mi sembrava di averti riconosciuto e volevo
solo raggiungerti…” scese dalla moto,
avvicinandola al marciapiedi.
“Da
quando guidi una moto e indossi giacche di pelle?”
“Ho
una passione per le motociclette fin dall’adolescenza
e…quando fa buio, mi piace uscire a fare un giro. Mi fa
rilassare. – lo vide
perplesso - Non va bene?”
“No,
è che… - fu più calmo –
sembri diverso dal solito
Wesam. Sai, quello con giacca e cravatta, scarpe lucide e una gamba
accavallata
sull’altra mentre ti psicanalizza.”
“Quello
è il Wesam professionale, Sam. – rise –
Fuori da
quello studio sono una persona del tutto diversa, ma non puoi saperlo
visto che
non ci siamo mai visti al di fuori di quel contesto.”
Ora
Sam si sentì stupido, abbassando lo sguardo:
“Già,
hai ragione… - accennò un sorriso malinconico
– Peccato che io sia sempre la
stessa persona sia dentro che fuori dal tuo studio. ”
“Ehi,
tutto bene? – con il pollice asciugò la parte
inferiore della sua palpebra, umida per il pianto – Che ci
fai in giro a
quest’ora?”
Sam
arrossì, facendo fatica a reggere il suo sguardo:
“Sono appena stato in centrale e…” i
suoi occhi si gonfiarono di lacrime e per
questo voltò la testa dall’altra parte.
“Sam?
– gli prese il lato sinistro del viso, facendolo
voltare – Che è successo?” si
preoccupò.
Quello
scoppiò a piangere, gettandosi tra le sue braccia.
Wesam sgranò gli occhi, spiazzato.
“Ti
prego, portami via da Rosewood.” lo strinse forte,
sofferente.
Il
viso di Wesam si rilassò, divenne serio e lo strinse a
sua volta: “Sam, ieri dovevi raccontarmi tutti, ricordi? Su
chi ti minaccia.”
“Ti
racconterò tutto, ma non qui. – si
staccò da lui,
guardandolo negli occhi – Portami via. Ti prego.”
Quello
restò a fissarlo, poi annuì: “Va
bene…”
Più
tardi, Sam era sopra la sua moto, le braccia
aggrappate al suo petto. Con il vento contro e mille pensieri per la
testa, si
voltò a guardare indietro, mentre lasciavano Rosewood.
*
Intanto
Nathaniel era in camera sua, davanti al suo
computer.
Le
videoconfessioni erano rimaste nella sua auto, dopo
che avevano lasciato la casa sul lago, perciò non
esitò a guardare quella di
Sam.
Immobile
davanti allo schermo, ascoltò tutto quello che
aveva detto a Wesam: ogni parola.
Tuttavia,
c’era un pezzo del filmato che riguardò
più e
più volte. Una frase che non lo lasciò
indifferente:
“Stasera
mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che
ormai non
provavo da tempo, Wesam…Io credo di…essermi
innamorato di te e mi dispiace non
potertelo dire guardandoti negli occhi. Addio.”
Dopo
averla riascoltata ancora una volta, gli occhi
lucidi, il respiro rumoroso e il viso disturbato, Nathaniel tolse il cd
e lo
buttò per terra con irruenza.
Gli
sembrò di impazzire, si mise le mani capelli e
tirò
un grosso respiro per calmarsi. Non capiva cosa stesse provando, se la
sua
fosse gelosia.
Il
suo sguardo si poggiò su gli altri cd poggiati sulla
scrivania. Più calmo ne inserì un altro, ormai
insonne.
All’avvio,
però, c’era qualcosa che non quadrava. La
telecamera riprendeva una sedia vuota per diversi minuti.
Nathaniel
strinse gli occhi, perplesso, avvicinando
l’orecchio al computer perché sentiva qualcuno
parlare sottovoce.
A
quel punto, tolse il cd per capire a chi dei suoi amici
appartenesse ed era quello di Rider: non aveva registrato nulla per la
sua
famiglia.
*
Al
Radley, Rider era steso sul suo letto, su di un
fianco, che fissava il portatile sul tavolo: aspettava che A si facesse vivo per una nuova partita
e nuove informazioni come
tutte le sere.
Stanco
di aspettare, chiuse gli occhi per un secondo; la
stanchezza si stava facendo sentire, non dormiva bene da giorni.
Improvvisamente, sentì dei rumori fuori dalla sua stanza,
nel corridoio, e
riaprì gli occhi.
Sentì
una porta aprirsi, poi il silenzio. Subito dopo un
tonfo, che lo fece sussultare, e poi di nuovo il silenzio.
Un
rumore di passi arrivò al suo orecchio, diveniva
sempre più percettibile e si fermò davanti alla
sua porta. Una chiave entrò
nella serratura e Rider sgranò gli occhi, sollevandosi dal
letto.
Quando
la porta si aprì, si trovò davanti Norman con il
fiatone.
“Te
l’avevo che saremmo fuggiti stanotte!”
Rider
si alzò dal letto, indietreggiando spaventato.
Norman aveva le pupille dilatate, tremava e aveva la mano sporca di
sangue,
come la sua manica.
“C-che
sta succedendo? – balbettò, deglutendo malamente
–
Che hai fatto?”
“Non
abbiamo molto tempo, andiamo!” e si avvicinò,
tirandolo per il braccio.
“No
no, aspetta!” esclamò, cercando di liberarsi dalla
sua
stretta, ma l’aveva già trascinato fuori dalla sua
stanza.
“Non
urlare o ci sentiranno!” bisbigliò, cercando di
capire in che direzione andare. Poi iniziò a camminare lungo
il corridoio.
Rider
lo seguì, spaventato: “Di chi è quel
sangue?”
“Dovevo
farlo, ok? – disse sorpassando la sua stanza
aperta – Nolan se n’è andato senza di me
e io devo trovarlo per dirgli che mi
ha tradito e abbandonato in questo posto di merda!”
In
quel momento, anche Rider passò davanti alla stanza di
Norman. Distesa per terra, c’era una delle infermiere in una
pozza di sangue:
aveva un chiodo conficcato nel collo.
Sconvolto,
spalanco la bocca e gli occhi: “Oh mio Dio,
hai ucciso una persona…”
E
quello si voltò, seccato e minaccioso: “E se tu
non mi
aiuterai ad uscire da qui, ucciderò anche te, ok?”
“Come
posso aiutarti se non so nemmeno io da che parte
andare?”
Quello
sorrise malamente, come un vero psicopatico: “Sei
molto più intelligente di quanto non vuoi far credere,
Rider. E per questo, sai
di non avere altra scelta che seguirmi. Su quel chiodo ci sono anche le
tue
impronte…” e rise, dopo averglielo fatto notare.
Rider
comprese che per uscirne avrebbe dovuto riprendere
possesso della sua identità e che se non l’avesse
fatto, le cose sarebbero
degenerate ancora di più.
“D’accordo,
verrò con te!” si avvicinò lentamente a
lui,
riflettendo su come fare.
“Bravo
pazzerello!” esclamò con un sorriso compiaciuto,
affidandosi.
Insieme
salirono al piano superiore e Rider si mise a
fissare il corridoio dove si trovavano nei minimi dettagli, parlando
tra sé e
sé.
“Nel
disegno c’erano delle crepe nel pavimento… - e
abbassò lo sguardo, dove effettivamente c’erano
– E un poster mal ridotto sulla
parete… - c’era anche quello – Il
corridoio è questo!”
“Di
cosa parli?” gli chiese Norman, non seguendolo.
Rider
in quel momento puntò lo sguardo verso la finestra
alla fine del corridoio: “E’ da quella finestra che
Nolan è scappato. – la
indicò – Qualcuno l’ha visto fuggire da
qui e ha fatto un disegno.”
Dopo
si avvicinò ad essa, con Norman a seguito, e notò
che il chiavistello era rotto e che quella si apriva.
Norman
sorrise, assaporando già la libertà.
L’altro
si voltò verso di lui, preoccupato per se stesso:
“Che ne sarà di te una volta uscito da qui? Ognuno
andrà per la propria strada,
giusto?”
“Prima
pensiamo ad uscire… - lo fissò con uno sguardo
penetrante e cupo – Poi si vedrà!”
Nonostante
quel tono non lo rassicurasse per nulla, Rider
cambiò discorso: “C’è da fare
un piccolo salto, poi dovremo aggrapparci
all’albero.”
“Ok,
vai prima tu!” gli suggerì, non fidandosi.
Rider
restò rigido per qualche secondo, poi si voltò,
con
il timore di poter cadere. Purtroppo, però, non poteva
tirarsi indietro e si
affacciò fuori, pronto a saltare. Norman non gli tolse gli
occhi di dosso,
aspettando il suo turno.
CONTINUA
NEL QUATTORDICESIMO CAPITOLO