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Autore: SamuelRoth93    08/11/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TREDICI

“EscApe From Rosewood”

 

 

Rientrati nel loro appartamento, Alexis gettò le chiavi sul tavolo della cucina. La luce dei lampioni in strada illuminavano il pavimento e un angolo di parete, penetrando dalla finestra. Lei era a dir poco indignata, continuando a rimettersi i capelli dietro alle orecchie.

“E’ assurdo che la polizia l’abbia lasciato andare via così. So cosa ho visto la sera del ballo, era la sua auto!”

Eric aveva appena chiuso la porta, non sapeva come reagire: “Forse ti sei sbagliata sull’auto. – si avvicinò alle sue spalle, grattandosi il capo -  Avevi leggermente bevuto, no?”

Quella si girò di scatto, incompresa: “Direi che mi stai confondendo con Tasha, perché era lei quella ubriaca. – lo fulminò con lo sguardo, furibonda – Io ero perfettamente lucida e ho visto il numero di targa: quella macchina apparteneva a Julian Brakner, non ci sono dubbi!”

Eric abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dirle, combattuto dalla verità che non poteva rivelarle. A quel punto, le sembrò palese cosa stesse accadendo.

“Perché mi sento stupida in questo momento? – agitò le braccia, allibita – Perché mi sembra di essere in piedi su un palcoscenico con tutti che mi ridono in faccia?”

“Alexis, troveranno chi ti ha investita. – cercò di fare un passo avanti, ma lei ne fece uno indietro – So che sei ancora legata a questa vicenda e che non riesci a darti pace, ma…”

Senza farlo continuare, Alexis lo interruppe con tono aggressivo: “Certo che sono ancora legata a quella vicenda, Eric. Ho quasi rischiato di rimanere su una sedia a rotelle e ho perso il mio posto al Brew, che per me era vitale visto che non navigo nell’oro.”

“Ok, ma adesso hai trovato un nuovo lavoro e vivi con me. Ho di nuovo la macchina, posso portarti dove vuoi e quando vuoi. Possiamo superarla questa cosa.” le spiegò, cercando di calmarla.

“E vuoi comprarmi anche un gelato già che ci sei?” replicò cinica.

“Come?”

“L’hai avvertito tu, vero?” divenne seria, con tono accusatorio.

Quello scosse la testa, confuso: “Alexis, vuoi spiegarmi cosa diavolo stai facendo ora? Avvertito chi?”

“Hai contattato Brakner? Gli hai detto di fare una magia alla sua auto per scamparla?”

“Alexis, stai diventando paranoica.”

“Non sono paranoiaca, ok? – urlò – Il giorno prima mi vieti di andare alla polizia e quello dopo ti offri di accompagnarmi e sarei io la pazza? Voglio sapere che cosa diavolo sta succedendo tra te e quell’uomo!”

“Niente!” ribattè più forte.

“Niente, dici? Perché vietandomi di andare alla polizia ieri, probabilmente gli hai dato tutto il tempo di fare qualcosa alla sua macchina e farmi passare per una folle visionaria con la polizia.”

“Alexis, ci ho semplicemente ripensato dopo una notte di sonno. Tra me e quell’uomo non c’è assolutamente nulla. Ti sei solo sbagliata.” ribadì, nonostante non risultasse molto credibile ai suoi occhi.

Quella allora accennò un sorriso cinico: “D’accordo, va bene. Sai che ti dico? Vado a farmi una doccia e non ne riparliamo più. - si avvicinò davanti a lui, mettendo la bocca vicino al suo orecchio. – Solo… non dirmi che mi sono sbagliata. Io non mi sbaglio mai.” e se ne andò silenziosamente, lasciandolo a fissare il vetro della finestra, imbalsamato, l’atmosfera frigida.

 

*

 

Sam, intanto, era davanti alla porta di un appartamento: il 3B. Aveva appena bussato e teneva la testa rivolta verso il basso e gli occhi chiusi.

“Cosa sto facendo, cosa sto facendo, cosa sto facendo…” si ripeteva continuamente, sottovoce.

Improvvisamente la porta si aprì, Sam alzò la testa: era Wesam.

L’uomo fu sorpreso di vederlo davanti alla porta di casa sua; tant’è che sgranò leggermente gli occhi. Indossava solo i pantaloni del pigiama, il petto nudo.

I due si guardarono a lungo e Sam lo fece in maniera intensa, lasciando trasparire dell’odio nei suoi confronti attraverso lo sguardo. L’attimo dopo gli tirò uno schiaffo.

Wesam si mise una mano sulla guancia, restando con il volto girato, mentre Sam aveva la bocca e gli occhi spalancati per il gesto che aveva compiuto senza essersene reso conto, preso dall’impulsività.

Finalmente Wesam si voltò a guardarlo, ma non sembrava per nulla sorpreso di quel gesto. Sam aveva gli occhi lucidi ora.

“Come hai potuto farmi questo? Pensavi che non l’avrei mai scoperto?”

Wesam deglutì, prima di parlare: “Non sono io che ti ho fatto questo. E’ stato tuo padre.”

“So perfettamente che è stato mio padre a chiederti di scoprire cosa stessi nascondendo. – non riuscì più a guardarlo negli occhi, la voce rotta – Ma pensavo di essere molto di più che un tuo paziente, o almeno così mi hai fatto credere.” spiegò, andosene via di getto, non riuscendo più a stare dinanzi a lui.

Wesam lo rincorse per il corridoio, fermandolo per un braccio.

“Sam, per favore!”

Quello si voltò: “Per favore, cosa? – si asciugò le lacrime con una mano, furente – Hai usato la scusa di avermi salvato la vita per poter creare un legame con me. Hai fatto in modo che ti vedessi sotto un’altra luce, che provassi qualcosa. Volevi che cedessi a te e ci sei riuscito! Mi hai baciato! – una lacrima gli scese lungo il viso – E hai fatto tutto questo per rendermi vulnerabile. Era tutta una bugia.”

Sofferente in volto, Wesam cercò di aggiustare le cose: “Sam, mi dispiace tantissimo. – lo fissò negli occhi - Non immaginavo che dopo aver accettato la proposta di tuo padre, mi sarei affezionato a te in questo modo.”

Sam indietreggiò, scuotendo la testa dopo essersi incantato per le sue parole: “No, smettila. Smettila di fare quello che stai cercando di fare. Non mi inganni più ora che ho scoperto la verità.”

Wesam allora gli prese le braccia, trattenendolo: “Posso aver mentito sullo scopo di quelle sedute, ma non su quello che ti ho detto la scorsa volta. – spiegò, un volto sincero – Prima di addormentarmi penso solo a te, come se la mia mente volesse tormentarmi. E tutto questo è sbagliato, perché non dovrei pensare a te ma ti penso. – ora era a disagio e gli tremava la voce – Domani mattina telefonerò a tuo padre e gli dirò che non voglio più continuare.”

Disorientato da quelle parole, anche a Sam tremò la voce: “Non hai idea di quello che stai dicendo, secondo me. E’ il senso di colpa che ti sta facendo dire questo.”

Quello gli prese il viso, poi lo lasciò, poi lo riprese nuovamente: “Io credo di essermi innamorato di te. – gli sussurrò, la fronte sudata – Anzi, SONO innamorato di te. Poi realizzo che hai solo diciasette anni e che non posso essere innamorato di te, ma sono innamorato di te. – si staccò da lui, rendendosi conto che era una follia e che Sam lo fissava scioccato – Scusa, scusami tanto. Non so cosa mi stia succedendo.”

Sam non sapeva come reagire, imbalsamato: “Wesam, se questa è tutta una recita…”

“Quando ti ho baciato non è stata una recita. E non lo sono nemmeno queste parole. Io provo davvero qualcosa per te, io sento di…”

Ma non ebbe nemmeno il tempo di finire che, con un passo rapido, Sam si avvicinò a lui e lo baciò. Impulsivo, strinse le sue braccia attorno al suo collo, mentre Wesam lo stringeva più basso e lo teneva sollevato da terra.

L’uomo indietreggiò fino a dentro il suo appartamento, mentre ancora si stavano baciando. La porta poi si chiuse.

Più tardi, i due erano a letto. Sam aveva la mano sopra il suo petto e la testa poggiata alla sua spalla. Entrambi avevano gli occhi aperti, che fissavano un punto qualsiasi della stanza.

Wesam aveva il braccio intorno al suo collo e iniziò ad accarezzargli i capelli da dietro l’orecchio.

“Era la tua prima…??” sussurrò.

“Forse… - rispose in maniera distaccata – Si…” ammise, mettendo giù la corazza.

“Ah… - Wesam restò leggermente interdetto, imbalsamato in quella posizione – Beh, sei molto maturo per la tua età.”

“Stai cercando di minimizzare il fatto che sei andato a letto con un minorenne?” sollevò la testa, guardandolo negli occhi con fermezza.

“Potrei dire che è stato uno sbaglio, ma non lo dirò. Non sono pentito di quello che è appena successo, ma…”

L’altro abbassò la testa, deluso nel tono: “…Non deve più riaccadere. Ho capito.”

Wesam allora gli prese il mento e gli sollevò nuovamente la testa per fissarlo dritto negli occhi: “Non è giusto, Sam. E tu lo sai.”

“Io ti odio. Eppure ti desidero così follemente da dimenticare che ti odio: QUESTO non è giusto. I sentimenti non sono giusti. Il tuo odore, il tuo modo di guardarmi, le tue parole che sembrano sincere non sono giuste.”

“Se solo avessi qualche anno in più…” sospirò.

Sam si sollevò di getto, sbuffando irritato: “Ecco la parola chiave!” si mise a recuperare i suoi vestiti dal bordo del letto.

Wesam si chinò in avanti e lo tirò a sé, prendendolo dalle spalle: “Non è la parola chiave, è la realtà!”

“Quindi mi porti a letto e poi ciao, tanti saluti? Però fino a poco fa non ti preoccupavi della realtà mentre mi baciavi e facevi l’amore con me.” si svincolò dalla sua presa, mettendosi addosso la maglietta e alzandosi.

Con il lenzuolo che lo copriva fino a sotto l’ombelico, Wesam si difese: “Ok, io provo qualcosa per te. Ma tu provi davvero qualcosa per me? O è semplicemente il fascino del giovane psicologo che fa impazzire i ragazzini?”

In piedi che dava le spalle, Sam deglutì a braccia conserte. Rimase in silenzio a fissare verso il basso, colto di sorpresa da quella domanda che lo mise alle strette.

“Lo vedi? – ne ebbe conferma - Sono solo un giovane e affascinante psicologo per te. Ti sembra di provare qualcosa, ma in realtà è solo l’infatuazione del momento.”

A quel punto, Sam si voltò e fu sincero: “La verità è che piace molto un ragazzo, ma ultimamente il sentimento che provavo per lui si è spezzato. Le sedute con te sono sempre state intense, ma non ho mai pensato a te in quel modo finchè non mi hai baciato. Poi non ho nemmeno avuto il tempo di metabolizzare la cosa che già mi avevi fatto del male; però, se ci penso, non mi avrebbe fatto così male se dentro di me non provassi già qualcosa per te da tempo.”

Ora fu Wesam a deglutire con fatica, nello scoprire che forse i suoi sentimenti erano ricambiati: “Beh, non si può stare con un piede in due scarpe.”

“Però hai chiarito che la tua scarpa non è disponibile. Se lo fosse, cercherei di capire meglio cosa provo realmente. – spiegò – Forse sei una delle poche persone che mi ha capito davvero e che sa come attirare la mia attenzione.”

I due si guardarono negli occhi a lungo. Wesam, però, continuò a guardare in faccia alla realtà.

“Non posso rendere disponibile la mia scarpa, Sam. – abbassò lo sguardo, mortificato – Sono troppo grande per te, non possiamo metterci a giocare agli appuntamenti segreti. Non dovrei permettere che questa cosa continui. Non dovevo nemmeno permettere che iniziasse.”

Sam si avvicinò di più al letto, cercando di non mollare quello spiraglio di possibilità: “Wesam, ho poco più di un anno di liceo ancora: non è molto, se ci pensi. Perché negarci qualcosa che forse vogliamo entrambi?”

“Continui a dire forse, quando le mie idee sono assolutamente chiare: ti voglio, ma non posso. Mentre tu non sai cosa vuoi e agisci impulsivamente in base ai tuoi stati d’animo.”

“Sarò anche confuso, ma in questo momento tu sei riuscito a darmi quello che lui non mi ha potuto dare.”

“E cosa ti avrei dato?”

“Sicurezza! – rivelò, lasciandolo perplesso - Ogni volta che sono con te, specialmente stasera, sento di essere al sicuro con te. Mi sento protetto, ed è una bella sensazione.”

“Sicurezza per cosa? Perché hai bisogno di essere protetto? – cercò di capire - Dimmi in cosa sei coinvolto, dimmi cosa ti tormenta e ti aiuterò. Puoi parlare con me, Sam.”

L’altro, combattuto, si girò nuovamente dall’altra parte, spaventato a morte: “Credimi, voglio dirtelo. – si comprì il viso con le mani per poi farle scivolare fino ai capelli - E’ solo che è tutto così assurdo…”

Wesam scese dal letto, arrivando alle sue spalle. Sam si girò e alzò lo sguardo.

“E’ una storia lunga da raccontare, non mi basterebbe una notte.”

Quello gli prese le mani: “Hai tutto il mio tempo, Sam.”

Improvvisamente il telefono di Sam iniziò a vibrare sul comodino. Con gli occhi lucidi lo ignorò, ma sapeva di dover andare.

“Qualcuno sta cercando di incastrare me e i miei amici. Ha cercato di ucciderci molte volte, è un folle.”

Turbato da quello parole, Wesam lo prese per le spalle: “Chi? Di chi stai parlando?”

“Non lo so, non ne siamo così sicuri. – le lacrime scesero copiose, tremava – Ora devo andare!”

Si diresse verso il comodino a recuperare il suo telefono, mentre Wesam era seriamente preoccupato e non riusciva a lasciarlo andare via così.

“Devi andare??? Sam, mi hai appena detto che qualcuno ha cercato di ucciderti.”

Quello aveva preso tutto e si era appena rimesso i jeans, pronto a scappare via: “Ti prometto che domani ti racconto tutto, ma ora devo proprio andare.”

Si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia, per poi andare via. Wesam rimase lì impalato, pensieroso.

 

*

 

Seduti ad un tavolo-panchina nel parco, Nathaniel aveva messo al corrente gli altri due amici su quanto raccontato da Quentin.

Ogni parola che uscì dalla sua bocca, li aveva scioccati a tal punto da non sapere cosa dire.

Eric riuscì trovare le parole, dopo un pò: “Solo a me vengono i brividi al solo pensiero che quel posto esista davvero?”

“A me vengono i brividi a pensare ad Anthony che sequestra delle persone per giorni. – pensò Nathaniel - Cosa ci guadagna ad intrappolare qualcuno per rubargli un segreto?”

“Il potere! – esclamò Nolan, facendoli voltare verso di lui – Con tutti i segreti che Anthony collezionava, aveva potere sull’intera città.”

Eric si rese conto che era così: “Rider ha ragione. Anthony ha scoperto da Quentin che il capo di mio padre tradiva sua moglie. E sarebbe bastato solo questo per minacciarlo e far riavere il posto a mio padre. Immaginate quante altre cose poteva fare con tutti gli altri segreti: aveva in pugno chiunque.”

“Quindi Quentin non ha la minima idea di dove si trovi questo bosco?” chiese Nolan, curioso.

“Ve l’ho detto, tutti quelli che Anthony portava al bosco sono stati drogati e non conoscono il tragitto.”

“Ma siamo sicuri che ci siano state più persone? – domandò Eric, dubbioso – Sono davvero tutti così disperati da non raccontare di questo bosco a qualcuno o alla polizia?”

“Anthony li avrà terrorizzati a morte, o qualcuno avrebbe parlato altrimenti. In ogni caso, non venivano più perseguitati una volta che confessavano un qualsiasi segreto che conoscevano su qualcuno.”

“Beh, ma allora… - Eric ebbe nuovamente un dubbio – che succedeva a chi non aveva un segreto da barattare con la libertà?”

I tre si guardarono a quel punto, assai turbati dai pensieri che aleggiavano nelle loro menti dopo quella domanda.

“Magari Anthony le teneva nel bosco per qualche giorno…” pensò Nathaniel.

“E’ spaventoso!” esclamò Nolan, scuotendo la testa e fingendosi rivoltato.

Eric scosse la testa a sua volta, preso dall’incertezza: “Ma allora chi è A? Anthony o Brakner?”

“Brakner potrebbe aver sostituito la macchina prima che la polizia potesse scortarlo in centrale, quindi A è senza dubbio lui.” rispose Nathaniel.

“Ma il messaggio che Eric ha ricevuto vuole insinuare un dubbio.” aggiunse Nolan.

“Già, ha ragione. – lo appoggiò Eric – A ha bisogno di comunicare con noi, ma allo stesso tempo vuole che la sua identità non ci sia chiara. Se avessimo mandato Brakner in prigione e Anthony fosse A, non avrebbe più potuto interagire con noi perché a quel punto sapremmo di certo chi è in realtà. Scambiando la finta auto blu con una vera auto blu, mantiene ancora in gioco Brakner e ci fa credere che sia lui A.”

Nathaniel non volle accettare quella ipotesi: “Ragazzi, mi dispiace, ma dopo quanto scoperto da Quentin, non riesco più a trovare un nesso tra Anthony e gli scopi di A. Smettetela di correre dietro a questa assurda teoria, A è la vittima non il carnefice. Sono le vittime che cercano vendetta ed Anthony non è la vittima di niente in questa storia.”

A quel punto, in lontananza, si videro i fari di un’auto che stava parcheggiando. Poco dopo arrivò Sam a piedi, dentro la sua pesante felpa nera e un cappello in testa.

“Ti ho chiamato, lo sai?” gli disse Nathaniel, mentre era ancora a qualche passo da loro.

Sam, infreddolito, stringeva le sue braccia: “Sì, avevo la vibrazione…” rispose distaccato, quasi apatico nei loro confronti e della situazione.

“La vibrazione? – ripetè esterreffatto – Sam, lo sai che stasera dobbiamo seppellire un cadavere, vero?”

“Evviva! – esultò forzatamente, sollevando le sopracciglia – Ora sì che mi sento come un personaggio di How to get away with murder.”

Nathaniel restò per qualche secondo a fissarlo, come se percepisse qualcosa di diverso in lui. Tuttavia, non cercò di indagare.

“Senti, Sam, dillo anche tu a loro che Anthony non può essere A.”

Quello si voltò immediatamente verso gli altri due, stufo: “Ancora? Nat non vi ha detto quello che Quentin ci ha raccontato? Non può essere lui, non avrebbe senso.”

“E tu hai letto i messaggi che ti ho mandato?” replicò Eric.

“Sì, li ho letti mentre venivo qui. Me lo sentivo che Brakner non sarebbe stato arrestato. Siamo stati dei pazzi a pensare che ce l’avremmo fatta così facilmente.”

“Quindi Brakner è A? – ribadì Nolan, cercando conferma negli occhi di ognuno di loro – Sospettiamo di nuovo lui?”

“O è lui o è qualcun altro che è finito anch’essi in quel bosco… - pensò Nathaniel – In ogni caso, il messaggio ricevuto da Eric dice che presto A si rivelerà a noi.”

“Il segreto rivelato da Quentin era il numero trentanove nell’archivio di Rosewood riservato, no? – ricordò Sam – Questo significa che prima di lui, altre trentotto persone hanno rivelato ad Anthony un segreto su qualcuno e che probabilmente…sono tutti finiti in quel bosco.”

Nathaniel deglutì a fatica, turbato: “Questo vuol dire che se A non è Brakner, potrebbe essere uno tra quei trentotto. E non sappiano nemmeno se Rosewood riservato si fermi a trentanove segreti.”

Nolan, allora, sentì di dover fare un appunto: “Un secondo, se A è tra una di questi trentanove persone, allora anche Quentin è un sospettato.”

“No, non credo proprio. – intervenì immediatamente Sam, convinto del contrario – Ha un ragazzo adesso ed è libero di essere se stesso. Si è lasciato questa storia alle spalle, non è un folle in cerca di vendetta.”

“Beh, se iniziamo a scartare così i nostri sospettati, siamo proprio a cavallo!” esclamò Eric seccato, voltandosi dall’altra parte.

Sam lo fissò subito storto per quel commento, mentre Nathaniel era giunto all’esasperazione.

“Ragazzi, è inutile continuare a cercare di cavare un ragno dal buco. Non abbiamo accesso alla cartella Rosewood riservato e non sappiamo quali nomi possa contenere. Piuttosto, credo di sapere a cosa si riferisca A con il fatto che presto si rivelerà a noi. Domani Jasper verrà processato e per noi è finita.”

Tutti si ricordarono dell’udienza all’improvviso, che tra una cosa è l’altra, avevano dimenticato. I loro sguardi si abbassarono e la luce nei loro occhi si spense in un attimo.

“Che cosa ci accadrà quando Jasper dirà tutto?” domandò Eric, terrorizzato.

“Beh, ci interrogheranno come prima cosa. – spiegò Sam – Poi crolleremo e a quel punto non lo so.”

Nathaniel alzò lo sguardo per primo, arreso: “Io mi sento sollevato, forse…”

“Che vuoi dire?” non capì Nolan.

“Sì, sono stanco di lottare contro qualcosa che sembra non avere una fine. Sono stanco di dover fare tutto quello che dice A, perchè possiede uno stupido filmato su di noi e che usa per ricattarci. Sono stanco di avere paura continuamente e non voglio mai più vedere un cadavere. – fissò i suoi amici, uno ad uno - Se il gioco finisce adesso, sarà meglio per noi. Potrebbe anche finire peggio se tutto questo va avanti.”

Sam, che lo aveva ascoltato assorto nelle sue parole, si sentiva in pena: “Ha ragione, non ce la faccio più nemmeno io. Che ci arrestino o facciano quello che vogliono, l’importante è che tutto questo finisca.”

Nolan si limitò solo a sospirare, abbassando la testa. Eric, però, non riusciva ad accettare quella fine.

“E se fuggissimo? – propose, destabilizzando tutti – Io non voglio andare in prigione, non me lo merito. E le nostre famiglie preferibbero saperci liberi da qualche parte che dietro le sbarre. Io non voglio arrendermi così.”

“Ma le nostre famiglie non sapranno mai la verità.” replicò Sam con gli occhi lucidi.

“Prima di domani, dovremmo registrare qualcosa. Ognuno di noi. Un filmato dove spieghiamo alle nostre famiglie tutto quello che ci è successo e perché siamo andati via. – spiegò Eric, cercando di convincerli con uno sguardo - Capiranno! Rischiamo fino a quindici anni di galera nella migliore delle ipotesi, ok? E io non voglio che mio padre, mia madre e la mia ragazza parlino con me attraverso un fottuto vetro.”

“Mio padre non lo sopporterebbe. – una lacrima solcò il viso di Sam – Non era questo il progetto che aveva per me.”

“Quindi A vince? – sottolineò Nathaniel, che non accettava la cosa – Pensavamo di poterlo battere al suo stesso gioco, invece ci ha rovinato la vita per sempre.”

Tra lo sconforto generale, Nolan prese parola con molta foga: “Non è A che ha rovinato le vostre vite. – usò un tono di rimprovero - E’ stato Anthony a rovinarvela e siete ancora qui a dare la colpa a qualcuno che si fa giustizia privata.”

Tutti lo fissarono, sentendosi quasi attaccati.

Eric prese parola per primo, abbastanza perplesso: “Le vostre? Guarda che ci sei in mezzo anche tu.”

“E’ lo stesso, ok? – tentennò Nolan, cercando di recuperare – Quello che voglio dire è che dovremmo smetterla di attribuire la colpa alle persone sbagliate. Se un padre abbandona un figlio, la colpa non è del vicino di casa: è del padre! – quelli restarono a fissarlo, incupiti e confusi – Mentre noi stiamo dando la colpa al vicino di casa, senza ammettere che non siamo santi e che noi abbiamo acconsentito che tutto questo accadesse. Eravate amici di Anthony e quella sera eravate con lui ad aiutarlo. Non dimenticatelo.”

“Rider, smettila di parlare con noi come se non facessi parte del gruppo. – replicò Nathaniel - E’ vero che ci siamo scavati la fossa da soli, ma non meritiamo quello che stiamo passando. A è un assassino e un terrorista…E con la giustizia privata è andato decisamente oltre e non merita una buona parola da parte nostra. Ma soprattutto da parte tua, che l’hai sempre odiato.”

“Già, fra noi sei quello che lo odia di più...” si accodò Sam.

Nonostante fosse in difficoltà per aver smesso di essere Rider per qualche secondo, Nolan non si lasciò scoprire e tornò a recitare con sicurezza: “Non diciamo sciocchezze, odiamo tutti A allo stesso modo. Dico solo che non ci siamo finiti per caso nel bersaglio di questo folle.”

Improvvisamente, il telefono di Nolan vibrò sul tavolo di legno. Solo il suo. Dopo essersi guardato con gli altri, lo recuperò e lesse il messaggio che aveva appena ricevuto.

“Chi è?” gli domandò Eric.

Quello alzò lo sguardo e finalmente rispose: “E’ A…Dice che è ora di scavare nella foresta!”

“La foresta che circonda Rosewood o un’altra foresta?” fu il turno di Sam.

“No, di Rosewood.”

Nathaniel restò perplesso: “Tutto qui? Da che direzione dobbiamo entrare?”

“Ha lasciato delle coordinate, le inserisco nel telefono.”

I quattro si guardarono ancora una volta, turbati per ciò che stava per avvenire. Subito dopo si diressero alla macchina.”

 

 

*

 

Lasciata la macchina all’ingresso della foresta, i quattro camminarono a lungo, guidati da Nolan che controllava il telefono. La luna filtrava attraverso le foglie degli alberi e il bubolare dei gufi rimbombava ovunque, rendendo quella notte cupa e fredda.

“Credo che siamo vicini…” fece sapere quest’ultimo, con lo sguardo incollato sul telefono.

Gli altri tre notarono qualcosa non molto lontano da loro e alzarono il passo.

“Metti via il telefono, non serve più.” Nathaniel gli toccò la spalla, mentre lo superavano.

Davanti a loro, quattro pale incastrate nel terreno. In fila.

Giunti fino ad esse, ognuno prese la sua. Confusi, si guardarono intorno.

“Non capisco, che dovremmo fare? – si domandò Sam - Cercare il corpo?”

“Forse è qui vicino, no?” pensò Eric.

Intanto Nathaniel aveva girato la sua pala e trovato un biglietto: “Ragazzi, un messaggio di A!”

I tre si strinsero attorno a lui.

“Che dice?” chiese Nolan.

Quello lo lesse: “Seguite l’origine del segnale il più in fretta possibile. Non avrete molto tempo per seppellirlo, a meno che…”  d’un tratto si fermò, ritraendo il collo in una smorfia confusa.

Gli occhi rimasero puntati su di lui, i tre erano impazienti di sapere cos’altro dicesse il biglietto.

“Nat? A meno che, cosa?” lo chiamò Sam.

Finalmente continuò, alzando lo sguardo: “A meno che gli abitanti di Rosewood non siano sordi e ciechi.”

“Eh? – strinse gli occhi Eric – Che diavolo vuol dire?”

“Sto iniziando seriamente ad entrare nel panico!” esclamò Sam, guardandosi attorno, stringendo la pala nervosamente.

“Ha scritto qualcosa sul segnale?” si intromise Nolan, chiedendo a Nathaniel.

“Rider, ho letto quello che c’è scritto. – si alterò, isterico - Non dice nulla!”

Improvvisamente furono investiti da un boato: un fuoco d’artificio esplose nel cielo.

I quattro trasalirono, sgranando gli occhi. Persino Nolan.

“Ma è pazzo?” urlò Sam, incredulo.

“E’ solo uno, vero? Forse non l’ha sentito nessuno.” deglutì con fatica Eric, in preda all’ansia.

Dal suolo si alzarono altri fuochi, uno dietro l’altro, rumorosi.

Nathaniel iniziò a correre, incitando gli altri a fare lo stesso: “Sbrighiamoci, siamo alle spalle della città, la polizia verrà a controllare!”

Quelli lo seguirono a ruota, spaventati a morte.

 

                                                     *            

 

Dei sassolini colpivano il vetro di una finestra in maniera incessante, davanti a casa Stuart. Era quella della camera di Lindsey, che dormiva profondamente.

Ad un certo punto, però, quella aprì gli occhi, accorgendosi dei colpi contro il vetro. Immediatamente sollevò le coperte e corse davanti alla finestra. Non le ci volle molto a capire chi era l’autore di tale disturbo, dal momento che era in piedi sul marciapiedi e in bella vista: si trattava di Brakner, che le faceva cenno di scendere.

Qualche secondo più tardi, Lindsey uscì da casa sua, in allerta, indossando un lungo giacchetto di lana che stingeva al petto per il freddo.

“Che ci fai qui a quest’ora?” gli domandò, guardando continuamente la sua abitazione e il vicinato per paura che qualcuno si svegliasse.

“Te l’ho detto che dovevo parlarti, ma avevo dei compiti da correggere e mia sorella è venuta a cena da me con suo marito.”

Quella, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, ribadì: “Ok, lo so che dovevi parlarmi, ma è mezzanotte passata! Non puoi aspettare fino a domani? – bisbigliò - Quando mio padre non c’è, mia madre diventa come immune ai sonniferi e ad ogni minimo rumore si sveglia.”

“Sono stato scortato fino in centrale oggi e c’era anche uno degli amici di tuo fratello!”

Confusa, Lindsey avanzò verso di lui: “In centrale? Cosa è successo?”

“La sua ragazza è convinta che io l’abbia investita con la macchina, voleva denunciarmi.”

“Ma chi, Alexis? Quella con i ciuffi blu?”

“Proprio lei!”

“Ma su che basi, scusa?”

“Farneticava sul fatto che la mia macchina fosse rossa e non blu. E che io l’avessi ricoperta di blu perché l’auto che l’aveva investita era rossa.” raccontò, nervoso.

Dubbiosa, quella non si fece scrupoli a chiedere conferma del contrario: “E tu non l’hai ricoperta di blu, giusto?”

Quello restò fisso a guardarla, come frenato, confuso, le pupille che si muovevano veloci: “…E’ una cosa strana, perché un giorno mi sono fermato ad osservare la mia auto e mi è sembrato come se non fosse la mia e poi invece era la mia, ma…”

Non seguendolo nelle sue parole, lo bloccò subito: “Julian, di che cavolo stai parlando?”

“Non ho fatto nulla alla mia auto, ok? E non ho investito quella ragazza. Sto solo dicendo che prima di ricevere quest’accusa, avevo come la sensazione di non essere dentro la mia auto anche se era identica alla mia. Ovviamente la mia era solo una sensazione, ma dopo questa vicenda penso che la mia auto sia stata scambiata e poi riscambiata nuovamente.”

“E’ assurdo quello che stai dicendo, chi farebbe mai una cosa simile?”

“Ehm, qualcuno che mi vorrebbe dietro alle sbarre? Magari questo era un avvertimento!”

“Un avvertimento per cosa?”

“Per noi! – urlò a bassa voce – Per noi due, che stiamo insieme.”

Quella rise, incredula: “Ma è ridicolo, cosa c’entra? – girovagò con lo sguardo - E abbassa la voce, per favore.”

“Sappiamo entrambi che tuo fratello mi odia e che sa di noi due. Vedere Eric in centrale mi ha fatto capire che c’è senz’altro lui dietro a tutto questo. Vogliono mettermi paura, proprio come faceva Anthony con quello sguardo che aveva ogni volta che lo incrociavamo a scuola.”

“Sei solo paranoico, mio fratello non è come Anthony.”

“E invece loro sono così, sono come lui o non sarebbero mai diventati suoi amici. Non hanno prove che noi due stiamo insieme, quindi cercano di farmela pagare in altri modi. Magari pensano che sia un maniaco e che ti costringa a venire con me contro la tua volontà.”

“Julian, non essere ridicolo. Credi che quella ragazza si sia messa sotto ad una macchina da sola per dare il via al piano diabolico di mio fratello per farti andare in prigione e salvarmi dal professore pedofilo? – rise nuovamente – E’ ridicolo anche solo pensarlo. E poi le prove potevano benissimo procurarsele, basta seguirmi quando vengo a casa tua.”

L’altro però fu serio e categorico: “Ascolta, tuo fratello non macchierebbe mai la tua immagine. Se ci denunciasse, diventeresti la puttanella di Rosewood che se la fa con i professori, ok? Perciò è me che vuole togliere di mezzo, solo me! – ribadì, sempre più agitato – Ho già rischiato di finire in un grande casino quando abbiamo incontrato Albert quella sera e poi è misteriosamente scomparso per riapparire come cadavere. Potevamo essere i sospettati numero uno anche dell’omicidio di Anthony, ma un’altra persona è stata arrestata e noi sappiamo che in realtà è innocente perché abbiamo visto quel Jasper, poco prima che andassimo da Albert, entrare in quel locale gay. Ci siamo praticamente passati accanto con l’auto e lo ricordiamo perfettamente.”

“Mi sento in colpa anch’io per quello, ma dovevamo proteggerci.”


“Beh, io non posso continuare a rischiare. Con Albert stavamo per usare quei video per placare Anthony e la storia non può ripetersi di nuovo. Non posso combattere anche con i suoi amici per salvare ancora una volta la nostra relazione. E’ finita, Lindsey!” concluse, facendo il giro della macchina per entravi.

Quella cercò di corrergli dietro, gli occhi gonfi di lacrime: “Davvero mi stai lasciando? – cercò di trattenere il pianto, continuando a guardare verso la sua abitazione – Avevi detto di amarmi!”

Con la portiera aperta, Julian rimase impalato e irremovibile: “Mi dispiace, ma non c’è futuro per noi adesso. Sono successe troppe cose.”

Incredula, aveva il viso pieno di lacrime: “Tu per primo avevi detto che c’era futuro per noi due e che nulla ci avrebbe impedito di stare insieme. E ora ti tiri indietro per un equivoco?”

“Non è un equivoco! – si voltò – E’ un avvertimento, una minaccia. E se c’è dietro tuo fratello con i suoi amici malati, beh ci è riuscito a spaventarmi. – entrò in macchina – E ora me ne vado, addio!” e chiuse la portiera, mettendo in moto.

“No, aspetta! – Lindsey cercò di aprire la portiera, ma la macchina si mosse e non ci riuscì – Julian, aspetta!” urlò, per poi rendersi conto che aveva alzato la voce.

Dopo essersi guardata intorno, in lacrime, un boato la fece sussultare: dei fuochi d’artificio, dall’alto di Rosewood, nel bosco.

Inclinando la testa, strinse gli occhi, stranita da ciò: “Ma che…???”

E velocemente indietreggiò, pulendosi le lacrime con le maniche, rientrando di corsa in casa.

 

*

 

Giunti nel punto da dove partivano i fuochi, quelli avevano smesso di esplodere in cielo da qualche minuto. Era completamente buio, tant’è che i ragazzi usarono la luce dei telefoni per guardarsi intorno.

Improvvisamente, si accesero dei fari dall’alto: erano posizionati sopra tre alberi e illuminavano con molta intensità il suolo. I ragazzi alzarono un braccio davanti agli occhi, quasi accecati.

“Ma perché si comporta così?” urlò Sam, mentre gli altri erano sconcertati quanto lui.

Nathaniel abbassò lo sguardo prima degli altri, notando che intorno a loro c’erano quattro borsoni.

“Ragazzi, lasciate perdere i fari…”

Finalmente anche gli altri notarono i borsoni e i pensieri che passavano per la loro testa li lasciò agghiacciati.

“Non l’avra mica…” Eric sussurrò ciò che stava pensando con un filo di voce che tremava ad ogni parola.

Sam si portò una mano sulla bocca: “Oh mio Dio…”

Un altro biglietto era poggiato su uno dei borsoni e Nolan si chinò a prenderlo e leggerlo: “Prendete un borsone e seppellitelo l’uno distante dall’altro. Fate in fretta o i fuochi d’artificio non saranno l’unico spettacolo di questa notte.”

Nathaniel prese subito uno dei borsoni e corse via, senza nemmeno parlare con gli altri. Eric fu il secondo, molto rapidi.

“Sbrighiamoci, non oso immaginare cos’altro userà per attirare l’attenzione.”

Nolan e Sam si guardarono, rimasti soli, e presero i borsoni, iniziando a correre ognuno in una direzione diversa. I fari si spensero non appena si allontanarono: restò solo il buio.

Tra il panico, le lacrime e la disperazione, ognuno di loro scavò la propria buca senza nemmeno sapere dove fossero gli altri.

*

 

Intanto, Rider affrontava una nuova notte al Radley. Seduto davanti al computer portatile fornito da A, era a braccia conserte che aspettava una nuova mossa al gioco di scacchi. Le sue condizioni fisiche non erano delle migliori: volto pallido, dimagrito, lividi in vari punti del corpo per via delle lotte con gli infermieri. Era debole e provato.

Improvvisamente sgranò gli occhi quando fu il suo turno. Sapeva come fare a batterlo, così sfoderò la sua mossa e l’esito di essa pose fine alla partita: scacco matto. Vinse.

Nonostante fosse esausto, riuscì ad accennare un sorriso compiaciuto, chinandosi in avanti mentre lo schermo diventava nero.

Dopo qualche secondo, comparve il primo messaggio di A.

“Complimenti per la vittoria, non ero molto concentrato. Sono parecchio occupato a giocare con i tuoi amici in questo momento.”

“Che significa? Che stai facendo ai miei amici?”

“Se mai lascerai il Radley, lo scoprirai da loro. Non posso fornirti informazioni sul mondo esterno. Ora risquoti il tuo premio, chiedimi qualcosa che vuoi sapere sul tuo passato.”

“Chi è la donna con l’impermeabile rosso che ho visto con mio padre nella foto. L’ho trovata nella panic room.”

“Il suo nome è Joanna Smith, nata nel 1973.”

“Dovrebbe dirmi qualcosa? Ho vinto, voglio una risposta più soddisfacente!”

“E’ la madre di Albert.”

Rider sgranò gli occhi, incantando lo schermo per qualche secondo.

“Che ci fa la madre di Albert con mio padre?”

“Erano amanti, si sono conosciuti nel 1998. La foto che hai trovato nel mio covo, invece, risale al 2004: l’ultima volta che si sono visti.”

“Lei dov’è adesso?”

A ci mise qualche secondo prima di rispondere.

“lo scoprirai domani. Ti basta vincere nuovamente la partita.”

“No, devi dirmi di più. Che cosa significa tutto questo? Perché quella foto era nel tuo covo?”

 

Quello non rispose più e Rider chiuse il portatile con forza, tirando un pugno sul tavolo, furibondo.

“Maledetto!” borbottò, riprendendo fiato.

 

*

 

Fuori dalla casa al lago di Rider, Nathaniel ed Eric aspettavano con impazienza l’arrivo di qualcuno, contemplando l’oscurità.

“Perché Sam ci mette così tanto a mettere qualche vestito in un borsone?” pensò Nathaniel, guardando preoccupato l’orologio.

Eric cercò di restare calmo: “Vedrai che starà arrivando, non entriamo nel panico.”

“Troppo tardi, direi. –  gli lanciò uno sguardo cupo - Dopo i fuochi d’artificio e la sepoltura dei… pezzi, dubito di non essere ancora entrato nel panico.”

In piedi ad incantare l’acqua del lago, Eric era già nostalgico e soffrente: “…Ho fissato Alexis che dormiva per cinque minuti; in quei cinque minuti avrei potuto prendere più indumenti, ma avevo cinque minuti per fare solo una cosa.  E ho preferito guardarla.  – i suoi occhi si gonfiarono di lacrime – Non posso crederci che non la rivedrò mai più.”

Nathaniel gli mise una mano sulla spalla: “In qualche modo hai detto addio alla persona che più amavi. Io ho pensato solo a riempire il borsone ed effettivamente dovevo spendere quel tempo in un altro modo.”

“Vorrei che tutto questo non fosse mai accaduto. Abbiamo appena seppellito una persona fatta a pezzi e ancora non mi sembra vero. Scavavo, scavavo…scavavo il più in fretta possibile ed era come se non avessi più il controllo del mio corpo. – si voltò a guardare Nathaniel, provato – Come siamo arrivati a questo punto?”

“Non lo so…” scosse la testa, la voce rotta.

Improvvisamente furono illuminati dai fari dell’auto di Sam, che parcheggiò e poi scese.

“Ci hai fatti spaventare con questo ritardo. – si voltò a dirgli Nathaniel – Per un attimo ho pensato che avessi cambiato idea.”


Pallido e apatico, Sam si avvicinò con il suo borsone: “Rimanere qui da solo con A? No, grazie. Ne ho già abbastanza.”

“Rider è dentro che registra il suo videomessaggio alla famiglia.  – gli fece sapere Eric, quando si fermò davanti a loro – Io e Nathaniel abbiamo già fatto, manchi solo tu.”

“Non so se avrò il coraggio di raccontare a mio padre tutto quello che è successo. – gli lacrimarono gli occhi – La maggior parte delle cose sono torture e minacce contro di noi, ma ci sono piccole cose e decisioni che abbiamo preso, che…beh, mi viene solo da vomitare a doverle raccontare a lui. A mostrargli la persona che non pensava io fossi. – una lacrima gli scese lungo il viso – Un assissino!”

Eric gli mise una mano sulla spalla, cercando di alleviare la sua sofferenza: “Non siamo assassini, ok? Siamo solo vittime di un gioco crudele. Quella notte era Anthony alla guida, non noi. E il francese l’ha ucciso A e non noi.”

“Mi dispiace correggerti, ma il francese è entrato nelle nostre vite per colpa mia. – intervenì Nathaniel - Perciò l’ho ucciso io.”

“E Albert l’abbiamo portato noi fino a casa di Anthony, eravamo consapevoli di ciò che stavamo facendo.” continuò Sam, in lacrime.

“Albert era già morto, ragazzi.  – sottolineò Eric -  E noi eravamo terrorizzati.”

“Ok, ormai è inutile piangere sul latte versato. – Sam si asciugò le lacrime – Come facciamo con i soldi? Dovremmo pur mantenerci nei prossimi mesi, no?”

“Possiamo usare il bancomat, domattina. – suggerì Nathaniel - Uscendo ho preso qualche contante.”

“Quando Jasper racconterà tutto in tribunale e la polizia non ci troverà in città, useranno qualsiasi mezzo per localizzare i nostri spostamenti. E tutti i bancomat hanno le telecamere.” spiegò Eric.

“E se facessimo tappa da Julie? – propose Sam - Non solo ci aiuterà a procurarci quei soldi, ma anche dei documenti falsi.”

Intanto, mentre loro discutevano, Nolan era dentro a parlare al telefono e continuava a tenere d’occhio la porta d’ingresso socchiusa.

“Sono fuori, stanno parlando. – spiegò nervoso, facendo avanti e indietro – Vogliono fuggire da Rosewood!”

“Non devi andare contro le loro decisioni o capiranno che non sei Rider.” gli suggerì A, sempre con una voce camuffata.

“Ti prego, devi fare qualcosa. Mio padre tornerà qui per il mio compleanno e devo esserci. Devo parlare con lui.”

“Vai da loro o si insospettiranno.”

“Ti sto implorando, ok? Aiutami a non lasciare Rosewood, altrimenti…” lo sfidò, pentendosi quasi subito di aver fatto suonare quelle parole come una minaccia.

“Altrimenti, cosa? Tu non conosci la mia vera identità.”

“Ti chiedo scusa… - deglutì – Senti, aiutami. Se fuggiamo, non potrai più trovarci e loro non mi faranno usare il telefono, ci rintraccerebbe la polizia. E’ davvero questo che vuoi?”

“Vai da loro, ho detto. So quello che devo fare.” chiuse la chiamata in tronco.

Gli altri entrarono e lui mise subito via il telefono, comportandosi normalmente.

 

“Tutto bene? – gli chiese Eric – E’ stato difficile?”

Nolan stringeva tra le sue mani un cd: “Come per tutti, credo. Il mio videomessaggio è qui dentro. – si rivolse a Sam – Manca solo il tuo, la telecamera è al piano superiore.”

Sam guardò tutti, prima di avviarsi verso le scale: “Bene, allora vado. Prima faccio questa cosa e prima mi sentirò meglio. – sogghignò, rendendosi conto che aveva scelto la parola sbagliata – Meglio è un eufemismo. Forse, meno peggio è l’espressione più adatta.” e andò.

Nathaniel avanzò di qualche passo verso Nolan, subito dopo: “Come abbiamo intenzione di far arrivare questi cd alle nostre famiglie?”

“Le lasciamo nella cassetta delle lettere, no?”

“E quando? – domandò Eric – Forse dovremmo partire adesso.”

“Esattamente, quando verrà portato in tribunale Jasper?” ribattè Nolan.

“Sam ha detto che lo porteranno lì tra le due e le tre del pomeriggio.” ricordò Nathaniel.

“Forse dovremmo partire domattina, fingere di andare a scuola e poi sparire. – spiegò Nolan, dopo aver riflettuto - Se fuggiamo adesso, i nostri genitori andrebbero subito dalla polizia.”

“Già, ha ragione. – Eric fu d’accordo – Anche se avremo meno vantaggio. Dite che riusciremo a lasciare questo stato per le due del pomeriggio?”

Nathaniel scosse la testa, dubbioso e preoccupato: “Non ne ho idea, non ho mai lasciato la Pennsylvania in auto.”

I tre si guardarono, tra paure e incertezze. Nessuno aveva idea di cosa li attendesse.

 

*

 

Più tardi, Sam era ancora chiuso in una delle stanze al piano di sopra. Il treppiedi con sopra la telecamera puntava lui che era seduto su una sedia, in lacrime.

Quelle lacrime furono udite da Nathaniel, nel corridoio, che si avvicinò alla porta socchiusa per ascoltare. Sam stava ancora registrando, ma non più per suo padre.

“…Avrei voluto parlartene stasera, ma non pensavo che sarei dovuto andare via all’improvviso. Non so se sarei riuscito a spiegarti tutto questo, ma voglio che tu capisca perché ero strano e perché non riuscivo a rispondere alle tue domande. Sicuramente sarebbe stato più facile dirlo a te che a mio padre, ma non volevo coinvolgerti.”

Con l’orecchio attaccato alla porta, Nathaniel strinse gli occhi e cercò di capire a chi si stesse rivolgendo.

“Mi avrebbe fatto stare bene, poterlo dire a qualcuno. Dirlo ad un adulto e poter respirare un secondo, sentirmi protetto. Perché stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che ormai non provavo da tempo, Wesam.”

Nathaniel sgranò gli occhi al pronunciare di quel nome, immaginando a cosa potesse essere accaduto tra lui e Sam. La sua espressione lasciò trasparire incredulità e gelosia e decise di non ascoltare più nulla, allontanandosi.

 

*

 

Il giorno dopo, a casa di Nathaniel, sua madre camminava avanti e indietro per la cucina. Si mangiava l’unghia del pollice, ansiosa.

“Claire, che succede? – entrò Courtney affannata, poggiando la borsa – E’ esploso il tuo salone?”

“Ma no, che dici!” esclamò in una smorfia esagerata.

“Scusa, è che dopo l’esplosione della scuola di Nathaniel immagino che tutto possa esplodere. – iniziò a parlare in maniera logorroica - L’altro giorno guardavo la tv e improvvisamente ha iniziato a fare un rumore strano, hai presente quando strisci la carta di credito dentro quella scatoletta nera che ti detrae i soldi che hai guadagnato duramente ma che per un paio di Gucci capisci che è stato un sacrificio necessario? Beh, immagina che quella carta di credito sia ruvida, molto ruvida, come il granito, e se la farai striciare dentro quel coso, il rumore che ho sentito sarà esattamente quello! – alzò il dito, per marcare il concetto – Sembrava che stesse per esplodere, lo giuro.”

Claire, frastornata, la fermò: “Courtney, taci un secondo! Il mio salone non è esploso, ok?”

Quella controllò l’orologio: “Allora che ci fai ancora a casa? Sono le dieci passate.”

Il suo viso si incupì: “Ho un problema!”

“Sarà meglio per te che non sia la menopausa, ok? Io e Pete stavamo scegliendo una SPA in cui passare il weekend e ho cose più importanti da fare che venire qui a combattere con te una battaglia che non puoi vincere. Sei vecchia, accettalo!”

“Grazie per avermi dato della vecchia, ma non è la menopausa!” esclamò irritata, avvicinandosi ad un cassetto.

“Sempre detto che alla tua età vorrei arrivare così… - rise istericamente, cercando di riparare. -  Darei l’anima, giuro!”

Claire si mise davanti a lei con un foglio in mano: “Chiudi quella bocca straparlante e guarda questa cosa…”

Lo girò, mostrando le foto di Nathaniel con Sam e il messaggio minaccioso. Courtney sgranò gli occhi, prendendo il foglio dalle sue mani per guardare meglio.

“Ma questo è l’amico secco di Nathaniel…”

“E’ questo che ti colpisce maggiormente?”

“Eh? – fissò sua sorella, che le fece cenno di guardare l’altro ragazzo – Aspetta, ma questo è Nathaniel. – constatò rilassata, per poi sussultare incredula – OH MIO DIO, si baciano! E vanno anche su quelle biciclette a due posti come i vecchietti delle sitcom…”

“Courtney, leggi il messaggio!” esclamò sua sorella, esasperata.

Quella, moderando la sua reazione, lesse tutto d’un fiato: “…quindi se non dai a questa persona tutti quei soldi, metterà in giro le foto di Nathaniel e il secco?”

“Già! E ora che cosa devo fare?”

“Sul serio mi stai facendo questa domanda? – le lanciò un occhiataccia – Le tue clienti avranno sicuramente un nipote gay, una sorella gay…persino un nonno gay! Siamo nel ventunesimo secolo, queste cosa non è più un problema, Claire. Il mondo si è evoluto. Credimi, nessuno giudicherà Nathaniel e nemmeno la tua famiglia.”

“Tu lo sapevi?”

“No, ma lo sospettavo. Comunque devi stare tranquilla, questo tizio anonimo è un vigliacco. Quando vedrà che te ne sei altamente fregata, capirà che ha a che fare con una mamma più tosta di quanto pensasse e lascerà perdere. Una badass, per la precisione!”

Claire si voltò, camminando verso la finestra sopra il lavandino, ancora turbata: “E se alla fine lo facesse ugualmente? Potrei procurarmeli quei soldi.”

“NO! – si avvicinò alle sue spalle – Non si cede ad un bullo, Claire. Quando vedrà che hai abboccato così facilmente, ti chiederà altri soldi.”

Nonostante questo avvertimento, restò girata a fissare l’albero in giardino, pensierosa: “Devo farlo…”

Courtney la voltò: “Perché non mi ascolti? Sembra che tu abbia davvero paura. Ti facevo più dura di corazza!”

“Non ho paura per me o per Nathaniel. Ho paura per George.”

“Cos’è, tuo marito è omofobo per caso? – rise, per poi smettere quando vide che la donna non batteva ciglio in merito – Aspetta un secondo, George è omofobo?”

“No no, non lo è… - abbassò lo sguardo, timorosa di rivelarle qualcosa – Cioè, c’è questo episodio che mi raccontò dopo che ci siamo sposati. Una cosa che lo tormentava molto.”

“Di che si tratta?”

“Quando George andava al liceo, c’era questo suo compagno di scuola che si chiamava Geremia. Di indole, George era un ragazzo molto buono nonostante fosse tra i più popolari della scuola e giocasse a football. Quando Geremia fece amicizia con lui, andava spesso a casa sua e giocavano insieme. – spiegò – George, però, non si accorse che per Geremia era diventato molto di più che un amico.”

“Questo Geremia era gay?”


“Provava dei sentimenti per lui, si. Poi un giorno, all’angolo del cinema, Geremia lo baciò e poco prima che George potesse scansarlo, i suoi amici della squadra li videro e li derisero. Geremia scappò, mentre George restò lì a spiegare, imbarazzato, che era stato Geremia a baciarlo all’improvviso. Ben presto, i rapporti tra George e Geremia si congelarono e gli amici di George non li credettero, continuando a prenderlo in giro. A quel punto, George raggiunse il limite di sopportazione e per dimostrare ai suoi amici che lui non era come Geremia, fece una brutta cosa.”

Courtney rabbrividì, turbata da quel racconto così triste e che sembrava aver avuto un epilogo poco felice: “Non riesco ad immaginare cosa può aver fatto George. Spero non quello che penso, altrimenti non capisco perché tu non me l’abbia mai accennato.”

“E’ una cosa che mi ha chiesto di non dirti, perché se ne vergogna. – le tremò la voce - Dopo quella vicenda, George scrisse sulle vetrine della libreria del padre di Geremia la frase figlio omosessuale. Lo scrisse con la vernice, in grande: affinchè potessero vederlo tutti. – chiuse gli occhi, inorridita – Negli anni settanta puoi ben immaginare quanta vergogna potesse provare una famiglia nel trovare una scritta del genere con la gente che parla. L’unico a pagare il prezzo di essere ciò che era fu Geremia, che scomparve e non tornò mai più a casa per non dover guardare sua madre e suo padre negli occhi.” una lacrima le scese dal viso, in conclusione.

“Mio Dio, povero Geremia…” pensò Courtney con una mano davanti alla bocca e l’espressione mortificata.

“Per questo George negli anni ha avuto problemi di alcolismo. Questa storia l’ha seguito per quasi tutta la vita in quanto si sente responsabile della sua scomparsa e del dolore che ha recato a quella famiglia.”

“E il gioco d’azzardo?”

“Geremia voleva girare il mondo e diceva sempre che se avesse vinto un sacco di soldi l’avrebbe fatto… Ogni cosa è correlata a Geremia e, nonostante George ne sia uscito grazie alla riabilitazione e a delle sedute di psicoanalisi, l’anniversario della sua scomparsa non gli da tregua e io sono ancora preoccupata.”

Courtney le prese le mani, cercando di starle vicina: “Che vuoi dire, che George è di nuovo ricaduto in…”

“Non lo so, fa tardi tutte le sere. Una volta ho chiamato Jamie, il nuovo assistente manager di cui ti parlai, e mi disse che avevano chiuso il ristorante da un pezzo. Altre volte mi faceva notare che George aveva dei problemi con gli incassi e che non si trovava con i conti.”

“Temi che abbia ripreso a bere e a giocare?”

Quella aveva gli occhi lucidi ed era abbastanza sofferente: “Non ne ho idea, ma se questo tizio anonimo tappezzasse davvero tutta la città con foto di Nathaniel e quel ragazzo, aprirebbe del tutto quella ferita che George non ha mai ricucito. Inoltre vedrebbe Geremia in Nathaniel e la cosa lo devasterebbe perché non si è ancora perdonato per ciò che gli ha fatto. – scoppiò a piangere – Temo che possa cadere in un buco nero senza ritorno e non voglio perdere mio marito.”

In quel momento di sconforto, Claire venne subito abbracciata dalla sorella, che cercò di consolarla: “Ti aiuto io per i soldi, ok? E se ne chiederà ancora, avvertiremo la polizia.”

Tra le lacrime, quella annuì: “D’accordo, grazie…”

 

*

 

Alla casa al lago, i quattro si trovavano ancora all’interno dell’abitazione. Sam dormiva ancora e quanto si girò verso il comodino, aprì finalmente gli occhi.

Quando la vista fu più nitida, notò che sul bicchiere di vetro, con dentro un po’ d’acqua, era attaccato un post-it giallo.

 

“Ti ricordi l’ultima volta che hai bevuto la mia acqua?”

-A

 

Sam sussultò all’istante non appena realizzò il messaggio, toccandosi le labbra spaventato; l’ultima volta era stato drogato nello stesso modo e A aveva incollato le sue labbra con la colla a fissaggio rapido.

Sollevato dal fatto che ciò non era avvenuto nuovamente, Sam sollevò le coperte e si fiondò immediatamente al piano di sotto, dove sentiva delle voci. Dopo qualche scalino, però, gli sembrò di scendere nell’oscurita.

“Ma che succede? - si guardò attorno, le finestre completamente sigillate - Perché qui sotto è buio?” domandò, sperando di essere raggiunto dai suoi amici e avere una spiegazione.

Di ritorno dalle altre stanze, Sam potè individuarli grazie a fili di luce che riuscivano a penetrare in casa da alcune fessure. Fu Eric a rispondergli per primo.

A ha bloccato porte e finestre con assi di legno e chiodi!” esclamò incredulo e sconvolto.

“Anche la porta d’ingresso?” 

Nathaniel si avvicinò lentamente alla porta, guardandosi con i suoi amici e poi la aprì: anche quella era chiusa dalle assi di legno, ma sopra c’era una scritta in rosso.

 

“Volevate lasciare Rosewood senza il mio permesso? Pensavo che mi conosceste ormai…”

-A

 

Nolan, che era dietro di loro, sorrise con un angolo della bocca e quando quelli si voltarono scioccati, riprese la recita.

“Quindi ci ha drogati?” chiese, fingendosi sconvolto quanto loro.

“Si, in camera mi ha lasciato un messaggio dove mi ha ricordato l’ultima volta che l’ha fatto. Quando mi ha incollato le labbra.”

Eric sgranò leggermente gli occhi: “Ha messo qualcosa nell’acqua che c’era in frigo?”

Sam annuì, mentre Nathaniel si preoccupava di altro: “Oh mio Dio, che ore sono?”

Controllando sul suo orologio da polso, Eric spalancò la bocca: “Ma è l’una passata, abbiamo dormito per più di dieci ore!”

“L’una passata? – ripetè Nathaniel – Ma l’udienza di Jasper è fra meno di un ora! – spostò lo sguardo fra i tre – E’ finita, ragazzi. Ora dovremo spiegare ogni cosa che uscirà dalla sua bocca e verrà fuori anche l’omicidio di Edward se A darà il suo contributo per il gran finale. Già immagino A impacchettare l’album di fotografie con noi che scaviamo nel bosco per seppellire i pezzi di Edward!”

Eric si mise le mani nei capelli, sospirando, mentre Nolan cercava di forzare qualcosa che tanto non era più fattibile.

“Possiamo ancora scappare, saremo già abbastanza lontani in un ora.”

“Dobbiamo lasciare i filmati con le nostre confessioni ai nostri genitori e poi ritrovarci per lasciare Rosewood con una sola macchina: non c’è tempo di fare entrambe le cose e io non me ne vado senza che mio padre sappia la verità.” spiegò Sam, categorico sulla sua posizione.

Data la realtà dei fatti, lo sconforto cadde sul gruppo. Eric si allontanò verso una parete, incapace di mandare giù quel boccone.

“Non ci sto credendo, mi riufiuto.”

“Dobbiamo uscire di qui… - suggerì Nathaniel, fissando un appendiabiti di legno – Aiutatemi con questo, usiamolo per sfondare le assi.”

I tre lo aiutarono e misero l’appendiabiti in orizzontale. Insieme colpirono più volte le assi con esso, finchè esse non si spezzarono. A quel punto, per Nathaniel fu facile rimuoverle completamente con i calci e le mani. Pochi minuti dopo erano fuori.

 

 

*

 

Intanto a Philadelphia, gli agenti stavano scortando Jasper Laughlin fuori dal penitenziario. Come ogni detenuto, Jasper aveva catene a mani e piedi.

Il furgone che ormai lo ospitava, percorreva l’autostrada diretta per Rosewood. Qualche kilometro dopo, però, si fermò bruscamente. Jasper, spaventato, non capì cosa stesse succedendo e iniziò a battere contro il divisorio, urlando.

“Ehi? Che sta succedendo?”

Delle urla lo fecero agitare ancora di più, erano quelle del conducente.

“La prego, mi risponda! Che succede?”

Ma non ricevette nessuna risposta, solo un improvviso silenzio. Un altro rumore proveniente dal retro del furgone, poi, lo fece voltare: le porte si aprirono di colpo.

“E tu chi sei?” sgranò gli occhi, indietreggiando nel vedere qualcuno davanti a lui.

 

 

*

 

Sfidando la sorte, i quattro ragazzi si parcheggiarono poco lontani dal tribunale. Tenevano d’occhio la situazione: il momento dell’udienza era arrivato.

“Non riesco a credere che stia per succedere davvero…” disse Eric, seduto avanti con Nathaniel.

Tutti fissavano il trubunale in maniera imbalsamata, mentre Nolan aveva in mano i cd delle videoconfessioni e qualcosa non quadrava.

“Perché ci sono cinque cd? – trovò strano - Non abbiamo fatto una confessione ciascuno?”

Sam lanciò un piccolo colpo di tosse, recuperandoli dalle sue mani: “Due sono miei! Una è per mio padre e l’altro per…Chloe!” esclamò sudando, lo sguardo basso.

Nathaniel lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore e sapeva che stava mentendo.

“E le hai detto tutto quanto? Non siete nemmeno più amici.”

“La nostra amicizia si è spezzata a causa di A, ok? – replicò isterico - Quindi mi sembrava giusto dirle qualcosa, ma tanto ora non serve più.”

“Almeno A ci ha lasciato le nostre videoconfessioni. – pensò Eric - Pensavo le avesse rubate.”

“Tanto ha già abbastanza materiale per incastrarci.” aggiunse Nathaniel.

“Materiale che non ha mai utilizzato. – sottolineò Sam – Ci siamo incastrati da soli, raccontando a Jasper molte cose. E ora dirà tutto.”

“Ehm… in verità siete tu e Nathaniel che avete incastrato l’intero gruppo. – precisò Nolan, ricevendo un’occhiataccia – Beh, è colpa vostra. Però non fa niente, vi ho già perdonati per quello.”

Sam e Nathaniel continuarono a fissare Nolan, mentre Eric notava un certo fermento di fronte al tribunale: c’era la polizia e anche la stampa.

“Ragazzi, sta succedendo qualcosa.”

Quelli si voltarono tutti a guardare.

“Mi sembra un po’ presto per la stampa. – Sam guardò l’orario sul telefono – Jasper non è ancora arrivato e… - tornò a guardare verso il tribunale, stranito dalla situazione – La polizia sta cercando di sfuggire alla stampa o sbaglio?”

“Che diavolo sta succedendo? – stranì Nathaniel - Se ne vanno?”

Improvvisamente, vibrarono tutti i loro telefoni. La loro confusione stava per essere chiarita.

Aperto il messaggio, comparve immediatamente una foto: mostrava Jasper dentro il bagagliaio di una macchina con il nastro adesivo alla bocca.

Sam sgranò gli occhi: “Oh mio Dio…”

Subito dopo, sopraggiunse il messaggio.

 

“Jasper ora è mio. L’avete fatto accadere voi.”

-A

 

Nathaniel era a dir poco incredulo: “Ma come ha fatto a sottrarlo alla polizia?”

“Secondo voi lo ucciderà come ha fatto con Edward?” impallidì Eric.

“Non posso affrontare un nuovo cadavere.” pensò Sam, sconvolto.

“Ragazzi, dobbiamo andarcene da qui. - suggerì Nolan - Ormai non dobbiamo più scappare, A ci ha dato più tempo.”

Eric si voltò verso di lui: “Tempo per cosa?”

“Ehm, non lo so. Però ci ha salvati, Jasper avrebbe confessato tutto.”

“Ci ha salvati da una gabbia più piccola, ma siamo ancora in trappola. – aggiunse Sam – Dobbiamo fare qualcosa, come mettiamo fine a tutto questo?”

 

 

*

 

Rider, chiuso nella sua stanza, stava ascoltando le conversazioni che avvenivano in casa sua attraverso le bambole. Riusciva ad udire solo qualcuno che piangeva: sua sorella.

Improvvisamente, poi, sentì una porta aprirsi e una seconda voce.

“Ehi, ma che ti è successo? Stai da schifo.”

In quel momento Rider strizzò gli occhi, non capendo chi fosse. Solo dopo qualche secondo ci arrivò.

“Aspetta, ma questa è voce di Chloe!” esclamò, attaccando la bambola all’orecchio per sentire meglio.

“Julian mi ha lasciata, non sapevo chi chiamare.” singhiozzava Lindsey.

“Ti ha lasciata? Perché?”

Rider restò perplesso: “L’ha detto a Chloe?”

“L’hai letto il messaggio che ti ho mandato, no?” continuò Lindsey.

“Si, che ieri Brakner è stato chiamato dalla polizia per via di quella ragazza.”

“Pensa che sia tutta opera di mio fratello e i suoi amici, ma non è così.”

“Che vuoi dire?” chiese Chloe.

Rider ascoltava con una smorfia confusa in volto.

“Mi ha detto che siccome Rider non vuole rovinarmi, ha deciso di trovare un altro modo per farlo allontanare da me. La ragazza di Eric insinuava che l’avesse investita lui e che avesse rivestito la macchina di un altro colore per non farsi scoprire. Solo che la polizia ha controllato e non c’era nulla di strano. Julian pensa che sia un avvertimento e ha avuto paura. – pianse – Tu lo sai che quella notte eravamo con Albert, perciò Julian ha costantemente paura della polizia.”

“Lo so, lo so perfettamente, ma…la fidanzata di Eric è per caso impazzita? Perché prestarsi ad una presa in giro del genere?”

Lindsey passò ad un tono serio, quasi inquisitorio: “Conosco mio fratello: malgrado non accettasse la mia relazione, non l’avrebbe mai minacciata. Non l’ha fatto quando era in vita Anthony, figurati ora. E’ quella Alexis che ha lanciato il sasso!”

“Che vorresti dire?”

A come Alexis, non ti dice nulla? Ricevo questa busta da A con dentro un vestito da neonato e Rider è presente. Rider crede che io sia incinta e quindi cerca di dividerci: questo voleva inculcarmi A! Voleva farmi credere che Rider avesse convinto Eric e la sua ragazza a mettere su questa recita, ma in realtà è lei!”

Rider sgranò gli occhi, non capiva più nulla: “Ma che sta succedendo? Come sanno di A?”

“Che sappiamo di Alexis?” domandò Chloe, dopo averci riflettuto.

“Non lo so, non l’ho mai vista prima che si mettesse con Eric. Una cosa è certa: è molto più grande di noi e potrebbe essere pericolosa.”

“Credi sia una parente di Albert? Nemmeno io l’ho mai vista.”

“Credo? – ripetè con tono enfatico – Sai benissimo chi sono, Chloe. A malapena sapevo che esistesse, figurati sapere qualcosa di lui. Io e Albert abbiamo parlato per la prima volta nel giorno in cui ha trovato quel video fatto dai ragazzi in quella classe.”

Improvvisamente, Rider sentì qualcuno avvicinarsi alla porta della sua stanza e mise subito via le bambole, tornando a letto.

L’infermiera entrò, facendogli cenno di alzarsi: “Vieni Nolan, è ora di andare nella sala ricreativa.”

Quello scese dal letto, incamminandosi silenzioso verso di lei. Avrebbe voluto ascoltare un altro po’ la conversazione tra Chloe e sua sorella e capirci qualcosa di più.

 

*

 

I ragazzi erano appena entrati a casa di Sam. Nervosi, non sapevano cosa fare e temevano il peggio.

“E se ci facesse fare delle cose per tenere in vita Jasper? – farneticò Eric, mentre entravano in cucina – Che ne so, magari: svaligiate una banca o uccido Jasper, rapite una bambina o uccido Jasper, camminate su una fune o uccido Jasper!”

“Eric, basta! – urlò Nathaniel – Così non sei d’aiuto, dobbiamo pensare!”

“Pensare a cosa, Nat? Jasper come ostaggio di A è la secchiata d’acqua che stavamo aspettando per aprire finalmente gli occhi e renderci conto che siamo talmente incasinati che non c’è più una via d’uscita, ok? Non possiamo neanche scappare da Rosewood!”

“Eric ha ragione, è finita! – si aggregò Sam, inquieto, dopo aver bevuto un sorso d’acqua – Non ci resta che aspettare che il nostro destino faccia il suo corso. Non combatterò più contro A, non serve a nulla.”

“Mi dispiace, ragazzi. – Nolan mostrò il suo rammarico - Non volevo che andasse a finire così per noi.”

Nathanielo lo fissò incredulo: “Almeno da te mi aspettavo qualcosa di più, Rider. Non sei uno che cede così facilmente.”

“Beh, anch’io sono così. – si intromise Eric, sentendosi sminuire – Forse Rider si è semplicemente stancato come tutti noi.”

“Io non mi arrendo, ok? – replicò Nathaniel, determinato – Forse per voi è finita, ma io ho piani ben più grandi dopo ieri sera.”

“Quali piani, Nat? – si esasperò Sam – Ma se non sappiamo nemmeno chi sia A a questo punto. Siamo troppo confusi e stiamo annegando, perché non te ne rendi conto? Cos’altro deve accadere perché tu te ne renda conto?”

Improvvisamente squillarono dei telefoni. Solo quelli di Sam e Nathaniel, però.

I quattro si guardarono, poi sia Sam che Nathaniel risposero.

“…Ehm, si ok…si, sto arrivando!” esclamò Sam, pallido, mentre spostava lo sguardo fra gli altri.

Fu il turno di Nathaniel, pallido anche lui: “Tra cinque minuti sono lì, sta calma.”

Quando misero giù, Eric era impaziente di sapere cosa stesse succedendo.

“Chi era? Perché avete quelle facce?”

“Era mio padre… - rispose Sam, deglutendo malamente – Mi voglio in centrale, devono farmi delle domande.”

“Stessa cosa, era mia madre.”

“E ora che cosa vuole la polizia? – si chiese Eric, preoccupato – Perché ha chiamato solo voi due?”

Sam prese le chiavi dal tavolo e si avviò fuori dalla cucina, senza aspettarli: “Non riesco a pensare adesso, spero solo che sia A che conclude il gioco.”

Gli altri si guardarono ansiosi prima di seguirlo.

 

 

*

 

Seduto davanti al pianoforte, Rider suonava e allo stesso tempo si guardava attorno. Quando uno degli altri pazienti iniziò a piangere in maniera molto infantile, questo fu attirato dalle sue parole.

“E’ l’uomo nero! L’uomo nero verrà a prendere anche me!”

Rider si voltò, mentre l’infermiera cercava di calmare il giovane paziente, che stringeva tra le mani un disegno che aveva fatto.

Incuriosito, si avvicinò. L’infermiera stava portando via il ragazzo, ma il disegno era rimasto sul tavolo.

Quando lo prese tra le mani, non credette ai suoi occhi: il disegno raffigurava un uomo incapucciato davanti ad una delle finestre del Radley. Accanto all’uomo, c’era un ragazzino con il camice bianco, un paziente.

“Nolan…” pensò.

Entrambi erano rivolti verso quella ampia finestra, chiusa dalle sbarre. Il pavimento era illuminato e anche le pareti e le due figure, come se dall’esterno si fosse appena scatenato un tuono.

“Ha usato una finestra per farlo uscire. – alzò la testa dal foglio, guardando tutte le finestre che lo circondavano – Una delle finestre è manomessa.”

Improvvisamente, sgamò Ector a fissarlo, non molto lontano da lui. L’uomo abbassò lo sguardo, mentre sistemava dei libri.

Rider si avvicinò a lui senza esitare, in cerca di risposte: “Ehi! – lo chiamò – Ector, giusto? Sei l’infermiere che mi ha portato le pillole l’altra volta.”

Quello continuò a sistemare i libri nella libreria, come se volesse evitare il suo sguardo: “Ehm, direi di si. Porto sempre le medicine ai pazienti.”

“Sapevi il mio nome, mi hai chiamato Nolan quel giorno. – gli fece notare con sguardo opprimente - Perché fai finta di non conoscermi?”

Ector iniziò ad innervosirsi: “Non faccio finta, siete tutti pazienti per me.”

“E invece fai finta… - insistette, notando le sue reazioni sospette – Tu lo sai chi sono, vero? Sai che non sono Nolan.”

A quel punto, Ector si voltò verso di lui dopo essere rimasto con gli occhi leggermente sbarrati, come se fosse stato colto in flagrante: “Ascolta, so perfettamente chi sei. Il tuo nome è Nolan Stuart, ma ti credi Rider, tuo fratello gemello. Soffri di personalità multipla e di schizofrenia e sei in questo istituto da undici anni.”

Rider accennò un sorriso con un lato della bocca: “Allora lo sai come mi chiamo, perché fingere? – lo fissò a lungo, mentre lui sudava freddo e a malapena riusciva a reggere il suo sguardo – O forse sai perfettamente chi hai di fronte e che non sono proprio Nolan, quindi fingi di sapere chi non sono.”

Quello si scansò, cercando di evadere: “Devo andare!”

“Hai messo tu il computer sotto al mio letto? Quanto ti ha dato l’uomo con il cappuccio per farlo?” gli domandò a bruciapelo, facendolo fermare, mentre era di spalle.

Quando si voltò, lo guardò per qualche secondo, intimorito: “Io non ho idea di cosa stai parlando…Nolan!” concluse, andandosene.

Rider, a braccia conserte, restò a fissarlo finchè non lasciò la sala. Sapeva di averlo in pugno e che prima o poi l’avrebbe fatto crollare.

Improvvisamente, qualcuno bussò alla sua spalla. Spaventato, si voltò: era Norman.

“Ehi, mi hai fatto prendere un colpo!” riprese fiato.

“Scusa, mi hanno appena fatto uscire. – spiegò, un sorriso ebete sul suo volto - Ti cercavo!”

“Ah, mi cercavi? - deglutì, pietrificandosi – Beh, anch’io ti cercavo. Poi non hai più finito di raccontarmi perché sei internato qui. Mi hai detto che eri ossessionato da questo gruppo di amici e che volevi fare amicizia con loro e poi…l’infermiera è venuta a chiamarti.”

Quello abbassò lo sguardo, assumendo un atteggiamento inetto: “Ehm, niente, ho fatto dei giochi con loro.”

Rider lo fissò, intimorito nel parlare: “E…che tipo di…giochi?”

Le mani di Norman si strinsero in un pugno e cominciava a tremare. Rider pensò che era meglio non continuare, fingendo un sorriso.

“Ehm, sai cosa ti dico? Non fa niente, non sono affari miei. Piuttosto, perché mi cercavi?”

Norman cambiò radicalmente, tornando di colpo sereno e sorridente: “Sono riuscito a recuperare una cosa. – sorrise in maniera più accentuata, guardandosi attorno – Una cosa che ci aiuterà a fuggire da questo brutto posto.”

“Cosa? – Rider sgranò gli occhi – Di che parli?”

L’altro abbassò lo sguardo sulla una delle sue maniche, facendo scivolare fuori un lungo chiodo: “Parlo di questo! – iniziò a ridere sottovoce, come se avesse in mano qualcosa di utile – Era incastrato nel muro e giorno dopo giorno sono riuscito finalmente a tirarlo fuori. – glielo passò - Toccalo!”

La delusione negli occhi di Rider fu talmente struggente che dovette sopprimerla e far finta di assecondarlo: “Ah, beh, un chiodo! – finse un sorriso, mentre glielo ridava dopo averlo maneggiato – E’ a dir poco geniale, ce la faremo.”

“Io e Nolan progettavamo di fuggire insieme, anche se… - il suo entusiasmo si spense per un attimo, ricordando che l’amico era scappato ugualmente e senza di lui – Ma ora ho trovato un nuovo amico e fuggiremo insieme. – tornò a sorridere, rimettendo il chiodo dentro la manica – Stanotte lasceremo il Radley!”

Nonostante sapesse che ciò non sarebbe mai accaduto, Rider annuì ugualmente, cercando di non contrariare un matto.

 

 

*

 

Sam e Nathaniel giunsero in centrale, dopo essere stati chiamati. Ad aspettarli c’erano rispettivamente suo padre e sua madre. Claire, non appena vide i due arrivare insieme, deglutì malamente e lanciò loro delle occhiate sfuggenti; si sentì a disagio dopo aver visto le loro foto insieme, mandate da un misterioso mittente.

“Papà, che succede?” domandò subito Sam, ormai accanto a lui davanti ad una porta.

“Vogliono farvi delle domande. Jasper Laughlin non è mai arrivato in tribunale, perciò…”

Nathaniel restò perplesso, muovendo lo sguardo tra il padre di Sam e sua madre: “E che cosa c’entriamo noi con questo?”

Il ragazzo, però, non ricevette risposta perché la porta davanti a cui sostavano si aprì: il Detective Michael Costa li invitò ad entrare, nel suo ufficio.

“Bene, eccovi qui. Entrate!”

Il minuto seguente, i quattro erano seduti davanti al suo tavolo. La madre di Nathaniel era a dir poco inspazientita.

“Si può sapere cosa c’entra quell’assassino con i nostri figli?”

“Senza offesa, signora, ma anche se i genitori devono essere presenti ad un interrogatorio fatto a minori, non vuol dire che debba farle lei le domande. Qui l’unico che può parlare sono io.”

“E allora parli! – intervenì Nathaniel, abbastanza infastidito – Cosa ci facciamo qui?”

Michael spostò lo sguardo su di lui, abbastanza sicuro di sé: “Ho richiesto il registro delle visite al penitenziario di Philadelphia qualche giorno fa. – Nathaniel e Sam divennero immediatamente pallidi, così come Carter Havery – I vostri nomi risultano tra le visite fatte a Jasper Laughlin. Lo stesso uomo che oggi è scomparso misteriosamente, mentre veniva scortato per la sua udienza. – fissò ognuno di loro in maniera incisiva, pesante – Ora, io mi chiedo, perché mai due studenti liceali sono dovuti arrivare fino a Philadelphia per incontrare un assassino?”

Carter cercò di intromettersi: “Michael, ascolta…”

Quello però non lo fece continuare, alzando il dito: “Shhh, no! – e indicò i ragazzi – Devono rispondere loro, Carter. La regola che ho imposto alla signora Blake vale anche per te. Non sei più un poliziotto e mio collega in questo momento.”

Nonostante avesse il cuore in fibrillazione, Sam trovò il coraggio di mantenere il sangue freddo: “Di cosa ci sta accusando, esattamente?”

“Avete aiutato voi Jasper Laughlin a fuggire?”

“NO!” esclamarono insieme, in una smorfia a dir poco scioccata da quell’accusa.

“Allora spiegatemi il motivo della visita a quell’uomo.” continuò, impertinente.

“Lo conoscevo, ok? – rispose Sam, mentre suo padre si voltava a guardarlo – Lo conoscevo da prima che il mio amico e suo padre morissero.”

Anche Nathaniel lo stava fissando, certo che stesse raccontando una storia abbastanza convicente e credibile. Michael Costa osservava i loro atteggiamenti, mentre quello spiegava.

“Lo conobbi in un locale, il Ginseng. – abbassò leggermente lo sguardo, imbarazzato per la presenza del padre – E’ un locale gay. E io sono gay, perciò...”

Claire si sentì a disagio, guardava da altre parti, stringendo la borsa che teneva sulle ginocchia, immaginando che anche suo figlio potesse esserci stato.

“Che genere di rapporto aveva con Jasper?” gli chiese Michael, gli occhi stretti nel scrutarlo.

“Lo incontrai che era la bancone del bar, stava bevendo molto. Piangeva anche. – fece una pausa, mostrandosi affranto – Non volevo andarmene e lasciarlo in quello stato, e il ragazzo con cui dovevo vedermi mi ha scaricato, così sono rimasto e gli ho chiesto cosa avesse. E’ stato in quel momento che mi ha raccontato di quest’uomo che frequentava, Kevin. Mi è bastato davvero poco per capire che si trattasse del padre di Anthony, c’erano troppe coincidenze…A quel punto ero curioso e sono rimasto ad ascoltarlo: mi spiegò che Kevin l’aveva cacciato dalla sua vita perché per colpa sua aveva contratto l’HIV. Mi spiegò anche che aveva dei problemi economici e che il suo negozio era andato distrutto in un incendio e che probabilmente era stato Kevin per vendicarsi.”

Michael restò a fissarlo a lungo, prima di far scivolare tra le sue mani un fascicolo: la deposizione di Angela Dimitri su Jasper Laughlin. Dopo averlo rivisto, notò che alcune cose dette dal ragazzo combaciavano con la realtà dei fatti.

“Bene, quindi l’hai conosciuto e poi cosa è successo? Avete avuto rapporti sessuali?”

Carter si alzò dalla sedia, rosso in volto: “Ma come si permette?”

Sam gli prese il braccio, cercando di calmarlo: “Papà, va tutto bene. Posso rispondere.”

Quello, allora, si risedette, nonostante continuava a guardare male il detective.

“No, non ho avuto rapporti sessuali con lui. L’ho solo riaccompagnato a casa e poi ci siamo risentiti. Eccetto questa storia triste, è una brava persona e siamo diventati amici. – concluse – Per questo gli ho fatto visita. Non credo che abbia ucciso lui Anthony e suo padre.”

“E chi pensa sia stato?”

“Se lo sapessi, non avrei esitato nel venire qui a dirvelo.”

Ora, Michael spostò lo sguardo su Nathaniel: “E tu che ci facevi con lui?

“Sam è il mio migliore amico, l’ho accompagnato ovviamente!” esclamò, mentre la madre si irrigidiva.

“Ti sei presentato anche una seconda volta da Jasper. Da solo. Come mai?”

A quel punto, anche Nathaniel inventò una bugia: “Jasper aveva chiesto a Sam di non andarlo più a trovare, visto che la polizia controlla le visite. Ora non fingiamo che tutta questa storia non ci riguardi da vicino. Jasper temeva che la polizia avrebbe male interpretato il rapporto tra lui e Sam e che la polizia l’avrebbe accusato di complicità. Sam però voleva tornare da lui, voleva essere presente al processo e io sono andato a chiedergli il permesso per conto di suo.”

Michael sollevò le sopracciglia, non molto convinto: “Mmmh…storie interessanti!”

“Storie vere!” precisò Sam, infastidito.

Claire, troppo a disagio, si alzò dalla sedia e non ne potè più: “Ora possiamo andare? E’ evidente che i nostri figli non hanno nulla a che fare con la scomparsa di quest’uomo!”

“Tutto però fa pensare che siano coinvolti nell’omicidio di Anthony e Kevin Dimitri.” continuò il detective, implacabile.

“Le abbiamo dato già dato i nostri alibi la sera dell’eplosione a scuola. Ero a casa mia con la mia migliore amica Chloe!” ribadì Sam, alterato.

“Beh, gli alibi possono essere perfetti quanto un delitto.”

“Ma che cosa sta insinuando?” intervenne nuovamene Claire.

Michael la ignorò, diretto con i ragazzi: “Avete ucciso voi Albert Pascali?”

“NO!” urlò Sam, alterato.

“L’avete ucciso insieme ad Anthony Dimitri?” ribattè, veloce.

Sam non volle più ascoltarlo, voltandosi verso Carter: “Papà!”

Quello si alzò, affermando la sua parola: “Adesso basta, l’interrogatorio finisce qui! Mio figlio non è un assassino, non ha prove per dirlo!”

Claire lo seguì a ruota, indignata: “E nemmeno mio figlio! – poi si voltò proprio verso di lui – Andiamo Nathaniel!”

I due ragazzi si alzarono, seguendo i loro genitori. Anche Michael si alzò, facendosi sentire mentre uscivano: “La verità verrà a galla prima o poi!”

Dopo essersi voltati a guardarlo agghiacciati e provati, chiusero la porta alle loro spalle.

All’uscita dalla centrale, Sam aveva il passo rapido mentre scendeva i gradini. Carter gli era alle calcagna. Era buio.

“Sam, ti devo parlare. Aspetta!”

“Non ho nulla da dire, voglio solo andarmene!” non si voltò, furioso.

Nathaniel cercò di raggiungere anch’essi Sam, lasciando indietro sua madre: “Sam, se vuoi ti accompagno!”

Ma quello non si voltò, ormai distante. Nathaniel restò fermo sul marciapiedi accanto a Carter, in quel momento sconsolato nel non riuscire più a gestire il figlio.

“Mi dispiace signor Havery… - si imbarazzò, indietreggiando – Io ora vado…arrivederci!”

Quello annuì, accennando un saluto forzato, troppo pensieroso. Nathaniel si avvicinò alla sua auto, dove c’era già sua madre.

“Mamma, andiamo.”

I due si guardarono e quella, poi, salì silenziosa.

 

 

*

 

Nel parcheggio sotterraneo del Rosewood mall, il centro commerciale della città, Alexis aveva fatto qualche acquisto per la casa ma non riusciva a far partire la macchina. Quando scese, sbuffando, prese immediatamente il telefono.

“Eric, per favore, vieni a prendermi, la macchina… – improvvisamente partì la segreteria, seccandola ancora di più – Ehm, Eric se senti questo messaggio richiamami subito. La mia macchina non parte, vieni a prendermi, mi trovi all’ingresso del Rosewood mall.”

Stava per aggiungere qualcos’altro, ma dovette abbassare il telefono quando notò una pozza di benzina accanto alla ruota.

“Ma che diavolo…???” si rese conto che il problema era la benzina esaurita e che fu una misteriosa perdita ad averla fatta esaurire.

Riprese nuovamente il telefono, facendo avanti e indietro, per poi accorgersi che l’altro lato della sua auto era stata rigata con delle chiavi. Rigata per comporre un messaggio.

“Fa strano essere minacciati da qualcuno, vero Alexis?”

-A

 

La ragazza sgranò leggermente gli occhi, turbata.

Intanto, nello stesso parcheggio sotterraneo, c’era qualcuno che la osservava da dentro un auto. Due ragazze: Lindsey e sua cugina Tasha.

Quest’ultima aveva lo specchietto del trucco aperto e si stava passando il rossetto sulle labbra, indiffente.

“Che sta facendo la poverina?”

Con uno sguardo d’odio fisso su Alexis, Lindsey le rispose dopo qualche secondo: “Ha appena letto il messaggio…”

“Una cretina qualunque cerca di denunciare il tuo uomo e tu le scrivi uno stupido messaggio con le chiavi? – buttò gli occhi in alto - Dio, non ti ho insegnato niente?”

“E cosa dovrei fare, investirla?”

“Beh, non sarebbe male come idea. Indossa delle scarpe da ginnastica che non vedo dai tempi di 90210!”

Lindsey tornò a guardare Alexis: “Le minacce la spaventeranno, vedrai. E poi chi dice che io mi debba fermare ad un banale messaggio.”

L’altra chiuse lo specchietto del trucco, ridendo: “Uuuh, abbiamo una vendetta ben più grossa in cantiere. Rendimi partecipe, come non hai fatto con questa storia dei messaggi di A! Dovevi dirmelo che qualcuno ti minacciava.”

“Avevo ricevuto solo quel messaggio insieme al vestitino, non pensavo si sarebbe spinta così oltre.”

“Però c’è da dire che non si è messa sotto quella macchina da sola, qualcuno l’ha investita davvero.”

“Ma non è stato Julian, ok? – fece poi la vaga, visto che non le raccontò proprio tutta la verità - Non capisco perché si sia fissata con lui.”

“E’ chiaro: forse il tuo professore è andato a letto anche con lei e ora la sgualdrina è gelosa! – esclamò, ricevendo subito un’occhiataccia – Ehm, ma con questo non voglio dire che sei una sgualdrina anche tu.”

Mortificata, si zittì e prese il telefono, cambiando discorso: “Uff, non c’è traccia di Nathaniel su Tinder…”

Dopo che Alexis se n’era andata, Lindsey mise in moto: “Beh, prova su Grindr, forse lo trovi lì!”

Ora fu Tasha a lanciarle un’occhiataccia, mentre l’altra le sorrise ampiamente per aver pareggiato i conti.

 

*

 

 

Sam era sul viale del ritorno in lacrime, ancora provato da quell’interrogatorio che lasciava sperare ben poco ad un lieto fine. Stringendosi le braccia per il freddo, camminava con lo sguardo perso nel vuoto lungo il marciapiedi. La luce dei lampioni vibrava e le strade erano vuote.

Esausto, si fermò e chiuse gli occhi. Voleva solo evadere da quella situazione, sparire per sempre. Ma al tempo stesso, però, si sentiva così impotente e non più padrone della sua vita.

All’improvviso, sentì il rumore di un motore in lontananza. Quando si voltò, vide che era una moto e sopra sembrava esserci un uomo con indosso un jeans, una giacca di pelle nera e il casco. Sam continuò a camminare, visto che quello era fermo al semaforo.

Qualche istante dopo, il semaforo divenne verde e la moto iniziò ad avanzare lentamente anziché veloce. Di tutto questo, Sam se ne accorse e ogni tanto si voltava a gettare un occhiata. A quel punto alzò il passo, sembrava seguirlo. Anche la moto aumentò la velocità.

Ora Sam era nel panico, intuì che c’era qualcosa che non andava e così iniziò a correre più veloce del vento. La moto accellerò, nel tentativo di raggiungerlo: nel giro di pochi secondi lo superò. Sam si fermò, quando la moto sgommò ruotando verso la sua direzione.

Con il fiatone e gli occhi sgranati, Sam restò impalato a fissarlo e quello faceva la stessa cosa. Improvvisamente, alzò le braccia, togliendosi il casco: era Wesam.

Sam si mise una mano sul petto, cacciando fuori l’aria ad occhi chiusi: “Oh Dio, sei tu! – si infuriò, riaprendoli – Ma come ti viene in mente di farmi uno scherzo simile?”

“Scusa, è che mi sembrava di averti riconosciuto e volevo solo raggiungerti…” scese dalla moto, avvicinandola al marciapiedi.

“Da quando guidi una moto e indossi giacche di pelle?”

“Ho una passione per le motociclette fin dall’adolescenza e…quando fa buio, mi piace uscire a fare un giro. Mi fa rilassare. – lo vide perplesso - Non va bene?”

“No, è che… - fu più calmo – sembri diverso dal solito Wesam. Sai, quello con giacca e cravatta, scarpe lucide e una gamba accavallata sull’altra mentre ti psicanalizza.”

“Quello è il Wesam professionale, Sam. – rise – Fuori da quello studio sono una persona del tutto diversa, ma non puoi saperlo visto che non ci siamo mai visti al di fuori di quel contesto.”

Ora Sam si sentì stupido, abbassando lo sguardo: “Già, hai ragione… - accennò un sorriso malinconico – Peccato che io sia sempre la stessa persona sia dentro che fuori dal tuo studio. ”

“Ehi, tutto bene? – con il pollice asciugò la parte inferiore della sua palpebra, umida per il pianto – Che ci fai in giro a quest’ora?”

Sam arrossì, facendo fatica a reggere il suo sguardo: “Sono appena stato in centrale e…” i suoi occhi si gonfiarono di lacrime e per questo voltò la testa dall’altra parte.

“Sam? – gli prese il lato sinistro del viso, facendolo voltare – Che è successo?” si preoccupò.

Quello scoppiò a piangere, gettandosi tra le sue braccia. Wesam sgranò gli occhi, spiazzato.

“Ti prego, portami via da Rosewood.” lo strinse forte, sofferente.

Il viso di Wesam si rilassò, divenne serio e lo strinse a sua volta: “Sam, ieri dovevi raccontarmi tutti, ricordi? Su chi ti minaccia.”

“Ti racconterò tutto, ma non qui. – si staccò da lui, guardandolo negli occhi – Portami via. Ti prego.”

Quello restò a fissarlo, poi annuì: “Va bene…”

Più tardi, Sam era sopra la sua moto, le braccia aggrappate al suo petto. Con il vento contro e mille pensieri per la testa, si voltò a guardare indietro, mentre lasciavano Rosewood.

 

*

 

Intanto Nathaniel era in camera sua, davanti al suo computer.

Le videoconfessioni erano rimaste nella sua auto, dopo che avevano lasciato la casa sul lago, perciò non esitò a guardare quella di Sam.

Immobile davanti allo schermo, ascoltò tutto quello che aveva detto a Wesam: ogni parola.

Tuttavia, c’era un pezzo del filmato che riguardò più e più volte. Una frase che non lo lasciò indifferente:

Stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che ormai non provavo da tempo, Wesam…Io credo di…essermi innamorato di te e mi dispiace non potertelo dire guardandoti negli occhi. Addio.”

Dopo averla riascoltata ancora una volta, gli occhi lucidi, il respiro rumoroso e il viso disturbato, Nathaniel tolse il cd e lo buttò per terra con irruenza.

Gli sembrò di impazzire, si mise le mani capelli e tirò un grosso respiro per calmarsi. Non capiva cosa stesse provando, se la sua fosse gelosia.

Il suo sguardo si poggiò su gli altri cd poggiati sulla scrivania. Più calmo ne inserì un altro, ormai insonne.

All’avvio, però, c’era qualcosa che non quadrava. La telecamera riprendeva una sedia vuota per diversi minuti.

Nathaniel strinse gli occhi, perplesso, avvicinando l’orecchio al computer perché sentiva qualcuno parlare sottovoce.

A quel punto, tolse il cd per capire a chi dei suoi amici appartenesse ed era quello di Rider: non aveva registrato nulla per la sua famiglia.

 

 

*

 

Al Radley, Rider era steso sul suo letto, su di un fianco, che fissava il portatile sul tavolo: aspettava che A si facesse vivo per una nuova partita e nuove informazioni come tutte le sere.

Stanco di aspettare, chiuse gli occhi per un secondo; la stanchezza si stava facendo sentire, non dormiva bene da giorni. Improvvisamente, sentì dei rumori fuori dalla sua stanza, nel corridoio, e riaprì gli occhi.

Sentì una porta aprirsi, poi il silenzio. Subito dopo un tonfo, che lo fece sussultare, e poi di nuovo il silenzio.

Un rumore di passi arrivò al suo orecchio, diveniva sempre più percettibile e si fermò davanti alla sua porta. Una chiave entrò nella serratura e Rider sgranò gli occhi, sollevandosi dal letto.

Quando la porta si aprì, si trovò davanti Norman con il fiatone.

“Te l’avevo che saremmo fuggiti stanotte!”

Rider si alzò dal letto, indietreggiando spaventato. Norman aveva le pupille dilatate, tremava e aveva la mano sporca di sangue, come la sua manica.

“C-che sta succedendo? – balbettò, deglutendo malamente – Che hai fatto?”

“Non abbiamo molto tempo, andiamo!” e si avvicinò, tirandolo per il braccio.

“No no, aspetta!” esclamò, cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma l’aveva già trascinato fuori dalla sua stanza.

“Non urlare o ci sentiranno!” bisbigliò, cercando di capire in che direzione andare. Poi iniziò a camminare lungo il corridoio.

Rider lo seguì, spaventato: “Di chi è quel sangue?”

“Dovevo farlo, ok? – disse sorpassando la sua stanza aperta – Nolan se n’è andato senza di me e io devo trovarlo per dirgli che mi ha tradito e abbandonato in questo posto di merda!”

In quel momento, anche Rider passò davanti alla stanza di Norman. Distesa per terra, c’era una delle infermiere in una pozza di sangue: aveva un chiodo conficcato nel collo.

Sconvolto, spalanco la bocca e gli occhi: “Oh mio Dio, hai ucciso una persona…”

E quello si voltò, seccato e minaccioso: “E se tu non mi aiuterai ad uscire da qui, ucciderò anche te, ok?”

“Come posso aiutarti se non so nemmeno io da che parte andare?”

Quello sorrise malamente, come un vero psicopatico: “Sei molto più intelligente di quanto non vuoi far credere, Rider. E per questo, sai di non avere altra scelta che seguirmi. Su quel chiodo ci sono anche le tue impronte…” e rise, dopo averglielo fatto notare.

Rider comprese che per uscirne avrebbe dovuto riprendere possesso della sua identità e che se non l’avesse fatto, le cose sarebbero degenerate ancora di più.

“D’accordo, verrò con te!” si avvicinò lentamente a lui, riflettendo su come fare.

“Bravo pazzerello!” esclamò con un sorriso compiaciuto, affidandosi.

Insieme salirono al piano superiore e Rider si mise a fissare il corridoio dove si trovavano nei minimi dettagli, parlando tra sé e sé.

“Nel disegno c’erano delle crepe nel pavimento… - e abbassò lo sguardo, dove effettivamente c’erano – E un poster mal ridotto sulla parete… - c’era anche quello – Il corridoio è questo!”

“Di cosa parli?” gli chiese Norman, non seguendolo.

Rider in quel momento puntò lo sguardo verso la finestra alla fine del corridoio: “E’ da quella finestra che Nolan è scappato. – la indicò – Qualcuno l’ha visto fuggire da qui e ha fatto un disegno.”

Dopo si avvicinò ad essa, con Norman a seguito, e notò che il chiavistello era rotto e che quella si apriva.

Norman sorrise, assaporando già la libertà.

L’altro si voltò verso di lui, preoccupato per se stesso: “Che ne sarà di te una volta uscito da qui? Ognuno andrà per la propria strada, giusto?”

“Prima pensiamo ad uscire… - lo fissò con uno sguardo penetrante e cupo – Poi si vedrà!”

Nonostante quel tono non lo rassicurasse per nulla, Rider cambiò discorso: “C’è da fare un piccolo salto, poi dovremo aggrapparci all’albero.”

“Ok, vai prima tu!” gli suggerì, non fidandosi.

Rider restò rigido per qualche secondo, poi si voltò, con il timore di poter cadere. Purtroppo, però, non poteva tirarsi indietro e si affacciò fuori, pronto a saltare. Norman non gli tolse gli occhi di dosso, aspettando il suo turno.

 

 

CONTINUA NEL QUATTORDICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

  
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