Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: Kary91    08/11/2016    5 recensioni
[513 parole | child!Magnus | pre-serie | Introspettivo, angst]
Questa storia partecipa al contest "Il pezzo che manca" indetto da AleDic.
Mostro.
Anche i suoi genitori lo chiamavano così: sua madre non lo diceva mai ad alta voce, ma il bambino glielo leggeva negli occhi. Suo padre, invece, glielo sputava in faccia di continuo. Lo mormorava mentre lo rinchiudeva nel fienile o quando gli lanciava la terra negli occhi per farglieli chiudere.
Il suo nome – quello vero – veniva pronunciato talmente di rado che il bambino stava incominciando a dimenticarlo. Tanto non era quello giusto: quelli come lui, nati con il marchio del diavolo, non meritavano di essere chiamati con un bel suono.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Twice I have lived forever in a smile;'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia partecipa al contest "Il pezzo che manca" indetto da AleDic.

Autore: Kary91

Fandom: Shadowhunters 
Numero Parole: 512 
Missing Moment: il missing moment è collocato prima della saga, durante l'infanzia di Magnus, ma è un evento realmente accaduto che (per ora) la Clare non ha raccontato. 

 

 

Mostro;

 

«E quasi per sbaglio Eddie scoprì una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri sono gli adulti

It. Stephen King

 

Mostro.

Era quello il nome che si era scelto in silenzio. Era così che si chiamava per esortarsi a dire o a fare qualcosa.

Mostro.

Anche i suoi genitori lo chiamavano così: sua madre non lo diceva mai ad alta voce, ma il bambino glielo leggeva negli occhi.
Suo padre, invece, glielo sputava in faccia di continuo. Lo mormorava mentre lo rinchiudeva nel fienile o quando gli lanciava la terra negli occhi per farglieli chiudere.

Il suo nome – quello vero – veniva pronunciato talmente di rado che il bambino stava incominciando a dimenticarlo.
Tanto non era quello giusto: quelli come lui, nati con il marchio del diavolo, non meritavano di essere chiamati con un bel suono.

Quelli come lui potevano solo provare vergogna e tirarsi da soli la sabbia negli occhi per non doversi più guardare allo specchio.

Per non dover più guardare e basta.

Una volta ci aveva provato, il bambino, a rovinarsi gli occhi. Aveva preso un ciottolo e si era graffiato le iridi, ma non era servito a nulla.

Lo scintillio inumano, le pupille a fessura, erano rimasti.

Nel giro di pochi giorni i suoi occhi erano tornati come prima. Sua madre, invece, si era chiusa nel fienile e non ne era più uscita.

Per colpa del bambino: per colpa del mostro.

 

Una settimana più tardi, tuttavia, qualcosa cambiò.

Era un pomeriggio come tanti e lui stava piangendo accovacciato sul fiume, gli occhi grandi e sbagliati distorti dal riflesso.

Stava tirando su col naso quando una mano l’aveva afferrato per il collo, spingendogli la testa sott’acqua.

Il bambino inghiottì subito acqua, l’orrore che si dimenava in lui come una creatura infuriata.

Cercò a sua volta di divincolarsi, agitando le braccia per sfuggire all’abbraccio dell’acqua.

Se avesse potuto avrebbe continuato a piangere anche mentre soffocava, tanto era il dolore che si sentiva nel petto. Era un mostro, ma era anche un bambino: soltanto un bambino. Perché lo volevano morto?

Continuò a lottare con furia, fino a quando non si sentì attraversare da una scarica di energia sconosciuta. Era sott’acqua ma per un istante si sentì andare a fuoco, mentre volute di fumo azzurro zampillavano dalle sue dita.

Fu un attimo: la mano che lo ghermiva lo lasciò andare e un grido agghiacciante spezzò l’aria.

Il bambino emerse dall’acqua e si voltò boccheggiando, le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere fiato.

Il suo aggressore giaceva a terra, avvolto dalle fiamme: lo riconobbe, nonostante il suo corpo inerme fosse in gran parte carbonizzato.

Il ragazzino gridò, rannicchiandosi su se stesso. Le lacrime del fiume gli imperlavano il viso, mescolandosi a quelle dei suoi occhi da bestia, che eppure conoscevano così bene il pianto dei bambini umani.

L’uomo che aveva tentato di ucciderlo era suo padre.

“Ayah” lo chiamò fra i singhiozzi, sbattendo i pugni contro il terreno argilloso. “Ayah[1]!”

Le parole d’odio e di disgusto del padre gli mulinarono dentro fino a quando non ebbe nemmeno più le forze per pensare.

Fu quel giorno che, quasi per sbaglio, il bambino scoprì una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri erano gli adulti.

 

 

Note Finali.

Questa flash fiction partecipa alla Corsa delle 48 ore, indetto dal forum “Torre di Carta”. Il prompt era la frase di Stephen King citata prima della storia.

Quello che viene raccontato nella flash – il rapporto con i familiari del Magnus piccino, il padre che ha tentato di ucciderlo – si basa sul poco che lo stesso stregone ha raccontato nei vari libri della serie  e sulle informazioni trovare sulla wikia americana. È strano immaginarlo così, se si pensa al Magnus adulto, ma mi si è stretto davvero il cuore a leggere le parti dei libri cui si parlava della sua infanzia. Spero che non ci siano troppe incongruenze con la trama originale!

 

 

[1] Ayah: padre in indonesiano.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Kary91