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Autore: ValeryJackson    09/11/2016    2 recensioni
[Seguito de La Pietra dei Sogni]
Dicono che non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino, ma che siamo noi a decidere cosa mettervici dentro.
Skyler, però, non è affatto d'accordo. A diciassette anni si è ritrovata al centro di una profezia millenaria dettata dalle Parche, e non sa come venirne a capo.
Gli dèi hanno nominato lei, Michael, John ed Emma come i prescelti; custodi di doni che potrebbero salvare o peggiorare le sorti del Campo. E loro non possono tirarsi indietro.
Perché Prometeo è in agguato, deciso a tornare. Ma la figlia di Efesto non è sicura di essere pronta a fronteggiarlo.
Lui le ha rubato il fuoco, strappandole con la forza qualcosa di cui ora sente inspiegabilmente la mancanza, e lei avverte il peso di tutte le responsabilità che incombono su di lei.
Attraverso amori, dolori, amicizie, litigi, lacrime, promesse, delusioni e alleanze del tutto impensate, la ragazza dovrà ritrovare nel profondo della propria anima le fiamme che ha in sé, e prepararsi per la battaglia.
Perché Prometeo le ha già portato via tutto ciò per cui vale la pena vivere.
Ed ora è pronto a toglierle anche ciò per cui vale la pena morire.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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ATTENZIONE: LEGGERE L'ANGOLO AUTRICE

John non avrebbe mai immaginato che in quella fortezza ci fossero così tante stanze.
Aveva avuto la premura di controllarle tutte, dalla prima all’ultima.
Ignorando le varie coppiette che limonavano, quei pochi giovani che avevano preferito giocare a carte e tutti i semidei che continuavano a folgorarlo con lo sguardo per via del suo modo brusco di passare – il figlio di Apollo si era fatto lentamente largo tra la folla, addentrandosi sempre più all’interno di quel luogo, lì dove le persone cominciavano a scarseggiare.
Non c’era traccia di Rose da nessuna parte, e ciò aveva tenuto stretto il suo stomaco in una morsa d’acciaio per tutto il tempo.
Non si avevano notizie di lei da quasi un'ora, ormai.
Dove si era cacciata? Che cosa le era capitato?
Quei quesiti iniziavano a logorarlo come acido all’interno. Spalancò l’ennesima porta, per poi scusarsi solo distrattamente con i due ragazzi che si erano appartati in quello sgabuzzino.
Il maschio gli urlò dietro un’imprecazione, che però il biondo ascoltò a malapena.
Ne aprì un’altra, questa volta del tutto vuota. Quando infine giunse all’ultima anta in fondo al corridoio, scoprì che questa era chiusa a chiave. Tentò di forzarla, invano. Dopo di ché bussò.
«Occu… pato…» bascicò sommessamente una voce all’interno, e il cuore di John ebbe un fremito.
«Rose?» chiamò, non ricevendo in cambio nessuna risposta. Batté le nocche contro lo stipite ancora una volta, provando di nuovo a far pressione sulla serratura.
«Ho detto… che è… occupato» obiettò la persona all’interno, infastidita.
«Rose, sei tu?» insistette invece il figlio di Apollo, con tono un po’ più alto. «Maledizione, apri la porta!»
Diede un calcio contro il legno chiaro, frustrato. Si guardò intorno, alla disperata ricerca di qualche oggetto di ferro che gli permettesse di entrare in quella camera.
Ma cosa avrebbe mai potuto aspettarsi, da quella che era un'ala del palazzo quasi completamente vuota? In fondo, erano tutti al ballo.
Prendendo un profondo respiro, decise che non poteva permettersi di perdere altro tempo. Optò per una misura decisamente più drastica, dando una spallata al cardine – che all’impatto cigolò appena.
Abbatté di nuovo tutto il proprio peso contro quel legno ostile. E poi ancora, e ancora.
Alla quarta volta, la porta si spalancò con un tonfo sordo, e il ragazzo si precipitò all’interno, guardandosi intorno spaesato.
Dovette assottigliare lo sguardo perché i suoi occhi si abituassero alla luce fioca che aleggiava in quella stanza. Quando però riuscì a distinguere meglio le figure, ciò che si ritrovò di fronte non gli piacque per niente.
Girava voce che Chirone si fosse liberato di circa la metà della collezione di vini del Signor D, approfittando della sua assenza per regalarne un po’  alla Gunvor come una sorta di offerta di pace.
John però non immaginava che ciò fosse vero – né tantomeno che la perfida donna avesse preferito tenerle, piuttosto che gettarle nella spazzatura.
Eppure ora eccolo lì, circondato da vini d’annata degli anni ’30 palesemente costosi anche per qualcuno inesperto in materia come lui. Nell’aria regnava il sapore acre dell’uva, unito allo stantio del chiuso e alla polvere. Seduta in un angolo, con un fiasco di Brunello in mano, c’era Rose.
Era a piedi nudi, con i capelli scompigliati e il bel vestito tutto stropicciato. Aveva delle profonde occhiaie,le pupille dilatate e le gote arrossate – più del normale.
Nello scorgere le quattro bottiglie vuote abbandonate sul pavimento, al biondo venne un colpo al cuore.
«Dei» imprecò a denti stretti, facendo un passo verso la giovane con i muscoli tesi, irrigiditi.
La figlia di Poseidone inizialmente arricciò di poco il naso, scrutandolo con circospezione. Ma non appena lo riconobbe, le sue iridi azzurre appannate dall’alchool parvero illuminarsi.
«John!» esultò, agitando il fiasco nella sua direzione. «Vuoi favorire?»
Biascicava terribilmente, facendo fatica a parlare come se non fosse più padrona della propria lingua.
«Rose, maledizione!» la rimproverò quindi lui, furioso ed confuso. «Che cosa ci fai qui?»
«Dioniso non potrebbe berle comu-nque» si giustificò la mora, come fosse scontato. «È un peccato che vadano… sprecate.» Quell’affermazione fu seguita da un involontario singulto, subito accompagnato da un’isterica risatina.
Il figlio di Apollo scosse il capo, il viso contratto in un’espressione affranta.
«Cos’è successo?» le domandò cautamente, avvicinandolesi con calma.
La ragazza aggrottò la fronte, come se per un attimo l’avesse completamente dimenticato. Ma poi dovette tornarle in mente, perché il suo volto si tese in una smorfia.
Dopo di ché fece spallucce. «Avevi ragione» confessò, con la leggerezza con la quale si discute di cose poco importanti. «Sarebbe stato meglio se non fossi venu-ta.»
Un cipiglio interrogativo si dipinse sul volto di John, al ché lei sospirò rumorosamente.
«Aren non aveva nessunissima voglia di venire al ballo con me. Mi ha invitata solo…» Rise tra sé e sé, quasi quel pensiero la divertisse. «Per una scommessa.» Sollevò l’indice in aria, recitando solennemente. «Lui sarebbe riuscito a portarmi a letto prima della fine della serata. Il ché mi lusinga. Vuol dire che mi trova attraente, no?» Vi rifletté un po’ su, facendo poi schioccare la lingua intorpidita dal vino. «Ci era quasi riuscito. Eravamo nel corridoio che ci stavamo baciando, e poi lui… ha allungato le mani. E all’inizio era anche piacevole, sono sincera.» Ghignò amaramente, un panno di tristezza a velarle gli occhi chiari. «Ma poi è diventato invadente. E fastidioso. Ho provato a dirgli di smetterla, ma lui non mi ascoltava. E così gli ho - » Singhiozzo. «Gli ho versato del vino addosso. Sì, sai, con i miei poteri ho percepito le bottiglie in questa stanza e le ho usate per farmi scudo. Era rosso; di uno dei più pregiati.» Si corrucciò. «Lui non l’ha presa molto bene.»
Ecco spiegato il cambio d’abito di quel verme, quindi.
«Ha detto che me l’avrebbe fatta pagare» proseguì la figlia di Poseidone, leccandosi distrattamente le labbra. «Che avrebbe fatto credere a tuuutti che sono io la “poco di buono”» e detto ciò mimò le virgolette con le dita, ridacchiando subito con uno sbuffo rassegnato dal naso.
«Addio vita sociale!» brindò poi con falsa allegria, tracannandosi tre grandi sorsi direttamente dalla bottiglia.
Il biondo strinse i pugni fino a che le sue nocche non divennero bianche. Quel discorso gli aveva liberato nel petto un vortice di emozioni contrastanti quali rabbia, disgusto, malinconia, rimpianto.
Quanto avrebbe voluto vendicare Rose e sfogare il proprio furore contro quel figlio di buona donna.
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Aveva cercato di approfittare di lei, per tutti gli dei! Di una quindicenne sola, ingenua ed indifesa.
Beh, forse non troppo indifesa, dato che aveva saputo schermirsi molto bene – e il ragazzo non riuscì a frenare un leggero moto d’orgoglio, nei suoi confronti.
Questo fu però subito sostituito da un senso di colpa soffocante. Ricordò il giorno in cui aveva sentito Aren parlare di quella scommessa con i propri amici; poi pensò a ciò che aveva fatto alla mora, e non poté fare a meno di ritenersi colpevole dell’accaduto.
Perché non l’aveva affrontato allora, quando ne aveva avuto l’occasione? A che pro starsene con le mani in mano, per poi rendersi conto che le conseguenze erano state orribili?
Avrebbe potuto evitare che ciò succedesse.
Avrebbe dovuto proteggere Rose prima che lei fosse costretta a salvaguardarsi da sola.
E mentre l’istinto lo spronava a tornare in quella sala da ballo e darle di santa ragione a quel figlio di Odino dei suoi stivali, le sue iridi non potevano fare a meno di soffermarsi sul corpicino fragile della ragazza, che seduta ancora a terra aveva preferito sfogare il proprio rammarico nell’alcool, piuttosto che chiedere aiuto.
Testa o cuore.
Chi dei due aveva ragione?
Quando la giovane fece per dare un altro sorso a quel rosée, il figlio di Apollo non ebbe più alcun dubbio.
«Basta così» ordinò, strappandole la bottiglia di mano prima che lei potesse sfiorarne l’anello con le labbra.
«Ehi!» replicò infatti quella, infastidita. Mise il broncio, cercando di riprendersela – ma il suo equilibrio… beh, non era esattamente dei migliori. «Ridammela!»
«Coraggio, alzati» le intimò con autorevolezza lui, afferrandola per un polso ed issandola in piedi. «Ti accompagno nella tua Cabina.»
«Non ci voglio venire» obiettò la figlia di Poseidone. Impuntò i piedi a terra, facendo leva sui talloni per opporre resistenza. «No-oh!»
Fu dopo il terzo tentativo fallito – in seguito al quale lei era riuscita a divincolarsi dalla sua presa – che John si spazientì e l’attirò a sé con uno strattone, passandole un braccio nell’incavo delle ginocchia e coricandosela di peso in spalla.
«Mettimi giù!» esclamò la semidea, battendogli invano il debole pugno sulla schiena.
Il ragazzo prese un profondo respiro, incamminandosi deciso per l’androne, fuori da quella fortezza che aveva tramutato la loro ‘serata perfetta’ in un enorme disastro.
Ma forse faceva ancora in tempo a concludere qualcosa di buono.
Non avrebbe lasciato Rose da sola.
Non un’altra volta.
 
Ω Ω Ω
 
Emma avrebbe ucciso Leo, prima o poi. Poco ma sicuro.
Non aveva fatto altro che cercare Skyler per tutta la sera, per poi trovarla insieme a Michael e scoprire che in realtà non l’aveva mai mandata a chiamare.
Tutta colpa di quello stupido figlio di Efesto. E lei sciocca che gli aveva anche creduto!
Si divertiva tanto a prenderla in giro? Che cosa aveva fatto di male, lei, per meritare una simile condanna?
Sforzandosi di mantenere la calma per evitare che il suo ballo andasse rovinato, riempì lentamente i polmoni – incamminandosi per tornare da Larsen.
Aveva immaginato di ritrovarlo lì dove l’aveva lasciato, ma lui non c’era.
Si guardò intorno spaesata, facendo vagare le proprie iridi argentate sulla sala alla ricerca del suo ciuffo biondo. Del figlio di Balder, però, nessuna traccia.
La cosa la insospettì. Che cosa gli era successo? Lui non era di certo il tipo che piantava in asso una ragazza così, senza la minima spiegazione.
Dovette chiedere informazione a ben cinque ragazzi, prima di incontrarne uno che le rivelasse di averlo visto correre in bagno circa mezz’ora prima.
La figlia di Ermes corrucciò le sopracciglia, ma non ci pensò due volte a seguire le indicazioni di quel figlio di Magni e dirigersi verso le toilette, con la speranza e il timore di trovarlo ancora lì.
Non prestò neppure troppa attenzione al simbolo sulla porta, quando entrò repentinamente nel bagno dei maschi, tra gli insulti e le proteste di tutti quei poveri semidei che avevano dovuto assecondare le loro urgenze.
Fortuna volle che le ante dei gabinetti fossero in sospensione, per questo la bionda si chinò a guardare all’inizio sotto una, poi sotto un’altra; fino a ché non le si pararono davanti un paio di mocassini neri dall’aria familiare.
Bussò con cautela, avvicinando l’orecchio all’uscio.
«Lars?» chiamò. Ma in principio tutto ciò che ricevette in risposta fu uno lamento strozzato.
Batté nuovamente le nocche contro il legno, portandosi il dorso dell’altra mano alle narici per coprire il nauseante odore che aleggiava in quel bagno.
«Lars, sono io: Emma. Va…» Esitò, i lineamenti contratti in una leggera smorfia. «Va tutto bene?»
Dovette aspettare qualche secondo (accompagnato da un leggero colpo di tosse e il tonfo sordo di una tavoletta che viene abbassata). La porta si aprì con un cigolio, e la ragazza fece un passo indietro, spaesata.
L’aspetto del figlio di Balder era tutt’altro che decente: aveva la fronte imperlata di sudore, e il nodo della cravatta sciolto alla meno peggio; i suoi capelli erano arruffati, e il colorito della sua pelle così verdognolo da far intendere a chiunque che stesse per vomitare.
«Ehi» mormorò Emma, visibilmente preoccupata. «Cos’è successo?»
Quando però allungò una mano accarezzargli teneramente una guancia, il giovane si scansò bruscamente, portandola così a corrucciare le sopracciglia. Aveva un’espressione strana, sul volto; quasi fosse… spaventato.
«Sc-Scusa» balbettò lui, al ché la semidea inclinò il capo di lato.
«È tutto okay?»
«Io…» Il nordico si guardò intorno, come se cercasse disperatamente un aiuto esterno. Ma una volta resosi conto di essere rimasto da solo con lei, prese un bel respiro, appoggiandosi di peso con la schiena al muro.
«Mi dispiace» si scusò.
La giovane era confusa. «Per cosa?»
«Io ci ho provato!» giurò Larsen, mostrando affranto i palmi delle mani. «Ma… non credo di poter continuare oltre.»
«Di che cosa stai parlando?»
«Ho saputo della tua maledizione.»
A quel punto, la figlia di Ermes sgranò gli occhi, scioccata. «La mia che?»
«‘Il bacio del diavolo’» chiarì dunque lui, arricciando il naso. «Per un attimo ho creduto di esserne immune. Ma dopo stasera…  non ne sono più tanto sicuro.»
Che cosa stava farneticando?
Maledizione? Bacio del diavolo?
Cos’era successo, mentre lei era via?
«Tu mi piaci molto, Emma» continuò imperterrito il biondo, con tono dispiaciuto. «Però Leo mi ha avvertito su quali potrebbero essere le conseguenze e…»
«Frena, frena, frena» lo interruppe allora Emma, con un cenno. «Leo? Che cosa c’entra lui, adesso?»
«È stato lui a rivelarmi del tuo… ‘problema’.»
Di fronte a quelle parole, la ragazza percepì il proprio sangue gelarsi nelle vene. Il figlio di Balder stava dicendo qualcos’altro, ma la sua voce le arrivava ovattata ai timpani; troppo lontana.
Ripensò al modo in cui il figlio di Efesto li aveva interrotti mentre stavano per baciarsi; al bicchiere che stringeva in una mano mentre la costringeva ad andarsene con l’inganno.
Ragionò su ciò che il biondo le aveva riferito, e ogni tassello trovò improvvisamente il proprio posto nel puzzle.
Si precipitò frettolosamente fuori, una rabbia accecante a corroderle la bocca dello stomaco.
In un primo momento, Lars provò anche a seguirla. Ma non fece in tempo a dare un passo, che un crampo alla pancia lo vincolò di nuovo in bagno, impedendogli di fermarla.
La giovane tornò come una furia alla sala da ballo, digrignando i denti e guardandosi intorno, finché non individuò colui che stava cercando.
Leo Valdez era intento a parlare spensierato con Annabeth e Percy, mentre giocherellava distrattamente con uno stuzzicadenti.
Prima che potesse anche solo decidere di farlo, Emma gli si era già avventata contro.
«Ti piace rovinarmi la vita, eh?» sbraitò infatti, spintonandolo con forza. «Ci provi gusto, a vedermi soffrire!»
Il ragazzo barcollò all’indietro, colto alla sprovvista. Non sapeva perché la figlia di Ermes stesse dicendo così, ma non ci mise molto ad intuirne il motivo.
«Emma, calmati» le intimò autoritario il figlio di Poseidone, frapponendosi tra i due ed afferrandola per i fianchi prima che potesse saltargli addosso. «Coraggio, sta calma.»
«Sarà meglio che vada» annunciò quindi il figlio di Efesto, allontanandosi da loro senza aggiungere altro.
«Oh, no» replicò la bionda, con sarcasmo. «Non ho ancora finito con te.»
Gli corse dietro, faticando a tenere il passo a causa dei tacchi alti. Nonostante avesse udito le sue minacce, il moro non pareva intenzionato a fermarsi.
«Dove credi di andare?» gli urlò dunque lei, conficcandosi le unghie nei palmi tanto da farsi male. «Dì un po’, è così divertente per te mandare la mia vita a puttane?»
«Non so di cosa tu stia parlando» si limitò ad affermare lui.
Erano arrivati nell’androne principale, ormai, proprio davanti alla scalinata che conduceva all’uscita. Non c’erano che un paio di ragazzi, lì – vale a dire quasi nessuno che potesse sentirli discutere così animatamente.
«Lo sai benissimo, invece» ribatté Emma, furibonda ed indignata. «Mi hai allontanata da Larsen con l’inganno. Hai mischiato qualcosa nel suo punch che l’ha fatto stare male e gli hai fatto credere che fosse colpa mia.»
Fu solo allora che Leo si bloccò all’improvviso, girandosi verso di lei per fronteggiarla. La ragazza per poco non andò a sbattergli contro, ma ciò non mutò in alcun modo il suo sguardo – che avrebbe potuto folgorarlo in ogni istante.
«Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?» rise amaramente il giovane, al ché lei allargò le braccia.
«Ah, non lo so! Perché vuoi vedermi star male?»
«Non capisco perché ti importi tanto di quel… damerino da strapazzo» obiettò a quel punto lui, il volto contratto in una smorfia di sdegno.
«Tu non hai idea di che ragazzo speciale sia» lo accusò lei, puntandogli un dito contro il petto. «Non hai il diritto di rivolgerti a lui in questo modo.»
«Vi siete baciati?»
Quella domanda sorprese più del previsto la figlia di Ermes, che però fu in grado di non lasciarsi tradire dalle proprie emozioni.
«Sì, e allora? Qual è il tuo problema?»
«Nessuno» mentì indispettito il figlio di Efesto, mentre avvertiva un’acida gelosia divampare nella propria cassa toracica. Fece schioccare la lingua, abbozzando un sorrisetto ironico. «Pensavo solo che ti prendessi un po’ più di tempo, prima di avventarti sulle labbra di qualcuno.»
«A meno che questo qualcuno non sia degno del mio affetto» gli fece notare lei, con tono pungente. Dopo di ché strinse gli occhi a due fessure, annullando la distanza che li separava con un passo per poterlo affrontare ancora meglio.
«Sai qual è la cosa che mi piace di più di Larsen?» domandò, retorica. «Il rispetto che nutre nei miei confronti. Ma deve trattarsi di un argomento del tutto nuovo, per te.»
«E quindi questo vi dà il diritto di bruciare subito tutte le tappe?» ribatté indispettito lui, sostenendo il rancore dei suoi occhi grigi. «Ma certo! Non fa una piega. E dimmi, ci sei anche andata a letto, per caso?» la interrogò, mostrando i palmi con un verso di scherno. «Perché a questo punto non mi sorprenderebbe.»
«E se anche fosse?» obiettò dunque la giovane, irritata. «A te che importa?»
«Niente, hai ragione!» eruppe il figlio di Efesto, il risentimento a fargli vibrare le note vocali. «Assolutamente niente!»
Il volto di Emma si tinse di disprezzo. «La tua falsità ti sta logorando» lo tacciò infatti,  disgustata. «Critichi tanto me, ma tu non sei altro che un ipocrita che continua a nascondersi dietro la maschera di ciò che non sarà mai!»
«Disse la figlia dell’escort.»
Il palmo della ragazza si posò contro la guancia di lui prima che quest’ultimo potesse anche solo rendersi conto di aver pronunciato quelle parole ad alta voce.
Costretto a voltare il capo, il giovane si portò stupito una mano ad accarezzarsi il segno rossastro che quello schiaffo gli aveva lasciato.
Tornò a guardare la bionda, pentendosene subito dopo.
Tutto l’ardore e lo sdegno e il rancore che fino a quell’istante l’avevano portata ad inveirgli contro erano immediatamente stati sostituiti da un profondo… dolore. Come se il ragazzo l’avesse appena pugnalata con un coltello.
E ripensando a ciò che aveva detto, il figlio di Efesto capì che in realtà era proprio così.
«Come hai potuto…» riuscì a sussurrare debolmente lei, la vista offuscata dalle brucianti lacrime che minacciavano di solcarle il volto.
Leo avvertì un’emozione soffocante – vergogna, forse – incombere su di lui quasi tentasse di schiacciarlo al suolo.
Cosa gli era saltato in mente? Perché esclamare cose che in realtà neanche pensava?
Aveva appena infranto quella muta promessa che tra loro due c’era sempre stata; e se ne rendeva conto solo adesso, mentre incontrava le sue iridi argentate e non poteva fare a meno di paragonarle a dei pezzi di vetro scheggiati.
La delusione nello sguardo della figlia di Ermes era talmente tanta, che il moro avrebbe preferito mille volte morire dissanguato, piuttosto che vivere con la consapevolezza di averle tirato un colpo tanto basso.
«Devo andare» si dileguò flebilmente, distogliendo gli occhi a disagio e dandole le spalle.
Fu solo il vederlo andare via così a risvegliare la bionda dallo stato di shock in cui era piombata.
«È così?» gli urlò infatti contro, adirata. «Batti in ritirata come un codardo?»
Ma lui non si voltò, né fece cenno di voler rispondere a quella provocazione. Iniziò al contrario e risalire imperterrito le scale, il peso del senso di colpa a gravargli sulle spalle.
E se in altre circostanze Emma l’avrebbe seguito, ora aveva perso tutta l’energia per raggiungerlo. Si limitò a stringere i pugni tanto da avere le nocche bianche – un nodo ad otturarle la gola, opprimente e bruciante.
Lo osservò allontanarsi, consapevole di non avere le forze per fermarlo.
«Io ti odio, Leo Valdez!»
Dinanzi a quel grido disperato, il ragazzo interruppe bruscamente la propria salita, quasi l’avessero appena colpito con un raggio congelante.
Quelle parole si insinuarono lentamente nei suoi timpani, arrivando al suo subconscio e togliendogli di netto il fiato.
Qualcosa dentro di lui si spezzò. Magari proprio il suo cuore, che lacerandosi gli apriva una voragine nel petto tanto grande da dargli le vertigini.
Avrebbe potuto replicare. Avrebbe potuto spiegarle che invece no, per lui era tutto il contrario! Che se aveva fatto ciò che aveva fatto, era solamente perché aveva paura di perderla.
Avrebbe potuto confessarle quello che provava per lei; liberarsi finalmente di quel peso che si portava dietro da fin troppo tempo.
Ma non lo fece.
Al posto di tornare sui propri passi e baciarla con tutto l’ardore e la passione di cui fosse capace, proseguì verso l’uscita – esalando un sospiro tremante e facendo del proprio meglio per contenere le proprie emozioni.
Emma aveva ragione: era solo un codardo.
Non aveva fatto altro che scappare – dai propri sentimenti, dalle situazioni, dalle occasioni.
L’aveva ferita, e non si sarebbe mai perdonato per questo.
Nell’istante in cui lo vide sparire dal suo campo visivo, la ragazza si accasciò su sé stessa, crollando a terra.
Seduta su uno dei gradini, si lasciò andare a quel pianto e quei singhiozzi che aveva trattenuto fino a quel momento.
Se c’era stata anche solo una piccola speranza, per loro, di tornare quelli di una volta, ora si era volatilizzata insieme all’affermazione di lui.
Quella era la prova lampante che non c’era più alcun Leo per Emma; alcuna Emma per Leo.
La dimostrazione nuda e cruda che non avrebbe mai più potuto esserci un ‘noi’, per loro.
 
Ω Ω Ω
 
Rose si era lamentata della presa di posizione di John per tutto il tempo che quest’ultimo, continuando a tenerla in spalla, aveva impiegato per giungere alla Cabina Tre.
Non aveva fatto altro che protestare durante l’intero tragitto – biascicando quanto ciò fosse ingiusto e di come fosse in grado di camminare da sola.
Ma il figlio di Apollo non demorse, e non la lasciò andare finché non si ritrovarono di fronte a quella porta di mogano scuro con un tridente intagliato sul davanti. La aprì senza pensarci, permettendole di posare di nuovo i piedi a terra solo quando furono all’interno.
Finalmente libera di poter procedere sulle proprie gambe, la giovane strinse gli occhi a due fessure, guardandosi intorno con aria contrariata.
«Ci stiamo ancora muovendo?» domandò, al ché lui si accarezzò la fronte.
«No. Siamo nella tua Cabina.»
«Ah» fu l’unico commento di lei, prima di corrucciare le sopracciglia. «E allora perché gira tutto?»
Il biondo prese fiato per replicare, ma qualunque cosa avesse sperato di dire gli morì in gola nell’istante in cui la ragazza si tolse sgraziatamente orecchine, bracciale e il fermaglio che aveva tra i capelli, scagliandoli dall’altro lato della stanza senza ritegno.
«È per questo motivo» puntualizzò, indicandoli. «Che volte vorrei essere un maschio.»
«Dovresti metterti a letto» le intimò allora lui, con fare pratico. «A volte una bella dormita è il modo migliore per…» Ma non fece in tempo a terminare quell’affermazione, che la figlia di Poseidone cominciò a sfilarsi il vestito, lottando contro la cerniera.
«Woh… oh…» balbettò lui, imbarazzato. Si voltò nell’immediato, avvampando visibilmente ed imponendosi di continuare a darle le spalle. Aveva già visto Rose… beh, in biancheria. Involontariamente, ovvio! Eppure nonostante questo aveva ancora la sensazione che guardandola avrebbe violato la sua privacy.
Un classico, per un bravo ragazzo come lui. Non poteva non provare disagio dinanzi ad una ragazza seminuda – figuriamoci, poi, se si trattava della sorella del suo migliore amico.
«Un aiutino?» lo pregò ad un tratto la mora; e, lanciandole un’occhiata di sfuggita, John si rese conto che le si era incastrata la zip del vestito. Represse quell’istinto maschile che lo spingeva a far cadere lo sguardo sul suo reggiseno di pizzo azzurro, mentre prendeva un profondo respiro.
«Ehm… s-sì, certo» ciangottò. Fu più difficile del previsto aiutarla con quella cerniera; ma alla fine riuscì a farla scivolare morbidamente fino alla fine della chiusura, e lei si lasciò andare ad un sorrisetto soddisfatto.
«Ecco Super John pronto a salvarmi dal mio vestito cattivo» esclamò, ridendosela tra sé e sé.
Il figlio di Apollo arrossì di poco, spostando l’attenzione sull’armadio di lei.
«Hai mai pensato ad un nome in codice?» continuò Rose, imperterrita. «O ad un soprannome figo?»
Fu allora che il biondo ghignò divertito, porgendole una maglietta di tre taglie più grandi che avrebbe potuto fungerle da pigiama.
«Non l’ho mai vista come una priorità, no» ammise, sentendosi sollevato non appena le curve della giovane furono coperte da quell’indumento scolorito.
«Che ne pensi di Occhio di Falco?» propose quindi la ragazza, arricciando il naso. «Oh. No. Quello è già stato preso.» Si grattò una tempia, pensierosa. «Potrebbe essere qualcosa di legato al sole. O magari al fatto che sei sempre molto disponi-»
Si interruppe così, a metà frase. Il volto pallido ed un’espressione urgente in viso.
«Che c’è?» scattò subito lui, cambiando repentinamente tono.
La figlia di Poseidone deglutì, incontrando le sue iridi chiare. «Non mi sento molto bene.»
Il ragazzo parve intuire in un secondo, perché annullò con un unico passo la distanza che li separava.
«D’accordo, andiamo» affermò, posandole una mano dietro la schiena per condurla verso il bagno.
La giovane fece appena in tempo a varcare la soglia che fu colpita da una tremenda nausea. Si piegò in due sul lavandino, iniziando a vomitare un instante dopo.
John le resse i capelli, mentre lei rimetteva tutto l’alcool che – si scoprì poi – aveva ingerito a stomaco quasi vuoto. Lui aprì poi il rubinetto, bagnandosi la mano con l’acqua ghiacciata e posandole il palmo contro la fronte, così da darle un leggero sollievo (seppur fittizio). Fece lo stesso anche con la base del suo collo, ed ebbe la premura di accarezzarle la schiena, di tanto in tanto, mormorandole frasi gentili come «Brava, così», oppure «È quasi finito, ancora un ultimo sforzo».
Per un corpicino così esile, quei conati dovevano essere decisamente spossanti.
Una volta finito di dare sfogo al proprio stomaco, Rose fu colpita da improvvise vertigini. Si accasciò contro il petto di lui, priva di forze; e il giovane la sorresse, impedendole così di perdere i sensi.
Trovò istintivo il prenderla in braccio, stringendola a sé e portandola verso il suo letto. La adagiò con accortezza sul materasso, rimboccandole le coperte e poi accovacciandosi accanto a lei per potersi ritrovare all’altezza del suo viso.
Le passò teneramente le dita tra i capelli leggermente sudati.
«Riposati, okay?» le ordinò.
La mora schiuse dunque gli occhi, stringendosi nelle spalle e premendo la guancia contro il suo palmo. «Grazie per stasera» mormorò dopo un po’, con un fil di voce.
Il figlio di Apollo, quindi, le rivolse un cenno del capo. «Quando vuoi» le assicurò. «Tu però bevi tanta acqua.»
«Sei sempre così gentile con me» lo ignorò però lei, tirando su col naso.
«Mi viene naturale» fece spallucce lui.
«Perché?»
«Come?»
«Perché lo fai?» chiarì allora la figlia di Poseidone. «Aiutare le persone. Non ti stanchi mai di… essere l’eroe di tutti?»
C’era ancora alcool in circolo nel suo metabolismo, questo era evidente. Le parole venivano soffiate via dalle sue labbra senza che lei riuscisse a controllarle. Era come se il vino le avesse tolto ogni filtro, e quindi parlasse a vanvera di tutto ciò che le veniva in mente senza ragionarvi su.
«Sei molto stanca, Rose» le fece notare dolcemente John, accarezzandole la spalla.
«Dico sul serio» ribatté invece la ragazza, lottando contro le palpebre che pesanti minacciavano di chiudersi. «Tu… tu sei fantastico. Sei sempre nel posto giusto al momento giusto. Lotti per chiunque. Tu salvi ciascuno di noi, John» aggiunse poi, in un sussurro. «Ma chi salva te?»
Quel quesito gli tolse ogni parola, e si sorprese nel riscoprirsi incapace di darvi una risposta.
Forse la giovane aveva ragione. Chi salvava lui?
I suoi amici? Melanie? Aveva sempre dato tutto, senza mai pretendere nulla in cambio. Credeva nella giustizia, nella solidarietà, nel rispetto.
Ma non aveva ancora mai provato la sensazione di essere riportato a galla da qualcuno.
Magari perché era stato tanto fortunato da non aver mai toccato il fondo. Ma qualora fosse successo? Chi gli avrebbe funto da salvagente?
Chi sarebbe stato il suo eroe?
Rose sbadigliò, distogliendolo bruscamente dai suoi pensieri. Mordendosi l’interno della guancia, il ragazzo le sistemò meglio le coperte.
«Buonanotte» le augurò, sporgendosi per posarle un lieve bacio sul capo. Ma quando si rimise in piedi e fece per andarsene, la giovane lo trattenne per una mano.
«John?» lo chiamò.
«Mh?»
«Resteresti con me finché non mi addormento?»
Lo guardò in attesa, scrutandolo con quelle sue iridi del colore del mare, che in quel momento erano di un blu profondo – come le sfumature dell’oceano in piena notte. Sembrava così piccola ed indifesa, nascosta sotto quelle lenzuola; come un cucciolo troppo fragile per poter essere lasciato esposto in balia dei cacciatori.
In quell’attimo, John si sentì uno stupido anche solo per aver pensato di lasciarla da sola.
Annuì con decisione, sedendosi sul bordo del letto, proprio al suo fianco. E continuò a tenerle la mano fino a ché lei non sospirò beata, chiudendo sfinita gli occhi.
Il figlio di Apollo la osservò cadere tra le braccia di Morfeo; e in quel silenzio quasi religioso che si era creato, si ritrovò a studiare i lineamenti del suo viso.
Il modo in cui arricciava le labbra mentre dormiva; la dolce curva del suo naso leggermente all’insù. Le spostò un boccolo mogano dal volto con una delicatezza inaudita, quasi fosse fatta di porcellana e avesse paura di sfregiarla.
Sembrava un angelo, illuminata dal bagliore della luna che filtrava dalla finestra. Era semplice, e al contempo bellissima.
E forse era proprio questa la sua più grande particolarità – anzi, meglio dire problema: il non capire quanto potesse essere eccezionale, senza il bisogno di artefatti o di inutili compromessi.
Il fatto era che dietro quella maschera di maturità e fierezza si nascondeva, in realtà, una grande insicurezza.
John non seppe quanto tempo trascorse lì, intento a guardarla dormine.
Ma fatto sta che non andò via, neanche quando il suo respiro si fece pesante e fu palese che fosse entrata nel mondo dei sogni.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler aveva continuato a seguire quelle voci senza riflettervici troppo, non rendendosi neppure conto che queste la stavano conducendo verso un’ala pressoché deserta della tenuta.
Quasi fosse in uno stato di trance, non riusciva a concentrarsi su altro che quei sussurri concitati, che parevano intensificarsi sempre di più ad ogni passo in avanti che lei faceva.
Era consapevole di aver fatto la scelta sbagliata, a dar retta al puro istinto. Ancora una volta, la sua curiosità la stava portando dritta tra le braccia del pericolo; eppure non riusciva a fermarsi.
C’era qualcosa, dentro di lei – una parte inconscia della sua anima che le suggeriva di lasciare il resto del mondo fuori da quella storia. Fondamentalmente era sempre stato un problema più suo, che di altri.
E doveva rimanere tale.
Specialmente in seguito a tutti quei sacrifici compiuti a causa sua, aveva deciso di non voler mettere a rischio la vita di nessun altro (in primis, di quelli che amava).
Quella era la sua battaglia. La sua guerra.
Era iniziato tutto per colpa sua; e quindi con lei doveva finire.
Qualunque cosa quelle voci rappresentassero, era chiaro che non fosse nulla di buono. Ma lei sapeva badare a sé stessa, no?
Insomma, si trovava comunque nel posto al mondo più sicuro per un semidio. Che cosa avrebbe mai potuto trovare, di tanto temibile?
Ma poi fu un attimo – una frazione di secondo in cui i sibili si interruppero. All’improvviso, tutti insieme.
Cessarono di esistere così come erano nati, tanto che la figlia di Efesto si domandò se non li avesse soltanto immaginati.
Riscossasi da quello stato ipnotico di cui era stata vittima fino a quel momento, si guardò intorno, facendo vagare le proprie iridi scure sulle pareti.
Si trovava in una stanza a lei del tutto sconosciuta. Niente mobili, niente affreschi. Sembrava quasi si fossero dimenticati di finirla, lasciandola lì in attesa di dedicarvisi in tempi migliori.
Le pareti erano di un neutro color crema, e doveva essere situata molto lontano dalla sala del ballo, visto che non di sentiva neanche l’eco della musica e della festa.
Come ci era arrivata, fin lì? Ma soprattutto, come tornava indietro?
Era in procinto di ripercorrere i propri passi, convinta che tutto ciò che aveva udito fino a quell’istante fosse solo un’ennesima illusione della sua mente stressata.
Ma prima che potesse farlo, qualcosa la bloccò. Era stata così concentrata sul capire cosa stesse succedendo, da non accorgersi di non essere più sola.
Fu una voce alle sue spalle a confermarglielo.
Sarcastica, manipolatrice e decisamente inconfondibile.
«Ci si rivedere, Ragazza in Fiamme.»
Il fiato di Skyler le si smorzò in gola, seguito da una molesta sensazione di soffocamento. Deglutì a fatica, girando lentamente su sé stessa con in muscoli in preda alla tensione.
Inizialmente, sperò di essersi sbagliata. Ma quando il suo sguardo incrociò un paio di occhi verde smeraldo, purtroppo non ci fu più alcun dubbio. 
Le labbra di Matthew si incusvarono all'insù, in un ghigno ironico e sadico.
La mora sentì le ginocchia cedere. Lui era lì, di fronte a lei, a scrutarla con quella sua aria di superiorità. E questo poteva significare soltanto una cosa.
Prometeo era tornato. 
E stavolta, anche fisicamente.


Angolo Scrittrice.
Non ci sono parole giuste per iniziare a dirvi quanto mi dispiace. Non dopo tutto questo tempo.
Avrebbe dovuto trattarsi soltanto di qualche settimana, e invece siamo arrivati a... quanto? Quasi due mesi?
Sono mortificata, davvero. Soprattutto perché consapevole che - a causa di questo ritardo immane - molto probabilmente ora non avrò più neanche quei pochi lettori che mi rimanevano. 
Non starò qui a raccontarvi dell'ultimo periodo della mia vita, anche perchè so che non vi interesserà. Voglio solo che sappiate che non ho abbandonato questa storia, e che ho intenzione di portarla a termine anche se (l'ho capito a mie spese) purtroppo non potrò garantirvi la costanza di una volta. 
Però ho scelto questo martedì di novembre per tornare all'attacco in modo simbolico. Oramai questo giorno della settimana lo sento un po' mio, e ho voluto che questa pubblicazione fosse un vero e proprio ritorno a casa.
Ma andiamo per gradi. 
Beh, che dire? Spero perlomeno che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi accadono cose molto importanti per l'andamento della storia. Ad iniziare da
John e Rose
Il rapporto tra questi due semidei non era mai stato approfondito più di tanto fino a 'Il Dono', ma piano piano vi renderete conto di come il loro legame avrà molta importanza proprio per - udite, udite - il nostro figlio di Apollo preferito.
Sappiamo tutti che lei ha una cotta per lui; ma lui è innamorato di
Melanie. E (chiariamo questo punto prima che qualcuno si preoccupi) non la tradirebbe mai, neppure sotto tortura. Ma prova comunque un innato istinto di protezione, nei confronti della figlia di Poseidone - e ne abbiamo la prova lampante in questo capitolo. 
Come solo un vero galantuomo sa fare, non solo la riporta a casa dopo una sbornia, ma le regge i capelli mentre vomita e le rimbocca le coperte. Senza sbirciare la sua biancheria intima, ragazzi!
Ebbene sì, esistono anche loro. E mentre lei gli chiede di restarle accanto mentre si addormenta, lui rimane con quella domanda che io adesso rigiro a voi: quando lui toccherà il fondo, chi sarà il suo eroe?
Qualche idea? Suggerimenti?
Cosa credete che accadrà, invece, quando Rose si sarà ripresa?
Ma parliamo adesso di
Emma e Leo, che... beh, potete intuirlo da soli. Per chi li shippasse questo non deve essere stato un bel capitolo, ne sono consapevole. Leo l'ha fatta grossa, questa volta: non per aver allontanato Larsen da lei, no. La cosa più grave è stata quello che ha detto. 
Tirare in ballo la madre era colpo che non doveva infliggerle. Lui è l'unico a sapere l'intera storia, e ad essere conscio di quanto la figlia di Ermes abbia sofferto. Ed usando questo fatto solamente per ripicca ha tradito la sua fiducia (in modo irreparabile, direi). Pensate che avranno la possibilità di chiarire?
Oppure, conoscendo Emma, non vorrà saperne più niente di lui?
Secondo voi, il figlio di Efesto che cosa potrebbe dirle, per farsi perdonare? Avete delle proposte?
Ultima, ma tra i primi, la nostra
Skyler - che dopo aver seguito l'istinto si è ritrovata faccia a faccia con Lui. Ebbene sì, proprio Prometeo. Ma come ha fatto ad imbucarsi alla festa? E che cosa le succederà, adesso?
Provate a rispondere a queste domande e fatemi sapere se siete ancora con me, semidei. 
Ditemi se avete ancora voglia di seguire questa storia. Fatemi sapere se siete interessati a sapere come andrà a finire. 
Come già detto, non posso garantirvi una periodicità fissa, ma vi avviso che tenterò comunque di pubblicare una volta ogni due settimane (preferibilmente di martedì). Ma fatemi sapere se ci siete ancora, perché altrimenti tutti i miei sforzi sarebbero inutili.
Grazie anche per aver letto questo messaggio. E grazie soprattutto a
Amy_demigod e LoveDragon02 per aver commentato l'ultimo capitolo. Fatemi sentire, Valery's Angels!
E ditemi cosa ne pensate.
Di nuovo vostra,

ValeryJackson

 
  
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