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Autore: Ciack    04/04/2005    1 recensioni
Sulla scia di Dino Buzzati ecco una fanfic un po' particolare...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I SETTE MESSAGGERI

 

 

                                                     I SETTE MESSAGGERI

 

22 Dicembre 1936

Nonostante sia passato solo poco tempo non ho più memoria di come mi venne l’idea, ma il fatto è che in un modo o nell’altro mi venne, e una volta insidiatasi nella mia mente non ci fu verso di scacciarla, più cercavo di non pensarci più mi convincevo che dovevo attuarla.

Gli amici, i familiari stessi, quando li resi partecipi del mio progetto lo derisero come inutile dispendio degli anni migliori della mia vita e di quelli che mi avrebbero seguito. Pochi in realtà dei miei fedeli hanno acconsentito a venire con me, molti diedero dei pazzi a loro e a me medesimo.

Due giorni prima della partenza, mi sono preoccupato di poter comunicare, durante il viaggio, con i miei cari e fra i cavalieri della scorta ho scelto i sette migliori, ho intenzione di servirmene come messaggeri, anche se penso che il loro numero sia addirittura un’esagerazione. Per distinguerli facilmente ho imposto loro nomi con le iniziali dell’alfabeto in ordine progressivo: Alessandro, Biagio, Carlo, Daniele, Enrico, Francesco, Gedeone.

 

1 Gennaio 1937

Questa mattina ho intrapreso il mio viaggio che ha lo scopo di esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno ininterrottamente andrò allontanandomi dalla città, finché, fra poche settimane non ne giungerò ai confini.

Questa sera non invio nessun messaggio a casa, ma non essendo io abituato alla lontananza dai miei cari domani il primo messaggero, Alessandro, tornerà indietro con il resoconto di questi primi due giorni di marcia e s’informerà degli ultimi avvenimenti.

 

3 Gennaio 1937

Abbiamo percorso circa 120 leghe e per assicurarmi la continuità delle comunicazioni invierò ogni giorno un messaggero.

Stasera è partito Biagio. Alessandro non ha ancora fatto ritorno, probabilmente arriverà domani.

 

10 Gennaio 1937

Contro ogni attesa il primo messaggero è tornato solamente oggi mentre stavamo disponendo il campo per la notte in una valle disabitata. Alessandro mi ha spiegato che la sua rapidità è stata inferiore a quella prevista; avevo pensato che, procedendo isolato, in sella ad un ottimo destriero, potesse percorrere, nel medesimo tempo, una distanza due volte la nostra, ma mi ero sbagliato egli aveva potuto solamente una volta e mezza, in una giornata, mentre noi avanzavamo di quaranta leghe, lui ne divorava sessanta, ma non più.

 

20 Gennaio 1937

La stessa situazione si è verificata per gli altri messaggeri. Biagio, che era partito per la città alla terza sera, ci ha raggiunto alla quindicesima, mentre Carlo solo alla ventesima. Ho costatato che basta moltiplicare per cinque i giorni fin lì impiegati per sapere in anticipo quando rivedrò il messaggero successivo. Allontanandoci sempre più dalla capitale, l’itinerario dei messi si fa ogni volta più lungo.

 

 

 

 

 

19 Febbraio 1937

Dopo cinquanta giorni di cammino, l’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri comincia a spaziarsi sensibilmente; mentre prima me ne vedevo arrivare al nostro accampamento uno ogni cinque giorni, quest’intervallo è ben presto diventato di venticinque. La voce della mia città diviene in tal modo sempre più fioca; intere settimane passano senza che io ne abbia alcuna notizia. Non siamo ancora giunti in prossimità del confine.

 

6 Aprile 1937

Mi è giunta notizia che mia sorella Elvira si è sposata con un nostro lontano parente, mi è stato riferito che aveva espresso il desiderio di avermi presente alla cerimonia, ma il mio viaggio come ben sa mi impedisce di tornare indietro. Avrei voluto mandarle un regalo, ma come le lettere mi giungono sgualcite il dono sarebbe giunto rovinato e quindi mi sono dovuto a malincuore accontentare di mandarle i miei più sinceri auguri.

 

28 Giugno 1937

Alla partenza ero proprio stolto: pensavo che portare con me sette messaggeri fosse un’esagerazione e invece dopo solo tre settimane di cammino mi ero reso conto che erano un numero ridicolmente piccolo, ero convinto che in poche settimane avrei raggiunto la mia meta e sono ben sei mesi che camminiamo ininterrottamente senza, apparentemente, avvicinarci neppure di poco al confine. Ho continuato ad incontrare sempre nuovi popoli e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano d’essere sudditi miei. Talora ho pensato che la bussola del mio geografo fosse impazzita e che, credendo di procedere sempre verso meridione, noi in realtà stessimo girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separava dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera, ma non sarebbe giustificato l’aumento del tempo che intercorre fra la partenza di un messaggero e l’arrivo dell’altro. Più sovente però mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno paterno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò raggiungerne la sospirata fine.

 

5 Luglio 1938

Abbiamo varcato i monti Fasani, e l’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri è aumentato a ben quattro mesi. Essi mi recano oramai notizie lontane; le buste mi giungono gualcite, talora con macchie di umido per le notti trascorse all’addiaccio da chi me le porta. Procediamo ancora. Invano cero di persuadermi che le nuvole trascorrenti sopra di me sono uguali a quelle della mia fanciullezza, che il cielo della città lontana non è diverso dalla cupola azzurra che mi sovrasta, che l’aria è la stessa, uguale il soffio del vento, identiche le voci degli uccelli. Le nuvole, il cielo, l’aria, i venti, gli uccelli, mi appaiono in verità cose nuova e diverse; e io mi sento straniero.

 

30 Gennaio 1939

Avanti, avanti! Vagabondi incontrati per le pianure mi assicurano che i confini non sono lontani. Io incito i miei uomini a non posare, spengo gli accenti scoraggianti che si formano sulle loro labbra.

 

 

 

 

 

 

7 Settembre 1941

Sono già passati quattro anni dalla mia partenza; che lunga fatica. La capitale, la mia casa, mio padre, si sono fatti strettamente remoti, quasi non ci credo. Ben venti mesi di silenzio e di relativa solitudine devono passare ora fra le successive comparse dei messaggeri.

Mi portano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riesco a capire. Il mattino successivo, dopo una sola notte di riposo, mentre noi ci rimettiamo in cammino, il messo si mette in moto nella direzione opposta, recando alla città le lettere che da parecchio tempo io ho preparato.

 

11 Giugno 1945

Otto anni e mezzo sono trascorsi. Secondo i miei calcoli Daniele sarebbe dovuto arrivare una settimana fa, non era mai capitato prima d’ora che uno dei messi ritardasse, neanche di un solo giorno, le ultime notizie che mi erano giunte portatemi dal terzo messaggero mi informavano della morte di mio padre e della presa del potere da parte di mio fratello maggiore, mi era stato riferito anche, che ormai mi davano per disperso; che mio fratello avesse ordinato a Daniele di non partire più? Ne ho dubitato quando non l’ho visto arrivare e ne dubito ancor ora, è più probabile che gli sia successo qualcosa durante il viaggio di ritorno verso il mio accampamento, sono sette anni ormai che non lo rivedo, ma mi ha sempre servito in modo irreprensibile come del resto gli altri suoi sei compagni, non mi è dunque possibile pensare che di sua spontanea volontà non sia tornato. E’ difficile, che riesca a saldare in questa mia vita che più velocemente del previsto sta giungendo al termine, il debito che ho verso i miei fedeli messaggeri, se capitasse qualcosa a uno di loro e io non gli prestassi soccorso sarei per sempre l’uomo più infelice di tutti. Il ritardo di Daniele mi preoccupa ed è per questo motivo che se non arriverà entro la prossima settimana ritornerò indietro per cercarlo.                                        

 

20 Giugno 1945

Daniele non è arrivato e ieri sera ho dato l’annuncio che stamani saremmo ritornati indietro alla sua ricerca, è stato duro per me prendere questa decisione, ormai il mio viaggio era diventato un modo per saziare la mia sete di curiosità, per essa avevo rinunciato alla vita agiata che mi sarebbe spettata se fossi rimasto alla casa paterna, ma nonostante questo mio sacrificio e molti altri ancora non sono riuscito ad avere tutte le risposte alle domande che mi pongo. Ho notato con dispiacere che quando ho annunciato la mia decisione di tornare indietro ai membro del mio seguito le loro rughe si sono spianate, qualcuno ha abbozzato un sorriso, solo in quel momento mi sono accorto di quanto sono stato egoista, per tutto questo tempo nessuno si è mai lamentato e io non sono stato in grado di capire che erano stanchi, volevano tornare alle loro case di cui ormai avevano solo vaghi ricordi, dei loro cari non avevano più avuto notizie da quando eravamo partiti….oh che egoista sono stato, ma nonostante questo dovrei essere contento perché con me ho avuto compagni fedeli, mai nessuno mi ha deluso. E loro? Loro dovrebbero essermi riconoscenti perché grazie a me sanno più cose dei loro amici rimasti nella città natale, ma non mi sembrano pieni di gratitudine e non riesco a capire perché. Forse è perché io, figlio del re ho avuto un’istruzione e sono stato educato secondo le regolo del bon ton, mentre loro no? Probabilmente è così. In ogni caso questa mattina appena il sole ha cominciato a sorgere siamo partiti. A tutte le persone che incontriamo facciamo la medesima domanda: se hanno visto o no un giovane ventottenne, vestito da messaggero del re, alto, muscoloso, con la pelle abbronzata, i capelli castani e gli occhi colore nocciola. Fino ad adesso la risposta è stata negativa.

 

 

 

2 Novembre 1946

Forse siamo sulla buona strada! Un gruppo di viandanti ci ha detto di avere trovato più di un anno fa un ragazzo ferito allo stomaco, rimasto senza cavalcatura che, se non ricordano male corrispondeva alla descrizione di Daniele. Ci hanno informato che, essendo lui ferito l’avevano portato dal medico del paese più vicino e assicuratisi che le sue condizioni non fossero mortali l’avevano lasciato lì, proseguendo nel loro cammino. Secondo le indicazioni del gruppo raggiungeremo il paese entro Marzo del 1948. L’unica possibilità che giustifichi il ritardo di Daniele è la sua prematura morte. Purtroppo non trovo un’altra motivazione per cui egli non ci abbia raggiunto in questo periodo abbastanza lungo per guarire da qualunque malattia o ferite seppure grave. A questo punto l’unico motivo che mi spinge a cercarlo è il profondo desiderio di trovare la sua tomba e onorarlo versandovi sopra calde lacrime ormai unico modo per dimostrargli quanto io gli sia grato per avere speso parte della sua vita obbedendo ai miei ordini e correndo per otto anni da una parte all’altra del mondo portando messaggi che non avevano alcuna importanza per lui.

 

17 Marzo 1948

Sono arrivato al paese dove Daniele riposa. Avrei voluto recarmi subito dal medico che gli è stato accanto nei suoi ultimi giorni di vita, ma come mi hanno fatto notare gli altri messaggeri che nel frattempo mi hanno raggiunto era troppo tardi per fare visita a qualcuno, era meglio accamparci e cercare il medico domani mattina. In più si è aggiunto anche un altro problema, del quale sono stato appena informato, il medico è morto diverso tempo fa, ora è la figlia che dirige la clinica seguendo le impronte del padre. Non so se la ragazza potrà aiutarci a rintracciare la tomba di Daniele, ma domani sarà la prima persona che andrò a cercare.

 

18 Marzo 1948

Di prima mattina ci siamo recati alla clinica dove alloggia la figlia del medico, dopo aver bussato, abbiamo atteso inutilmente che ci venisse ad aprire qualcuno, abbiamo bussato e chiamato diverse volte finché quando ci stavamo per allontanare Francesco ci ha fermato affermando di avere sentito la voce di qualcuno, ma che probabilmente proveniva dal piano superiore perché l’aveva sentita a mala pena. In quel momento pensai che se udivamo una voce proveniente dal piano sopra stante, la persona a cui apparteneva stava gridando e un motivo per gridare era di cercare di attirare la nostra attenzione per invocare il nostro aiuto. Gedeone che nella comitiva è il più giovane e il più impulsivo, al pensiero che qualcuno potesse avere bisogno d’aiuto si buttò contro la porta e assieme a Francesco la fece cadere. Appena la porta fu abbattuta ci precipitammo al piano di sopra, le urla continuavano, ma nonostante fossimo dietro alla porta da cui provenivano non riuscivamo a capire il senso delle parole, Francesco con un calcio ha fatto cadere la porta e dietro di essa è comparso….Daniele che prendeva lezioni di canto da quella che ho identificato, grazie alla descrizione che avevo avuto, come la figlia del dottore, non credevamo ai nostri occhi, io pensai che la mia età avanzata mi stesse giocando un brutto scherzo alla vista, ma non era così. Daniele era lì davanti a me, seduto sul letto con una gamba steccata, l’emozione, la gioia di averlo ritrovato, la rabbia perché avevo gettato al vento il mio viaggio per tornare a cercarlo, mentre lui era qui a divertirsi, la stanchezza causata da tanti anni di cammino, esplosero tutte assieme e mi causarono un arresto cardiaco.

 

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