Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: rossella0806    10/11/2016    1 recensioni
E' vero che la vita toglie sempre qualcosa per poi restituire con gli interessi?
E' quello che pensa Lara, una ragazza di ventitré anni, che studia Lingue a Milano ed è nata due volte.
Quattro anni prima, infatti, era stata rinvenuta esanime nella camera del convitto in cui si era trasferita dopo la fine delle superiori; l'incidente misterioso che l'ha vista coinvolta non è mai stato chiarito, costringendola a rimanere in coma per tre mesi.
Quando si sveglia, un giorno di fine aprile, non ricorda nulla, sa solo che deve riprendere in mano la sua vita e, per farlo, dovrà impiegare tutta la forza e la caparbietà che nemmeno lei sapeva di possedere.
La riabilitazione nel reparto di Neurochirurgia durerà un altro mese, ma alla fine ne uscirà vittoriosa e più determinata che mai, anche grazie all'aiuto del dottor Cavani, l'uomo a cui deve la sua stessa vita, e di cui si innamorerà perdutamente.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga ed in salita.
Riuscirà Lara ad affrontarla?
P.S. Il titolo della storia è un omaggio al film (tratto dall'omonimo libro) di Boris Pasternak "Il dottor Zivago", un autentico capolavoro che vi consiglio di vedere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non lo so
perché ci si innamora
     Non so
perché si vola
Non sono mai cresciuto
Ma io amo te
non chiedermi perché.

(Luca Carboni, “Happy”, 2015)




Domenica sera, due giorni dopo il terzo incontro all’Hotel Astor e il meraviglioso orologio che mi era stato portato come souvenir da Marsiglia, tornò anche Alessia.
Trascorremmo la serata nella nostra stanza, sdraiate sulla pancia ad abbracciare il cuscino e a chiacchierare: continuava a ripetere di quanto fosse felice, talmente felice che ballerei davanti a tutti, perché aveva fatto pace con quella specie di rammollito che incarnava il suo fidanzato, un tizio di qualche anno più grande di noi che lavorava come meccanico nell'officina dello zio, ma la cui autentica vocazione era rappresentata dal poltrire e sgraffignare i soldi alla famiglia di Alessia.
Per non rovinare l'atmosfera che si era creata, decisi di rimandare all'indomani le mie indagini per scoprire se fosse ancora possibile iscrivermi al suo stesso corso, in modo da servire ai miei genitori l'ennesima scusa su un piatto d'argento.
Così, la mattina seguente, fui ben felice di accompagnarla in giro per negozi e, quando ci fermammo su una panchina del parco vicino al convitto, approfittai del suo buonumore per sfoderare le mie arti persuasive.
“Sai, dato che quel lavoretto di cui ti ho parlato scadrà questo fine settimana, che ne dici se ti facessi compagnia alle lezioni che stai seguendo? Almeno non dovrei tornare a casa e sorbirmi le lamentele amorose di Giada!”
In realtà, non mi avevano assunta da nessuna parte, né tantomeno mia sorella aveva ragione di piagnucolare per qualche pena d'amore, semplicemente era l'ennesima bugia che stavo propinando anche alla mia amica, ma era sempre meglio che dover litigare con lei.
“Non è possibile, Lara, le iscrizioni ai corsi si sono chiuse dieci giorni fa”
Nonostate il tono di voce secco che aveva usato, aprii bocca per domandarle se fosse davvero sicura delle sue parole, ma mi uscì un ebete ah, certo, se lo dici tu.
Alessia, una T-shirt verde mela e dei pantaloncini beige su delle sneakers grigie, mi piantò addosso i suoi occhi azzurri.
“Che c'è? Mi sembrava una bella idea!” le domandai, sforzandomi di sorridere.
Lei si passò una mano tra i capelli castani raccolti in una coda e, mettendo da parte le due borse colme di acquisti, continuò a fissarmi, senza dire una parola.
“Beh, allora magari c'è qualche altro corso che mi puoi consigliare. Che ne dici?”
Non volevo ancora demordere, dovevo ad ogni costo trovare una soluzione, un'alternativa che mi permettesse di rimanere lì ancora per un paio di settimane, fino a quando lui sarebbe partito per le agognate ferie estive.
“Può darsi, se vuoi m’informo, ma non è di questo che mi volevi parlare, vero? Ormai ti conosco, Lara, e a me non puoi mentire, anche se lo stai facendo da giorni”
Sgranai gli occhi, aggrottando le sopracciglia in una smorfia di incredulità.
“Ma che cosa stai dicendo?! Io... io non ti sto mentendo, non ho nulla da nasconderti!”
Voltai lo sguardo nella direzione opposta, mentre un gruppo di ragazzini in bicicletta sfrecciava davanti a noi.
Mi concentrai sulle chiome di una mezza dozzina di salici, a pochi metri di distanza, appena mosse da una brezza calda e leggera.
Cominciavo ad essere insofferente, forse per il sole di mezzogiorno che, alto ed immenso nel cielo, si muoveva lentamente lungo una traiettoria invisibile a lui solo conosciuta, riscaldandoci in maniera quasi brutale.
“Se fosse stato per un ragazzo, a quest'ora me lo avresti già detto, ne sono sicura. È per quel medico, quello che ti ha curato tempo fa, che ti sei ridotta così?”
Trassi un profondo sospiro, poi chiusi gli occhi per un istante: perché ero sempre così trasparente? Perché non riuscivo a mantenere un segreto solo per me? Se da una parte avrei voluto gridare al mondo, all'universo, quanto amassi profondamente ed incondizionatamente quell'uomo, d'altro canto non volevo apparire come una stupida ragazzina che si era lasciata abbindolare, poiché non vi era nulla di più lontano dalla verità.
Per questo, a malincuore, decisi di capitolare.

“Come lo hai capito?” volli sapere, tornando a guardarla.
All'improvviso, oltre ad una rabbia ancestrale, provai una punta di vergogna ad essere stata scoperta, tanto che mi domandai per quale motivo non glielo avessi detto prima.
Di lei sapevo di potermi fidare, ero certa di poter contare sulla sua amicizia, eppure ciò non era bastato a convincermi.
“Diciamo che non è stato per nulla difficile. E poi, non puoi negare che sono un'ottima osservatrice!"
"Dai, non scherzare..."
Lei si umettò le labbra e sospirò in quel suo modo saggio che sapeva sempre rincuorarmi.
"L'ho capito dal tuo comportamento, Lara, lo stesso di tre anni fa quando me ne hai parlato per la prima volta. Eri malinconica e felice, poi felice e malinconica, ed è esattamente lo stato d'animo in cui versi in questi giorni. Lo sai che detesto fare la parte della moralista, ma quello che stai facendo, qualunque cosa tu stia facendo, ti porterà solo del male”

“Dici che non vuoi fare la parte della moralista, però è esattamente quello che stai facendo” sbottai, scuotendo la testa.
“Allora raccontami che cosa è successo! Voglio solo aiutarti, e lo sai!”
Mi grattai la punta del naso, come spesso mi capitava quando ero indecisa su qualcosa.
Volevo fidarmi di lei, sapevo di potermelo permettere, ma temevo di lasciarmi condizionare dai suoi giudizi.
“Se non hai voglia, io non ti obbligherò. Però, nel caso succeda qualcosa, non venire a piangere sulla mia spalla o a lamentarti che avevo ragione!”
Si alzò dalla panchina, recuperando le due borse con gli acquisti, quindi mi fissò per qualche istante, per poi andarsene in direzione del convitto, cinquecento metri più in là.
“Alessia, dai, aspetta! E va bene, ti racconterò tutto, ma torna indietro, per favore!”


In quei quattro anni, rividi il dottor Cavani solamente altre due volte.
Collaborò a delle visite durante un paio di controlli che feci nell'altra struttura, ma non si fermò mai più di dieci minuti, ed io non andai a cercarlo dove lavorava, sebbene un week end che uscii a mangiare una pizza con Marzia e Simona, dopo che ebbi ripreso a frequentare la Facoltà, passai a salutare le infermiere del reparto.
Inutile dire quanto fossi affranta e delusa dal suo comportamento, ma mi consolavo in fretta e senza troppa convinzione, dicendomi che, dopotutto, lui non mi aveva mai promesso nulla.
Ero io, piuttosto, ad essermi costruita un film su di noi, io che continuavo a fare progetti su progetti, senza vederne realizzati neppure la metà.
Ma un lato positivo, in tutta questa storia, non tardò ad arrivare.
Qualche mese dopo le mie dimissioni, infatti, un fine settimana che ero rintanata sul divano di casa a poltrire come la maggior parte dei sabati ed ero intenta a guardare un film incentrato sui ricordi, mi tornò la memoria, tanto da riuscire a ripercorrere cosa mi fosse successo quel maledetto giorno di fine gennaio, nella mia stanza del convitto.
Mi fiondai in cucina, dove mia madre stava stirando, e le urlai entusiasta che adesso mi appariva tutto più chiaro, definito.
Lei mi guardò incredula e titubante, come se avesse avuto a che fare con una passante incontrata per caso, pensando che fossi sotto l'effetto di qualche strana sostanza d'abuso.
Non le ci volle molto, però, a capire a cosa mi stessi riferendo: per un attimo, credetti che lanciasse il ferro in aria, talmente si affrettò a raggiungermi e a stringermi, mentre gridava al miracolo e mi stritolava tra le sue grinfie.
Insistette perché mi sedessi, quindi prendemmo posto al tavolo, e la inondai delle mie parole.

Era un mercoledì pomeriggio, ed io ero appena tornata da una lezione, mentre Greta -la coinquilina di allora- era a farsi la doccia nei bagni che si affacciavano sul corridoio, quando all'improvviso mi girò la testa e mi si annebbiò la vista.
All'inizio non capii la gravità della situazione, anzi, mi limitai a sedermi sul letto e ad aspettare che passasse, continuando a sistemare gli appunti che avevo disordinatamente ritirato nel quaderno ad anelli.
Ma qualche attimo dopo, avvertii un dolore intermittente alla nuca, delle specie di pulsazioni che mi costrinsero a piegarmi in avanti, pur di cercare di attutirle.
Poi, non passandomi, mi arresi a sdraiarmi, sperando in un
minimo miglioramento, che purtroppo non avvenne.
Solo allora mi resi conto che qualcosa non andava, che avevo bisogno di qualcuno, così tentai di alzarmi e di aprire la porta della camera, il modo migliore per gridare aiuto e richiamare l’attenzione.
Sfortunatamente, riuscii solamente a compiere qualche passo, perché caddi a terra, svenuta.
Mi trovarono Camilla e un'altra ragazza, le quali chiamarono immediatamente suor Fabrizia e l'ambulanza.
Le loro voci mi arrivavano attutite e non riuscivo a metterne a fuoco i volti, mentre alternavo riprese di conoscenza a nuovi e più duraturi svenimenti.
Poi, l'oblio.
Il resto della vicenda, ormai, è diventato dominio anche vostro.

Capite anche voi che non potevo aspettare il follow-up seguente per raccontare che la mia amnesia lacunare era finalmente scomparsa, per cui, il lunedì successivo, fissai un appuntamento più ravvicinato con la dottoressa Lentini, la neurofisiopatologa che mi seguiva.
Escludendo la causa accidentale e quella colposa, decise di approfondire il mio quadro immunologico ed autoimmune, come lo definì, sottoponendomi ad una serie di esami ematologici molto specifici e mirati: erano talmente tanti che temetti di svenire dissanguata.
Il risultato di tali prelievi fu abbastanza sconcertante, almeno per quanto mi riguardava: si scoprì, infatti, che il mio povero cervello era stato preda di una neurotossina vegetale, una sostanza che mi aveva avvelenato poco a poco.
Il responsabile di tutto, quindi, era una bestiolina microscopica, dal nome impronunciabile, che ama ricreare il suo habitat ideale nelle acque inquinate, nel cibo avariato e negli scarti alimentari infestati da escrementi.
La Lentini mi spiegò che i miei anticorpi non potevano essersi sbagliati: tuttavia, dall'abnorme quantità che era emersa dalle analisi, era assai probabile che il mio malessere fosse stato il risultato di una sorta di lungo avvelenamento.
Le conseguenze che avevano provocato al mio cervello, infatti, rimanevano comunque molto rare, tanto che, in oltre la metà della popolazione, si sarebbe verificata una banalissima intossicazione con febbre elevata e sintomi gastrointestinali.
Una volta appurata la mia sfortuna, cercai di fare mente locale, ricostruendo dove avrei potuto subire quel misterioso avvelenamento.
Di certo non al convitto, mi convinsi, perché sia suor Fabrizia che suor Augustina erano delle cuoche superlative, ed inoltre,
nelle settimane precedenti il mio svenimento, nessuna di noi venti ragazze si era mai sentita male.
A pranzo, invece, ero solita mangiare sempre al medesimo posto, anche se… ma certo! Il bar Quattro Stagioni aveva chiuso per ristrutturazione prima di Natale, e quando tornai in città, dopo le vacanze, lessi sul cartello all'esterno che sarebbe rimasto serrato ancora per un altro mese.
D'un tratto, mi fu finalmente limpida ogni cosa: avevo dovuto scegliermi un altro locale, un bugigattolo coloratissimo qualche centinaio di metri più in là.
Era davvero minuscolo, ci stavano solamente quattro sedie appoggiate al bancone di plastica bianca, ma preparava degli involtini di melanzane e pomodoro davvero squisiti.
Raccontai i miei ricordi e i relativi dubbi alla neurofisiopatologa, che fece scattare una denuncia ai NAS.
Qualche giorno dopo, infatti, ascoltai in televisione che al posto incriminato erano stati messi i sigilli, a seguito delle indagini dei Carabinieri, i quali avevano evidenziato come la quasi totalità del cibo utilizzato fosse avariato, scongelato e ricongelato, pronto da servire agli ignoti clienti come la sottoscritta.
Insomma, lì non si preparavano esattamente quelle che si definiscono "ricette di alta cucina", ma almeno giustizia era stata fatta.
A breve, definiranno una data per l’inizio del processo, e io sarò chiamata in causa come parte lesa.
Tutta questa storia, però, Alessia la conosceva già.
Quello che nessuno sapeva, invece, era che circa un mese e mezzo prima degli eventi che ho cominciato a narrare con il primo incontro all'Hotel Astor, mi ero rivolta al dottor Cavani.

Negli ultimi quindici giorni, infatti, avevo accusato dei forti mal di testa, di cui non riuscivo a spiegare l'origine.
Cominciai a temere che potessero essere dei postumi collegabili alla mia vicenda di quattro anni prima e, spaventata, decisi di contattare la dottoressa Lentini, la quale però stava partendo per le ferie.
Secondo lei, era comunque una questione da discutere con i chirurghi, in quanto l'ultimo follow-up di due mesi prima rientrava assolutamente nella norma.
Mi consigliò, perciò, di contattare lui, il mio angelo salvatore.
Non mi sembrava vero che avrei avuto la possibilità di rincontrarlo, così non me lo feci ripetere due volte.
Chiamai la segretaria per fissare un appuntamento, anche privatamente mi sarebbe andato bene.
Mi disse che c'era un posto per il mercoledì successivo, alle dodici, e confermai all'istante.
Trascorsi quei giorni d'attesa come se fossi in una bolla di sapone: tutto mi arrivava attutito, ogni cosa mi appariva piacevolmente deforme.
Mi domandavo in continuazione se fosse cambiato, addirittura se lo avessi riconosciuto. Mi sarebbe piaciuto ancora? E lui, di me, che ricordi conservava?
Mi feriva il fatto di non riuscire più a rammentare la sua voce e neppure la perfezione dei suoi lineamenti, ma il suo profumo e la dolcezza delle sue mani continuavano a rimanere vividi nella mia mente.
Mi risposi che non vedevo l'ora di rivederlo, di parlargli, di fargli sapere che esistevo.

Pensavo, guardavo la TV, ascoltavo la musica, leggevo, ma era come se avessi sempre davanti la sua immagine, ora sbiadita.
Quel fatidico mercoledì, uscii dalla biblioteca della Facoltà alle dieci; con la metro tornai al convitto, mi feci una doccia veloce e mi cambiai, recuperando dalla sedia il vestito rosso che avevo scelto di indossare la sera prima.

Optai per un trucco leggero ma visibile, composto da mascara, matita azzurra e pochissimo fard.
Ero indecisa sul colore del rossetto, concludendo alla fine per un brillante prugna.
Fissai la mia immagine nello specchio, i capelli raccolti in morbide ciocche, e mi ritenni soddisfatta del risultato d'insieme.
Arrivai all'ospedale in netto anticipo, così ne approfittai per chiudermi nel primo bagno disponibile a ripassare le battute che mi ero immaginata di pronunciare.
Non prendetemi per pazza, semplicemente volevo fare bella figura, volevo che lui fosse felice di rivedermi, che rimanesse affascinato dalla mia presenza.
Ovviamente, speravo che non mi trovasse nulla, che i mal di testa che erano improvvisamente e fortunatamente diminuiti, non celassero un cattivo presagio.
Spruzzai sul collo e sui polsi l'acqua profumata al muschio bianco che avevo portato nella borsa.
Ora sì che mi sentivo abbastanza pronta, ma anche tanto emozionata: mi ripetevo che dovevo stare tranquilla, che quella era la mia grande occasione, che tutto sarebbe andato per il meglio.
Inspirai ancora una volta ed uscii dal bagno.


La visita era andata bene, il dottor Cavani era stato molto contento di rivedermi.
Mi aveva rassicurato, dicendomi che poteva capitare assai di frequente che si verificassero questi episodi.
L'importante era tenerli sotto controllo e parlarne con chi mi seguiva, per il resto potevo stare assolutamente tranquilla.
Stavo già uscendo, pensando ad una scusa che mi trattenesse ancora qualche minuto, quando lui, in piedi davanti a me, mi fece una proposta a cui non pensai nemmeno un istante di dire di no.
“Se ti va, possiamo andare a mangiare qualcosa. Oggi ho un'ora in più di libertà!” scherzò, sorridendomi.
Non era cambiato nulla, mi convinsi a ragione, non avevo mai smesso di pensarlo, e nemmeno di amarlo, adesso ne avevo la conferma.
Sebbene il suo ricordo fosse diventato ogni giorno più sfocato, sebbene il tono della sua voce fosse rimasto sommerso dentro di me, quel sorriso amabile e quel profumo eccitante continuavano a provocarmi un brivido di puro piacere.
Deglutii felice, immensamente soddisfatta per quel colpo di fortuna che avevo avuto.
“Sì, certo, mi farebbe molto piacere” risposi, cercando di celare l'entusiasmo travolgente che avvertivo scombussolarmi.
“Bene! Allora andiamo!”

Mangiammo dei panzerotti giganti e un gelato al pistacchio e cioccolato ad un bar lì vicino, in una stradina tipica, con l'acciottolato di sampietrini e i locali colorati dai tetti a pergolato.
Mi pregò di dargli del tu, in quanto lo imbarazzava questa forzata distanza rappresentata dalla forma di cortesia: naturalmente, acconsentii di buon grado, perché la cosa non mi dispiaceva affatto, tutt'altro.
Offrì lui, come mi aspettavo, e parlammo di molte cose, anche banali, quali il gusto preferito della pizza o il posto che avremmo voluto visitare durante le prossime vacanze.
Mi sembrava di essere in un film, era tutto così sospeso, quasi impossibile.
Fluttuavo in un limbo a metà tra la realtà e la mia immaginazione più sfrenata, e non riuscivo a decidermi quale delle due fosse meglio.
Uscimmo dal locale che erano le due, il sole di luglio che batteva sulle nostre teste.
Lo riaccompagnai in ospedale, dove ci salutammo all'ingresso, in mezzo al cortile, tra la folla di sconosciuti che andava e veniva.
Non può finire così, continuavo a ripetermi, devo trovare un modo per non farlo scappare.
“Mi piacerebbe ricambiare il tuo invito…” proposi, speranzosa nella sua risposta.

“Sì, certo, piacerebbe anche a me. Però, offro sempre io!”
Mi morsi le labbra e fissai il colletto della sua camicia rosa antico, aspettando che facesse il primo passo.
“Ti lascio il mio numero” dissi alla fine, non riuscendo a resistere oltre.
Lui annuì e tirò fuori dalla tasca un iPhone di ultima generazione.
Gli dettai le dieci cifre, il cuore in tumulto, pregando mentalmente che mi chiamasse al più presto.
“Ti faccio uno squillo…” continuò, mentre estraevo il cellulare dalla borsetta.
“Perfetto, allora ti chiamerò una di queste sere. Adesso vado, buon lavoro”
Ci stringemmo la mano, poi lui si avvicinò e mi stampò un bacio sulla guancia.
“Mi ha fatto piacere rivederti, Lara. A presto”
Lo salutai ancora una volta, agitando la mano, mentre lo guardavo allontanarsi, per scomparire poco dopo oltre le porte scorrevoli.
Alzai gli occhi al cielo, sorridendo e reprimendo la voglia di saltare.
Stavo toccando il paradiso con un dito, ed era una sensazione stupenda!
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: rossella0806