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Autore: taisa    11/11/2016    3 recensioni
Per quanto possa essere complicata, rotta o distrutta, la famiglia resta sempre la famiglia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FAMILY


Le parole di un profeta


Goku sapeva svolgere il proprio lavoro. Aveva passato la giornata precedente a fare telefonate e, con somma soddisfazione, aveva trovato qualcuno che poteva aiutarli a scoprire qualcosa di più sulla misteriosa sfera. Un uomo lo aveva informato che la persona giusta a cui chiedere era la proprietaria di un negozio chiamato Uranai, in periferia.

Così, Goku ed il suo compagno di squadra avevano attraversato la città in cerca del posto nella speranza di ottenere informazioni da una donna che non sembrava avere un telefono. Al riguardo Vegeta aveva brontolato, non che questa fosse una novità, ma nel loro lavoro avevano riscontrato cose molto più strane, di conseguenza le sue obiezioni erano state messe a tacere… più o meno. “Spero che questa non sia solo un’inutile perdita di tempo” stava infatti dicendo quando i due agenti entrarono nell’edificio. Goku si limitò ad una risatina, prima di rivolgersi all’inserviente che sedeva dietro il bancone.

“Salve” lo salutò il poliziotto, osservando il simpatico fantasmino che incorporeo li studiò da dietro un buffo cappello di paglia, “Salve” disse in responso. Goku fece comparire un bigliettino da una tasca e lo lesse, “Siamo qui per parlare con la Sigilla Baba” “Sibilla Baba” lo corresse il cassiere. L’ispettore controllò meglio sul pezzo di carta, “Ah già!” commentò grattandosi la nuca in un gesto imbarazzato. “Che idiota, non sai leggere manco la tua stessa scrittura” brontolò Vegeta, che a braccia conserte sbirciò oltre la spalla del collega per verificare a sua volta quanto riportato sull’appunto. Goku si limitò a ridere.

Il fantasmino osservò con attenzione i clienti. Uno alto e un po' tonto, uno basso ed irascibile. Sorrise. “Molto bene, la mia padrona vi sta aspettando” annunciò, fluttuando da dietro il bancone e mostrando agli agenti la porta sul retro del piccolo negozio con un gesto della mano. Goku lo guardò sorpreso, scambiò uno sguardo col collega, scoprendo che anche lui apparve sbalordito, “Ehm… ma noi non avevamo un appuntamento” precisò confuso. Lo spettro allargò l’enigmatico sorriso, poi cominciò ad ondeggiare in direzione dell’ingresso che aveva indicato, sapendo che lo avrebbero seguito.

Goku e Vegeta si scambiarono una seconda occhiata, consumando un dialogo espresso nel più assoluto silenzio e decidendo infine, di comune accordo, di accodarsi al loro accompagnatore.

La stanza nella quale furono condotti era la perfetta descrizione della parola esoterico. Dove un'aura di mistero sembrava opprimere gli occupanti che con circospezione furono costretti a guardarsi attorno per ammirare le più enigmatiche chincaglierie che ornavano gli scaffali. Tre le cose che colpirono di più l’attenzione di Goku ci fu una piccola statua di quello che pareva un demone seduto su un water e una gigantesca sfera posta in una grossa teca dal lato opposto dell’indecifrabile stanza.

Dopo aver inarcato un sopracciglio, il poliziotto cercò per la terza volta lo sguardo del compagno di squadra, ma questa volta Vegeta era impegnato ad osservare qualcosa davanti a sé e Goku seguì la traiettoria dei suoi occhi.

Seduta dietro una grossa scrivania sedeva una strana donna dalle dimensioni minute che con circospezione sembrò studiare gli agenti. Sul capo portava un buffo cappello nero che ricordava quelli delle streghe nelle fiabe per bambini. Il suo assistente le bisbigliò qualcosa all’orecchio e lei annuì, senza mai smettere di osservare i due sconosciuti.

Il fantasma chinò il capo e senza dire più una singola parola si allontanò, lasciando sola la vecchietta ed i suoi ospiti, chiudendo poi la porta dalla quale erano entrati. Ci fu un lungo silenzio, nella quale nessuno parve interessato a parlare. E se Vegeta si trovava a suo agio nell’inerzia, Goku cominciò ben presto a dare segni d’impazienza.

“Salve” fu infatti lui a dire, alzando una mano in segno di saluto. Per alcuni secondi la donna non disse ancora nulla, “Siete qui per la sfera del drago” bisbigliò infine, contemplando le loro reazioni. “Oh” farfugliò sorpreso Goku, “Come fai a sapere per cos…” “Che cosa sai di questa sfera, vecchia?” lo interruppe Vegeta, dando uno spintone all’amico ed avvicinandosi alla scrivania con grandi passi. Una volta raggiunta sbatté entrambi le mani sulla superficie. L’anziana Baba scostò su di lui lo sguardo per un lungo intenso istante, “Io so molte cose” mormorò enigmatica, poi ridacchiò tra sé. Vegeta assottigliò lo sguardo, fissando la donna con malcelato scetticismo.

Baba allungò una mano in direzione di Goku, “Fammi vedere” gli disse, lasciando l’ispettore esterrefatto. Pochi secondi più tardi comprese, tirando fuori dalla tasca un ingrandimento della sfera che gli era stata fornita dalla scientifica. Si avvicinò a sua volta alla cattedra e fece scivolare la foto sul palmo dell’anziana.

La donna studiò con estrema cura l’immagine, “Sì” disse infine, “È una sfera del drago” confermò, restituendo la fotografia all’uomo che gliela aveva fornita. Goku guardò la sfera, “A cosa serve?” domandò curioso, ma il suo quesito fu ottenebrato dallo squillo di un telefono.

Era stato il cellulare di Vegeta a dare un segnale di vita, vibrando nella tasca del poliziotto che tuttavia non parve intenzionato a rispondere, restando a fissare la donna dopo aver ritrovato la consueta postura a braccia conserte. Baba attese, senza dar peso alla domanda che le era stata posta, solo dopo alcuni secondi si rivolse a Vegeta, “Le conviene rispondere, Ispettore. Potrebbe essere importante” suggerì, guardando l’uomo di sottecchi, un sorriso criptico appena percettibile sulle labbra. L’uomo esitò, indeciso se darle ragione o se ascoltare il proprio orgoglio ed ignorarla.

Con il passare dei secondi, e l’insistenza del cellulare, apparve chiaro che la misteriosa anziana aveva ragione, solo un messaggio importante o urgente poteva suonare così persistente. Vegeta estrasse il telefono e lesse il display che riconobbe il numero come scuola Bra, ed in quel momento un brivido gli percorse lungo la schiena. Senza ulteriore indugio accettò la chiamata e si allontanò di qualche passo per interloquire con chiunque lo stesse cercando.

“Sono molto preziose” riprese la donna, riportando l’attenzione di Goku su di sé, che nel frattempo aveva seguito i movimenti del collega. “Ne esistono solo sette al mondo e una sola di queste vale in oro quanto l’intera città” stava continuando a dire lei. Il poliziotto la studiò per un momento, si poggiò una mano al mento e parve riflettere, “Allora è per questo che è tornato a prenderla” mormorò tra sé e la donna annuì con un piccolo cenno del capo.

Vegeta riapparve un secondo più tardi “Devo andare” annunciò, “Tu fatti dire tutto quello che puoi dalla vecchia” ordinò compiendo un primo passo verso l’uscita. “Ehi aspetta un secondo! Se tu vai via, io come torno in centrale senza macchina?” gli urlò dietro Goku, udendo la risposta del collega un istante dopo averlo visto sparire “Che cazzo ne so! Arrangiati!”.

Rimasto solo con l’anziana, Goku sospirò con lo sguardo verso la porta. Alle sue spalle la vecchia Baba commentò empatica “Perdere un figlio dev’essere molto doloroso”. “Già” concordò sovrappensiero l’agente “Ehi! Ma tu come…?” esclamò un secondo dopo, voltandosi a guardala. L’anziana poggiò una mano sulla teca che conteneva la sfera, sorrise, “Io so molte cose” ripeté.


***


Aveva parcheggiato la macchina in tutta fretta e senza perdere un minuto di tempo aveva precorso la strada che portava alla scuola di corsa. Ogni secondo era prezioso e nemmeno uno di essi poteva essere sprecato. Ignorò il dolore ai piedi causato dalle scarpe non adatte.

All’ingresso i suoi occhi scorsero la segreteria, dietro la quale un’indaffarata segretaria stava osservando le proprie dita digitare con estrema abilità sulla tastiera di un computer. Raggiunto il banco poggiò le mani sulla sua superficie e si prese un solo istante per prendere fiato e per permettere alla donna di sollevare lo sguardo dal proprio lavoro. “Mi scusi, sono qui per…” “Bulma” la chiamò qualcuno alle proprie spalle, costringendola a voltarsi e trovare la persona che aveva pronunciato il suo nome. Non ebbe bisogno di molto per riconoscere la voce dell’uomo, né ad identificarlo tra i corridoi della scuola elementare tappezzati dai disegni fatti con cura dai bambini.

Vegeta la fissò per pochi secondi, la figlia stretta tra le braccia, e Bulma li raggiunse in un battito di ciglia, imprecando mentalmente per aver scelto di indossare dei tacchi proprio oggi. “Cos’è successo? Stai bene?” chiese poggiando una mano sulla schiena della bambina che la guardò tramite occhi arrossati. Bra annuì, il capo sulla spalla del padre. Solo in quel momento Bulma si ricordò l’antica arte del respiro, cominciando a rilassarsi. Per quanto la paura non l’aveva ancora del tutto abbandonata.

“È solo una distorsione. È caduta durante l’ora di ginnastica” la informò Vegeta “L’infermiera ha detto che le passerà tra un paio di giorni” gli occhi della donna scivolarono sulla caviglia della figlia, sulla quale una leggera fasciatura era stata legata e che sbucava da sotto il calzino. La scarpa mancante nella mano, anch’essa bendata, dell’uomo.

Quando aveva sentito il proprio cellulare e la voce di Vegeta avvisarla di raggiungerlo alla scuola della bambina, Bulma pensò di aver sfiorato un infarto. La scena le aveva rammentato in modo fin troppo vivido la volta in cui era stata avvisata di un incidente ben più grave.

“Perché hanno avvertito prima te?” gli chiese, sfregando la schiena della bambina nella speranza di darle conforto… o di darlo a sé stessa. In ogni caso parve funzionare per entrambe. “In segreteria è segnato che Bra è sotto la mia custodia questa settimana” le ricordò lui, “Ah già” rammentò stupidamente lei. Nessuno parlò per un po'.

Bra, in cuor suo, si sentì protetta quanto mai prima di allora. Sorretta dalle forti braccia di suo padre e le dita di sua madre strette sulla propria schiena. Avrebbe voluto che fosse sempre così.

“Ok… Bra, se te la senti possiamo tornare a casa adesso” le disse sua madre, sciogliendo quel piccolo attimo nello scorrere del tempo che la bambina non aveva ancora smesso di assaporare. “No” rispose aggrappandosi alla giacca del genitore, “Voglio restare con papà” disse, spaventata che tutto potesse finire così in fretta. Bulma la guardò con tristezza, ma per chi si sentisse afflitta non sarebbe stata in grado di dirlo. Per la figlia, per sé stessa, per Vegeta o per tutti loro.

Mestamente la donna chinò il capo, “Bra…” mormorò con un filo di voce, “Tuo padre ha del lavoro da fare, ricordi? È molto impegnato in questi giorni” la frase era diretta a Bra, ma non era a lei che era stata rivolta.

Vegeta strinse i denti, lui che voleva separarsi dalla bambina ancora meno di quanta lei ne avesse di essere lasciata andare. Ci pensò per un secondo, valutando tutte le sue opzioni e per un attimo passeggero le nocche sfregiate della sua mano pizzicarono sotto le fasciature. Avrebbe tanto voluto tornare da suo padre, tirargli un altro pugno e urlargli “E questo è per tenermi lontano da mia figlia”.

“Posso solo accompagnarti fino a casa di tua madre” rispose infine, utilizzando lo stesso sistema indiretto che aveva innescato Bulma, che di rimando annuì. “Ma…” cominciò la piccola, “Non farmi arrabbiare, Bra. Vai in braccio a tua madre e torna a casa con lei. Io vi raggiungo lì” stabilì Vegeta, decretando a modo suo la fine della discussione.

Bra mise il broncio, ma decise di obbedire. Riconosceva quel tono autoritario e quel modo d’imporsi. Quando suo padre faceva così non c’era molto verso di fargli cambiare idea, tanto più se sua madre gli stava dando man forte. Malvolentieri accettò il compromesso, chinandosi verso la donna e circondandola con le piccole mani per farsi prendere in braccio. Fu con somma sorpresa che si accorse che la madre stava leggermente tremando.


***


Bulma finì di leggere il paragrafo ed alzò lo sguardo, “Non capisco” commentò guardando la sorella seduta accanto a lei, attorno al tavolo della cucina, “Perché al tuo editore non piace?” le domandò riportando il portatile davanti alla bionda. Tights osservò le ultime parole scritte sullo schermo. “Non gli piace il personaggio dello scienziato. Dice che sembra uscito da un fumetto” spiegò con un’alzata di spalle. “Ma, lo scienziato… è papà” chiarì Bulma, inarcando un sopracciglio con scetticismo. Sua sorella la studiò per un secondo, “Si capisce che mi sono ispirata a lui?” le domandò e la minore tornò a sbirciare lo schermo. “Grossi baffi bianchi… una sigaretta sempre tra le labbra… un gatto nero poggiato sulla spalla…” lesse, “È decisamente papà!” confermò la padrona di casa. Tights sorrise, “Già… e immagina cos’avrebbe detto l’editore se avessi inserito un personaggio ispirato alla mamma”. Al solo pensiero le due donne scoppiarono in una corale risata.

In quel preciso istante, Vegeta comparve sulla soglia della cucina, le mani nelle tasche e l’immancabile sguardo imbronciato. Studiò la scena e l’unico commento fu un leggero incresparsi del sopracciglio. “Oh, Vegeta! Sei riuscito a mettere Bra a letto?” gli chiese Bulma, trovando l’improvviso impulso di riporre alcuni bicchieri nel lavandino. L’uomo assottigliò lo sguardo, avendo notato ancora una volta che non gli era stato concesso alcun contatto visivo. Le avrebbe voluto urlare “Guardami negli occhi, dannazione”, ma preferì il silenzio e un singolo “Sì” in risposta della domanda.

“Posso offrirti qualcosa da bere, prima che tu vada?” gli domandò aprendo l’anta del frigo e lui ne seguì le gesta, “No” mormorò. Tights studiò la scena con scrupolosa attenzione, “Accidenti Vegeta, sei sempre il solito chiacchierone” commentò sarcastica. Da quando erano rientrati, ore prima, Vegeta si era limitato ai suoi monosillabi e poco altro; e dire che non si vedevano da anni. La donna si domandò se potesse ispirarsi al cognato per un personaggio in uno dei suoi libri.

Vegeta si limitò a lanciarle un’occhiata vaga, e come a confermare le sue parole, non disse nulla tornando ad osservare Bulma, che nel frattempo si stava versando un bicchiere d’acqua. Le riservò un lungo momento di contemplazione, poi afferrò la propria giacca rimasta su una delle sedie e la indossò. “Ti accompagno alla porta?” gli chiese nuovamente la padrona di casa con cortesia, “Non ne ho bisogno” affermò lui girando sui tacchi in direzione dell’uscita.

Aveva abitato in quella casa, seppur per un breve periodo. Dopo la morte di Trunks avevano deciso di cambiare zona, troppi ricordi nel quartiere. Così, poco dopo la nascita di Bra avevano trovato un posto più in periferia per provare a ricominciare, ma non era bastato. Il dolore e la rabbia si erano insinuati come una pestilenza tra loro e alcuni mesi dopo la prima candelina sulla torta della figlia erano arrivate le carte del divorzio. Di comune accordo, Bulma aveva preso la casa, Vegeta la macchina.

“È stato bello parlare con te Vegeta” lo salutò la pungente cognata, quando lui era già svanito tra i corridoi dell’abitazione. Pochi istanti più tardi udirono lo sbattere della porta d’ingresso.

Tights osservò la sorella che stava ancora fingendo di bere dal bicchiere che aveva appena riempito e non poté fare a meno di notare che la più giovane lo aveva seguito con lo sguardo solo dopo che il poliziotto le aveva dato le spalle. “Sarà anche di poche parole, ma è un bravo padre” commentò Tights, “Lo so” rispose Bulma senza esitazione. D’altra parte avrebbe combattuto chiunque osasse sostenere il contrario.

Sua sorella maggiore la fissò per un lungo minuto, “La sai una cosa, sorellina, se tu non fossi così occupata a non guardarlo negli occhi ti accorgeresti quanto ci tiene a te” le disse in un velato, ma non troppo, rimprovero.

Bulma poggiò con veemenza il bicchiere nel lavabo, “Lo so!” ripeté in tono deciso, “Ma cosa ci posso fare?! Ci ho provato, cosa credi? Vorrei tanto poterlo guardare come facevo un tempo, ma…” “Trunks” concluse la sorella e lei annuì appena. Tights continuò a scrutarla con i suoi intensi occhi neri, lasciando passare un momento di silenzio. “Ascolta Bulma, pensi che per lui sia tanto diverso? Chi credi che veda ogni volta che guarda Bra?”. Ora fu Bulma ad osservare la sorella con attenzione, a questo non aveva mai pensato. “Tights, mi spieghi perché ti diverti sempre così tanto a parlare come una grande profeta?” le domandò. L’altra alzò le spalle, “È una dote naturale” rispose.


CONTINUA…


  
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