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Autore: Lost In Donbass    13/11/2016    2 recensioni
Tom è un traduttore di romanzi, squattrinato, disordinato, con la memoria particolarmente corta e la mania di cacciarsi in casini molto più grandi di lui.
Bill è un giornalista, geniale, psicologicamente instabile, dotato di una memoria elefantiaca e affetto da nevrosi acuta.
Si sono visti e rivisti, questi due ragazzi, ma solo ora si decideranno a parlarsi, a riconoscersi, a entrare in un contatto che di sano non ha proprio niente. E in una Berlino misteriosa, tra amici inconcludenti, grunge degli anni 90, ricordi che vengono a galla, crisi di nervi e perle filosofiche di periferia, riuscirà Tom a salvare Bill da se stesso? O lo perderà di nuovo, forse per l'ultima volta?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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CAPITOLO NOVE: SIAMO SULLA PISTA GIUSTA!

-Tom, sei sicuro di stare bene?
Se non fosse stato troppo stanco anche solo per sbadigliare, il ragazzo avrebbe riso istericamente di fronte alla domanda posta da Rebecca, l’inarrestabile fidanzata di Julia, che lo fissava preoccupata con quei grandi occhi gialli truccatissimi, i capelli cotonati rosa chewingum raccolti in un’enorme crocchia perfetta, le curve e i seni prosperosi schiacciati nella divisa da infermiera troppo stretta per le sue forme burrose e prorompenti. Si limitò ad alzare lo sguardo con aria truce, riuscendo solo a grugnire qualcosa che poteva essere “Mi dai delle patatine?” o anche “Ho sonno”.
-Forse dovresti tornare a casa.- Rebecca si accucciò per terra accanto a lui, guardandolo con una certa compassionevole tristezza.
-Non ci torno finché non mi dite come sta Bill.- mugugnò Tom, scostandosi i capelli dal viso e sospirando rumorosamente. Erano ore che era lì seduto nel corridoio dell’ospedale, aspettando pazientemente che qualcuno si degnasse di fargli sapere le condizioni di Bill, dopo che qualcuno del centro sociale aveva chiamato un’ambulanza e se l’era visto strappare dalle braccia e portare via, costringendolo a una corsa fuori programma fino all’ospedale, dove gli avevano simpaticamente detto di aspettare. Per delle ore, infinite, lunghissime, oscene, asettiche ore. Che poi, per quello che aveva pensato subito, si era illuso di averlo potuto calmare da solo in perfetta calma. Certo, per un attimo, quando lo aveva afferrato per la vita, e gli aveva premuto il viso sul suo petto, sussurrandogli che andava tutto bene e che doveva calmarsi, era sicuro che Bill si fosse tranquillizzato. Ovviamente, si sbagliava di grosso. Perché l’unica reazione che poi aveva ottenuto era stata quella di aver detto una frase che probabilmente aveva urtato l’inconscio del biondo (forse il suo “Ci sono io, non avere paura”, oppure il “Nessuno ti farà del male”) e di scatenare un’ulteriore crisi isterica che sinceramente avrebbe fatto anche a meno di vedere, fatta di strilli inconsulti sul fatto che lui non aveva fatto nulla, che era innocente, che dovevano lasciarlo stare, correlata col fatto che il ragazzo aveva cominciato a dare testate nel muro, e ad aggredire chiunque osasse anche solo avvicinarglisi. Tom guardò il dorso della propria mano dove campeggiava ancora un bel morso e si toccò istintivamente la guancia ornata da un graffio mica da ridere risultato dei suoi tentativi di calmare Bill prima che due enormi infermieri lo trascinassero via di peso sotto i suoi occhi avviliti.
-Io sono solo un’infermiera, però ti prometto che ci starò attenta io a Bill. Ti terrò aggiornato, lo terrò d’occhio. Ora però tu faresti meglio ad andartene, Tom!- Rebecca lo guardò tristemente, posandogli le mani sulle spalle, il trucco da Cleopatra che le ingigantiva ancora di più gli occhioni.
-Ho capito, Becca, grazie mille, però io voglio sapere come sta.- il ragazzo si scostò i capelli dal viso assonnato, massaggiandosi il ponte del naso.
-Ora è sotto sedativi.- Rebecca si sedette accanto a Tom, aggiustandosi la gonna bianca – Ha schizzato un po’, prima che lo sedassero. Scalciava, urlava, piangeva. Beh, l’hai visto. Come va la mano e la guancia?
Il ragazzo alzò le spalle, sorridendo debolmente all’amica, sospirando.
-Ma prima che lo sedaste come stava? Voglio dire, ha smesso di sclerare?
-Straparlava, però almeno si era calmato. Non scalciava e non mordeva, ecco. Aveva anche smesso di tentare di rompersi la testa.
Rebecca e Tom si guardarono tristemente, prima di voltarsi verso il corridoio bianco asettico e sulle porte dove dietro una di quelle dormiva Bill coi suoi demoni.
-Senti, T., ma tu … cosa sai di Bill? Intendo dire … chi è?- chiese Rebecca, scostandosi una ciocca ribelle dal viso tondo.
-Non lo so, Becca. Non so nulla di lui, in fondo.- Tom alzò le spalle con aria evasiva, appoggiandosi alla parete – Se non che appartiene al mio passato e che ho deciso che lo salverò da se stesso. Qualunque siano i suoi demoni.
-Come discorso non fa una piega, T., ma l’ultima volta che avevi detto che avresti salvato qualcuno si trattava del gatto obeso della zia di Georg rimasto incastrato e l’unica cosa che avevi prodotto col tuo salvataggio era stato fargli rompere una zampa.- la ragazza sorrise, quel sorriso vagamente sadico, da coniglio marzolino che a Tom aveva sempre messo un po’ di soggezione.
-Ma dai, Becca, era un gatto stupido! Non è stata colpa mia se …
-Mi scusi, è lei il fratello di quel ragazzo?
La voce stentorea di un medico dall’aria assurdamente seria e tombale fece quasi arrossire Tom, che si sentiva tutto meno che presentabile al pubblico, stanco, assonnato e disordinato. Si limitò ad alzarsi con aria quasi colpevole, come fosse un bambino delle elementari messo in castigo dal maestro e mormorò, incapace di tenere lo sguardo fisso sul viso del dottore
-Aehm … no. Sono … un suo amico.
Se c’era una cosa che si era ripromesso di non dire, era proprio quella. Perché l’ultima cosa credibile che dovevi dire in situazioni simili era sempre incarnata nel casuale “amico”, che puntualmente veniva sempre interpretato male e veniva fatto oggetto di commenti sconci o di occhiate di rimprovero. Cosa che puntualmente avvenne anche quella volta.
-Lei non è il fratello di Bill Schadenwalt?- il medico lo guardò con una certa diffidenza.
-No. Il fratello di Bill è mancato qualche anno fa.- appena lo disse, se ne pentì amaramente, ma l’unica cosa che gli era venuta in mente da dire era stata quella. La verità, d’altronde. Eppure perché quando si trattava del biondo angelo tutto sembrava cadere in uno strano oblio dove le bugie sembravano il verbo giusto e la verità solo una stupida scusa per fuggire lontano?
-Capisco. Potrebbe venire un attimo con me?
Tom balzò in piedi con un’agilità che non avrebbe creduto di possedere, improvvisamente libero della sonnolenza, zampettando dietro al medico, seguito a ruota dai capelli rosa bubblegum di Rebecca. E, sinceramente, si sarebbe aspettato di tutto ma non sicuramente la trasparente figura di Bill che se ne stava raggomitolato nel letto guardandosi aprendo e chiudendo i palmi delle mani, concentrando in esse un profondo interesse. Sembrò non essersi nemmeno accorto della porta che si apriva e di Tom che diceva
-Ehi, Bill … tesoro, come stai?
Venendo bellamente ignorato, il ragazzo guardò il medico che si strinse nelle spalle con aria vagamente persa
-Non registra nulla di quello che gli si dice; dobbiamo finire le T.A.C. alla testa per controllare che dopo tutte le testate non abbia avuto dei danni ma …
-Pensate che Hansi venga a prendermi presto?- la vocina angelicamente vuota e lontana di Bill li fece quasi sobbalzare. Soprattutto fece sobbalzare Tom, a sentire quel nome che aveva cominciato a detestare con tutte le sue forze. Bill si era voltato verso di loro, sorridendo, le mani strette in grembo e gli occhioni eccitati.
-Ecco. Lei sa chi è questo … Hansi? Non fa altro che nominarlo.- il medico non attese nemmeno che Tom rispondesse, aggiustandosi gli occhiali sul naso camuso – Comunque, è sotto osservazione, ovviamente. C’entrano le botte in testa, il fatto che abbiamo notato i legamenti dei polsi spezzati e mal riassemblati, forse causa di precedenti atti di autolesionismo, e le sue reazioni. E che …
-Potrei stare due minuti da solo con lui, per piacere?
Tom non stava registrando nulla di quello che gli stava dicendo il medico, e non stava nemmeno vedendo Bill che continuava pacificamente ad aprire e chiudere i palmi delle mani come una moderna Lady Macbeth che non riusciva a togliere il sangue dalle sue mani omicide, anche lui a suo modo una regina decaduta alle bassezze e alle trivialità del losco popolo che avrebbe dovuto guidare sulla retta via. Che poi lei fosse una tragedia shakespeariana e lui fosse un angelo nato prima del mondo, che lei fosse la regina di Scozia e lui il re della periferia berlinese, che lei avesse fatto uccidere un uomo e che lui fosse tormentato da demoni di ogni sorta, che lei fosse la malvagità e lui la follia incarnate, beh, quello non c’entrava. Vi era un legame unico tra Bill e Lady Macbeth, quasi percepibile in quel modo che entrambi avevano di guardarsi i palmi delle pallide mani. Bill era un angelo, ma non veniva dal Paradiso. Era semplicemente una creatura celeste sbucata fuori quando nulla era creato, quando non si erano formati fazioni, religioni, mondi, ma c’era solo il nulla assoluto: ed era lì che era sbucato lui, così nato dalle particelle di latte stellare e di polvere di stelle, osservante tutto quello che era seguito alla sua nascita, prorompente come la formazione di una nuova supernova.
Quando poi rimasero da soli, e gli si sedette accanto, sospirando rumorosamente, prendendogli delicatamente una mano tra le proprie, si sentì decisamente strano, perché se da un lato era carico di una specie di illuminazione che gli diceva che lui e solo lui poteva tirare fuori Bill dal suo Inferno personale, dall’altro era convinto di essere arrivato troppo tardi per spegnere un incendio che oramai aveva già raso al suolo qualunque forma vitale nel giro di miglia. In realtà, Tom si era sempre sentito così: come se arrivasse sempre tardi oppure troppo presto sul campo di una guerra che lui avrebbe dovuto combattere ma alla quale puntualmente mancava. Un senso di vuoto e di inadeguatezza perenne che non lo lasciava mai quietare da quando aveva incontrato per la prima volta gli occhi vuoti e spaventati di Bill, in un tempo lontano che non gli era dato ricordare.
-Ehi, Bill. Sono Tom. Mi dici qualcosa?
Il fatto che poi Bill lo guardasse con un sorriso spento, sfarfallando gli occhioni come se non lo vedesse nemmeno, gli fece scendere l’autostima sotto le suole, mentre gli stringeva la mano senza la minima emozione, come se non fosse altro che uno dei suoi diavoli impalpabili che popolavano la sua mente malata e stressata. Il ragazzo sospirò, scostandosi i capelli unti dal viso, massaggiandosi il ponte del naso.
-Bill? Mi senti? Mi riconosci? Sono Tom. Tom, il fante di picche.
Tom non sapeva come mai il biondo avesse deciso di chiamarlo fante di picche, ma fece finta di nulla, cercando di scorgere una minima luce di riconoscimento nell’espressione vuota e persa che aveva dinnanzi. Cosa che non avvenne, visto che Bill gli stringeva la mano come se nemmeno se ne stesse accorgendo e lo fissava con un sorriso vuoto e un’espressione persa in un mondo parallelo a cui nessuno era dato di entrare, impegnato a vivere in un fronte di demoni che lo angustiavano e che popolavano la sua strana vita sul limite di ogni senso logico e sociale.
-Abbassa quella dannata musica, razza di deficiente. Ti sembra che io possa anche solo riuscire a finire quest’hackeraggio che mi hanno commissionato se tu continui a sentire questa roba da psicopatici? Abbassala, ti ho detto, sei diventato sordo? Dovresti spararti in bocca come il tuo idolo, non trovi? Avresti qualche speranza di incontrarlo all’inferno. Anzi, perché non lo fai davvero? Se morissi potrei smetterla di doverti mantenere e farmi la mia vita in pace, senza di te, aborto della natura.
Bill parlava senza dare la minima colorazione a quello che diceva, la bocca piegata in una smorfia triste, gli occhioni malinconici che fissavano il viso di Tom senza in realtà vederlo, qualche lacrima che luccicava nello specchio delle sue iridi infernali.
Tom spalancò gli occhi, improvvisamente terrorizzato: di nuovo, dannazione. Di nuovo quello … scambio di personalità? Quella strana presa di potere del fratello di Bill che si andava a insidiare dentro di lui? Quell’inquietante discesa nei suoi incubi personali che covava dentro un corpo troppo bello e una mente troppo eccitabile?
-Bill, non c’è nessuna musica.- disse Tom, prendendogli il viso tra le mani e guardandolo fisso negli occhi, cercando di mantenere la calma il più possibile – Siamo in un ospedale berlinese, c’è un silenzio tombale, Hansi non c’è, ci siamo solo io e te, va bene? Bill e Tom. Tu non devi copiare nessun cantante grunge, ok?
Bill lo osservò con una certa curiosità, incrociando il suo sguardo, stringendosi nelle spalle ossute e in quel momento più che mai, Tom non poté fare a meno di vedere le ali da pipistrello grondanti di sangue così scuro da parere nero che colava a gocce dagli artigli che ghermivano l’aria e che sovrastavano la pelle morta delle ali. Immaginò le ali ripiegarsi su loro stesse con una lentezza esasperante, avvolgendo il loro padrone come una gabbia, muovendo l’aria soffocante e impregnata di anestetici dell’ospedale come un’onda che dolcemente investe la spiaggia abbandonata.
-Ho ancora le mani sporche del suo sangue. E’ stata tutta colpa mia.- mormorò Bill a mezza voce, guardando Tom fisso negli occhi, l’ombra di una lacrime a brillargli nel fondo delle pupille – Ho ucciso Cleopatra come ho ucciso mio fratello.
Tom fu quasi sicuro che quando Bill scoppiò in un pianto disperato, le ali si aprissero di scatto, muovendo l’aria di colpo, spalancandosi dietro alle spalle del ragazzo e invadendo con la loro granguignolesca presenza tutta la stanzetta bianca, gli artigli affilati, le membrane nerastre orribilmente strappate, ali enormi ma incapaci di spiccare il volo per salvare il loro padroncino dall’inferno in cui era precipitato, ali rovinate dalle sabbie del tempo e dai venti del passato che le avevano strappate e ferite nei viaggi intertemporali compiuti.
Scivolò fuori dalla stanza, quando il medico, dall’aria piuttosto svogliata, in compagnia di due infermieri entrò, guardando con un vago malcelato disgusto sia Tom che Bill
-Ora il paziente deve riposare.- a quel punto, Tom avrebbe voluto dargli un pugno in testa ma si trattenne. Gli angeli non riposano. Gli angeli volano se qualcuno è capace di curar loro le ali. – Se vuole venire a trovarlo domani.
Il ragazzo si limitò a grugnire qualcosa, guardando per l’ultima volta nella giornata Bill in lacrime, avvolto dalle sue ali insanguinate che tentavano inutilmente di proteggerlo dalla brutta mondanità che non gli faceva che male. Sì, quella volta sarebbe stato lui a raccogliere le lacrime di stelle e a rammendare la membrana alare per permettergli di volare di nuovo nei suoi sogni e nelle sue fantasie malate.
Sospirò rumorosamente, avviandosi giù nell’atrio dell’ospedale, i capelli che gli ricadevano davanti al viso, i passi strascicati, la vecchia borsa con l’inseparabile Lloyd che gli ciondolava da una spalla, una smorfia depressa stampata sul viso. Arrivato giù, si guardò stancamente attorno, stropicciandosi gli occhi assonnati e distinse la figura di Rebecca che appena lo avvistò gli corse incontro ciondolando sui tacchi 12 delle imbarazzanti scarpe di plastica azzurro cielo.
-Allora, mi vuoi spiegare che diavolo sta succedendo?- Rebecca lo stava aspettando nell’atrio, vestita normalmente, i capelli rosa che andavano da tutte le parti e la chincaglieria punk che la faceva sembrare un fenomeno da baraccone.
-Lascia perdere, Becca, è un casino assurdo.- Tom guardò sconsolato l’amica, legandosi i capelli in una cosa scomposta – Cioè, non ho assolutamente capito un tubo di tutta la faccenda. Julia te ne ha parlato?
-Beh, certo, lo sai che non sta mai zitta, e di certo non su di te.- i due ragazzi si avviarono fuori dall’ospedale, accolti da un bollente fohn del sud che frustava i radi alberi del cortile, l’afa che rendeva l’aria irrespirabile e soffocante – Mi ha raccontato tutto quella strana storia di Bill … T., sei sicuro del casino in cui ti sei andato a infognare?
-Ma certo che ne sono sicuro!- Tom alzò gli occhi al cielo, mentre imboccavano una lunga strada in discesa semi vuota, illuminata vagamente dai lampioni che fendevano debolmente l’oscurità calata quella sera, oscurità che preannunciava di sicuro un brutto e bollente temporale estivo. – Lo so che sembra impossibile, ma io e Bill siamo … perfetti. Come una dimostrazione per assurdo, quelle geometriche. Ok, lui è incoerente, è instabile, ha un sacco di problemi, vede cose che non ci sono e dice un sacco di assurdità, ma sono certo che io devo fare qualcosa per lui. Devo aiutarlo, per quanto mi è possibile. È un po’ come fosse una vocazione, solo che invece di fondare una setta fondamentalista cristiana, io salvo Bill. Che è un angelo. E che quindi c’entra pure con la setta cristiana.
Tom si era appena reso conto di aver detto una delle più grandi stupidate di tutta la sua vita, il discorso meno poetico, sensato e razionale possibile. Ma Rebecca, la folle, squinternata, anarchica Rebecca, sembrò non prestarci attenzione
-Ho capito, tesoro mio, ma non penserai mica di farlo da solo!
I grandi occhi gialli truccatissimi si posarono su di lui, accompagnati da uno di quei sorrisi che a Tom mettevano un po’ d’ansia.
-E cosa dovrai fare, Becca? Non posso mica chiamare un’associazione Caritas!
-Beh, la Caritas forse no … ma noi sì!- la ragazza si esibì in un largo sorriso, appendendosi al braccio di Tom, cercando di non far fuoriuscire il prorompente seno dalla maglietta a rete striminzita.
-Voi?! Ma cosa stai dicendo?- Tom si rese conto, dopo aver visto l’espressione assunta da Rebecca che forse il tono era stato poco lusinghiero e si affrettò a riparare – Cioè, no, non fraintendermi! Vi voglio bene, siete i miei migliori amici ma … dai. Bill. E voi. No, non ci siamo, non ce la possiamo fare.
-Tu ti e ci sottovaluti, Tom!- il ragazzo venne scosso dalla presa ferrea dell’amica, accompagnato da una scrollata di capelli – Ok, forse dall’esterno possiamo sembrare poco professionali e molto casinisti, e non lo metto in dubbio che lo siamo, ma forse è proprio la nostra incapacità di crescere a renderci quello che siamo. E a darci dei punti nella conquista di Bill. Juls mi ha raccontato tutto, l’altra sera e non c’è nulla che ci impedisca di aiutarti in questa missione disperata. Nulla, hai capito?
A Tom, a quel punto, venne quasi da ridere. Perché sì, forse Rebecca aveva ragione. Erano cinque quasi trentenni di periferia che non avevano imparato a crescere, cinque Peter Pan che vivevano la loro vita alla giornata, senza freni e senza regole, cinque bambocci su cui avrebbero potuto fare un film di quelli che la gente vede ridendo a crepapelle ma che poi, quando va a dormire, si trova a ragionarci sopra e a fare qualche conteggio sulla propria vita. In fondo, chi erano loro? Un barista che pensava solo al cibo e a niente altro, un agente immobiliare perennemente impegnato nel corteggiamento della stessa ragazza, una commessa anarchica con strane idee politiche in testa, un’infermiera punk che si comportava come un freak e un traduttore di romanzi incapace di ricordare il suo passato. Erano così meravigliosi, nel loro lurido squallore plebeo che forse ce la potevano anche fare a salvare un giornalista suicida che si credeva un angelo. Nulla di così strano che loro non potessero affrontare con il loro coraggio da bambini avventurosi, la loro malizia da sedicenni provinciali, la loro allegria scanzonata di ragazzi che il futuro non l’avevano perché credevano ancora che Johnny Rotten avesse ragione e che Abbey Road nascondesse un segreto.
-Capito l’antifona, Becca. La smetto di fingere di essere un adulto.- Tom sorrise stancamente, guardando le nubi che si ammassavano sopra la città – E ti dico che siete i migliori amici del mondo e che mi rifiuto categoricamente di farti da testimone al matrimonio perché mi vergogno, ok?
L’urlo della ragazza scosse la strada, accompagnato da uno di quegli abbracci spezza ossa e dal
-Sono così felice che Julia mi abbia chiesto di diventare sua moglie!
che rimbombò nel sordo rombare dei motori della capitale.
-Alla fine, com’era andata la serata?- Tom la guardò fare gli occhi e mettere le mani a cuore, saltellando sui tacchi vertiginosi.
-Benissimo! Guarda che bello.- gli agitò sotto il naso il vistoso anello col teschio di brillanti terribilmente pacchiano che Tom conosceva bene, dopo che Julia lo aveva costretto ad accompagnarla dal gioielliere a comprarlo e averlo sottoposto a una delle più grandi figuracce del secolo – Ora siamo ufficialmente fidanzate e stiamo progettando di sposarci tra poco. In più, avevamo anche ballato il tango sul poggiolo in bikini. Avresti dovuto esserci.
Tom alzò gli occhi al cielo. Era sicuro che prima o poi qualcuno avrebbe chiamato la polizia per atti osceni in luogo pubblico con due tipe che ballavano semi nude con la musica a tutto volume ad orari indecenti e con un tipo che a un certo punto usciva anche lui sul poggiolo in boxer e cominciava a bestemmiare contro le due ballerine. Sì, era più che sicuro che presto le infinite volanti che passavano per il loro quartiere avrebbero fermato sotto casa loro.
-Certo, Becca, come no. Comunque, sarete una coppia divertente.
“Tu e Bill non sarete mai una coppia divertente”, gli ricordò la sua antipatica coscienza, e non poteva certo darle torto. Chi avrebbero divertito, loro due? Forse quelli della mortuaria.
-Anche tu e Bill lo sarete, T.- disse invece Rebecca, sorridendogli dolcemente – Anche perché credo fermamente che sia ora di darci da fare e smetterla di piangere. Prima ho chiamato Georg e Gustav, sono a casa tua e di Julia.
-Non mi dire che hai avuto una di quelle tue stupide trovate di festicciole mal fatte.
Tom fece tanto d’occhi, spalancandoli comicamente, figurando tristemente quello che Gustav gli raccontava praticamente ogni santo giorno, ovvero il fatto, per lui avvolto da un misterioso alone di nebbia, che a una delle famose festicciole di Rebecca aveva brillantemente dichiarato il suo amore eterno a Georg dopo aver bevuto almeno dieci bicchieri di quello che pensava fosse succo ma che si era rivelata una potentissima vodka.
-Assolutamente no, Tom!- Rebecca gli diede un colpo di fianchi, gli shorts inguinali che le fasciavano a stento le cosce lentigginose – Ho fatto di meglio, per aiutarti a salvare Bill. Ho riunito la Lega.
 
La cosiddetta “Lega degli Avventurosi Eroici Squattrinati Kebab al Formaggio Fuso Senza Glutine”  era un’associazione segreta nata circa quindici anni prima a Magdeburgo e trasferitasi a Berlino sette anni prima, avente nel proprio gruppo Tom, Georg, Gustav, Julia e Rebecca, quelli che a scuola erano talmente sfigati da essere stati meccanicamente scartati da qualsiasi gruppo e club che si era andato a formare negli anni. C’era perfino un club dei disagiati, ma loro erano così terribilmente out da essere costretti a fare la Lega dei Kebab, che si riuniva ufficialmente quando qualcuno dei membri aveva una questione da risolvere, che poteva passare dal come recuperare un’insufficienza, a come conquistare una ragazza, dal come sopravvivere al divorzio dei genitori, a come salvare un angelo nato prima del mondo. C’erano le sue buffe usanze che sapevano tanto di setta religiosa, come quella di fare le riunioni con un kebab in mezzo al circolo e una candela accesa piantata sopra, e quella di passarsi un sacchetto della friggitoria ogni volta che qualcuno voleva prendere parola. Certo, quelle idee erano nate quando avevano solo undici anni e avevano fondato la Lega, ma Gustav, l’inflessibile Presidente, aveva ritenuto conveniente non scioglierle e continuare imperterriti ad accendere la candelina sul kebab passandosi il sacchetto bucato come testimone. E in quel momento, come quando erano ancora dei bambinetti con la fissa per Indiana Jones, come quando erano adolescenti che predicavano il verbo dei Guns’n’Roses, esattamente così erano seduti in circolo sul pavimento della casa di Tom e Julia, una candelina accesa di un vecchio compleanno infilzata su un kebab ancora caldo in mezzo a loro, il sacchetto della friggitoria sotto casa sulla testa di Georg come un buffo berretto e Lady Gaga che cantava ignara nello stereo, imposta da una dittatoriale coppia di ragazze che si erano rifiutate di sentire i canti popolari magdeburghesi che puntualmente un grasso biondo rifilava all’udito.
-Dunque, Tom, facci capire con calma: Bill è perseguitato, se così posso dire, dal fantasma di un certo Hansi, che sembrerebbe essere suo fratello, talmente succube da essere addirittura convinto che potrebbe tornare dall’oltretomba a rovinargli la collezione di bambole, dotato di una memoria elefantiaca ma convinto di esistere da sempre, ossessionato da se stesso tanto da circondarsi di suoi autoritratti, intelligentissimo ma autolesionista tanto da aver tentato il suicidio, fissato con la musica grunge e con Kurt Cobain, completamente sdoppiato in due diverse identità che subentrano a seconda della situazione e ora è in ospedale perché ha avuto una crisi isterica causata da non si sa bene cosa e perché ha cominciato a mordere e graffiare chiunque gli si avvicinasse dopo aver tentato di rompersi la testa.
-Esatto.- mugolò Tom, ruminando stancamente qualche patatina – Cosa devo fare?
-Intanto, innamorarti di qualche uomo normale e non andare a cercarti psicopatici che già ci sei te che fai per dieci.- commentò pacifico Gustav, beccandosi un rapido coppino da parte di Julia che abbaiò
-Zitto, grassone! Tom, effettivamente, scusa se te lo dico, ma questo è davvero un casino enorme.- la ragazza si sistemo sul severo caschetto biondo il sacchetto di carta – Più che altro, perché dovresti tentare di scoprire cosa affligge Bill prima di buttarti nel salvataggio.
-Giusto.- le diede man forte Rebecca – Abbiamo appurato che da giovani vi siete in  qualche modo legati e …
-Ma non è che c’eri andato a letto? Sai, sedici anni, un po’ di alcol, un bel culo, forse lui vuole che … - Gustav venne interrotto da un  pugno oltraggiato
-Piantala di insinuare cose non vere!- sbottò Tom – Non ci sono andato a letto, né prima né adesso. Piuttosto … dite che dovrei cercare nel suo passato?
-Che dovremo, vorrai dire.- esclamò Georg – Ormai, ci sentiamo anche noi parte di quest’avventura e se si tratta di fare del bene a un nostro ex compagno di scuola di cui non ci ricordiamo troppo bene l’esistenza e che sembra ti si sia affezionato in maniera morbosa, allora siamo pronti.
-Madonna, Georg, se la metti così sembra che stiamo per scoprire i segreti di Daisy e Gatsby.- commentò acidamente Julia. – Forza, cosa aspetti Tommuccio? Mano al computer e vediamo di trovare qualcosa.
-Ma come facciamo a trovare qualcosa su Internet?- chiese Gustav, grattandosi la zazzera bionda e mangiando un pezzo del kebab onorario – Non penso esca nulla.
-Beh, Tom, Bill che cosa diceva sulla morte di suo fratello? Ne ha fatto menzione?- disse pacificamente Rebecca, poggiando la testa sulla spalla di Julia.
Tom si grattò il collo, sforzandosi di ricordare cosa avesse detto Bill, spremendo quanto più poteva le meningi, cercando di ricostruire i discorsi senza capo né coda.
-In realtà, lui ha solo detto che si chiamava Hansi, che è morto sette anni e che … che è convinto di averlo ucciso lui.
-Rassicurante.- borbottò Georg – Dunque, se partiamo dal presupposto che ciò non sia vero, che sia stato un incidente, un suicidio, o anche un omicidio allora dovremmo cercare casi di cronaca risalenti a sette anni fa in cui era rimasto ucciso un ragazzo molto giovane possibilmente di nome Hansi, considerando che visto che Bill non ha padronanza delle sue facoltà mentali, potrebbe anche aver falsato il nome. Non siamo sicuri si chiami davvero così, no?
-E se c’è qualcosa riguardo a Holly.
Tutti si voltarono verso Tom, che si mordicchiava un unghia e guardava il soffitto con aria persa nei suoi mondi alternativi
-E che c’entra adesso Holly? È un nome da donna!- fece presente Gustav.
-Lo so, e non so nemmeno se possa essere una pista, ma oggi Bill, prima di cadere preda di quella spaventosa crisi isterica strillava qualcosa a “Holly”. Qualcosa sul lasciare stare un terzo.
Julia sospirò rumorosamente, afferrando il portatile e cominciando a digitare furiosamente, qualcosa, borbottando a mezza voce qualcosa riguardo ai “migliori amici che si vanno a impelagare in relazioni pericolose”. Gli altri quattro le si affollarono attorno, scrutando incuriositi lo schermo luminoso e quello che sbucava
-Dì un po’, Tommolo, potrebbe centrare qualcosa con Bill questo fatto?
Tom allungò un collo e vide che Julia aveva aperto un sito di cronaca nera risalente a sette anni prima che portava l’inquietante titolo di “La casa degli orrori della Colonia Strasse”, dove c’erano alcune fotografie dell’interno di un appartamento invaso dalla Polizia.
-Praticamente,- disse la ragazza, scostandosi una ciocca di capelli dal viso – Qui dice che sette anni fa la Polizia, chiamata dai vicini, aveva fatto irruzione in un appartamento della Colonia Strasse, giù a Magdeburgo, trovandoci un gran casino. Era un circolo di eroinomani, wow, sembra di essere tornati negli anni ’80, solo che doveva essere scoppiato un casino per l’eroina, posso immaginare e qui dice che c’era scappato il morto. Il fatto accadde una notte e un ragazzo, non dice il cognome ma secondo qua avrebbe dovuto chiamarsi Hansi come il nostro uomo, volò giù dalla finestra. Nessuno dei presenti era stato in grado di dire una plausibile verità, tutti troppo fatti per rilasciare una deposizione, a parte, e qui c’è il fatto strano, uno di quelli che aveva espressamente detto di essere stato lui il colpevole e di aver spinto l’altro di sotto.
-E l’avranno arrestato e quindi non ci interessa.- interruppe Gustav – Bill è libero.
-Dio, Schafer, ma la sai tenere chiusa quella fogna di bocca?!- abbaiò Julia – Il tipo che si era costituito è stato ritenuto innocente per il fatto che poi, durante le indagini, tutti i presenti avevano più o meno sostenuto che il presunto colpevole non aveva fatto nulla e che il ragazzo morto era caduto da solo, contando che in quel momento quel tale che si voleva addossare la colpa aveva un braccio ingessato e che fisicamente era così debole che non avrebbe potuto spingere un'altra persona così forte da farla cadere.
-Perché però si era costituito se era innocente?- chiese Georg, grattandosi la testa.
-Boh, qui non dice altro, ma sembra essere stato l’unico caso di cronaca nera che possa calzare alla nostra situazione, anche se qua non fa nomi.
-D’altronde, a chi può interessare la morte di qualche eroinomane in una città di confine … e avrebbe pure senso!- esclamò Tom, battendosi il pugno sul palmo – Se Bill dice di aver ucciso suo fratello, potrebbe essere lui il ragazzo che si era costituito nonostante la sua innocenza! Ma perché avrebbe dovuto farlo?
I cinque ragazzi si guardarono incerti.
-Io credo che volesse proteggere qualcuno. Intendo dire, se fossi stata nella stessa situazione e Juls avesse spinto, che so, Georg di sotto, io mi sarei addossata la colpa pur di salvarla.- Rebecca sfarfallò gli enormi occhi truccatissimi.
-Aww, grazie amore, lo sai che io avrei fatto lo stesso!- cinguettò Julia, travolgendo la fidanzata di baci e Tom si trovò a pensare perché con lui non mostrava nemmeno un quarto della dolcezza riservata a Rebecca.
-Ehi, facciamo un po’ le corna!- sbottò Georg, toccando ferro – Ma chi avrebbe dovuto proteggere, scusate?
-Magari un ipotetico ragazzo, un amico, una persona a cui era molto legato. Credo che questo tocchi a noi scoprirlo.- disse tetro Tom
-Ragazzi, guardate un po’ qui che strano però.- Gustav si era impossessato del computer e aveva inforcato gli occhiali – Qui dice anche che una certa Holly Lachmann si era suicidata sempre a Magdeburgo poco dopo la morte di questo Hansi uccidendo di conseguenza il figlio che portava in grembo. Tom, non hai detto che Bill parlava anche di una certa Holly?
-Beh, sì, sono due nomi che ha citato.- Tom si grattò una guancia, incerto. Quando gli sovvenne una cosa. In uno dei disegni che aveva visto la mattina in casa di Bill, c’erano raffigurati Bill e quell’altro ragazzo biondo che tenevano in braccio un bambino appena nato. Che potesse c’entrare anche quello qualcosa in quel complesso puzzle che stavano cominciando a riordinare? – E … ragazzi. Credo che dovremmo indagare in questa direzione, qualcosa mi dice che siamo sulla strada giusta per scoprire qualcosa di più.
  
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