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Autore: kyon181    21/08/2003    0 recensioni
Lungo monologo interiore di Shinji sulla sua vita: quella che è stata, e che sarà
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salii su una vettura del convoglio di servizio lungo la linea circolare 7 di Neo-Tokyo 3. Molta parte del tragitto è all’aperto, dopodichè il treno metropolitano si immerge nel profondo delle gallerie sotto la città-fortezza scavate ad uso delle vetture. Prima di vedere l’oscurità, quel giorno mi imbattei nella luce, la più splendente che io avessi mai incontrato. La scorsi con sorpresa, guardando dal finestrino dietro di me. L’avevo intravista con la coda dell’occhio: stava in piedi sotto a un orologio a muro della stazione. Rimanendo seduto, mi voltai per osservarla. Spannai col palmo della mano una buona porzione di vetro, e Ayanami si accorse di me. Certo non si aspettava quell’incontro di sguardi, in quel momento, mentre la sua mente distratta probabilmente schermava il suo cuore dall’asetticità dell’ambiente, odoroso di binari. Binari che apparivano morti, mi erano sempre sembrati tali. Ma adesso, un uragano di vita si era abbattuto sui miei occhi. E dai miei occhi, la vita si trasmise alle mie dita. Tracciai col dito, sul vetro appannato del finestrino, le parole che non le avevo detto. Perché Ayanami potesse leggerle, scrissi la frase in modo specualare, da destra verso sinistra.
“Kimi ga suki desu…”

Come l’ombra di un fantasma, le gocce di umidità: il calore del mio dito indice aveva inciso una traccia che presto si sarebbe cancellata, come una scritta sulla sabbia del bagnasciuga. Eppure, quella frase a scomparsa, non sarebbe più sparita dalla mia memoria. L’avevo fatto. E forse, ancora c’è nei suoi ricordi, quella frase impressa sulla condensa che appannava il vetro. Un alone di sentimenti.

 

Che si allontanò, insieme al convoglio che partì sferragliando, senza curarsi di nessuno sguardo. Neppure di quello di Ayanami, che era rimasta lì, persa ad inseguire con la mente il senso delle mie parole, e dei miei occhi che ancora la fissavano timidamente. Ebbi il tempo di leggere un sussulto, nei suoi di occhi. Ebbi il tempo di cogliere un rapido guizzo delle sopracciglia, di indovinare il suo battito accelerato, come quello del mio cuore, mentre anche il treno accelerava. Strinsi in mano lo SDAT, attorcigliai il filo dell’auricolare attorno alle dita compagne dell’indice, responsabile del turbamento di una ragazza sul binario, da cui il vagone che mi conduceva si era appena staccato. Come una nave dal suo porto.

Ripensavo alla fronte di Rei, alla sua bocca semiaperta, come a dirmi qualcosa. Chi sa come deve essergli apparso il mio viso: quello di un deficiente, di un pentito, di un coraggioso, di un innamorato? Niente di tutto questo: un viso.

Il mio, che rimase fisso sul pavimento del vagone, a ricordare con meraviglia e stupore quello di Ayanami, senza riuscire a pensare ad esso per più di tanto: mi faceva arrossire, anche solo a ricordarlo, il suo volto.

 

Ormai sono passati dei mesi da quel giorno. Ultimamente, la mia vita in questa città è diventata simile a quella di un recluso: passo il più del tempo nella mia stanza, esco raramente. Se ci fosse qualcun altro in casa, oltre a me, lo schiverei. Le ore in cui esco a fare la spesa sono quelle notturne.

Sono diventato un altro caso di hikikomori?* Forse. Ma l’unico sistema elettronico di cui dispongo per sfuggire al tedio infinito dei pensieri che si accartocciano su se stessi è il mio SDAT, lettore di tracce monotone come i segni dei miei giorni sulla sabbia del tempo che mi resta. Una sabbia che somiglia a cenere. Da quando l’ho persa, mi ha invaso un desiderio di morte. Non avremmo mai potuto essere l’uno per l’altro uno scampo alla solitudine. Non ho mai nemmeno sognato un amplesso, un abbraccio: se non forzatamente. Mi sono sempre sentito inetto, persino per cose così naturali come il sesso. Più che mai per il sesso. Più che mai per l’amore di Ayanami.

Sono un inconcludente che desidera più che mai, un qualsiasi tipo di fine.

 

 

 

 

 

*Fenomeno del Giappone contemporaneo, per cui molti giovani si chiudono a riccio nelle proprie camere, ignorando ogni altro abitante della casa, e trascorrendo il tempo in una specie di moderno eremitaggio, fatto anche di videogames, internet. In realtà, a mio parere, il fenomeno principale è il rifiuto della società da parte di questi ragazzi, e delle “forme amorfe” che spesso assumono i rapporti umani. I ragazzi vittima di hikikomori spesso diventano violenti, e pericolosi per i coinquilini. A volte, un risentimento verso il genitore può degenerare in tragedia. La segregazione di questo tipo, può portare dei ragazzi o dei giovani adulti a chiudersi dentro la cameretta autosufficiente per mesi, o anni, salvo uscirne per fare la spesa nei supermarket notturni.

  
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